Argomento
Lascia l’accorta maga Oronta instrutta
de i modi ch’usar dèe col suo re sposo.
La schiera delle amazzoni condutta
già si è nel campo, e qui prende riposo.
Cesare con un drago in fiera lutta
passa gran rischio, al fin vittorioso;
per atterrarlo poscia il saggio vecchio
gli appresta il chiaro suo magico specchio.
Argea catechizza Oronta su come mantenere l’amore dello sposo (1-15,2)
1Fra tanto Argea pria di partir rivolta
a la sposa regal così favella:
«Diletta Oronta, omai la vela è sciolta
che me dal Nilo al ciprio regno appella,
ma pria ch’Argea si parta attenta ascolta
et imprimi nel cor ciò che dice ella.
Ben certo il sai quant’a giovar intesa
ho te stessa e tua reggia ognor difesa.
2E forse ancor sì luminoso fregio
non splenderia su le tue bionde chiome,
e benché nata sei di sangue regio
perduto avresti di regina il nome,
se come sai del tuo campion egregio
non avess’io l’arti schernite e dome,
e scoperta sua mente iniqua e fera,
te ricondotta a la tua reggi altera.
3or perché certo e vanto assai maggiore
il conservar che l’acquistarsi il regno,
e più assai che con l’armi e col valore
si conserva con l’arte e con l’ingegno,
onde tu possa in virtù sol d’amore
fondar a tua grandezza alto sostegno
con modo industre e quale miglior parmi
t’insegnarò d’amore a trattar l’armi.
4Ogni tua gloria, ogni poter dipende
da l’amor del tuo re, quanto più forte
la rete sua la tua bellezza tende
tanto più fia ch’a te dominio apporte.
Regina sei, ma se ’l suo cor non prende
la tau beltà con sue maniere accorte,
serva sarai; ciò che possiede sprezza
Amor, che rado ha in suoi pensier fermezza.
5Più stretto esser non puote e più tenace
quel che stringe il soldan soave nodo,
ma spesso in odio vien cibo che piace,
però condirlo in guise io lodo.
Poco dura a gran vento esposta face,
pur non manca acciò duri et arte e modo,
così d’amante in sen fiamma d’amore
se ben non si conserva in breve more.
6Brama novi trionfi uman desio
fassi talor cibo che sazia amaro;
spesso acquistato ben pons’in oblio,
contrastato piacer sempr’è più caro.
Più prezioso al sitibondo è il rio
ch’è talor più de’ suoi tesori avaro,
ma s’abonda poi d’acque alto e sonoro
poco si prezza allor che dà ristoro.
7Or perché tu goda il possesso a pieno
de l’egizio tuo re, quando è più caldo
dei tener sempre i suoi desiri a freno
e più quand’è in amor più audac’e baldo.
S’egli s’adira un raggio sol sereno
de’ tuoi begli occhi estinguerà quel caldo,
ma se sprezzante avrai suoi sdegni a gioco
allor de l’ira sua crescerà ’l foco.
8Né dubitar se minaccioso e fiero
volga talor l’innamorato sguardo
che quanto più ti si mostrasse altero
tanto più ancor sarà poi mite e tardo.
Scherza fanciullo Amor quand’è severo,
aguzza allor l’acuta punta al dardo,
e qual fenice che d’ardor si pasce
fra le fiamme di sdegno egli rinasce.
9Godi pur de’ suoi sdegni e in mezz’a l’ire
fa ch’un raggio d’amor sempre risplenda,
ma guarda ben ch’egli non mai s’adire
per novo amor che fors’in te s’accenda,
che nel regno d’Amor non è martire
ch’a par di questo un core amante offenda,
e se col gel di gelosia l’assale
la febre de lo sdegno è mal mortale.
10Or guarda ben che non dian segno mai
fumo o faville del novello ardore,
ch’è dura impresa e mal sicura assai
foco senza splendor chiuder nel core;
fia possibil però se tu saprai
l’ali tagliar del trionfant’Amore,
e far che quando più d’orgoglio abonda
nel centro del tuo core egli s’asconda.
