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L’Oriente conquistato

di Tiberio Ceuli

Canto XX

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.09.15 8:07

Argomento
Invia fuori l’esercito, cessato
il tremoto che pria scosse la terra,
de’ Traci il re, ma col valore usato
l’incontra il campo de’ cristiani in guerra.
Presa è la gran cittate, il re celato
con Casmor fugge, il traditor l’atterra.
Già re de l’Oriente è il guerrier pio,
consola i vinti e rende grazie a Dio.

Gli orientali sono messi in fuga, i Franchi entrano in città (1-69,4)

1Già fermo era il tremoto e l’altro segno
varcato avea del suo meriggio il sole,
né vacillar de la città, nel regno
vedeasi o casa o tempio od altra mole,
onde senza timor, senza ritegno
sen van liber’ognun pur come suole,
né teme più la gente omai sicura
d’appressarsi alle torri o ad altre mura.

2Quindi uscito l’essercito veloce
sen giva incontro alle cristiane schiere,
e ne gli ultimi assalti or più feroce
dispiegava a battaglia armi e bandiere,
e già Bimarte con faconda voce
spinge al pugnar le turbe sue guerriere,
e l’ale de’ cavalli egli dispone
da entrambi i lati, e i fanti in mezzo pone.

3MA Baldovin non è già lento intanto
su ’l gran piano a schierar sua gente armata,
e form’allor dell’uno e l’altro canto
fronte bicorne e l’oste fa curvata,
e lieve scorre intorno e ’l proprio vanto
ramment’a questi e la virtute usata,
a quei l’onor di Cristo, a chi la gloria
del Ciel futura, a chi l’alta vittoria.

4Volar lo miri in quella part’e in questa,
alcun loda, altri avvisa, altri minaccia,
or va lento or s’affretta et or s’arresta,
or con benigna or con severa faccia.
Ma il capitan nemico anch’ei non resta
né vien lento in ozio posi o taccia,
e già pronto risponde al dato segno
da Baldovin, né meno arde di sdegno.

5Sciogliesi allora impetuoso Armonte
dal destro corno con sua gente eletta,
e sovra il gran corsier l’immensa fronte
dimostra al ciel superbamente eretta.
Spinge in guerra sue schiere a ferir pronte
che veloci ne van più che saetta,
ove incontro ne vien dall’altra parte
il gran duce figliol del fier Bimarte.

6Cadder le lancie in mille pezzi al piano
ne’ primi scontri, e benché audaci e forti
ben più di cento il conduttier pagano
vid’estinti cader de’ suoi consorti.
Ma pochi dell’essercito cristiano
fra tanti rischi ivi restàr tra’ morti,
pur tra quei pochi che periro un solo
diè gran perdita al campo e amaro duolo.

7Il famoso Edoardo, a pochi eguale
nel trattar l’armi e in regolar destrieri,
ricevuta nel sen piaga mortale
restò bersaglio de gli Ansichi arcieri,
che mentre a tergo Piramon l’assale
volgesi ardito contro i colpi fieri,
e cacciatolo in fuga in dura sorte
il nemico vincendo incontra morte.

8Ma zuffa più crudel nel manco lato
ferve, ove Armindo è già disciolto in guerra,
che con la sola lancia ha già piagato
ben cinque e morti gli ha sospinti a terra.
Di spada poi ma più di ardire armato,
dentro a i nemici suoi si stringe e serra,
e fa molti cader mentr’ei non cade,
mostro d’alto valor fra mille spade.

9Ma vien superbo a lui d’incontro Ircane,
nato colà di Pango in su i confini,
uom fiero, a divorar le carni umane
avvezzo, e di costumi empi e ferini,
non però il forte cavalier rimane
veggendo i gran perigli a sé vicini,
però che ben dalle sembianze sole
vedea ch’il fier morte o vittoria vuole.

10Quasi leon, con passo greve e lento
su ’l gran destrier viene il feroce assiso,
e fuor per gli occhi insolito ardimento
traspar ne i guardi e nell’immobil viso,
e quand’è a lui vicin, quasi che spento
già l’abbia, il mira con disprezzo e riso.
L’assale Armindo e cala il ferro ignudo,
egli sen ride e tosto oppon lo scudo.

