Argomento
Per rivedere Alinda sua diletta
lascia il campo cristian Casmoro amante.
Il forte Armindo la disfida accetta
d’Osman, pur troppo altero e minacciante;
resta quei vincitore, il duce affretta
renderli amici come furo avante.
Prova Casmor di gelosia gli strali,
Alinda in lacci tien duo re rivali.
Oronta comunica al padre di voler sposare il soldano (1-6,4)
1Intanto Oronta, nel cui petto ardente
al fin lo sdegno trionfò d’Amore,
posto Armindo in oblio volgea la mente
di regie nozze ad affrettar l’onore,
e di già fatta al genitor presente
con lieto volto a lui dicea: «Signore,
pront’a’ tuoi cenni e d’ubbidir sol vaga
la mente mia nel tuo voler s’appaga.
2Che se ’l mio corpo allontanar godeo
da te per qualche tempo invida sorte,
l’alma non già divider mai poteo
dal nodo che natura ordì sì forte.
T’amo insieme e t’onoro e pria trofeo
che d’ingrato pensier farò di morte.
Ebber vita da te gli spirti miei
e se non fosse tu, nulla sarei.
3Quanto dunque ch’io sono a te si deve
e ciò che brami tu bramar degg’io,
e come egli da te vita riceve
così devi regnar su ’l voler mio.
Commanda dunque, l’eseguir fia lieve,
ben core avrei troppo inumano e rio
s’in tua senile età, gioia e contento
negando a me, bramassi a te tormento.
4Brami che del soldan consorte io viva,
io nol contendo, anzi l’istesso bramo,
et a fortuna non a me s’ascriva
se regina d’Egitto or non mi chiamo.
Sol perché piace a te d’amor captiva
ben più di quel che credi tu già l’amo,
e con affetto tal ch’anco brev’ora
sembra all’avido cor lunga dimora».
5Gode piangendo in rimirar sì pronta
il re sua figlia ad adempi sue voglie,
né più pensando di sua fuga a l’onta
la bacia in fronte, fra sue braccia accoglie,
e di ciò non men la bella Oronta
soave pianto da’ begli occhi scioglie,
e del futuro ben l’alto diletto
forza riceve dal paterno affetto.
6E già in virtù d’Amor spera di Marte
da fine Alessio a le sanguigne imprese,
però che s’il soldano a lui comparte
soccorso, a scherno ha le nemiche offese.
Or chi narrar la gran potenza e l’arteCasmoro si reca da Alessio a richiedere Alinda portando con sé il proprio esercito e tradendo Baldovino (6,5-8)
potria d’Amor quando uman petto accese
ei col suo foco, onde sì dolce offende
conserva i regni e le città difende?
7Et ecco appunto ei che si mostra ognora
sempre possente più, sempre più grande,
vien che soccorso al fier tiranno fora
dal campo istesso de’ nemici mande,
però ch’entro Bizanzio anco dimora
facendo Alinda e supplici dimande,
nulla curando il re, né gemme ed oro
per rivederla a lei ne va Casmoro.
8E seco tutte le sue schiere in fretta
conduce dentro a la città rinchiusa,
né pur che miri Alinda sua diletta
romper la data fede il fier ricusa,
né cura ch’in gran rischio egli si metta
s’il furtivo partir la fama accusa,
ma frettoloso corre e par che vole,
volgendosi ove splende il suo bel sole.
Osmano sfida e duello Armindo, ne è gravemente ferito (9-25)
9Ma nel campo cristian divers’effetto
fa il trionfante Amor d’offese e d’ira,
però che già spinto da van sospetto
contr’Irena et Armindo Osman s’adira,
e recandosi ad onta et a difetto
se invendicato un tanto ardir rimira,
tra fide guardie la nipote astretta,
contro lui s’apparecchia a la vendetta.
10E perché voce egli formar non puote,
co’ fieri sguardi lo minaccia e sgrida.
Poscia parla scrivendo e in queste note
con detti superbissimi lo sfida:
– Irene tua seguace, a me nipote,
fia che con la mia destra al fin s’uccida;
e che più che ’l suo amor merti il mio sdegno
tosto il mio ferro a te darà ben segno.
11T’aspettarò come tu vuoi nel campo,
con lancia o spada a singolar tenzone,
non lungi da le tende ov’io m’accampo
del vallo fuor, già che sì vuol ragione.
