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L’Oriente conquistato

di Tiberio Ceuli

Canto XVI

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.09.15 7:57

Argomento
Già ch’in ozio sta il campo, in vaga scena
rappresentar d’Ercol l’imprese impone
il saggio Alteo. Prova Casmor gran pena
per Amor, che duo re tiene in prigione.
Dimostra Alessio a lui fronte serena,
ma sempre il tutto contro lui dispone.
Fra vari giochi al fin se n’esce fuore
lo sdegno contro Amor, ma ’l vince Amore.

Alteo fa rappresentare le imprese di Ercole al campo franco (1-25)

1Mentre in tal guisa i re gelosi in tanti
sospetti involve il forsennato amore,
sì che più che di tante arme ch’avanti
hanno a i lor muri, han del suo stral timore,
il saggio Alteo, perch’ognor più costanti
renda sue schiere in cercar vero onore
già che si torpe in ozio il campo impone
espor d’Ercol l’imprese in finto agone.

2S’alza a le viste altrui pomposa scena
ch’a un cenno sol varia apparir si mira,
ora in rupe sassosa o in piaggia amena,
ora in un bosco or in giardin s’aggira,
or notte e orrore or lucida e serena,
or fatta un fiume or vasto mar s’ammira,
in sui s’attento i finti spazi guardi
delusi fan lungo viaggio i guardi.

3Siedon tutti a mirar quanto repente
s’alza il gran vel che giù pendea disteso,
e in mezzo al palco mirasi ridente
vago fanciul c’ha l’arco in man già preso.
Auree penne ha su ’l tergo e stral lucente
stringe la destra in vive fiamme acceso,
e, novo Giove, il bel garzon vivace
in vece de lo stral vibra la face.

4Tosto che fu tolta la tenda avante
al legiadro fanciullo a l’improviso,
s’acchetò il popol tutto in quell’istante,
ed egli incominciò con dolce riso:
«Io sono Amor, ma sol del Cielo amante
benché in terra talora ho il guardo fiso.
Sono Amor, ma celeste: de l’esterna
vago non sol ma di bellezza interna.

5Quanto mi rido di color che stolti
amano solo un leggiadretto viso,
e nel vil fango di lascivia involti
dal bel de l’alma hanno il pensier diviso,
e i bei colori in superficie accolti
d’una Flora impudica o d’un Narciso
vagheggiando di fuor non passan dentro
a mirar lor viltà del cor nel centro.

6Se virtù non s’accoppia a la bellezza
son colorite et insensate tele,
benché vaghi, i sembianti, e chi gli prezza,
è di se stesso ingannator crudele,
ché se soave proverà dolcezza
nel mirar quelle, troverà poi fiele
d’amaro sdegno e sotto i bei colori
maligno cor qual vipera tra fiori.

7Come dal sol prend’ogni suo splendore
rosa leggiadra in sul mattin ridente,
ma senza luce in fra il notturno orrore
d’ogn’onor priva se ne sta languente,
così se la beltà ch’appar di fuore
di virtù il sol col raggio suo lucente
non avviva e rischiara, ancorché regio
abbia sangue e splendor, perd’ogni fregio.

8Dunque il bello ed l’alma è quel vivace
foco ch’avviva l’amorosa arsura,
e senza quello è insipido e fallace
il piacer che nel senso offre natura.
Stringe sol la virtù laccio tenace,
ch’aureo, celeste eternamente dura.
Di fragile e vil piombo è la catena
ch’intorno a i cor lega beltà terrena.

9Chi può spiegar quando beltà mortale
s’unisce a la celeste in vago aspetto
quanto il gioir d’un saggio amante sale,
quanto nobil soave è il suo diletto?
Fassi gioia ineffabile e immortale
come è ineffabile e immortal l’oggetto,
poiché quando bell’alma un core accende,
raggio di Paradiso in lui discende.

10Dunque sol la virtù può far felice
e di gloria immortal ricco un amante:
Ercole il mostrerà, benché infelice
sembri fra mostri e tra fatiche tante,
che d’eroico valor nobil fenice
lasciò celebre esempio al volgo errante.
Or da’ suoi gesti memorandi e chiari
ciascun le vie de la virtute impari.