11Cela dunque del cor l’alto desire
scaltra fingendo e con maniere accorte,
fa che mai non appaia il tuo martire
nel volto tuo per tua ruina e morte.
Così lieta coprendo il tuo gioire
godi incontrar ciò che ti dà la sorte,
e credi pur ch’ogni amator si crede
celata infedeltà candida fede.
12Osserva ancor che tu non mai disdiche
a sue parole, ancor ch’a te non grate,
che fansi allor nel contradir nemiche
l’alme di varia opinion armate,
e dove prima eran concordi amiche
si veggon poi divise e scompagnate,
e in sé destando ambizion di gloria
cerca l’una de l’altra aver vittoria.
13Con arte sì soave e sì gentile
del tuo re sempre trionfar potrai,
ch’in paragone ogni altra gioia a vile
avrà dello splendor de’ tuoi bei rai,
e lieta più di te da Battro a Tile
donan non fia che provi amor giamai.
Or s’a te non invidi i tuoi diletti,
impressi nel tuo cor serba i miei detti».
14Così lasciò la regia sposa Argea
de’ precetti d’Amore a pieno instrutta.
Quindi, preso commiato, ella fendea
già l’onde e seco ancor l’armata tutta.
Di pianto alcune stille il re spargea
veggendola nell’alto omai ridutta,
e l’egizia regina ancor con mesta
sembianza duolsi e lagrimosa resta.
15Mentre per l’alto mar con ricca e bella
pompa correa la numerosa armata,
giunse al campo cristian vaga donzella,Arrivano al campo franco una schiera di amazzoni (15,3-32,2)
succint’in gonna e di faretra armata,
che in lieto volto e in placida favella
alla guardia del vallo avvicinata
a lei richiese, e non richiese in vano,
d’esser ammessa al capitan sovrano.
16Condotta al suo cospetto in guisa tale
al gran guerrier l’alt’ambasciata espose:
«Signor, la fama tua che in trionfale
suono divulga l’opre tue famose,
su ’l Termodonte ancor dispiegò l’ale,
né gli eroici tuoi gesti a noi nascose,
anzi narrò tue glorie in sì bei carmi
ch’al fin noi trasse a teco unir nostr’armi.
17Certo cred’io ch’il nome a te fia noto
e il valor dell’amazzoni guerriere
come a noi pur non è già ’l grido ignoto
di te duce sì chiaro e di tue schiere.
or queste a te con pronto cor devoto
benché per altro indomite et altere,
per mezzo mio quando ch’a te sian grate
t’offron se stesse e le lor squadre armate.
18E ciò sì per l’amor ch’al tuo valore
a tua rara virtù serbano impresso,
come per l’odio che lor rode il core
contro il tiranno c’ha il lor regno oppresso.
D’Alessio io parlo, di crudel furore
mostro sì reo ch’egual non vive ad esso,
che acciò più fiero a’ danni altrui non s’armi
poté svegliar la pietate all’armi.
19Mostro sì reo quel crudo Alessio io dico,
d’amor, d’onore, anzi di vita indegno,
che del proprio suo sangue empio nemico
tolse al fratello in un con gli occhi il regno,
che sol dell’oro e di se stesso amico,
qual serpe fier del commun’odio è degno,
c’or la forza adoprando et or gl’inganni
reca al popolo suo gli estremi danni.
20Ma tu, che già la sua fierezza hai doma,
e già ’l tieni con l’armi intorno cinto,
ben degno sei ch’omai d’allor la chioma
l’Asia ti cinga e l’Oriente vinto,
che s’Alcide sì chiaro ancor si noma
perch’ebbe l’idra e più d’un mostro estinto,
qual gloria a te dèe il mondo e i regni nostri
c’hai vinto il più crudel di tutt’i mostri?