Vedrai se splende del mio ferro il lampo
molto assai più che l’auree tue corone.
Pugnar con regal destra io non ricuso,
ché regio sangue a calpestar son uso -.
12Così dicea lo scritto, al qual rispose
senza timore di Rosmondo il figlio,
e in cotal guisa i suoi pensieri espose,
poco o nulla temendo il gran periglio:
– Ben hai tu troppo ardenti e luminose
l’armi, e co i re pur troppo altero il ciglio,
ma tosto vedrai, spero, entro il tuo seno
quant’è diverso il fulmine al baleno.
13Verrò dove mi chiami, armi e cavallo
prepara pur, ch’io son già pronto in sella,
e pria ch’il sol tramonti esci dal vallo,
già che sì vuol la tua nemica stella.
Ivi ragion ti renderò del fallo
che fei servendo amabile donzella,
e me vedrai dov’ira e amor mi chiama
punir chi m’odia e liberar chi m’ama -.
14Riede il messo veloce e lett’a pena
ha l’altera risposta Osmano audace
ch’armato corre ne l’apert’arena
che poco lungi da i ripari giace.
E qui superbo in atto e in più serena
sembianza e più del solito vivace
passeggia il campo e fervido s’adira
mentre tanto indugiar l’altro rimira.
15Ma poco va che su ’l destrieri già fuore
da le trinciere il cavalier si vede,
che avvolto in lucid’armi a lo splendore
del sol fiammeggia e l’altrui viste fiede.
Osman, come sprezzando il suo valore,
spinge vèr lui del corridor il piede,
arde di sdegno e impaziente, audace,
ne’ suoi pensier già vincitor si face.
16Armind’in tanto, che sì fiero in giostra
vede venir l’intrepido campione,
nel cor s’accende e ne i rossor s’inostra
di sdegno, e nulla teme il paragone,
e in atto già di guerreggiar si mostra,
la lancia ha in resta e move già lo sprone.
E già quasi volando o lor destrieri
corrono rapidissimi e leggieri.
17Mirans’a pena cominciato il corso
giunti a la meta e già sull’elmo è colto
l’audace Osman, che del corsier su ’l dorso
si scosse, e quasi giù n’andò rivolto.
E il colpo è tal ch’al corridor il morso
lentar gli fa, così di sé l’ha tolto,
e già fosca gli appar del sol la luce,
né il destrier egli, il destrier lui conduce.
18Passò la lancia sua presso i confini
de l’elmo al forte Armindo e alquante stille
trasse di sangue e parte a’ lunghi crini
tolse e dal duro acciar vive scintille.
Poco il toccò ma pur vien che s’inchini
alquanto, e d’ira in volto arde e sfaville,
ma gode poi vedendo Osman che sangue
versa da la visiera e trema e langue.
19Fugge il destriero e seco il grand’Osmano
che non per tema o per viltà uggia,
ma perché il lume al senno et a la mano
il vigor tolto ha la percossa ria.
Armindo il tronco de la lancia al piano
getta, e col ferro in man pront’il seguia,
ma ’l vede allora abbandonato il freno
cader giù da gli arcioni in su ’l terreno.
20Non però tanto è fuor di sé ch’in tutto
perda la conoscenza e non s’adiri,
e veggendosi in terra allor ridutto
che punto da vergogna ei non sospiri.
Con tutto ciò, benché a tal segno addutto,
par che l’audace a la vittoria aspiri,
e col folle pensier tornando in guerra
impossibil gli par che giaccia in terra.
21Le mani stende e ’l capo inalza e volve
l’armate membra per l’immonda arena,
e del suo sangue torbido e di polve
serpendo si contorce e in giro mena.
Sorgere il piè ne’ suoi pensier risolve
e ’l tenta e pur ricade e ’l crede a pena,
crede aver l’armi con le mani vòte
vibra più colpi e in van l’aria percote.
22Armindo il guarda, senza fargli offesa
egli il riguarda, e morte a lui minaccia,
e come abil pur fosse a nova impresa
volge vèr lui la formidabil faccia.
A caso al fine la sua spada ha presa
che giacea presso, ma non sa che faccia.
la gira in pigre rote, al fin disserra
un colpo, e mezza la confige in terra.