11Tacque il fanciullo e si cangiò repente
la volubile scena in campo ameno,
di cui nel mezzo un bel sentier ridente
d’erbe comparve e di bei fior ripieno.
Non lungi altro di spine aspro e pungente
ombroso più quanto più quel sereno;
Ercole sovra giunge e in dubbio stassi
in qual de i duo deve indrizzare i passi.

12Risolve allora con generoso ardire
in quella entrar che più spinosa, oscura;
l’altra, che promettea finto gioire
tra i fiori del piacer, saggio non cura,
dicendo: «A vero onor s’io vo’ salire
questa è la via, che è faticosa e dura».
Così conclude, e mentre il piè vi pone
ecco in scena cangiata appar Giunone.

13Con Cinzia, ch’era seco, i fieri sdegni
narra che contro Alcmena ha ne la mente
e contr’Ercol’il figlio, e i suoi disegni
rivela, ed ella a i suoi delir consente.
Diceale poi: «Quasi mostruosi segni
diè costui di fortezza anco crescente,
anco tenero in cuna a morte offende
con pargoletta man due serpi orrende.

14Ah che farà con la robusta mano
or c’ha lustri ben quattro omai compiti?».
Cinzia risponde: «S’armerà, ma in vano,
d’ardire, e fieno i vanti suoi scherniti».
poscia in un vaso che ponea sul piano
spume rinchiuse e, quei liquori uniti,
qual latte in masse condensò quell’acque
e da i gelati umori un leon nacque.

15«Questo (dicea) d’impenetrabil manto
feroce e formidabile leone
ecclisserà del suo valore il vanto,
se l’audace a pugnar seco si pone.
Andianne dunque a’ nostri alberghi e intanto
s’appresti il temerario a la tenzone;
tenda pur l’arco e el saette avventi,
non teme il mio leon dardi pungenti».

16Partiro quelle, e nel medesmo punto
Beozia apparve e ’l monte suo Teumesso,
ed in un osco c’ha da un lato, giunto
con un fiero leone Ercole appresso;
gli vibra il forte acuti strali e punto
non resta ancorché braccio abbia indefesso.
L’atterra al fin con la pesante clava
sì ch’egli l’erbe col suo sangue lava.

17Lo lascia poi de la sua pelle ignudo,
ch’è dura quasi ferro e la destina
veste non solo al petto suo ma scudo.
Indi al giogo del monte ei s’incamina.
e ben nel volto disdegnoso e crudo
par che minacci altrui strage e ruina,
e con la mazza, avviluppato e fosco,
per aprirsi il sentier disgombra il bosco.

18Cangiasi allora il bel teatro e il lago
appar di Lerna, e l’idra appresso a l’onda.
Vien fuori Alcide, d’atterrarla vago,
benché di teste e di velen feconda,
e di certa vittoria egli presago,
benché in troncarli ella di capi abonda,
la fertil belva allor prendesi gioco
col ferro no ma d’atterrar col foco.

19Sparisce il lago e fra le nubi assisa
scende dal ciel sul carro suo Giunone;
duolsi veder la sua potenza irrisa
dal sempre vincitor forte campione.
Ma in nova scena ecco una cerva in guisa
adorna c’ha per corna auree corone,
di rame ha i piedi e sì veloce corre
che sempre chi al segue ella precorre.

20La giunse Alcide e qual trofeo qui ferma
stassi del forte; e poco lungi ancora
de l’Erimanto in valle ombrosa et erma
l’apro e i destrier che versan fiamme fòra;
e resa al fine ogni lor forza inferma
lo stuol de’ buoi ch’ogn’animal divora;
e ’l fier gigante ucciso e ’l forte Anteo
ch’alzato in aria sol vincer poteo.

21La fama qui con l’aurea tromba appare,
e inspirandole il fiato il volto accende,
e di tante opre gloriose e chiare
replicato da gli echi il suo s’intende.
Apre poi l’ali e come ella passare
voglia in parti remote, il volo prende,
et in quel punto altra sembianza mostra
la scena, di pomposa altera chiostra.

22De l’Esperidi qui gli orti famosi
comparvero formati in bel lavoro,
che chiudean nel lor giro alberi annosi
ch’avean foglie d’argento e pomi d’oro.
Al folgorar de’ rai sì luminosi
col sol gareggia il lucido tesoro;
stassi un drago qual Argo in vista accorta
vigilante custode in su la porta.