21Da magnanim’ardir la mente accesa
e dal desio di riverirti ancora
uscimmo dunque a mover l’armi intese
contro il crudel dal nostro regno fòra,
e di tue chiare e memorand’imprese
ben gran vantaggio esser a parte fora,
ché del tuo gran valor dietro el scorte
a trionfo immortal s’apron le porte.
22Or, se t’è in grado, entro i ripari giunte
tosto vedrai l’amazzoni guerriere,
che di qui tanto sol sono disgiunte
quant’andrebb’in duo giorni un messaggere.
Non oziose ancor forse le punte
di lor vedrai fra tante invitte schiere,
e quai si sian de gli archi lor gli strali
sempre in difesa tua spiegherai l’ali».
23Tacque la bella messaggiera e in atto
s’inchinò insiem’altero e riverente;
ma pensoso il gran duce e non affatto
ben risoluto in lei volgea la mente,
ché d’Argea non oblia come fu tratto
nel fiero inganno et ancor n’è dolente;
pur, pensando ch’al fine opra d’incanto
questa non sia, così le disse intanto:
24«Vergine valorosa, il vostro nome
ben noto a me fin da’ prim’anni ancora,
e so ben io che Marte a voi le chiome
orna di ferro e non Ciprigna infiora,
e che sète per genti oppresse e dome
non sol colà ne’ regni dell’aurora
famose, ma per opre illustri e sole
e dove nasce e dove more il sole,
25onde che grato a me fia le vostr’armi
veder tosto congiunte al campo nostro.
Ben noto è a voi prima ch’io ’l dica e parmi
pote argomentar dal valor vostro,
che unita a me tanta virtute s’armi
contro il furor di sì perverso mostro
dono è del Ciel, che s’or d’assedio è cinto
dispon ch’in breve egli rimanga estinto.
26Ben puoi dunque tornar dove t’attende
la nobil oste e qua condur le schiere,
perché raccolte sotto a queste tende
mostrin pur come altrove alme guerriere,
e gran vantaggio fia quando s’imprende
l’assalto a i muri aver le forti arciere
et in ogn’altra occasion d’offesa
contro il nemico o di commun difesa».
27Sì disse, e lieve al salto ascende in sella
l’altera donna, e s’accommiata e parte,
feroce in volto ma non già men bella,
svelata il petto e con le chiome sparte,
d’arco gl’omeri armata e di quadrella,
più vaga in vista e adorna più senz’arte,
sì che pria che correndo si dilegue
sin che puote col guardo ognun la segue.
28Su ’l rapido corsier giunta a i soggiorni
avviso dà che Baldovin le aspetta.
S’odon tost sonar timpani e corni,
lieta ciascuna al viaggiar s’affretta.
Non d’oro i crin ma ben di ferro adorni
vedi, chi mazza ha in mano e chi saetta.
Marcian veloci e d’anni grave e accorta
Talestre invitta è lor famosa scorta.
29Celebre assai fra le donzelle ircane,
e ’l minor pregio è in lei regia fortuna,
ne la patria non sol ma in parti estrane
avvezza a guerreggiar sin da la cuna.
Se miri il volto o pur come lontane
l’aste sue vibra e i fieri sdegni aduna!
Se il bel seno o la mamma adusta ad arte
puoi congiunti mirar Venere e Marte.
30Dopo non molti dì giunser le belle
nel fedel campo amazzoni guerriere,
che tosto giunte al capitano ancelle
e compagne s’offriro a le sue schiere.
In mano l’armi e lampeggianti stelle
splendon in fronte, e in un vezzose e fiere,
non so se più con la bipenne e ’l dardo
o morte altrui minaccino col guardo.
31Beltà mista al valor giocondo rende
l’orror de l’armi de’ lor volti a i rai,
e se più ignuda o armata il sen t’offende
se forse vuoi seco pugnar non sai.
Più con lo scudo se mai l’arco tende
ai crudi colpi suoi difesa assai,
ma se t’assale in que’ begli occhi Amore
schermo non hai da ripararti il core.
