Argomento
Manda il soccorso al re de’ Traci in fretta
il re d’Egitto ma s’agghiaccia il mare,
onde affatto riman l’armata inetta
immobile su l’onde al navigare.
Dà Baldovino a la città ristretta
da assedio assalto fier, novelle amare
ode Alessio, o che vinca o sia distrutto
spinge fuori a battaglia il campo tutto.
Il mare si gela e semina morte nell’armata egiziana (1-21)
1Già men sereno e men vivace il raggio
spiegava il sol spesso fra nubi avvolto,
e piegando vèr l’Austro il suo viaggio
in più fredda magion s’era raccolto,
e per sentier più breve il suo passaggio
facea dell’Oriente al mar rivolto,
più lunghe erano l’ombre e ’l dì sì corto
che cadea nell’Occaso a pena sorto.
2Rabbiosi venti e pioggie accolte in gelo
scotean l’aria, coprian d’ombre funeste,
fra tuoni e lampi minaccioso il cielo
destava in seno al mar flutti e tempeste.
Torbido è il giorno e con più orrendo velo
la tenebrosa notte anco si veste,
e del sol privo in fra i notturni orrori
l’aer freddo rinforza i suoi rigori.
3Ma non però l’incominciato corso
frena in tanto su ’l mar l’egizia armata,
anzi affrettando il suo viaggio il dorso
più veloce flagella all’onda irata,
e pronta per recar l’alto soccorso
di ferro vien ma più d’ardir armata;
ma pur del fato insuperabil forza
a ritardar il suo camin la sforza.
4Cessan le pioggie e senza nube alcuna
rimane il ciel de gli astri suoi fregiato,
e sotto i rai di rinascente luna
spira più freddo l’Aquilon gelato.
Sibila e freme e i suoi rigori aduna
e mostra ben che sotto l’Orse è nato,
penetrante e sottil la terra l’onda
scote e l’annose quercie abbatte e sfonda.
5Rompe i remi talor, squarcia le vele,
sì cruda guerra a i naviganti apporta,
e l’impeto del vento è sì crudele
che se in alt’è il nocchier seco lo porta.
Chiude il varco il timore alle querele,
ciascun ha faccia impallidita e smorta,
e sì l’antenne il gran furor percote
che raccorre le vele altri mal pote.
6Pronto ciascun su i combattuti legni
in van s’affanna a far suoi schermi accinto,
che de’ venti contrari a i fieri sdegni
ad urtarsi l’un l’altro è a forza spinto,
né giova adoprar qui ferrei ritegni
e già quasi il nocchier si rende vinto,
e cerca ognor, benché sovente in vano,
più che può l’un dall’altro erra lontano.
7Senz’ordine, confusi in varie parti
erran dispersi, e più che scogli teme
ciascun l’amiche navi e tutte l’arti
usano allor per non unirsi insieme.
Nuotan vele et antenne e remi sparti
in seno al mar ch’ognor più fiero freme,
et or urto improviso or rapid’onda
alcun men forte legno apre et affonda.
8Ma i gran moti dell’acque e lo spavento
de’ naviganti e delle navi il corso
con più crudo rigor l’istesso vento
raffrena, e impone alle procelle il morso,
ch’il mobil flutto a congelar intento
soffia sì fiera che ferma al mare il dorso,
e s’or fu monte ora profondo calle
adegua, e spiana in cristallina valle.
9Con rauco mormorar l’onde sonore
più non sferzan fremendo o scogli o sponde,
et obliando il lor natio furore
taccion senza ondeggiar l’acque profonde.
Sent’agghiacciarsi il cor nel gran timore
ciascun da gel che incatenate ha l’onde,
e quei che già temea de’ flutti i moti
or li temono più fermi et immoti.
10Stanno i remi oziosi e se pur tenta
spingerli il corso s’affatica in vano,
e in van gli move e in grembo al mar gl’avventa
allor delusa in navigar la mano,
che non vien che lor ceda o consenta
liquida l’onda fatta immobil piano,
e se con lor l’acque impetrite premi
pria che frangasi il mar frangons’i remi.
11Sembra già terra il mar, le navi scogli,
se pur son scogli ove non è più mare.