23Egle, Vesta, Aretusa han qui lor sede,
d’Espero figlie, che è fratel d’Atlante,
e liete in volto con vezzoso piede
erran fra quelle preziose piante.
Ercole intanto comparir si vede
c’ha sovra il tergo machina stellante,
né lo sgomenta così grave pondo
ma sostien, novo Atlante, anch’egli il mondo.

24Parte e fa poi nel palco indi ritorno
conquistator de’ pomi d’or felice,
e di Giunon che l’odio tanto a scorno
trionfar de l’invidia a lui già lice.
L’amor celeste allor fatto ritorno
al popol dà congedo e così dice:
«Forti guerrier, chi sotto al sol mai vide
eroe maggior del trionfante Alcide?

25Dunque ciascun, se così gran valore
aguagliar non si può, saggio l’imiti,
e di sue tante glorie a lo splendore
fuor de l’ombre a varcar se stesso inciti.
L’aquila, benché il sol tanto fulgore
vibri, a i suoi rai fisa almen gli occhi arditi:
Ercole mirate, e insegna ravvi come
render chiaro potrete il vostro nome».

Alessio indice giochi e una giostra, vincendo la quale ottiene Alinda in premio, infine una rappresentazione (26-81)

26Ne la città fra tanto, ove raccolto
s’era Casmor con el sue schiere armate,
s’aggiravan suo re di furor molto
accesi intorno a le bellezze amate,
e quai farfalle il lor pensier rivolto
d’Alinda, benché nera, a la beltate
scherzavano fra lor con doni e lodi
l’odio coprendo con cortesi modi.

27Diceva Alessio a l’altro re: «Ben parmi
ragione omai che tua venuta almeno
s’onori in parte, ancor che in mezzo a l’armi
de’ miei nemici ho varie cure in seno;
né cred’io già che voglia tu vietarmi
mostrar la fronte com’ho il cor sereno,
e per l’arrivo tuo dar qualche segno
non forse affatto a tua grandezza indegno.

28Quando dunque diman la vaga aurora
riportarà ne l’oriente il giorno,
vedrai che tutta d’armonia canora
l’ampia città risonarà d’intorno.
Vedrai venir nell’ampio foro ancora
stuol di guerrieri in vaghe foggie adorno,
e doppo vari giochi in lieta mostra
nobili squadre apparecchiarsi in giostra.

29Comparirà nel campo altera e bella
Alinda tua sopra destrier volante,
e molt’altre donzelle armate in sella
di cor guerriero e di gentil sembiante.
Ma sper’io ben che la regal donzella
resti vittoriosa e trionfante,
tal a lei doppio vanto il Ciel comparte,
ch’io non so qual sia più Venere e Marte.

30Anzi più tosto Amor, sì lievi e presti
vibra i suoi strali e li configge al segno.
ben tu lo sai, ch’in nobil sorte avesti
scopo restar dei colpi suoi ben degno.
Degno così ch’in dono a lei volesti
offrir la libertà, te stesso e ’l regno,
e sol cercando in lei trionfo e gloria
ogni perdita sua stimar vittoria.

31Veramente negar non posso anch’io
che non sia degna d’immortali onori,
con sì bel misto il Ciel benigno unio
virtù sì chiara a i foschi suoi colori,
e ben è degno de lo sdegno mio
chi la cacciò del patrio regno fuori,
ma spero ben, se ’l tuo valor concorre,
che la potrem nel soglio ancor riporre».

32Sì parla il re, che se ben d’anni grave
e da l’armi ond’è cinto intimorito,
pur guerreggiar col crudo Amor non pave,
e se va incontro a sue saette ardito.
ma ’l fier rival, benché piacer non have,
grazie gli rende del cortese invito,
e de la stima che d’Alinda face
e mostra approvar ciò che più gli spiace.

33Ma già ne l’ocean s’immerge il sole
affrettando i destrieri al suo ritorno,
e ben nel carro suo sembra che vole
doppo egual notte a riportarne il giorno.
Era ne la stagion quand’egli suole
mostrarsi in ciel con rare nubi intorno,
quando l’autunno con soave raggio
par che gareggi col soave maggio.

34La notte, ch’a sì bel giorno precede,
non fu sì cheta e del silenzio amica,
e gran turba fabril pronta si vede
ch’ergendo i palchi e suda e s’affatica,
e dentro la gran piazza or parte or riede,
e tolera incessante ogni fatica
perch’al primo apparir del novo giorno
sia pronto a i giochi il bel teatro adorno.