11D’impenetrabil pelle unita e pressa
che fa difesa triplicata e forte
arma l’orribil destra e con l’istessa
impugna breve spada e reca morte.
Gira Armindo d’intorno e a lui s’appressa,
ma quei leggier per le vie brevi e corte
s’avvolge sì che in lui già mai non scende
il colpo, e se pur cala il cuoio offende.

12Il garzon generoso al disusato
valor maravigliando arde di sdegno,
e girando veloce al manco lato
vibra la punta ma non giunge al segno,
ch’in quel momento, a simil rischio usato,
torse Ircane il destrier, ch’umano ingegno
aver sembrava così dotti e lievi
moveva i passi in giri angusti e brevi.

13Doppo lungo pugnar s’arretra ad arte
Ircan, quasi temendo, e fuggir finge.
Segue Armindo e nol giunge e in altr parte
superbo di sua fuga il destrier spinge.
Si volge allor, qual fulmine che parte
veloce da le nubi, e a lui si stringe,
né tempo dagli il libico guerriero
ch’a tempo egli rivolga il suo destriero.

14E ’l destro fianco allor gl’impiaga e passa
con tal velocità che resta illeso.
Liev’è la piaga ma però no ’l lassa
partir invendicato Armindo offeso,
e correndo la spada erge et abbassa
di lancia in modo col gran braccio steso,
e a tutta briglia il suo destrier cacciato
l’urta, e in passando ha ’l collo a lui piagato.

15Passa la punta sotto il mento e allora
sforzat’ei volve al lato destro il viso,
e pria ch’esca la spada in sua dimora
ha mezzo il collo al crudo Ircan reciso.
Cadendo il fier da la gran piaga fòra
manda l’anima e ’l sangue, al fine ucciso,
e mentre fuor di sella esangue resta
l’istesso suo destrieri l’urta e calpesta.

16Doppo ch’usciro in fieri assalti in guerra
così forti guerrier da entramb’i lati,
qual turbine Rosmondo si disserra
con mille dietro de’ suoi meglio armati,
e magnanimo allor corre e si serra
là dove i fanti eran nel suol schierati,
che strett’in ordinanza alle difese
mostran di non temer nemiche offese.

17Qual fiera pioggia che sospinge il vento
talor in faccia al peregrino uscia
denso nembo di strali in quel momento
da gli archi, e sopra a i cavalier feria.
Ma ’l forte stuol non va però più lento
né teme armato la tempesta ria,
e le lunghe aste ch’il nemico abbassa
con gli armati corsieri urta e conquassa.

18Misti e confusi i cavalier tra fanti
fan tra lor strage sanguinosa orrenda,
questi s’arretra e quei si spinge avanti,
chi vien resista e chi vinto si renda.
Al fin volgon in dietro i piè tremanti
e raro è quel ch’anco d’ardir s’accenda,
ché la gente a cavallo estremo danno
porta a i pedon, che mal difesa fanno.

19E di rotti troncon lascia la terra
di corpi esangui e d’aste frante infesta.
Urta e s’inoltra e gli ordini disserra
e questi fa fuggir, quelli calpesta.
Ma sì confusa e impetuosa guerra
a i fedeli guerrier poco è funesta,
che se mille giù cadono i pagani
moiono pochi in paragon cristiani.

20Ma lor d’incontro un grosso stuol s’è mosso
dal campo avverso di cavalli armati.
Stringons’insieme e l’un l’altro ha percosso
ne’ primi scontri, e molti son piagati.
Grand’è la pugna e ’l suol di sangue rosso
egualmente si fa da entramb’i lati,
che qui dimostra il suo valore e l’arte
contro il forte Rosmondo il fier Bimarte.

21Di tutti’il campo conduttier sovrano,
poiché Aronte cadeo, Bimarte impera,
di lui più crudo ancora et inumano
di man, di mente impetuosa e fera.
Questi scorrendo per l’aperto piano
rincora audace or questa or quella schiera,
e con l’opre non men che con la voce
vincer insegna al suo drappel feroce.

