commenti
riassunti
font
AA+
Chiudi

L’Oriente conquistato

di Tiberio Ceuli

Canto XVII

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.09.15 8:00

Argomento
Introduce il soccorso entro le mura
Alessio al fin con artificio accorto.
Che giunga tosto al re d’Egitto ha cura
la sposa Oronta e parte già dal porto.
Con Argea giunge al Cario, ella procura
con caldi preghi e per sentier più corto
ad Alessio soccorso, il quale ottiene,
e già s’invia del mar verso l’arene.

Alessio con una manovra diversiva introduce le truppe persiane giunte in suo soccorso in città (1-19,4)

1Così quanto durò quel giorno intero
trapassò Alessio in finte guerre,
ma uscì appena la notte e ’l manto nero
stese ch’a lui tornàr cure moleste,
ch’avvisa del re perso un messaggiero
che son in via le genti a lui richieste,
e che marcian disciolte e disarmate
perch’a’ nemici suoi sian più celate.

2E che quando di novi il ciel s’anneri
nel fosco orror de la più scura notte,
tosto mandi a incontrarle i suoi guerrieri
onde sian poi ne la città condotte,
e che vengan sue genti in su i destrieri
perché sian l’atre agevolmente addotte,
e che deve otto mila almeno esporre
perché possa altretanti egli raccorre.

3Udito ciò chiama a sé Aronte e dice:
«Già ’l rege amico quel soccorso invia
che ne promise, or vanne tu felice
a quelli incontro e accerta lor la via.
Il numer sette mila a noi predice
con altri mille il messagier che sia;
or tu il favor de l’ombre antiche aspetta
prendi numero eguale e vanne in fretta.

4Ti sarà fida scorta il messagiero
che venne a noi per più sicuro porti
là dove è unito lo squadron straniero
nell’ora eletta e per sentier più corti;
poscia assiso su ’l tergo al suo destriero
ogni nostro guerrier l’altro ne porti.
Mentre però n’andrai senz’intervallo
Bimarte assaglia de’ nemici il vallo.

5E spinga le sue genti in quella parte
ch’al sentier che tu prendi è più remota,
onde raccoglier tu le schiere sparte
possa e la via d’armi trovar più vòta.
Così schernendo il reo cristian con arte
che doppo il fatto a lui sarà sol nota,
sper introdur potrai da l’ombra oscura
favorito il soccorso entro le mura».

6Sì disse, e ’l capitan ne la seguente
notte s’appresta ad eseguir l’impresa,
né dentro a i muri alcun mai sua mente
se non quand’è lontano egli palesa.
intanto con gran fretta armata gente
Bimarte aduna e la migliore ha presa,
e fingendo altro fine insieme accoglie
tutte sue squadre e sì la lingua scioglie:

7«Or quanto mai starem noi qui rinchiusi
quasi in lenta prigion fra queste mura?
rotti son gli archi o i nostri brandi ottusi
che nessun più di trattar armi ha cura?
Voi, ch’a le guerre, al trionfar sète usi,
come or v’ingombra insolita paura!
Ben tempo è omai di ritentar la sorte
di cercar combattendo o gloria o morte.

8Sempre fra merli, da sicuro loco
vedrem color c’hanno qui noi ristretti
de’ prigionieri suoi prendersi gioco
privi d’ardire e in sì vil ozio inetti?
Voi stessi pur fra le lor tende il foco
portaste, e poi, bench’a ritrarvi astretti,
pur gli lasciaste nel lor sangue avvolti
e fra ceneri e fiamme arsi e sepolti.

9Videro allora i miseri cristiani
l’ombre illustrarsi a i lor funesti ardori,
e feriro le viste a i più lontani
di nostre glorie i lucidi splendori.
Direte: Argea co’ disusati arcani
trasse il nemico da le tende fuori.
È ver, ma senza il vostro ferro poi
vani stati sarian gl’incanti suoi.