32Ma s’al campo cristian sì belle squadre
utile insieme et apportàr diletto,
novo pitone cui non fu Libia madreCesare si imbatte nel serpente inviato dall’Inferno per infestare il campo cristiano e riesce a tornarne vivo (32,3-45,4)
ma ’l crudo inferno fe’ contrario effetto.
Forma ha di drago, amabili e leggiadre
sembianze mostra in feminile aspetto,
e quasi nova Sfinge ha crudi artigli
benché donna nel volto ella somigli.
33Coda ha di serpe smisurata e grande
et ali immense ma poc’alto vola,
dove il piè ferma e l’ombra intorno spande
secca la terra e i fiori e l’erbe invola.
Move prest ala lingua e par che mande
fuori la voce, ma non ha parola,
e in vece di parole esce diffuso
velenoso vapor dal fero muso.
34Stassi nascosto in ampia grotta ombrosa
e notte e giorno a cui vicino è un fonte,
ma s’a lui presso il piede alcun mai posa
tosto per lacerarlo ha l’unghie pronte.
Non val forza di mano, arte ingegnosa,
misero l’uom che col crudel s’affronte,
che con altr’esca mai non si ristora
e solo umana carne egli divora.
35È fama d’infernal vipereo seme
ch’egli nascesse d Megera e Pluto,
o d’altra Furia, che congiunta insieme
col re dell’ombre l’abbia conceputo,
sì brama il sangue e s’ implacabil freme
vago di stragi e sì di mente astuto,
e, quel che nòce più, col fiato fosco
infetta l’aria d’invisibil tosco.
36E certo du dell’empia Argea consiglio
trarlo su dall’abisso all’aria pura
perch’il campo cristian maggior periglio
di morte incontri inaspettata e dura.
Così di Pluto il formidabil figlio
per ubbidir la maga ognor procura,
ora la forza adoprando et or gl’inganni
recare a Baldovin gli estremi danni.
37Veggonsi avanti a le funeste soglie
dove il mostro infernale ha il suo soggiorno
ossa nude insepolte et armi e spoglie,
e l’erbe sparse d’atro sangue intorno.
S’alcun già mai di là passar s’invoglie
né pur l’avviso al campo fa ritorno,
ch’o resta morto in quell’infida valle
o non ritrova per uscirne il calle.
38Non sorse il novo sol dall’Oriente
dal dì sei volte che là venne il mostro,
che molti già de la cristiana gente
giaceano uccisi in quell’orribil chiostro.
Ma pur non fu bastevole il nocente
crudo velen del suo femineo rostro
a dar al morte al buon campion romano
Cesare, ancor che l’abbattesse al piano.
39Giunse il guerriero affaticato e lasso
per rinfrescarsi al periglioso fonte,
quando repente in frettoloso passo
l’orribil drago a lui sen venne a fronte.
Rimane immoti qual immobil sasso
nel rimirar quell’animato monte,
pur cede il gel de la paura e ’l forte
benché senz’armi sa pugnar con morte.
40Senz’armi andò, ché non avea sospetto
da i pagan chiusi d’essere assalito,
né da i cristiani, ché sì reo concetto
non ebbe mai fosse da lor tradito,
sì che pensoso, tacito e soletto
con innocente cor sen gia romito
per piani e colli fin che giunse al fiero
fonte ove ascoso è l’infernal guerriero.
41Pensò cauto affrettar nel mirar tante
orme di morte il fuggitivo piede,
ma come d’alma intrepido e costante
si ferma ancor, ch’alto terrore il fiede,
e ’l tutto osserva e più s’inoltra avante
più sangue sparso e teschi immondi vede,
lancie rotte, elmi franti et ossa peste
di stragi avanzo orribili e funeste.
42Tosto ch’il vide l’affamato drago
esce dall’antro e ’l gran campione assale,
e gli va sopra, di sua morte vago,
con l’unghie percotendolo e con l’ale;
ma benché il batta e dell’artiglio l’ago
gl’immerga al seno e ’l suo velen mortale
gl’inspiri al volto in sì terribil guerra
non però impiaga o ’l cavaliero atterra.