22Scelti guerrier dall’un e l’altra parte
combatton qui con generoso ardire,
e con pari fortezza et egual arte
veggonsi ora ritrarsi ora assalire.
or par ch’a questi la fortuna e Marte
arrida, or par che contro quei s’adire;
or piegan questi or quelli, or quasi cede
Rosmondo ora fuggir l’altro si vede.

23Così talor verso l’arene il mare
manda suoi flutti di furor ripieno,
quando l’istessi in dietro poi tornare
veggiam respinti all’oceano in seno.
Non v’è ancor chi prevaglia, e incert’appare
la vittoria; altri fugge a sciolto freno,
altri resiste, e ’l vincitore e ’l vinto
caccia, e spesso da questo è quel respinto.

24Ma tutte in un sol tempo allor disciolse
le squadre de’ cavalli il franco duce,
e, saggio, in quella parte egli la volse
ove opportuno allor soccorso adduce.
Poi seco il fior de’ cavalier si tolse
e, spargendo dall’armi orrida luce,
godea presago di futura gloria
fra i perigli incontrar l’alta vittoria.

25Mentre la gente d’arme in su i destrieri
in vari lochi a guerreggiar si stringe,
de i pedoni al turba i pagan fieri
non meno assale e li circonda e cinge.
Vibran suoi dardi i faretrati arcieri,
chi sasso avventa e chi zagaglia spinge;
chi più ardito s’inoltra e con la spada
il folto delle schiere apre e dirada.

26Urta celebre allor fra le più forti
veneta schiera la nemica gente,
e rota fra le piaghe e fra le morti
vittorioso il ferro suo pungente.
Uniti tutti e in ordinanza accorti
van per mezzo dell’armi arditamente,
e, molti uccisi e rotte arme e bandiere,
non disciolti già mai sciolgon le schiere.

27Già comincia fuggir se non col piede
col timido pensier l’empio pagano,
e tanto più quanto già sente e vede
in battaglia venir lo stuol romano.
Solo al gran nome ei sbigottisce e cede
che farà poi se proverà la mano?
Manca l’ardir, cede al timor lo sdegno
tal d’invitto valor dan certo segno.

28Inalzan tutti alla famosa insegna
fisse le ciglia ad ammirarla intese,
e l’un all’altro da lontan l’insegna
da lei temendo vincitrici offese,
e, pria che con la man, ciascun s’ingegna
col veloce suo piè far sue difese,
ma pur gli arresta il capitan feroce,
e col ferro gli punge e con la voce.

29Ma il gran duce roman con fiero assalto
tronca i suoi detti e su V destrier corrente
vèr lui volando la gran lancia in alto
leva, e in un punto a lui si fa presente;
e, quasi scherzar voglia, in lieve salto
erge il destriero, e l’asta poi pungente
inchinando vèr lui ratto sen viene
e lo getta da sella in su l’arene.

30Tosto morì, perché mortal ferita
lasciò la lancia e gli passò la fronte,
e rossa fuor per l’altra parte uscita
fe’ di tepido sangue un doppio fonte.
Cade il fiero Bimarte e intimorita
mostra le mani al guerreggiar men pronte
l’oste pagana, et oltre più ne passa
l’avviso, più riman debole e lassa.

31Da quel lato del campo in un momento
giunge il timore all’altre parti ancora,
spargesi, e cresce più l’alto spavento,
fatto più grande da la fama ognora.
Tal di peste il velen, che sempre intento
a nove prede il suo vicin divora,
quanto camina più fassi più grande
e l’aure infetta e si dilata e spande.

32Volgono indietro fuggitive il piede
le folte squadre e sì il timor le caccia
che in tanti e tanti né pur un si vede
al cristian vincitor volger la faccia.
Così la fanteria già ’l campo cede,
né giova s’altri sgrida o là minaccia,
ché nessun ode e nel turbato core
altro duce non ha che ’l suo timore.

33Rotti gli ordini suoi mal si difende
dall’impeto nemico il tracio campo,
e quanto più salvar la vita intende
più trova al viver suo ruina o inciampo;
e se pur salvo da i pedon si rende,
da i veloci corsier non trova scampo,
e più sciogliendo alla sua fuga il morso
affretta più de i vincitori il corso.