35Ma non molto passò ch’in oriente
l’aurora apparve, e fuggì l’ombra oscura,
e poco doppo dal suo carro ardente
dispiegò il sol l’aurea sua luce e pura,
sì che già siede l’adunata gente
nel gran teatro e più che può procura
ciascun fra ’l popol denso ivi ridutto
luog’eminente onde discopra il tutto.

36Le trombe intanto in vario suon canoro
fan lieto invito a le future imprese,
mentre gran mormorio s’udia nel foro
del popol folto che su i gradi ascese.
ma già sovra ’l balcon che ricche d’oro
purpuree fascie d’ogn’intorno ha stese,
s’asside Alessio, e ’l re Casmoro insieme,
Oront’e Alinda ne le parti estreme.

37Doppian allor le trombe i lieti canti,
sussurrar s’ode il popolo raccolto,
e levandosi in piedi i circostanti
han tutti allora il guardo a i re rivolto.
Ma nel teatro già vasti elefanti
venian quasi pugnando a freno sciolto.
Portan guerrier in su le torri erette
che vibran senza punte aste e saette;

38hanno, in vece di ferro, in su l’estreme
parti piccolo globo e colorito
che quando poi la parte offesa preme
lascia il color qual da pennello uscito,
sì che ’l perdente, ancorché d’ira freme,
negra non può ch’egli non sia ferito,
benché sia finta piaga e ’l sangue mostro
sangue vero non già ma liquid’ostro.

39Stanno i guerrier, tutti d’acciar coperti,
rinchiusi dentro a le vaganti mura,
pronti a ferir la mano sol scoperti
e questa parte sol non è sicura.
Ma s’alcun mai sovra la mano accerti
con dritto volo la saetta dura,
restan del feritor poi prigionieri
l’elefante, la torre e i suoi guerrieri.

40Movon nel curvar l’arco agili e preste
le mani, e tosto ritrar le vedi,
e per timor de le saette infeste
fuggon con le mani e non co i piedi.
Non però vien dal saettar s’arreste
lo stuolo arcier che sta su l’alte sedi,
ma con prestezza a chi ’l rimira ignota
e curva l’arco e la faretra vòta.

41Volan mille per l’aria alati strali
senza ch’alcun resti giamai ferito.
L’arciera man se el saette han l’ali
nel ritirarsi ha volo più spedito.
Miri il dardo volar né sai da quali
parti in quel punto o da qual arco uscito.
Pochi son gli altri esperti in simil arte,
e son gli Ansichi arcier la maggior parte.

42Vedi le belve smisurate intanto
pronte girar co’ suoi guerrier su ’l dorso,
e quella ottien fra tutte l’altre il vanto
ch’è più al giro veloce e lieve al corso.
Ma s’ode già de gli oricalchi il canto
e uscito allor nel gran teatro un orso
dà fine al gioco, ancorch’in tal contesa
non sia rimasta alcuna mano offesa.

43Resta solo nel campo in vista orrendo
ma leggiadro al ballar l’orso feroce,
e mentre salta la gran bocca aprendo
crudo assalto minaccia e a nessun nòce.
Escono intanto fuori altri correndo
al primo intorno con sembianza atroce,
e levandosi in piè con dritta schiena
cominciano a ballar sovra l’arena.

44Ciascun ride in veder su i piedi alzate
danzar l’orride belve a l’uso umano,
et or rapide in moto or raffrenate
pronte ubbidir l’armoniosa mano,
da terra alzarse e a pena in su levate
tutte in un tempo ricader nel piano,
e con le membra or ferme et or correnti
il suono secondar de gl’istromenti.

45De le belve il maestro intanto il segno
dà con la verga, ond’ogni suono tace,
et ogni belva ancor quas’abbia ingegno,
si ferma anch’ella et oziosa giace.
Ma in udir poscia il suon del cavo legno
pronta si desta, e come pria vivace
e con tremule zampe or bassi or alti
forma talor nel mezzo al ballo i salti.

46Mentre da l’aurea sede i giochi mira
Casmoro, a lui rivolto il rege greco
ridendo disse: «Un tal pensier s’aggira
entro la mente mia: giostrar vo’ teco.
Mira là nel teatro: ivi si gira
fortuna e vibra altrui colpi da cieco,
pende dunque da lei nostro destino
s’ella di nostre lancie è ’l saracino.