In vano i remi, in van le vele sciogli,
nocchier, nell’onda che ti suol portare,
misero, e in vano i tempestosi orgogli
di novo inviti contro te pugnare,
ché il mar non t’ode et a se stesso tolto
stassi quasi in se stesso ora sepolto.
12Arte non val, non val consiglio in tanto
rigor che ferma l’acque e ’l sangue agghiaccia.
Sol quanto può da scarsi fochi intanto
sostegno alla sua vita ognun procaccia.
Copre sue membra alcun con doppio manto
appar ciascun qual moribondo in faccia.
L’un l’altro mira impallidito esangue
e in riposo mortal torpendo langue.
13Alcun ristoro all’infelici apporta
quando ritorna doppo l’ombre il sole,
che, la vital sua luce in ciel risorta,
vien che pur gli riscaldi e riconsole;
ma quando poi resta nel mare absorta
ne i notturni rigor ciascun si duole,
ché l’aer freddo con più forte laccio
stringe le membra e le convert’in ghiaccio.
14Remi o vele o d’antenne alcun del foco
destina all’esca per fuggir la morte,
mentre spirand’omai languido e fioco
vede del viver suo l’ore sì corte.
Altri col moto, ognor cangiando loco,
scalda le membra irrigidit’e smorte;
altri, confuso per timore e insano
di mente, giace abbandonato al piano.
15Intanto Argea co’ detti suoi potenti
d’Averno i numi cominciò invocare,
acciò voglian frenar l’ire de’ venti
e dell’aria il rigor ch’agghiaccia il mare.
Ma non già come prima ubbidienti
veggendoli, gridò con voci amare:
«Voi non m’udite ancor, questa è la fede?
questo del mio servir l’ampia mercede?
16Non curo io più se nel maggior periglio
m’abbandonate i vostri aiuti e l’opre,
prendete pur da me perpetuo esiglio
sin che quest’ossa mie terra ricopre.
Perfidi, io vi rinunzio, e solo il ciglio
a colui volgerò che sta là sopre,
che governa le stelle e saggio e buono,
che, dell’ombre nemico, ha il sol per trono».
17Ciò detto a pena, senz’udir risposta,
si trovò assisa su destrier volante,
ch’alzolla in aria a gli occhi altrui nascosta,
ratto volando con l’alate piante
e in breve tempo entro Bizanzio posta
fu nel tetto reale al re davante;
il qual quando la vide «Io non credea «
disse «sì tosto a me tornassi, Argea.
18Ma tu, ch’a i cenni tuoi prono hai l’Inferno,
o presta o tarda ovunque vuoi ten voli,
forse ne vieni onde nel duro scherno
ch’il Franco di me fa tu mi consoli?».
«Vengo «risponde «in sì ghiacciato verno
a far più grave il male onde ti duolsi.
Rea novella t’apporto: ha incatenato
il soccorso d’Egitto il mar gelato.
19Così volle il Destino, e non fu poco
in mezzo al gelo non perissi anch’io,
ma non però fra tanti ghiacci il foco
estinto è già del fiero sdegno mio.
Spero sorte cangiar cangiando loco,
spesso il Ciel ch’è severo altrove è pio.
Opra non lascierò con cui l’offese
vendichi al fin del traditor Francese».
20Tal gli ragiona e ’l mesto Alessio intanto
respirar pare infra timore e speme.
Ma nell’egizia armata il commun pianto
cresce, mentre più fiero il vento freme.
Stringonsi l’onde e si condensan tanto
che sembran marmi a marmi uniti insieme,
e per fuggir sì miserabil sorte
rimedio altro non v’è se non la morte.
21Muoion molti, altri langue, altri dolente
dal profondo del cor geme e sospira,
l’ora estrema vedendo omai presente
mentre i morti compagni afflitto mira,
e rivolgendo l’affannata mente
contro il fiero destin freme e s’adira,
poscia cedendo al suo ch’a morte il mena
in pianto amaro al fin sfoga sua pena.
Baldovino dispone la strategia per l’attacco (22-39)
22Ma intanto Baldovin, dal saggio scorto,
già s’apparecchia alla mural battaglia,
e vuol ch’ogni sua schiera che è nel porto
dentro i suoi legni sovra ’l lido saglia.