23E qui la lascia, e come già finita
abbia l’aspra tenzon s’arresta e posa,
ma versa in tanto da la sue ferita
un rivo onde già l’erba è sanguinosa.
Languido è sì che non sol con l’ardita
man non si muove, ma mirar non osa
se non che quasi moribonda fiamma
apre gli occhi talora e d’ira infiamma.
24Sorrise allora il cavalier dicendo:
«Così riposi, o trionfante Osmano?
Or lento a l’armi anch’io riposo prendo
se in ozio sta tua vincitrice mano».
L’ode ei come sognando, e ’l volto orrendo
a lui rivolge per parlar ma in vano,
che muto quand’avesse ancor favella
quel colpo il fa che tolto l’ha di sella.
25Freme e quasi leon da febre ardente
abbattuto nel suol rugge e s’adira,
e, benché muto, attonito e languente,
pur nel convulso suon mormora l’ira.
Ma vegendolo esangue e fuor di mente
il generoso Armindo il piè ritira,
e più quel che si faccia ei non attende
ma vincitor ritorna entro le tende.
Baldovino li pacifica (26-47)
26Non lascia intanto sì gran caso ignoto
la fama, che veloce intorno scorre,
et alcun già cui l’accidente è noto
cortese ne i ripari il fa riporre,
e già dov’egli semivivo e immoto
giace, pietoso il sovran duce accorre,
e impon se il colpo è tal ch’egli risorga
ch’ogni medica aita a lui si porga.
27Poscia ricerca e il tutto intende a pieno
de la querela il merto e la cagione,
indi pensando che mal puoss’il freno
porre ad Amor, che cieco in van si pone
senza guida o consiglio, e che nel seno
ove trionfa quel cede ragione,
in parte Armindo scusa e come offeso
in parte anch’il furor c’ha Osmano acceso.
28Però che ben potea con più cortesi
modi impedir di quel guerrier l’amore,
che forse avea di nobil fiamm’accesa
i suoi pensieri et avea casto il core,
senza che cinto di guerrieri arnesi
a fier duello il provocasse fuore,
con maniere sì audaci et ineguali
se d’entrambi miravansi i natali.
29Sì che né l’un né l’altro ei loda a pieno,
né in tutto al fine o quest’o quel riprende,
ma come riunir li possa almeno,
se vivo egli riman, la cura prende;
e dell’usata sua pietà ripieno
per compir l’opra in gran fervor s’accende,
e più nel ripensar che s’Osman copre
basso oscuro natal sì chiaro è d’opre.
30Da sì nobil desir tocco nel core
entro il suo padiglione Armindo appella,
e con segni d’onor molto maggiore
che bramar possa a lui così favella:
«Principe amato, con mio gran dolore
giunta m’è inaspettata aspra novella,
e ben tutto di me meglio tu sai
ch’Osman piagasti e in terra posto l’hai.
31Ma che da sì gentil dolce cagione
nato sia poi così crudele effetto
strano parmi, e in udir l’altrui ragione
non so chi più di voi n’abbia difetto,
che s’ei sfidotti a singolar tenzone
per troppo aver de l’amor tuo sospetto,
fu certo allor senza mirar tuo merto
di soverchio furore indizio aperto.
32Da l’altra parte l’amor tuo sincero,
per ardente desio fatto più audace,
dat’ha cagion di false accuse al vero
che spesso coprir suol fama mendace,
sì ch’Osman, per natura assai severo,
nemico di quiete e de la pace,
senz’altro ricercar nell’ira ardente
sfidotti in campo e cred’ora sen pente.
33Ma se pur qualche forza il mio consiglio
anz’i miei preghi in vostre mento avranno,
s’a lui non darà morte eterno esiglio
concordi al fin vostri pensier saranno,
ché, s’è pur ver che sol soave artiglio
ti strinse Amor, fora a te grave il danno
che restassi nemico al gran guerriero
c’ha sovra Irena tua paterno impero.
34Sì che s’ei viverà, come per certo
credo, è dover ch’in voi s’estingua ogn’ira,
ché, benché inferior di stirpe, il merto
degno è de l’amor tuo, se al ver si mira.
E quindi un’ombra di disnor sofferto
non ha perch’egli a vera gloria aspira,
se ben non lodo in ciò che l’alma accesa
troppo mostrò nel dubbio sol d’offesa.