43Ch’all’innocenza sua dal ciel discese
scudo fatale onnipotente mano,
e restar fe’ tutte sue membra illese
e ’l core intatto dal veleno insano.
Stupido il mostro di furor s’accese
restar veggendo ogni suo sforzo vano.
Tentò più volte e cento colpi e cento
raddoppiar volle e sempre offese il vento.
44Ridean gl’Angeli in Cielo e ’l sommo Dio
godea mirar contro virtù l’Inferno
pugnar in vano, e ch’uom sì giusto e pio
prendesse allor l’empie sue furie a scherno.
Fuggì al fin ne lo speco il mostro rio,
e forse in piè per viver sempre eterno
in bocca de la fama il gran campione
e giunse a i lauri suoi nove corone.
45Ma non già tutti di tal grazia degni
fece dal ciel la giusta aita e forte,
e molti pur, non già di vita indegni,
il drago micidial condusse a morte.
Tornato al campo il cavalier dà segniAlteo dà uno specchio magico a Cesare con cui vince il serpente (45,5-74)
nel volto suo ch’orrendo avviso apporte,
e in fretta va dove ritrovi Alteo
pria che ad altri egli narri il caso reo.
46Sospirando dicea: «D’alta mensura
a te ne vengo messagier dolente.
Nato cred’io nell’onda stigia impura
non lungi stassi un micidial serpente,
fra scabre pietre entro caverna oscura
quasi in sua reggia se ne sta lucente,
di squamme d’or tutto coperto, e spande
l’ali oltre ogn’uso smisurato e grande.
47Divorator d’umane carni, o quanti
cadaveri insepolti in su l’arena
ivi mirai! Di corpi agonizzanti
d’ossa e sangue la terra intorno è piena.
Tal ne la bocca d’aliti spiranti
aura crudel che lungi anco avvelena,
solo in mirarlo da lontan nel core
sentii gli assalti del mortal vapore.
48E se non era del divino aiuto
l’alta difesa io rimaneane estinto,
perciò ch’oltre il velen l’artiglio acuto
s’ara di squamma impenetrabil cinto.
mi vide a pena, quasi augel pennuto,
volommi adosso, e m’ebbe in terra spinto,
et è grazia del Cielo e di mia stella
che di ciò possa altrui recar novella.
49Grande e mirabil cosa al suol disteso
vedermi a i colpi suoi bersaglio inerme,
da invisibile man così difeso
che restàr tutte le sue forze inferme,
e in ogni membro e in ogni parte illeso
quanto più l’armi egli avea dure e ferme,
del drago trionfar solo per gloria
di Dio, de la cui mano è la vittoria».
50Tacque, e mostrando inusitati segni
di letizia il gran vecchio a lui rispose:
«Già noto è a me che da’ tartarei regni
uscito il mostro a noi vicin s’ascose,
ma ben dono è del Ciel che egli si degni
faran grazie così meravigliose,
che saper dei ch’il sommo Nume eterno
sol per ben nostro scatenò l’Inferno.
51E se ben molti lacerati e morti
fèro dal mondo in fiero duol partita,
dall’umane miserie in Ciel risorti
n’andàr ben tosto a più felice vita,
né danno fu da sì confusi e torti
sentieri il fare un’improvisa uscita:
così quando con l’uom rassembra irato
più l’ama allor l’imperscrutabil fato.
52Quindi con gioia egual prender conviene
i contrari accidenti et i secondi,
da la provida man del Sommo Bene,
che creò le stelle infauste, astri giocondi,
e s’ora te da pestilenti arene
tratto ha pur salvo è ben ragion ch’abondi
d’alta allegrezza e di gran zelo acceso
or che dal mostro ha il tuo valor difeso.