Et a ragion commanda il duce accorto,
ché l’oste in terra in numero prevaglia
poiché sue navi inabili al pugnare
e le nemiche ha imprigionate il mare.
23E perché giunto il tempo che predetto
già fu dal saggio in cui tremar la terra
vedrassi, e più d’un muro e più d’un tetto
giù ruinar senz’altro assalto o guerra,
et essendo anche il mare in gel ristretto
ch’al soccorso d’Egitto il varco serra,
prende la favorevole opportuna
occasion senza dimora alcuna.
24E nel gran padiglione ove risiede,
i duci dell’esercito chiamati,
quando egli tutti poi dall’aurea sede
gli vide intorno in ordine adunati
incominciò: «Ben so ch’a voi si chiede
ciò ch’è vostro desio, guerrieri amati,
e ben so ch’avidissimi di gloria
già v’apprestate all’ultima vittoria.
25Forse parrà che troppo gran dimora
frapost’abb’io, ma la cagion sapete,
che certo fu sol d’aspettar quell’ora
che sì felice a i desir vostri avrete.
Ma lieti al fin nella futura aurora
germogliar vostre palme omai vedrete,
ché d’assalir le mura il temp’è giunto,
al fiero Alessio inevitabil punto.
26Or perché puote ogni mirabil opra
ridurre a fin chi nell’imprese accorto
col favor di fortuna il senno adopra,
ma s’ella il nega non si giunge in porto,
pesante carri al mar gelato sopra,
le vie tentando, di mandar vi esorto,
ché se ivi son ghiacci sicuri et alti
portar potremo anco per mar gli assalti.
27Poich’essendo dal mar bagnata e cinta
così gran parte della gran cittate
ben è ragion che forte schiera spinta
sia da quel lato con le torri armate,
e che mentre dall’altro ancor ricinta
fia da guerrieri e da le moli alzate,
l’essercito poi tutto in vario loco
disposto or dardi scocchi or vibri il foco.
28Né la volta primiera è che sostenne
questo mar per gravi pesi instabil onde,
e vide i carri in vece dell’antenne
correr le vie non più molli e profonde,
e ’l passeggier dall’una non s’astenne
passar con pied’asciutto all’altre sponde,
anzi a i navili sovra l’onde immote
servian di vele le ferrate rote.
29Oltre ch’Alteo non poco m’assicura,
che mirar suole ogni riposto arcano
e con la viva fé c’ha in Dio sicura
le forze eccede del saper umano,
nulla di men perch’ogni nostra cura
dessi impiegar né risparmiar la mano,
pronti aggiungiam mentre è fortuna amica
a i favori del Ciel nostra fatica.
30Si tenti dunque l’agghiacciato flutto
con carri onusti di pesante sasso,
ma dietro all’orme lor sempre ridutto
vada l’auriga con accorto passo.
Se passan quei l’essercito poi tutto
quivi ancor troverà sicuro il passo,
e potrem su gl’immobili cristalli
senza tema schierar fanti e cavalli.
31Dunque al primo apparir del novo sole
tentin l’assalto nostre genti armate,
e coi ferrei montoni ogn’altra mole
sia pronta ad assalir l’alta cittate.
Ma voi non già pugnar com’altri suole
dovete, ma pur sempre allontanate
tener le torri con industre cura
sin ch’altr’ordine i’ dia dall’alte mura.
32E di tanto fulminar con faci ardenti,
con sassi e dardi e con baliste i muri,
che guerreggiando lungi a le cadenti
mura pugnar potrete assai sicuri.
Itene dunque e le guerriere genti
ciascun lieto conforti et assicuri,
e l’oste bipartita ora per terra
ora per mar mova improvisa guerra.
33Vivrà del fatto l’immortal memoria
con gli anni al par né il grido mai fia spento.
ben veggio in voi de la futura gloria
certa speranza e insolito ardimento;
e qual videsi mai d’alta vittoria
segno maggior se a favorirne intento,
congiurato con noi gli empi minaccia
il ciel, trema la terra e ’l mar s’agghiaccia?».