34Quei che primi fuggìr verso le mura
già son raccolti entro l’amiche porte,
gli altri o prigioni o da catena dura
con la sua falce liberati ha morte.
Cresce nella città l’alta paura
e i vili assale et ogni cor più forte.
Ma ’l re, ch’il tutto d’alta torre spia,
novo soccorso a i cavalier invia.

35La romana Lavinia erasi in tanto
tumulto sciolta dalle sue catene,
e cinta ad arte di servile manto
da la cruda prigion fuori sen viene.
Ma pur celar non può la luce tanto
dell’angeliche sue luci serene,
che non sia discoperta e in gran periglio
giunge al fin là dov’è Cesare il figlio.

36Tosto che lei rimira il gran guerriero
placido fatto in mezzo all’ire ardea,
d’amor, di gioia, e sovra il suo destriero
donde è già sceso egli salir la fea.
E pria che l’altro ascenda il cavaliero
la propria spada al fianco le appendea.
Presane un’altra poi di tempra eletta
lieto seguia la madre sua diletta.

37Ella sen va con la disciolta chioma
qual nova Semiramide in battaglia,
né da tante sciagure afflitta e doma,
quasi da nube fulmine si scaglia,
mostrando allora trionfante Roma
ne’ figli suoi quanto in valor prevaglia,
e ch’estinti non son gli aviti onori
e, se sfrondati, non secchi gli allori.

38Ma già ritornan nell’aperto campo
quei che si ricovrar nell’alte porte,
e con lor tutto de i pagani il campo
sen vien di novo a ritentar la sorte.
Sì rinforzati a lor vittoria inciampo
non temon, sotto due famose scorte,
l’uno il perso Arbazane, Alisse è l’altro
che guida i greci in guerra usato e scaltro.

39Forman di cavalier doppio squadrone
per prova far dell’ultima fortuna.
Rosmondo a questi, Armind’a quel s’oppone,
e qui ’l fior tutto ed i guerrier s’aduna,
e qui son quei che dal Settentrione
manda il Danubio e qui di Gallia alcuna
schiera più forte, e Cesare e la madre,
e tutte seco le latine squadre.

40Vengon poscia altri Itali et Angli in fretta,
crescon le schiere ognor franche e germane,
tutta s’unisce qui la gente eletta
bramosa d’incontrar l’armi pagane.
Sol non vien ch’in battaglia anco s’ammetta
il forte stuol de le donzelle ircane.
Ma già venuto è l’un de l’altro a fronte,
già son le squadre a la battaglia pronte.

41Vedi al suon de le trombe i cavalieri
calar giù le visiere in un istante,
lentar i freni a i rapidi corsieri,
chinar le lancie e correr tutti avante.
Odi orrendo fragor ne’ scontri fieri,
vedi lacere teste e membra infrante;
e fra pioggia di sangue al suo cadere
piume, fregi, elmi e scudi, aste e bandiere.

42Furo egualmente in loro incontri audaci,
pur on serbò strett’ordine il pagano,
e in breve tempo lo squadron de’ Traci
aperto fu da lo squadron cristiano.
E ’l greco duce i suoi guerrier fugaci
sgridava in tanto e richiamava in vano,
onde pria che fuggi, vile e negletto,
offre in battagli disperato il petto.

43Gode incontrar la morte, anzi l’irrita,
e pur mort egli nega il fato avaro,
che a suo dispetto lo riserba in vita
perché s’allunghi il suo tormento amaro.
Cerca sol fra tant’armi una ferita
e nel gran duol solo il morir gli è caro,
e un colpo sol fra le nemiche spade
brama, né trova alcun ch’in lui pur bade.

44O fosse che d’assalitor sembianti
ei non mostrasse al lagrimoso aspetto,
o che fra tanti guerrier misto e tanti
nessun avesse il guardo a lui diretto,
benché allor fessi a mille rischi avanti
contro sua voglia a viver fu costretto,
che nemica fortuna a lui negava
la morte, perché morte egli bramava.