53Che sa ben Ei qual da tua gran fortezza
sostegno avrà l’incominciata impresa,
e con la mano a coglier palme avvezza
che l’innocenza altrui farà difesa,
che quant’odia i tiranni ama et apprezza
chiunque a debellarli ha l’alma intesa,
godendo ch’or tu prema il tracio orgoglio
e novo onori aggiunga al Campidoglio.
54Ma pria vuol ch’altra impresa e non minore
al fin bramato sia da te condutta,
ch’a te riserva l’infernal furore
vincer del drago in gloriosa lutta.
Dunque t’appresta a non aver terrore
de la sua faccia, ancor ch’orrenda e brutta,
né del veleno suo né de gli artigli
et odi pure attento i miei consigli.
55L’Angelo superbissimo che fuora
dal Ciel precipitò nel centro oscuro,
fu padre al fiero mostro et egli è ancora
a lui simile, e dispietato e duro,
né il figlio men l’ambizion divora,
né meno aspira al Ciel sereno e puro
benché, credendo esser più ch’altri bello,
sia deforme non sol ma iniquo e fello.
56Or se vincer lo vuoi modo possente
darotti, ch’a me noto or ti rivelo.
Non v’è contro il crudel del mio lucente
magico specchio il più terribil telo:
or questo a lui, quando sarai presente
discopri e sciogli immantinente il velo,
e più che puoi l’ardito braccio eretto
alzalo incontro al suo deforme aspetto.
57Quando vedrà de la squammosa veste
il color maculato e il sordid’oro,
e quasi corna le superbe creste
e feccia vil quel che credea tesoro,
tosto fuggir l’ambiziosa peste
vedrai tal sentirà doglia e martoro,
né fuggirà ne la sua grotta dentro
ma dell’Inferno abbisserà nel centro.
58Né creder già ch’il bel cristallo eletto
siasi di tempra che dar l’arte suole
frangibile e terren, ma ben perfetto
sì ch’eterno risplende a par del sole.
Celeste mago, Trimegisto detto,
v’infuse potentissime parole,
et osservando stelle erranti e fisse
gli occulti influssi lor dentro vi fisse.
59Che non a caso tante luci in cielo
volgonsi ognor con vari moti in giro
e nel diurno e nel notturno velo
le lor sembianze i lor be’ raggi apriro.
Or odi pur, che quanto a te rivelo
non sol gli antichi saggi a me scopriro,
ma, benché indegno a lui ministro i’ sono,
lume sceso da Dio me ne fe’ dono.
60Da quello instrutto i’ penetrai che chiuso
il Ciel s’asconde in questa bassa mole,
e che quanto è qua giù scende di suso
e che quanto è là su dal primo Sole.
Appresi ancor ch’il suo bel lume infuso
ne’ più puri elementi albergar suole,
e che in corpo sottil c’ha maggior luce
la divina beltà vie più riluce.
61Però che candidi atomi sinceri
purgati affatto da immondezza oscura
se forman misti poi gravi o leggieri
han più celeste che mortal natura,
e quanto più son puri anco più veri
del Cielo han raggi ne la lor mistura,
e più di Dio somigliano il perfetto,
lume contrario a tenebroso oggetto.
62Quindi sen fugge ombra d’inferno avanti
a questa sfera ch’è di rai ripiena
che troppo orridi sono i suoi sembianti
in paragon di lei ch’è sì serena.
Rimirando se stessa et urli e pianti
sparge sentendo insopportabil pena,
e come cadde già dal Ciel superno
da questo novo Ciel cade l’Inferno.
63or tosto che vedrai sorger l’aurora
diman ti piaccia far a me ritorno;
poi quando il sol già l’oriente indora
n’andrai colà pria che più splenda il giorno.
Uscito il mostro dal suo speco fòra
quando t’assal, girando a lui d’intorno
ergi il chiaro cristalli e rilucente,
perch’in lui si rimiri il fier serpente.