10Che più dunque indugiar? S’apran le porte,
esca a battaglia chi d’ardire è armato,
e corra ad incontrar ne l’altrui morte
i suoi trionfi il valor vostro usato.
Seguite, amici, le mie fide scorte
mentre il duce uscirà da l’altro lato.
Andianne dunque e con veloce piede
quanto mirate là son vostre prede».

11Così gli esorta, e fuor de l’alte mura
quasi volando a i padiglion s’invia,
mentre coperto da la notte oscura
da l’altra parte Aronte anco sen gia.
Il qual, giunto a i ripari, assai sicura
più che non si credea trova la via,
poiché gran parte immersa era nel sonno
de’ suoi nemici e guerreggiar mal ponno.

12Doppo breve pugnar cadono estinte
le sentinelle, e s’altri lor s’oppone
ch’al fiero assalto agevolmente vinte
restan le schiere, ancor ch’elette e buone;
e in sé confuse e in parte d’armi scinte
cadon ne l’ineguale aspra tenzone.
Sol più pronti i Romani e in tutto armati
vengon lor contro in ordine schierati.

13 fuor del vallo il capitano uscito,
gli assal da questa ora da quella parte,
e mostra ben l’invitto stuolo ardito
che nacque là nella città di Marte.
Resta alcun morto et altri ancor ferito,
pur molte squadre han messe in fuga e sparte.
Ma in tanto Aronte, che adeguato al piano
ha il fosso, già scorre d alor lontano.

14E quel ch’era consiglio il duce accorto
fingendo sia viltà sen corre in fretta,
ma Cesare nol segue e pe ’l più corto
sentier ne vola ove Miren l’aspetta,
che con lo stuol che da Bimarte è scorto
combatte, e già ne prende aspra vendetta,
mentre ognor sovra giunge alcuna schiera
in rinforzo, ch’armata anco non era.

15Con Mireno congiunto il gran romano
fa prova di insolita fortezza,
e i suoi destrier dentro lo stuol pagano
spinge, e gli ordini rompe e l’aste spezza.
Seguon vincendo i cavalier né in vano
muovon la lancia a recar morte avvezza.
Sorgiungono altre schiere e insieme i fanti
co i cavalieri vie più si fanno avanti.

16E così cresce intorno a lui la gente
ch’esser preso Bimarte in mezzo teme,
pur quanto può le squadre sue più lente
muove, e ad arte s’aggira e i timor preme.
Ritorna poscia ne la pugna ardente,
spesso s’arretra con sua gente insieme
per dar tempo ad Aronte e più sicura
via di porre il soccorso entro le mura.

17E tanto indugia e con tal arte offende
or a i fianchi girando or a la fronte
che in altra parte già fuor de le tende
col gran soccorso è già passato Aronte.
Ma non part’egli ancor, però ch’attende
certo l’avviso e tien el genti pronte
a la fuga non men ch’a la difesa,
sin ch’arriva il messaggio e ’l ver palesa.

18Fugge allora veloce udita appena
la felice novella il fier Bimarte,
e de le schiere sue vòta l’arena
ratto volando in più sicura parte,
né pugnar cura, e volge lor la schiena
e in un raccoglie le sue schiere sparte.
Ma già s’apron le porte e tutt’insieme
entran sì folti che l’un l’altro preme.

19Gode in mirar ne la città raccolta
sua gente e a pena il fier tiranno il crede,
ch’al fin da tant’impedimenti sciolta
abbia pur posto entro le mura il piede.
E già la mente a pensier lieti voltaOronta e Argea al Cairo ottengono nozze e aiuti militari (19,5-63)
la figlia Oronta in sua presenza chiede,
et ella in giocondissimi sembianti
pronta sen venne al genitore avanti.

20Con volto non men placido e sereno
ei la rimira, e poi così le dice:
«ben è ragion ch’or tu mi renda a pieno
come gran tempo io già bramai felice,
né minor credo abbia tu brama in seno
d’incontrar le tue gioie or ch’a te lice.
Odi nunzie le trombe al tuo gioire
come cantan già liete il tuo partire».