34Disse, et al suo parlar breve consiglio
successe, che distinto in chiare voci
tosto approvò suoi detti e ’l suo consiglio,
e tutti a’ cenni suoi n’andàr veloci.
Com’aquil’alla preda il crudo artiglio
o qual forte leon l’unghie feroci
così apprestàr di nobil brama ardenti
le mani all’armi le cristiane genti.
35Ma con pietosa cura e salutare
esorta il duce pria ch’ogni guerriero
prenda il cibo divino al sacro altare
con cor contrito e con amor sincero.
Ciò fatto, si converte al militare
ufficio, ora benigno et or severo.
Alteo va seco e con provida cura
e vigilante, il tutto osserva e cura.
36I grevi carri in mezzo al mar n’andaro,
e ’l cauto auriga dietro a lor sicuro
né per dritto sentier solo il solcaro
ma per ben mille vie condotti furo,
et in ogni sua parte il ritrovaro
via più ch’alpestre selce e fort’e duro,
fatto stabil su ’l liquido elemento
fabricato dal gelo il pavimento.
37Né già ponsi in oblio che in mar gelato
troverà il campo lubriche le strade,
e che nel terso calle e disusato
facilmente il destrier sdrucciola e cade,
sì ch’a i piè dei corsier l’artiglio usato
commanda il duce ch’a suppor si bade,
e che senza dimora anco le punte
a i duri cuoi de i pedon sian giunte.
38Tutte le mura in tanto eran già piene
di folta gente e di guerrieri armati,
sì dalla parte posta in su l’arene
come per tutto ancor de gli altri lati,
e stan mirando, in fra timore e spene,
dell’oste i moti e i carri in mar guidati,
avvisandosi ben che non lontano
fisso ha il tempo all’assalto il capitano.
39Alzano allora i Traci orrende grida
e scuoton l’aste e fan tremar bandiere,
quasi facendo universal disfida
tutti in quel punto a le nemiche schiere,
né pront’in minacciar la gente infida
si mostra sol ma da lungi anco fère
e vibra dardi, quanto può più lunge
s’ ch’alcun de’ cristiani offende e punge.
All’alba parte l’attacco (40-81)
40La notte intanto l’orizzonte intorno
rendea sorgendo ad ora ad or più nero,
ma poi fatto l’aurora in ciel ritorno,
sorse a pari con essa ogni guerriero,
e chiaro poi senz’alcun velo il giorno
il sol portò da l’indico emisfero,
e come fosse avido anch’ei di gloria
ornò co’ raggi suoi l’altrui vittoria.
41Già l’alte torri d’armi e genti gravi
ergean la fronte per gli aerei campi,
inteste i fianchi di robuste travi,
gravide il sen di fulmini e di lampi.
Come in mar torreggianti altere navi
senza incontrar giamai flutti o d’inciampi
solcan la terra, e mobili e correnti
non temo scogli e men l’ire de’ venti.
42E già di loro alcuna entra nel mare
ch’il freddo vento ha già converso in terra,
e incontro a i muri di Bizanzio appare
vasto gigante minacciando guerra,
né teme con sue rote il mar solcare
benché stuolo d’armati in sen riserra,
ma pronta, senza remi e senz’antenne,
va dove maggior pondo egli sostenne.
43Minaccian l’altre l’altra parte opposta
della città con le lor cime altere;
ma già l’invitto essercito s’accosta
tutto uscito già fuor delle trinciere.
L’oste in due parti è già divisa, e posta
in mar sta l’una e in terra l’altre schiere,
e Baldovin su ’l rapido corsiero
scorre delle sue squadre ogni sentiero.
44Et or in terra et or del mar nel seno
volar lo miri su ’l destrier veloce,
e in volto giocondissimo e sereno
appare in dolce maestà feroce,
e questi sgrida e quei rincora, e freno
e sprone a un tempo è la faconda voce.
Ma già si ferma e in generoso sdegno
ardente dà della battaglia il segno.
45Già la pioggia de’ dardi e la tempesta
de’ folti sassi e i fulmini mortali
qual nube orrenda ad avventar s’appresta
ciascuna delle machine murali.