64Rendi poi grazie al gran Motor sovrano
de la vittoria e trionfante al campo
torna qui, dove ogni guerrier cristiano
grazie gli rende ancor del proprio scampo».
Sì parla, e stringe al gran campion la mano
et ei baciolla e nel celeste campo
già spiegava la luna il bianco raggio,
onde partissi a’ suoi riposi il saggio.
65Nel seguente mattin tosto ch’in cielo
del dì comparve il messaggier lucente,
Cesare lieto e pien di caldo zelo
al divin vecchio si trovò presente,
il qual gli disse: «Sotto questo velo
prendi l’arme fatal contro il serpente,
quasi spada invincibile e immortale
la scopri allor ch’il drago fier t’assale.
66Parte il guerrier d’insolito ardimento
ripieno, e prende la più breve via.
Il veglio intanto in passo greve e lento
verso l’amato Baldovin s’invia,
che ben prevede quanto avrà contento
di tal vittoria la sua mente pia,
onde vuol pien d’umanità cortese
far l’impresa futura a lui palese.
67Giunto al gran padiglion ritrova Alteo,
come pur suole orando, il sovran duce,
e poi che sorse: «Di novel trofeo
oggi vedrai per mezzo mio la luce.
Gran turba, e tu nol sai, morta cadeo
de’ tuoi guerrieri e s’altri là s’adduce
ov’ha sua stanza insuperabil mostro
anch’ei morrà nel periglioso chiostro.
68Ma il sommo Dio, c’ha il buon roman difeso
con la potenza sua dal fero artiglio,
destina ancor ch’ogn’altro duce illeso
resti e le schiere tue dal gran periglio,
e pria ch’il sol fia giù nel mar disceso
chiuderà morte il velenoso ciglio
al mostruoso e formidabil drago,
e godi pur, ch’io son del ver presago.
69Anzi ministro a la grand’opra e guida,
guidato pria dal gran Motor primiero,
che mi fa scorta non errante e fida
nel fallace del mondo aspro sentiero.
Cesare fia che trionfante irrida
la stigia rabbia di quel mostro fiero,
con l’arme sol del cristallino scudo
con cui l’Inferno e le sue furie illudo.
70Già già mi par ch’in trionfal sembiante
lieto sen torni vincitor gioioso,
e per tanta vittoria inno festante
formi in suono, qual suole, armonioso,
e che l’alta virtù celebri e cante
del mirabil cristallo e luminoso,
trionfator di Dite empia e superba,
dono de la mia man ch’a te si serba».
71«O di quanto gioir l’alma riempi,»
rispose Baldovin «con la tua voce,
diletto Alteo, che fosti ognor de gli empi
spirti d’Averno distruttor feroce!
Quanto bram’io ch de’ bramati scempi
venga Cesare a noi nunzio veloce,
e con le noti sue dolci e canore
narri ne’ suoi trionfi il tuo valore».
72Dopo non molto ecco improviso appare,
anelante di gioia, il cavaliero,
lieto gridando ad alte voci e chiare:
«Viva quel Dio c’ha sovra ’l mondo impero!
Già vinto è il drago, a pena osò mirare
l’aspetto suo dentro il cristal sincero
che fuggì sibillando e presso l’onda
del ponte aprì voragine profonda.
73Dentro colà precipitò di foco
l’aria empiendo e di fumo e di fetore,
ch’inalzandosi poscia a poco a poco
cangiossi in nube e vibrò lampi fuore.
Un gufo ch’era quivi anco in quel loco
cadde ripien di tenebroso ardore,
e fuor sovra l’arena atre e fetenti
restaro e squamme e varie penne ardenti.
74Ecco il cristal ti rendo; avventuroso
è ben colui c’ha tal difesa in dono».
Qui tacque, e ’l saggio in volto assai gioioso
rivolto a Baldovin disse: «A te il dono».
Poco doppo nel campo alto e festoso
di trombe udissi e dolci lire un suono,
ché vinti dell’abissi i mostri indegni
dier vittoria armoniosi segni.