35Or quanto ho detto se si libra eguale,
vedrassi allor de le ragioni il peso,
che s’ei troppo affrettò pugna mortale,
tu incauto fosti ond’ei credeasi offeso,
sì ch’il commun error col commun male,
con giusta lancia s’io misuro e peso,
dritto a me par, s’ei morto al fin non giace,
ch’estingua il commun fallo amica pace».
36Qui tacque Baldovino, e persuaso
di Rosmondo il figliol così rispose:
«Già non vorrei del viver suo l’occaso
vedesse Osman, ch’opre fe’ sì famose.
E duolmi assai, qual di sinistro caso,
che con mio rischio a morte egli s’espose,
e ben mia lingua ch’il ver mai non tace
confessa incauto me lui troppo audace.
37Mi dichiaro però ch’ad alto fine
più ch’ei non pensa ho tal amor diretto,
bramando di goder di sue divine
bellezze seco in santo nodo stretto,
che la rosa d’amor non sempre ha spine
d’onor offeso o d’impudico affetto,
come ben sai, signor, ma fiamma e zelo
serba talor ch’origine ha dal Cielo».
38Disse allor Baldovino: «Oh quanto grato
fora a me s’a tal pregio ella un dì sale!,
ch’in laccio sì gentil veder legato
d’Irena il cor certo assai mi cale.
in tal guisa vedendo Osmano alzato
al nobil grado di fortuna tale,
certo sperando ancor per chiara emenda
ch’al fin de l’amor tuo grazie ti renda».
39S’invia ciò detto al padiglione che copre
l’egro guerrier, che non più langue o geme,
ma rinvenuto omai ravviva e scopre
ne gli occhi il lume e più morir non teme,
anzi che stassi al letto molle sopre
de l’un de i lati in su le parti estreme,
e mezzo eretto appoggia il capo e ’l fianco
su l’origlieri e sembra omai non stanco.
40Tosto che vide il gran guerrier chinossi
Osman con atti umili e riverenti,
e facondo così non men mostrossi
che se formasse ossequiosi accenti.
Né men quegli cortese, a lui fermossi
appresso, e volto a quei ch’eran presenti
prima ch’ogn’altro indi partisse impose,
poscia in tai detti i suoi pensieri espose:
41«Sommo piacer che tu risorga, Osmano,
dal gran periglio il cor già mesto or sente.
Cadono i forti ancor ma non in vano,
che vivo or tu rimanga il Ciel consente.
Scherza fortuna e con benigna mano
anco gli strali suoi vibra sovente,
come fisico suol che parte sana
del corpo impiaga e col ferir risana.
42Parlo liberi sensi alquant’ardito:
se del tuo sdegno la cagion ti pesa,
fu contro Armindo il tuo feroce invito
ch’ebbe lieve cagion di dubbia offesa,
perché se quei dal dolce stral ferito
restò d’Amore, e n’ebbe l’alma accesa,
di riverente ardor suoi spirti accensi
furo, pur come a nobil cor conviensi.
43Né mai pensò, com’egli afferma, oltraggio
recar a te sendo d’Irena amante;
anzi, vivendo ossequioso al raggio
di sua beltà con cast’amor costante,
credea che tu, forte non men che saggio,
di tal onor n’andassi ancor festante,
e non mirassi con disprezzo e sdegno
del suo pudico amor sì certo segno.
44E tanto più quanto a legarsi aspira
in nodo marital con la donzella,
che sposo il brama e sol per lui sospira,
in tal desio saggia non men che bella;
sì che s’al ver, s’a la ragion si mira
ragion non vedo onde salissi in sella,
e in vece a lui di bramar vita e scampo
come nemico il provocassi in campo.
45È ver che più guardingo e rispettoso
potea celar sì bel desio nel petto,
né seco star sì lieto e baldanzoso
spesso di tutti a vista e al tuo cospetto,
ma, come in Anglia nato, il regio sposo
licenza tal non istimò difetto,
poiché d’Europa in quell’estreme parti
ogni amante d’ossequio usa tal arti.
46Dunque dal suo voler non fosti offeso,
benché d’offesa a te sembianza apparse,
e troppo in ver d’ingiusto sdegno acceso
armato in campo il tuo valor comparse,
né da tali ragioni esser diffeso
potresti mai, che non sian lievi e scarse,
sinch’estinguer devresti i fieri spirti
di sdegno, e seco in amicizia unirti».