Già dentro la città fiamma funesta
portan per l’aria i lampeggianti strali;
cresce l’incendio e con orrendo velo
già di puzzo e di fumo involve il cielo.
46Però che non men spesse i difensori
vibran le fiamme dall’opposte mura,
e ciascun tenta co i lanciati ardori
arder le torri e in ciò ben s’assicura.
Ma le moli guerriere e dentro e fuori
han ferrea scorza in rischio tal sicura,
opra dell’ingegner famoso Alcante,
già con molt’arte fabricate avante.
47Al grandinar de’ sassi e dell’ardenti
fiamme, al gran nembo de gli strali alati,
miransi dalle mura ognor cadenti
molti uccisi du lor, molti piagati.
Non s’arrestan però né già più lenti
scoperti contro a tant’ardor volanti,
contro l’innumerabili e infinite
saette allo’or da’ cotanti archi uscite.
48Vedeasi in alto il fier Ginarte asceso,
quasi sdegnando quell’angusto campo,
sotto un nembo di strali ancora illeso
da lungi minacciar l’avverso campo,
e, qual serpente d’auree squamme acceso,
al chiaro sol vibrar dall’armi il lampo.
Scote lung’asta e con sembianza altera
parla a i nemici in voce orrenda e fiera:
49«Or ch’aspettare, assalitor codardi,
ch’a voi ne venga ad incontrarvi il muro?
perché lontani sì, perché sì tardi
movete i passi in loco assai sicuro?
forse quivi aspettate i nostri dardi
che fin qui lenti a darvi morte furo?
ché non salite omai su l’erte scale?
Per questa strada a trionfar si sale.
50A che star sopra vostre torri altere
se sovra i muri ora salir potete?
che fan colà tante oziose schiere
se sì vicine a voi le prede avete?
forse contro voi stessi, le guerriere
palme nulla curando, or crudi sète
perché sprezzate, di superbia sgonfi,
per Cristo somigliar gloria e trionfi?
51Se il vostro Nume d’emular bramosi
sète, son qui per trionfar le croci,
e qui lancie pungenti e luminosi
sepolcri ir qua venite pur veloci.
che troverete ancor più gloriosi
per vostro eterno onor tormenti atroci.
Ben dovete gradir l’invito mio,
mentre vi chiamo ad imitare un dio».
52Così l’empio favella e vibra l’asta
con tal furor su la vicina torre
che ’l ferreo scudo al buon Gernier non basta
ma ’l fora e spezza e nelle vene scorre;
resta affisso nel petto e in van contrasta
ritrarla fuori e sé d’impaccio sciorre,
e quanto più trarla si sforza in fretta
la piaga allarga e la sua morte affretta.
53Né sol Gernier, ma ’l buon Gherardo offeso
con mortal punta fa cader nel piano,
e d’ardir temerario il petto acceso
vibra più colpi e non li vibra in vano.
Lascia al fin la zagaglia e l’arco preso
move più fiera a saettar la amano,
e cader fa di sangue asperso e tinto
de la gran torre a i piè Mireno estinto.
54Insuperbito, novo dardo prende
e in atto di vibrar minaccia e sgrida,
ma s’inoltra in quel punto e l’arco tende
Pirro, e da lungi a duellar lo sfida,
e scocca il dardo e l’empia bocca offende
e così vien che sue bestemmie irrida,
dicendo: «Allor non gi lo stral in vano
ma il Ciel credo il vibrò, non la mia mano.
55Precipitò da gli alti merli in giuso
a i piè de la gran torre il fier Ginarte,
quasi un gran fascio d’armi che di suso
cadesse al suolo, e ne fur l’orme sparte,
franto le membra e in un di mente ottuso
resta, e dal corpo al fin l’alma si parte,
e qual gigante ch’al Ciel mosse guerra
fulminato sen giacque in poca terra.
56Ode ben presto di quel forte estinto
l’aspra novella chi nel pian soggiorna,
sì che più fiero alle vendette accinto
su i muri allora un folto stuol ritorna.
Ma un nuvol denso in faccia a lor sospinto
d’arme volanti un tal ardir distorna,
e son cacciati in più sicuro loco
or da i sassi or da i dardi et or dal foco.