47Chi di noi svellerà da la sua fronte
il crin fatal vittorioso resti.
Ma perché molto le sferzate ha pronte
passiam per schivarle agili e presti,
che difficile è assai gli oltraggi e l’onte
fuggir de l’empia e i colpi suoi molesti,
e d’uopo è al tuo destrier volar co i piedi
ch’è volubile assai più che non credi.

48Benché finta la miri, a te l’avviso,
può darne o lieto o miserabil fine,
avendo per ischerzo io già deciso
ch’in dono Alinda il vincitor destine».
Mentre sì parla move ad un sorriso
Casmor dicendo: «Io svellerolle il crine,
ma quando no purch’abbia in dono lei
io di fortuna il crin ti lasciarei».

49Replica Alessio: «Chi vorrà fortuna
se l’abbia pur, che non sarà d’altrui.
Or d’Alinda in onor questa sol una
legge ti piaccia stabilir tra nui».
A questo dir Casmor suoi sdegni aduna
via più scoprendo i desideri sui;
pur preme l’ira e poi fingendo dice:
«Impor ordini e leggi a te sol lice».

50I cavalier ch’apparecchiati in giostra
attendean già de gli oricalchi il segno,
veduto il re ch’in sella già si mostra
cedono il campo a cavalier sì degno.
Quindi Casmor, che brama pur fra mostra
del suo valor, del suo leggiadro ingegno,
prima a bei giri, indi a bei salti il morso
lenta al destrieri e poi lo spinge al corso.

51E sì veloce l’orme in su l’arena
lascia il corsier che sembra aver le penne,
e ’l segue il guardo di chi ’l mira a pena,
sin che del breve corso al fin pervenne,
né perché la fortuna in giro mena
l’agile sfera oltraggio alcun sostenne,
sol ciò gli dolse, e ’l fe’ turbar ne volto,
ch’in vece de la fronte il collo ha colto.

52Ride il colpo mirando Alessio altero,
ch’è per lung’uso cavalier sì prode,
sì pronto al maneggiar lancia e destriero
ch’a lui cede ciascun la prima lode.
Forse in parte la fama al rival foro
celò tanto valor se giostrar gode,
e se pur gli narrò quant’egli eccede
o feroce il disprezza pur nol crede.

53ma già prende il re l’asta e ’l paragone
farà vede chi sia più forte e degno.
Già sul destrier pria di sentir lo sprone
corre, e quas’in un punto è giunto al segno;
svelle il crine a fortuna, e in terra il pone,
che quasi par ch’abbia quell’onta a sdegno,
restando allor, come dagli anni doma,
superba donna a cui cadeo la chioma.

54Ma vero sdegno, anzi pur rabbia insana,
sentì nel cor lo sfortunato amante,
restar veggendo la sua speme vana
né più tant’orgoglioso ha ’l fier sembiante.
Diceva Alessio: «Allor per via lontana
par ch’a fortuna tu volga le piante,
se, quando il crin di lei prender potesti,
nol sapesti rapirlo o nol volesti».

55Ridendo Alessio discendea di sella
per risalire a rimirar la giostra,
e già siedono entrambi ove la bella
coppia reale sua beltà dimostra.
Ma già la tromba i cavalieri appella
che tornar lieti a far lo vaga mostra,
e già fermi in sue squadre il campo intorno
rendon di varia e nobil pompa adorno.

56Quivi aspettano il segno e già primiero
si move in campo il valoroso Aronte,
e con maestri salti il bel destriero
volge, che piante a brevi giri ha pronte.
Ma in mezzo a la carriera il cavaliero
allor provò di rea fortuna l’onte,
ch’attraversata corda con istrano
caso la lancia gl’involò di mano.

57Del balcon regio a la gran tenda aurata
servia qual sarta e la tenea distesa,
ma non so come o sciolta od allentata
urta in sua lancia e in sé la tien già presa.
Cade l’asta al guerriero e disarmata
vede la man da inaspettata offesa,
ma in vece de lancia allora la spada
tragge, né vuol ch’il corso a vòto vada.

58Né a vòto andò, ché la maestra mano
la portò sì che l’accerto nel segno,
con tal furor che cadde in pezzi al piano
e di fortuna vendicò lo sdegno.
Corsero gli altri e corser molti in vano,
chi men mostrossi e chi più fort’e degno.
libra il giudice i colpi e vien che done
a chi d’argento et a chi d’or corone.