47Sì disse, e in vece di parlar co i guardi
rispose, e chinò il capo il guerrier muto,
poscia accennò bramar la penna e tardi
non fur suoi servi, ond’ei col rostro acuto
fe’ sì che ogni suo detto espresso guardi
nel foglio, benché udir non l’ha potuto.
Così svelando a Baldovin sua mente
ch’a tutto ciò ch’esorta egli consente.
A Casmoro è concesso di vedere Alinda, ma prova gelosia per Alessio (48-69)
48Casmoro intanto ne la reggia accolto
con dimostranze al regal grado eguali,
del cor la fiamma dimostrò nel volto
ad Alessio parlando in guise tali:
«Ecco già, sire, ho in tuo favor rivolto
contro l’empio cristian l’arco e gli strali,
né già da sdegno contro te fui spinto
ma per seguir chi conduce ami avvinto.
49Alinda bella, che de’ tuoi guerrieri
preda restò ne la naval tenzone,
ferito già da’ suoi begli occhi arcieri
me chiama or qui dentro la sua prigione.
Per lei lo scettro de gli Ansichi fieri
Casmoro, anzi se stesso, in oblio pone.
Ben sai ch’Amor del mondo imperio tiene
e che spesso anch’i re stringe in catene.
50Ma se mai strinse alcun di nodo forte,
nato d’oscura stirpe o di regale,
io mi son un cui per mia dolce sorte
più ch’ad ogn’altro ordì laccio fatale,
stretto così che scioglier sol la morte
potrà il bel nodo al gordiano eguale,
onde se pietà regna entr’il tuo seno
se me non puoi, deh, lei sciogli almeno.
51Come ben sai di regio sangue anch’ella
nacque, ma più bel fregio è il suo valore,
e quanto sia forte non men che bella
faccia a te fede il mio trafitto core.
Ben cred’avrai de la sua doppia stella
fra le chiar’ombre sue visto il fulgore,
e com’ascoso Amor ne’ suoi begli occhi
da quelle nubi ognor fulmini scocchi.
52Pregoti dunque ch’a sì gran guerriera,
che ben n’è degna, libertà non neghi,
né temo ch’in te regni alma sì fera
ch’a regio prego il regio cor non pieghi.
Ma quando fosse mai così severa,
lei non sciogliendo me medesmo leghi
in prigione di duol sì cruda e forte
che più che vita bramerei la morte».
53Così parlò Casmoro, Alessio intanto
pensò fra sé come negar potesse,
ma pur fingendo di pietate il vanto
in questo dir l’astuta mente espresse:
«Certo è stupor se la tua spada tanto
a me nemica or meco unirsi elesse,
ma s’Amor fu che contro me la spinse
l’istesso Amore anco il tuo sdegno estinse,
54se sdegno può chiamarsi il prender l’armi
sol per seguir la sua guerriera amata.
Ma fia che vuol, del Ciel gran dono parmi
che siasi alfin la mente tua cangiata,
e che se già nemico amico or t’armi
con la tua gente a chiare imprese usata
sì ch’al regio tuo cor grazie immortali
ne rendo al merto et al gran dono eguali.
55Godo ben io ch’in secondare i tuoi
giusti desiri i preghi tuoi prevenni,
dicalo Alinda quanti giorni poi
ch’ella qui venne in carcere la tenni,
e se mirando de’ natali suoi
la nobil luce dal rigor m’astenni,
e ne la reggia mia la posi allora
con agi e pompe, ove ancor fa dimora.
56Né tolsi a lei, quando talor le aggrade,
ne i soggiorni suoi irne a diporto,
e fra i bei mirti u’ più d’un fonte cade,
a le sventure sue cercar conforto,
sì che, buon re, pria che dubbiose strade
tentasse, il tuo desire è giunto in porto,
né credo ch’altro a dimandar ti resti
se pria ch’a me cercarlo il tutto avesti».
57Così gli parla, e con maniere accorte
va comprendendo del sen l’occulto ardore,
ma non così che qualche stral non porte
di gelosia del suo rival nel core,
ch’ognor vie più divien acuto e forte
su la cote ch’aggira il rio timore;
ma preme egli l’affanni e lieto viso
finge, e l’interno duol copre col riso.