21Con gli occhi allor d’alta letizia pregni
risponde Oronta: «A me più grato invito
far non potrian se vèr gli egizi regni
mi chiaman queste et a partir dal lito».
D’amor paterno replicati segni
le mostra allor di gioia intenerito
il re, quasi piangente; indi le prende
la mano e seco al lido anch’egli scende.

22Pomposa nave c’ha dorate antenne
et aure poppa e lampi d’or diffonde
giace oziosa in porto e par ch’accenne
bramar omai d’abbandonar le sponde.
Ha d’aquila figura e lievi penne
sembran i remi che già sferzan l’onde,
già par ch’inviti con festivi accenti
de l’auree trombe a le sue vele i venti.

23Già siede in poppa la regal donzella
già spiega a l’aure le sue vele il legno,
ed ella stassi imperiosa e bella
e le fa ricco seggio aureo sostegno.
Diresti a punto Venere novella
varcar quasi in trionfo al ciprio regno
tante d’intorno a lei superbe navi
di guerrier miri e di donzelle gravi.

24Sembra volar con trionfanti vele
la bella armata, e già i superbi tetti
par che Bizanzio a la lor vista cele
e ch’indietro fuggendo il corso affretti.
Nube non è che l’aria sgombri o vele
e par che più bei raggi il sol saetti,
per gara forse del bel viso adorno
ch’assiso su la nave a lui fa scorno.

25Né in quel tempo già mai che scorse il mare
il pin che la regal sposa sostiene
cinse il lucido crin di dense o rare
nubi e sempre spiraro aure serene.
par che più de l’usato il sen rischiare
Teti, et Eolo Austro e Coro a freno tiene,
né già l’onde inalzar Nettun presume
ma rivolge scherzando argentee spume.

26Ma già mirasi Olimpo e come sorge
verso le stelle con la fronte altera,
e sotto a lui giacente omai si scorge
l’isola bella ove la maga impera,
e più vicino il curvo sen che porge
sue braccia in arco ove men l’onda è fiera;
e, quindi uscita, fuor già si vedea
contro venir sopra aurea poppa Argea.

27Che giunta poi seco la prende e riede
solcando il mar vèr la pomposa reggia,
che dentro sparsa di bei fior si vede
e fuor non meno tutta d’or lampeggia.
Discesa Oronta appresso Argea già siede
su ’l carro che di gemme anco fiammeggia.
Corre il popolo a gara intorno accolto,
si stringe, e ’l guardo in lei tutti han rivolto.

28Ma poco fa nell’isola dimora
la bella Oronta in giochi, in balli e in canti,
e tornò a pena in ciel la terza aurora
ch’a solcar ritornò l’onde spumanti.
Argea va seco e già del porto fuora
esce la regia nave a tutte avanti,
e segue folto stuol di legni armati
dietro e in difesa lor da entrambi i lati.

29Fra Coro et Aquilon vento secondo
spira, che per sentier dritto gli adduce,
sì cheto è ’l mare e ’l ciel così giocondo
ch’ammira il ciel sua calma, il mar sua luce.
Ogni suo flutto il mar nel sen profondo,
ogni sua nube in aura il ciel riduce.
Par chiaro specchio il mare e senza velo
vagheggia in lui le sue bellezze il cielo.

30Miran non lungi omai larghe e spumanti
le due gran foci de l’egizio fiume.
e due navi superbe e torreggianti
quindi uscir, luminose oltr’il costume.
Aurei remi, auree vele e lampeggianti,
han d’or l’antenne, e de i riflessi al lume
splendon così che de l’eoe maremme
par ch’abbian tutt’in sé gli ori e le gemme.

31Lieto colà su la primiera mole
a cui cento e più legni errano intorno,
splende del Nilo il re qual novo sole,
il ricco sen di perle e d’oro adorno,
cinto d’aurei splendor, sì com’ei suole
uscir dal Gange a riportarne il giorno,
e festoso a incontrar la sua diletta
de’ veloci suoi remi il corso affretta.