57Ma da quel lato che riguarda il mare
l’ampia città son più feroci e forti
gli empi pagani, e schiere elette e rare
manda incontro a i ferri et alle morti,
e ’l duce Aronte a lor miserie amare
vien che anco speme di vittoria apporti,
e spinge fuor su l’agghiacciate valli
gran numer di pedoni e di cavalli.
58Mirabil cosa era il mirar su l’onde
mover campi schierati, armi e bandiere,
e per le vie del mar vaste e profonde
con piè sicuro passeggiar le schiere,
e benché ognor così vorace affonde
merci et uomini e navi, or puoi vedere
sovra l’ampio suo seno errar vaganti
e carri e torri e cavalieri e fanti.
59Visto il nemico uscir dall’alta porta
l’incontra allor l’essercito cristiano,
e Rosmondo ch’è qui sovrana scorta
schiera sua gente nell’aperto piano:
larga di fronte, in fianchi angusta e torta,
la maggior parte alla sinistra mano,
onde temea venisse di repente
urto improviso di nemica gente.
60Né vuol che stian le torri sue lontano
e fuor dell’ali de i destrier le pone,
ché se già mai l’essercito pagano
girasse a i fianchi, al suo furor le oppone.
Né men de’ Traci intanto il capitano
i suoi pedoni in ordine dispone,
et a lor dà di cavalieri armati
pronte schiere al pugnar da entramb’i lati.
61Ma dato il segno incominciò mortale
dall’un campo e dall’altro aspra battaglia.
Stringons’i fanti e de’ cavalli l’ale
volan intorno ov’altri mai li assaglia,
né dir si può mentre l’un l’altro assale
se quello a questo o questo a quel prevaglia.
Pugna invitto ciascun, dubbia è la sorte,
sol gira intorno vincitrice Morte.
62Mentre così sì combattea, fremente
d’ira e di scorno il capitan sovrano
cinto da forte stuol d’eletta gente
si mosse in vèr l’essercito cristiano,
e inoltrandosi il fiero audacemente
molti mandò ne’ primi scontri al piano.
Rotto poscia il troncon, col ferro ignudo
segue la pugna impetuoso e crudo.
63Quasi fulmine orrendo entra e s’asconde
Aronte in mezzo alle pedestri schiere,
l’urta, le rompe, gli ordini confonde,
fass’intorno cader aste e bandiere,
et ove più l’armata turba abonde
corre e morti calpesta e vivi fère,
illeso ancor con minaccioso volto
fra mille spade e mille lancie avvolto.
64Ma l’invitto Rosmondo, il quale altrove
scorrendo gia tra cavalier, tra fanti,
visto l’audace a riprovar sue prove
spinse il destriero e a lui si fece avanti
dicendo: «Or qual fiero destin ti move
me provocando ad oscurar tuoi vanti,
ed a perder la vita o mio prigione
restar, come vedrai nel paragone?».
65Sprona il destrier così dicendo e in alto
leva la spada minacciosa e fiera,
ma quegli il colpo allor con lieve salto
schiva, e mostra in girando arte guerriera.
Torna Rosmondo e d’improviso assalto
gli passa il fianco, e con sembianza altera
dice: «Già non credea che tu sì forte
fossi, o campion, nell’incontrar la morte».
66Risponde: «Né tu già mostri spavento
di mori meco», e in quel momento istesso
cala un fendente e sol percote il vento,
che se colpialo ei rimaneane oppresso.
Mentre in ritrarsi è il cavalier non lento
cadde a quell’arme, e in un con l’arme anch’esso,
e la piaga mortal non sol già spinto
l’ha fuor di sella ma già quasi estinto.
67Sovra il caduto cavalier non bada
il magnanimo duce, e avanti scorre,
e rota intorno la fulminea spada
né alcuno v’è ch’a lui s’ardisca opporre,
e s’alcun v’è, convien ch’a terra cada
o pur le penne a i piè fugaci porre.
Ma cint’è già da stuol di guerrier folto,
c’han tutti uniti il ferro in lui rivolto.
68Non aspett’egli da vicin la guerra
di tanti armati scompagnato e solo,
ma con rapido moto instabil erra
et arreca a più d’un l’estremo duolo.