59Ma impaziente omai d’entrar in giostra
la bella Linda è su ’l destriero ascesa,
e benché nera tal beltà dimostra
ch’ognun la vista a rimirarla ha intesa.
E seco ancor d’altre donzelle in mostra
leggiadra schiera già nel foro è scesa;
ella qual duce lor, lieta in sembiante,
ne l’arena passeggia a tutte avante.

60Sotto qual neve ha candido destriero
spruzzato il fianco a nere macchie e ’l dorso,
curvo nel collo e sopra i piè leggiero,
sì che più lento è lieve cervo al corso.
Sdegna i riposti e sempre è in moto e fero,
morde e rimorde e biancheggiar fa ’l morso,
e qual da l’arco rapida saetta
vola co i piè né già lo sprone aspetta.

61perché s’arresti e ’l segno aspetti ad arte,
il ferma in salti et in angusti giri,
et or in questa et or in quella parte
è d’uopo a lei col dotto fren l’aggiri,
sì ch’a l’aure ondeggiar sue chiome sparte
ne’ volubili moti ognor rimiri,
e mentre a volteggiar le membra ha pronte
in perle di sudor stilla al fronte.

62Mormora il popol tutto e le canore
trombe forman più lieti i lor concenti,
e intanto affiso in quei bei volti Amore
strali vibrava da’ begli occhi ardenti.
ma già sente l’invito e ’l corridore
spinge, ch’a lieve corso aguaglia i venti,
e al primo scontro la real donzella
vien che tosto a Fortuna il crin divella.

63Doppian allor le trombe e il suon festante
e ’l popol tutto altro gridando applaude,
e l’un e l’altro ancor rivale amante
par che gareggi in darle onore e laude,
né già vien ch’il gran merto in quell’istante
del destinato premio il re defraude,
e le dà ricca sella, in bel lavoro
fregiata e sparsa di diamanti e d’oro.

64Sente in quel punto il suo rival nel seno
acuta punta di geloso amore,
che del don ch’a lei fa non gode a pieno
e d’invidia il velen gli entra nel core.
Lentato intanto a’ lor destrieri il freno
pronte a l’acquisto del bramoso onore
altre abbassar vedi le lancie e l’una
doppo l’altra tentar va sua fortuna.

65Fra queste Amilda di beltà prevale
non sol, ma in trattar l’armi anch’è più forte,
o se scende da sella o ’l destrier sale
sempre leggiadra e di maniere accorte,
né sol da scherzo combattendo vale
ma ferro impugna apportator di morte,
e ’l guardo a l’alme, a i corpi il brando spinto
più d’un amante e d’un nemico ha vinto.

66Ma già chiama la tromba e ’l fren già lento
lascia al destrier, ch’al corso i piè già scioglie,
e nel rapido moto in quel momento
curva e stretta in se stessa si raccoglie.
Ciascun il guardo ha nel bel viso intento
mira ciascun s’ella nel segno coglie,
ma l’esperta sua lancia in quell’istante
tocca e in parte recide il crin vagante.

67E quasi par che la Fortuna il crine
conceda a lei, ch’altra fortuna pare
nel volger di sue luci alme e divine
la vaga rota ond’altri può beare.
Or fatto qui de la gran giostra il fine,
ebbe costei di gemme elette e rare
sparso ricco monil, ma di gran pondo,
al primo inferior premio secondo.

68Tacquer le trombe ed ecco il campo cede
a novo lume il simulacro adorno,
e in vece di Fortuna Amor si vede
far già nel campo trionfal soggiorno.
Sovra soglio sublime altero siede
guerrieri e nife e mille schiavi ha intorno,
vedi qui servil preda a i suoi furori
Greci, Persi, Indi, Ispani, Arabi e Mori.

69Mostra Alessandro incatenate mani
vincitor già dell’Asia e d’Oriente,
et altri seco imperator sovrani
che già ferì col dardo suo pungente.
Vengon servi in trionfo anch’i Romani,
fatti trofeo de l’arco suo possente,
et Alcide et Enea con altri eroi
e popoli diversi e i regi suoi.