32E già s’appressa e si congiunge insieme
e si ferma su ’l mar la doppia armata.
Già vedi il re ch’Oronta abbraccia e preme
con baci ebri d’amor la bocca amata,
et ella allor vergogno setta teme
o temer finge, e riverente il guata,
e volgendo ritrosi obliqui sguardi
par che di furto in lui vibri i suoi dardi.

33E già dove il gran Cairon in su la riva
del nobil fiume si distende e posa
s’invia, né mai del suo tesor si priva,
ma sempre a lato è de l’amata sposa.
E poco va ch’in bel trionfo arriva
dentro l’ampia città che populosa
se fu giamai più si mostrò quel giorno,
ché spogliò di sua gente ogni contorno.

34Quasi grand’arco nel gran piano giace,
nel mezzo più sottil che nelle fronti,
e mentre piega e più vicini face
gli estremi suoi, vien che se stessa affronti.
Spargon nel centro suo d’umor vivace,
scarso ristoro, del gran Nilo i fonti,
però che sol vien che d’umor l’asperga
allor che il sol presso al leone alberga.

35Armata in sua difesa eccelsa mole
sorge al lato onde l’aurora appare.
Sotto ha due laghi, a cui non sempre suole
natura oggi l’acque feconde e chiare.
Ma pria che il corso suo finisca il sole
due mesi e più gode il lor sen seccare,
e ne l’istesso pian che l’acqua accoglie
poco doppo alta messe ivi si coglie.

36Ne la gran rocca entr’il cui sen s’asconde
il palagio regale il re s’invia,
et in passando al popolo diffonde
i nembi d’or con man cortese e pia,
e con sembianze più che pria gioconde
de la supplice plebe i preghi dia.
Ma già unita ad Argea per l’alte scale
la bella Oronta e ’l rege amante sale.

37E qui sovra regal superba mensa
s’apprestàr cibi preziosi e cari,
ciò che nudre la terra o ’l mar dispensa
in vaghe guise e in condimenti vari.
La notte poi da mille faci accensa
par ch’emulando il dì l’ombre rischiari,
e luminosi segni in vari lochi
dan di letizia industriosi fochi.

38Non uscì ’l sol giamai da l’Oriente
nel tempo ch’ivi Oronta ebbe soggiorno
che non mirasse festeggiar la gente
in giostre o in giochi in bel teatro adorno;
ora vibransi l’aste ora il pungente
dardo al bersaglio, or vola il carro intorno
a le mete schivate e par s’invogli
scherzar qual nave in terra anco fra scogli.

39Or sovra il sen dell’ondeggiante lago
a marittimi assalti escono i legni,
or vedi stuol di ninfe errante e vago
notare a gare a i destinati segni,
or coro d’Amoretti ignudo e vago
con l’arco in man vien che ferir s’ingegni,
mentre turbe di schiavi in su le rive
in bel trionfo Amor mena cattive.

40Ma pria l’amata Argea torni a’ suoi regni
brama il re ch’ella miri, ancor ch’annose,
de l’egizia potenza alteri segni
le sublimi piramidi famose.
Quindi seco la guida onde le insegni
ove s’alzan le moli alte e pompose,
e poco avanti a caminar l’invita
che l’alta sfinge a la regina addita.

41«Mira «allor disse «quanto in suso estolle
l’altera fronte quel gran marmo scolto,
ch’artigli ha di leon, benché di molle
femina appar lo smisurato volto.
Dir non saprai se simulacro o colle
sia quand’il guardo a sua grandezza hai volto,
donna e leon la miri e persuade
quanto sia forte feminil beltade.

42Mira non lungi a l’alta mole ancora
quei tre figli de l’arte eccelsi monti,
di cui le cime pria che nasca indora
il sol tanto sublimi ergon le fronti.
mira gli altri ond’Egitto anco s’onora
che fan quasi a le nubi aerei ponti,
e ben che sian de i primi tre minori
destano ancor ne gli occhi altrui stupori.