Ma contro i fier pagani allor si serra
forte drappel ch’a lui veniane a volo,
e qui Armindo il primier ch’il proprio petto
scudo far gode al genitor diletto.
69Et ad Ormus, ch’è più d’ogn’altro infesto
assalitor, il capo altier recide,
e rivolto a Gildar rapido e presto
dal braccio suo la destra man divide.
Né men Rosmondo assale or quello or questo,
altri fuga, altri impiaga et altri uccide,
e, temendo al figliuol contraria sorte,
porta più fiero altrui ferite e morte.
70Osman intanto anch’ei nell’ira ardente
cruda strage facea de’ suoi pagani,
e mostro di valore arditamente
godea ne gli empi insanguinar le mani.
Irena è appresso e la rubella gente
che seco addusse a i padiglion cristiani,
e ne’ guardi e ne gli atti e nella voce
sembra più bella quant’è più feroce.
71Il valoroso Osman le apre il sentiero
che d’ostil sangue ha già bagnato e tinto,
ella avanti s’inoltra e del zio fero
l’orme seguendo ha già più d’uno estinto.
recide il nero collo a Polimero,
che tosto cade allor da sella spinto,
e d’un altro rovescio il capo fende
all’indo Irlan, che dall’arcion già pende.
72Già di lei fido amante il trace Ismeno,
ma per la fuga sua di sdegno acceso,
lenta al destrier per assalirla il freno,
e lievemente ha il bianco collo offeso,
ma la bella qual folgore o baleno
aggirandosi intorno il tempo preso
l’impiaga, e nel suo sangue a Ismen languente
e di sdegno e d’amor le fiamme ha spente.
73Cade al suol il meschino e men gli duole
morir ferito da sì bella mano,
e con gli ultimi sguardi il suo bel sole
vagheggia ancor morendo amante insano.
Parte la cruda senza far parole
e ’l lascia esangue abbandonato al piano,
né punto a lei del suo morir rincresce
e nella zuffa più si stringe e mesce.
74Ma inteso Baldovin che sì gran gente
uscita è fuor dall’oppugnate mura,
spinge tutto l’essercito possente
sovra la cristallina ampia pianura,
lasciando in terra allor provvidamente
ben molte squadre delle torri in cura,
marcia veloce e su ’l gelato mare
rapida l’oste et improvisa appare.
75Al comparir del formidabil campo
confuso resta de i pagan l’ardire,
e nel mirar di sotant’arme il lampo
lor s’agghiaccia la speme in mezzo all’ire,
e più ch’alla vittoria al proprio scampo
pensando sì mostrar pronti al fuggire.
Ma chi d’Aronte sostenea la vice
corre intorno e minaccia e così dice:
76«Or che fuggi, codardo? additar vuoi
la via fors’a i nemici entro le mura
e al franco duce et a’ trionfi suoi
con la tua fuga aprir strada sicura?
ov’è il valor usato? ad altri poi
son quegli empi con voi fors’in congiura?
il vostro onor tanto, il re vostro amate,
che il vostro scorno il suo morir bramate?
77Bramate forse del crudel cristiano
mirar le tracie vergini nel seno?
di quei ladroni alla rapace mano
aprir l’erario de i tesor ripieno?
qual vana speme e qual timore insano
stringe vilmente all’ardir vostro il seno?
le care spose e i vostri figli oppressi
veder bramate e in un tradir con essi?».
78Così a molti ragiona e in vario suono
ad altri parla, e poco val sua voce,
ché non men pronti a ritirarsi sono
e, sol, la fuga è alquanto men veloce.
Ma, gli ordini disciolti, in abandono
rimane al fin il condottier feroce,
Biazzar, che ritrarsi è al fin costretto,
benché non sia del suo valor difetto.
79Tal gran sasso talor ch’alto et immoto
in ripa statti a rapido torrente,
se crescon l’acque impetuose a nuoto
sen va precipitando in giù cadente,
e benché grave sia pur segue il moto
dell’onda velocissima e correte,
e col gran pondo a lei resiste in vano
né pria si ferma che non giunga al piano.
80Vedendo il capitan volger le spalle,
fugge al fine veloce il campo tutto,
e ratto va per l’agghiacciato calle
vèr l’alte porte dal timor condutto.