70Calca il carro superbo allori e palme
ch’intorno spargon gli Amoretti ignudi,
et elmi e spade et altre ferree salme,
dardi e lancie, bandiere, usberghi e scudi,
Cos’ l’arcier trionfator dell’alme
sue pompe dispiegar par che si studi,
e per meglio mirar la turba accolta
de’ schiavi suoi la benda gli occhi ha sciolta.

71Di vaghe ninfe armoniosi cori
cantano a lui d’intorno inno festoso:
«Dolce tiranno, domator de’ cori,
portan tue guerre a i vinti tuoi riposo.
Non che l’inferno ma ch’il ciel t’adori
degno, invitto fanciullo e glorioso;
nova fenice in tua virtù fecondo
rinascer gode in fra tue fiamme il mondo.

72Cieco ti chiama chi non vede il lume
di tante glorie tue chiare e immortali,
o s’invido d’altri oscurar presume
l’alto splendor de’ chiari tuoi natali.
Tu forte e saggio onnipotente nume
vinto hai la terra, il ciel, l’ombre infernali.
Trema a’ tuoi cenni il triplicato regno,
come brama il favor teme il tuo sdegno».

73Passeggia intanto il faretrato Amore
fra regie pompe in maestà superba,
ma pur ne gli occhi un placido rigore,
bench’altero in sembiante, egli riserba,
quando a lui vien di marzial furore
acceso incontro e con sembianz’acerba,
d’onor bramoso et avido di regno
come in trono sedendo il fiero Sdegno.

74Vibran l’accese luci infausti lampi
che sembra minacciar tuoni e saette,
e come il fiero a duellar s’accampi
superbo in atto incontro lui si mette,
e par che d’ira impaziente avampi
e s’affretti a la pugna, a le vendette,
e ignudo ne le destra il ferro stringe
e col carro veloce oltre si spinge.

75E giunto a fronte i corridori affrena,
poscia a lui parla in minacciosi detti:
«Garzon superbo, e qual destin ti mena
ov’i tuo scorno e la tua morte affretti?
Ben fia questa per te fatal arena
in cui cieco tu cerchi agi e diletti.
Or pugna meco o volontario scendo
dal regal soglio e vinto a me ti rendi».

76L’orgoglioso fanciul da tai parole
punto, da tergo una saetta prende,
su la corda l’adatta e come suole
ignudo vien in guerra e l’arco tende.
Ma pria di guerreggiar seco si duole
e in tai detti acerbissimi il riprende:
«Chi ti condusse in così lieti chiostri?
Riedi pur là fra gli affricani mostri.

77Non temo il tuo furor, che ben avvezzo
son a domarti, e quante volte il sai
t’addussi in mio trionfo: or tal disprezzo,
folle che sei, del mio poter tu fai?
Sei vil ministro e benché tal ti prezzo
quando congiunto con ragion tu stai.
Tu di lei servo, ella di te regina,
re nacque Amore, a’ servi ei non s’inchina.

78Ma se pur sei ne’ tuoi furor sì cieco
che servo ancor contender vuoi di regno,
ben proverai s’ora combatti meco
se Sdegno Amore o vinca Amor lo Sdegno.
meglio a te fora in solitario speco
trovarti albergo a tua viltà ben degno,
e ne l’ircane o ne l’ercinie selve
contender di fierezza in fra le belve».

79Vibra ciò detto a lui l’alata strale,
ch’appunto il core avria passato al crudo
se al colpo irreparabile e mortale
pronto il guerrier non opponea lo scudo.
Scende dal carro il fiero Sdegno e sale
su l’altro allor dov’è il fanciul ignudo,
ma lo rispinge il bel garzon né in vano
che cade allor precipitoso al piano.

80E catenato al suo trionfo avanti
lo guidan tosto i faretrati Amori
fra la turba servil de gli altri amanti,
e forza è pur ch’anch’egli umil l’onori.
S’odono allora armoniosi canti,
soavi cetre e legni altri sonori,
e con alterno suon le trombe intanto
cantan del bel fanciul le glorie e ’l vanto.

81Intanto in ciel con tenebrose piume
la notte già da l’Oriente uscia,
e volto il carro il gran rettor del lume
giù ne l’altro emisfero il giorno apria,
né più volar canoro augel presume,
s’asconde in selva e i dolci canti oblia.
Cessan già le fatiche e nel profondo
sonno s’immerge a’ suoi riposi il mondo.