43Ma se bramassi entrar ne le nascoste
caverne a cui quel varco apre la via,
o quante, o quante là genti riposte
vedresti ch’atterrò la morte ria,
c’han membra incorruttibili e composte
più fortemente che non furo in pria.
Così ciascun qui si conserva in quella
forma ch’egli ebbe, mumia il volgo appella.

44Poser nostr’avi, di virtù sol paghi,
ne’ cadaveri lor balsamo interno,
non perché fosser d’eternarsi vaghi
ma perché l’uom prenda se stesso a scherno.
Così voller, cred’io, gli egizi maghi
far di nostra viltà ritratto eterno,
e fatti ancor dentro le tombe accorti
render eterni a pro de i vivi i morti».

45Disse allor la regina: «Affatto ignote
a me non sono e ben ne vidi alcuna
sovente in Cipro, e nelle membra immote
ben contemplai nostra mortal fortuna.
Ma tu, sposo real, già che si puote
l’uom così rinovar, pensa a la cuna
più ch’a i sepolcri, e qual sia lieta sorte
restar vivo ne’ figli e vincer morte.

46E certo da sì bella altera sposa
puoi sperar prole a sua beltà simile
di fuor simil non sol ma generosa
come nata di sangue alto e gentile,
né mai conca nel mar sì preziosa
figliò perle a ingemmar ricco monile
come fia, spero, in su l’egizia sponda
di regi figli Oronta tua feconda.

47E ben tu ’l sai quant’è la gran beltade
de la nipote mia soave sprone
che violenza fa, non persuade
onde l’innesti a germogliar corone.
E ben saria d’un regio cor viltade
non venir seco a singolar tenzone,
se dal spesso cader vedresti poi
in numero maggior sorger gli eroi.

48Ma già parmi che ’l sol ne l’oceano
per lasciarne fra l’ombre il corso affretti,
e ben che poco sia quindi lontano
il Cairo, e i carri e i destrier nostri eletti,
pur meglio fia che nel sentier più piano
affrettiamo il ritorno a i regi tetti».
Sì disse, e a pena il breve lor viaggio
finìr ch’apparve de la luna il raggio.

49Nel seguente mattino a nove feste
a novi giuochi s’apparecchia il foro,
e su i destrier vien che ciascun s’appreste
al corso in nobil giostra o in gioco moro.
Già in lieta gara i cavalier vedreste
spiegar di ricchi fregi aureo telone,
pugnar, ritrarsi, e benché in finti sdegni
d’invitto ardir, d’alto valor dar segni.

50Ma in tanta occasion d’alta allegrezza
non lascia in ozio la sua magic’arte
Argea, ma gode a maggior opre avvezza
scherzando il suo poter mostrar in parte,
e mentre al segno le sue lancie spezza
lo stuol guerriero in finto agon di Marte,
rivolto al re ch’a lei vicino siede
gli disse: «Or odi ciò ch’Argea prevede.

51Ben sai che qui rado o non mai dal cielo
discendon pioggie o velan nubi il sole,
e pur vedrassi d’improviso velo
or or coprirsi la celeste mole,
e tosto pioverà grandin’e gelo
ma comist’a le rose, a le viole,
sì che vedrai non giungerà la sfera
gelar l’inverno e fiorir primavera.

52E in vece qui di grandini gelate
nembo cadrà di zuccheri odorosi,
folti così che de la gran cittate
i tetti diverran bianchi e nevosi.
Cadran le rose d’ostro e d’or ornate,
miste a i candidi globi e preziosi,
né sol fiori diversi ma ben molti
soavi frutti in grembo al gel sepolti».