Segue il cristian per la gelata valle
che già tutta è d’orror sparsa e di lutto:
more gran turba e quei c’han lenti sproni
restan de’ vincitori ivi prigioni.
81Sovra l’onde gelate i corpi estinti
giaceano sparsi in sanguinosa scena,
e di sangue i cristalli aspersi e tinti
smaltar parean la marziale arena.
D’archi, strali, faretre e freni scinti,
d’aste di spade e destrier morti è piena
di tronche membra sparse et insepolti
corpi nel gelo e nel lor sangue avvolti.
Il terremoto interrompe l’attacco (82-91)
82Ma già nel grembo della terra acceso
il ristretto vapor s’aggira e freme,
e perch’è il varco al suo furor conteso
forz’è che fuori il suol vacilli e treme.
Lo spirto lieve già dal ciel disceso
al suo simil per riunirsi insieme
vèr la sfera s’invia né cura il pondo
che l’arresta e s’inoltra e scote il mondo.
83E sì lo scote in quella parte dove
in maggior copia egli si stringe e serra
che con tremor l’immobil terra move
e porta a i muri inaspettata guerra;
e qual mina rinchiusa urta e commove
e piani e monti e gli edifici atterra,
ma più sotto Bizanzio e nel contorno
mostrò sua forza in quel funesto giorno.
84Attonito ciascun nel mobil suolo
move mesto e dubbioso i piè tremanti,
lo stupor cresce lo spavento e ’l duolo,
treman in un le case e gli abitanti.
Corrono tutti sbigottiti a volo
per l’ampie strade e pe le piazze erranti,
che veggon già di lor fido ricetto
fatto infido nemico il proprio tetto.
85Né pur la plebe: il re medesm’ancora
altra reggia non ha ch’il ciel aperto ,
e qui sicuro molto più dimora
che da stanza real chiuso e coperto.
Felic’è quei che sta ne’ campi fora
o in selva o in colle solitario et erto,
ove, se pur scossa la terra trema,
non vien che tetto ruinoso il prema.
86Ma dov’ergonsi al ciel gli alti edifici
ivi è tema non sol ma strag’e morte,
e quel che far non valsero i nemici
vien che ruina il proprio albergo apporte.
Così dan pria che morti a gl’infelici
strana tomba le mura e l’alte porte,
e de i miseri fanno orrendi scempi
e case e torri e le colonne e i tempi.
87Cadute son della città le mura
in più d’un loco ancor del suo gran cinto,
aprendo a Baldovin strada sicura
senz’aver contro l’ariete spinto,
sì ch’il pagano uscir nella pianura
è già costretto, o che si renda vinto,
già ch’il fato pugnando in strana sorte
alle schiere nemiche apre le porte.
88Con saggio avviso Baldovin ritorno
fa col campo schierato in verso il lito,
sendo dal sotterraneo atro soggiorno
già in suo soccorso il teremoto uscito,
tanto più avendo il portator del giorno
già mezzo del viaggio omai fornito,
onde già s’avvicina il lieto fine
del gran tremoto e delle sue ruine.
89E ’l mondo lascia in vece sua nel mare
mentre guerreggia con sue schiere in terra,
onde da tutt’i lati egli pugnare
possa più pronto e mover doppia guerra,
ovunque il suo nemico ad incontrare
venga, già che fra muri or non si serra,
e forse vuol di sua vita incerto,
tentar l’ultima pugna in campo aperto.
90Ma d’Asia il re, che contro sé rivolto
vede non solo il formidabil campo
ma il mar, la terra e in grembo a lei sepolto
vapor nemico in sotterraneo campo,
in gran tempesta di pensier involto
strad’aperta non vede al proprio scampo.
Resta sol di tentar nova battaglia
pria ch’il cristiano i rotti muri assaglia.
91Così conclude, e benché tema e senta
minacciar la fortuna e strage e morte,
pur sua speme rinforza e non paventa
spingersi avanti e ritentar la sorte.
E già dov’ei commanda esce non lenta
la gente allor da i muri e da le porte,
e rassembrano fuor quasi torrenti
precipitosi uscir d’armate genti.