58E ridente a lui dice: «O qual desire
m’infiamma a riveder l’amati rai
doppo così crudel lungo martire
del dì che privo del mio sol restai!
Deh nol negar, deh mel concedi o sire,
mirar la bella prigioniera omai,
e commenda ch’additi alcun la strada
onde veloce a rivederla io vada».
59«Che più dunque si tarda? «il re rispose»
Andianne insieme, o mio gentil Casmoro,
ch’è ragion teco i’ vegna e qui non pose,
poich’entrambi egualmente amo et onoro».
Così n’andò con voglie ognun gelose
a quel chiuso d’Amor vago tesoro,
e mentre mal de l’un l’altro si fida,
a l’un rival l’altro rivale è guida.
60Per l’ampie sale e per le loggie aurate
lento e in sembianza amabil e cortese,
il re sen passa, e le sue genti armate
gli vanno intorno a custodirlo intese.
lieto Casmoro e con maniere grate
seco s’aggira ancorché il gel l’offese,
d’alto timor sì freddo in mezzo al core
che par ch’estingua omai foco d’Amore.
61MA come suol s’in vive fiamme è posta
l’onda talor rinvigorir gli ardori,
tal nel suo cor d’Amor la fiamma esposta
a fredda gelosia forz’ha maggiori.
Larva crudel d’Amor nel regno ascosta
quanti fingi ognor tu vani timori!
Ma non sempre hai sospetto empio e leggiero,
e spesso è più di quel che pensi il vero.
62Sallo Casmor, cui di gelosia tema
freddo stral improviso il cor tormenta,
mentre maggior è sua miseria estrema
di quel ch’il suo timor gli rappresenta.
E benché grand’affanno il cor gli prema,
molto più grav’è il mal che non paventa,
sol credendo il rival ch’il pensier volto
abbia a rapir quand’ha rapito e tolto.
63Né tolto sol, ma chiuse a lui le vie
di più raccor la preziosa messe,
e, quel ch’è peggio, frodi inique e rie
già contro lui ne la sua mente intesse;
e per ultimo mal già vien ch’oblie
la data fede Alinda e sue promesse
benché tutta festosa ad incontrarlo
venga da le sue stanze e finga amarlo.
64Al folgorar de l’ombre amat’e belle
allor più chiaro a lui rinasce il giorno,
ch’in sì lucida notte arder le stelle
non già vedea ma ben due soli intorno.
Soli che forse cangiarans’in felle
comete, ardenti per sua morte e scorno,
e sol possi sperar ch’estingua a pieno
la crudeltà de l’un l’altro veleno.
65Parla ad Alind’al fin, ma pur presente
sta sempre Alessio, e non s’allunga un passo,
e vede ogn’atto, ogni parola sente
ancorché detta in debil suono e basso.
Anzi, astuto fremette anco sovente
i detti suoi sì ch’egli afflitto e lasso
omai s’accerta ne i cortesi inganni
del tracio re, de’ suoi gelosi affanni.
66Alind’intanto da’ begli occhi ardenti
in un punto a due cor vibra gli strali,
e par che goda raddoppiar tormento
ne’ loro petti et inasprir lor mali;
ma pur con dolce atto ha gli occhi intenti
con guardi accorti a l’un de i re rivali,
ma non si copre la regal sua preda
che misero Casmor non se n’avveda.
67Divisi al fin vari pensieri aggira
e questi e quel ne l’agitata mente,
et or placido stassi et or s’adira,
or ritorna ad amare te or si pente.
Così fra doglie or fra piacer delira,
or è nel gelo or ne l’ardor languente,
ciascun di lor fatto bersaglio e segno
or de l’arco d’Amor or dello sdegno.
68Ma più lo sdegno trionfar si vede
nel crudo petto di Casmor feroce,
e com’avvezzo a lacerar le prede
de’ corpi umani anc’ha pensier più atroce.
Stassi il fiero in disparte e immobil siede
senza mirar, senza formar pur voce,
e rintracciando va le vie più corte
come possa ad Alessio al fin dar morte.
69Ripensa poi fra sé dicendo: – Amore
spesso talor ne’ suoi timor s’inganna,
forse anco è ver che mio soverchio ardore
col vel di gelosia gli occhi m’appanna.
Forse la cortesia per grave errore
del rege amico il mio timor condanna,
e con sospetto van, vani argomenti
veglio sognando in fabricar tormenti -.