53Mentre così dicea stringonsi intorno
l’aria in nuvol oscuro e in un momento
opponendosi al sole ecclissa il giorno
e porta nel teatro ombre e spavento.
Sibila il turbo e spesso fa ritorno
nebbia di polve a lo spirar del vento;
scote le tende e da i balconi ornati
rapisce e in aria aggira i fregi aurati.

54Ma poco dura quell’orror sì nero
e ’l superbo soffiar d’Austro fremente,
e cessa in un istante il turbo fero
e la nube divien chiara e lucente.
E già sferza ogni tetto, ogni sentiero
la preziosa grandine cadente,
e smaltate di gel dolci odorose
piovon del Cairo in sen viole e rose.

55Et a sì vaga primavera uniti
veggonsi allora anco cader dal cielo
frutti improvisi e tanto più graditi
quanto più chiusi nel soave gelo.
Tornato il sole e i nuvoli spariti,
resta involto ogni tetto in bianco velo,
e sparse per le vie spirand’odori
in dolci brine avvolti e frutti e fiori.

56Sì giocondo spettacolo improviso
mirando il re girava il guardo intorno,
disse poscia ad Argea, con lieto viso
«Chi vide mai più fortunato giorno?
con Giove onnipotente hai tu diviso
forse l’imperio? e del suo scettro a scorno
quand’a te par ne la magion celeste
puoi nubi e venti e risvegliar tempeste?

57Ma tempeste sì ricche e preziose
che l’occhio a pena a i guardi suoi dà fede.
Or quai nozze giamai così pompose
Galli, Iberia, Germania o Italia vede?
Se pruine sì care et odorose
de la plebe più vil calpesta il piede
e sovra il Cairo strette in bianco gelo
sparge sì dolci le sue pioggie il cielo?».

58Ride Argea mentr’ei parla e ’l guardo volto
poscia ad Oronta, a lui così risponde:
«Ben potrai tu da sì sereno volto
raccòr rose più vaghe e più gioconde,
e se ’l gran Cairo è in dolci esche avvolto
più dolci frutti il suo ben sen t’asconde
sì ch’il dolce tesor ch’io spargo e dono
de l’altro in paragone è vulgar dono.

59Dono vulgar, ma non vulgar già l’arte
che le nubi feconde insieme aduna,
e forse un dì n’apprenderai ben parte
da me ch’eguali ho in ciò poche o nessuna».
Mentre sì dice, l’ombre sue già sparte,
sorge la notte e riede in ciel la luna,
e caduto nell’onde il sol giocondo
resta sepolto in fosco orrore il mondo.

60Ma non però fra sì pompose feste
l’alte cure d’Alessio in oblio pone
Argea sagace, e perché omai s’appreste
mandar pronto soccorso il re dispone,
e preghi aduna e in luci afflitte e meste
sospira e piange e i suoi desiri espone;
e mentre il pianto da’ begli occhi abbonda,
più ch’in suoi detti è in lacrimar faconda.

61Oronta ancor con vezzosetti sguardi
mirando il gran soldano e prega e plora,
e in lui vibrando gli amorosi dardi
lo sprona e sforza a non far più dimora.
Concede il re gli aiuti e non son tardi
a porsi in armi i suoi guerrieri allora,
e gran gente da Cana e ancor ne viene
da Girge e infin da l’ultima Siene.

62Su le rive del Nilo in ogni parte
scorrer già miri l’assoldate schiere.
S’ode per tutto strepito di Marte
d’ogni intorno sonar trombe guerriere,
corni, tamburi, e in mille lochi sparte
lampeggiar armi e sventolar bandiere.
Sorgon d’aste pungenti orride selve
per l’ampie spiaggie e fan fuggir le belve.

63E già non lungi al mar sovra l’arene
il poderoso esercito s’aduna,
e marcia in ogni tempo e non s’astiene,
splenda il sole nel cielo o pur la luna.
E d’or in or più cresce e sopraviene
da varie parti de le schiere alcuna.
Copron le tende e i carri i campi e i lidi
e ’l mar s’accorsa al mormorio de i gridi.