45Torna al fin fra sue fuggenti schiere,
com’egli pur a riunirle aspiri,
ma quelle accolte sotto le bandiere
avvien che l’infelice or più non miri,
anzi molti fuggir, molti cadere
vede Greci non sol ma Persi e Siri,
e sol mira Arbazzan sue genti pronte
ch’aduna e spinge e mostra anco la fronte.

46Allora gela d’invidia, arde di scorno
il greco duce, e pochi suoi guerrieri
raguna, e in fretta in guerra fa ritorno
benché sol morte e non vittoria speri.
Ma poco va che circondato intorno
è da cavalli e da pedoni arcieri
resta con Arbazan, sì che gli avanza
a pena di fuggir qualche speranza.

47Elmondo intanto, che su ’l pian gelato
del mar combatte con diversa sorte,
ha in fretta un messo a Baldovin mandato
perché opportuno a lui soccorso apporte,
poiché gente improvisa ha da quel lato
mandata il re pagan fuor delle porte,
e s’aiuto ei non manda o in fuga spinte
o pugnando saran sue schiere estinte.

48Il saggio capitan tosto gl’invia
con fanti e cavalier lo stuol germano,
gente feroce e per virtù natia
intrepida di cor, forte di mano.
Così ’l tutto dispone e non oblia
il periglio vicino, anco è lontano,
e quasi alma del campo in lui s’infonde
e in ogni parte il suo vigor diffonde.

49Ma delle belle amazzoni la guida
Talestre più soffrir non puote
ch’il famoso suo stuol lento s’assida
quasi in vil ozio con sue schiere immote,
e già davanti a Baldovin si guida,
e in breve dir le brame sue fa note,
et egli unite al forte stuol germano
le invia colà nell’agghiacciato piano.

50Lasciaro il lido e in breve tempo giunti
per lo breve sentier veggonsi in campo,
e forman, con Elmondo allor congiunti,
tosto uniti a sue schiere un solo campo,
«Or che son tai guerrieri a i nostri aggiunti,
l’ostinato pagan non avrà scampo»,
diceva Elmondo, e su ’l destrier veloce
or parlava co’ gesti or con la voce.

51Ma ’l magnanimo stuol che da gl’ircani
lidi sen venne in volontaria guerra,
si discioglie il primier contro i pagani
e con pronto valor si stringe e serra.
Volan correndo con lunghe aste in mani
che con forza viril ciascuna afferra,
le scaglian poi qual fulmine e qual lampo,
spariscon poscia e tornan dietro in campo.

52Vibran zagaglie sì possenti e forti
che potran seco ognor piaghe mortali,
e da le belle man volan le morti
ne’ petti altrui dell’aste lor sull’ali,
e se cento pagan restano morti
non moion venti di guerriere tali,
perché l’asta vibrata elle van lunge
così ch’a pena il dardo poi le giunge.

53Seguon talor le fuggitive in vano,
d’ira e di scorno i feri Traci ardenti,
e, benché velocissimi, lontano
si trovan pur da i lor destrier correnti.
Arman le fiere amazzoni la mano
di novo allor con l’aste lor pungenti,
e tornando a pugnar con pari gloria
combattendo e fuggendo hanno vittoria.

54Fra lor rigori un non so che che piace
gli amici alletta e l’inimici ancora,
e nel mirar la bella schiera audace
d’alcuna d’esse alcun pur s’innamora,
e vorria dalla cruda o tregua o pace
e pur verrà forse per lei che mora.
Ma pur raro è ’l cristian che non guerreggi
e nel rischio mortal d’Amor vaneggi.

55Corrono intanto con le chiome sparte
le guerriere donzelle ognor più invitte,
né le saette temono di Marte
né da i dardi d’Amor restan trafitte,
e lasciando talor di fuggir l’arte
varie schiere assalendo hanno sconfitte,
et or con la bipenne or con la spada
fan che lo stuol de’ più forti a terra cada.

56La bellissima Artesia è qui fra tutte
de lo stuol feminil la più feroce,
d’agili membra a i lievi salti instrutte
quasi abbia l’ali sovra i piè veloce.
Saggia fra quante s’eran qui condutte,
famosa assai per la faconda voce,
forte di man, magnanima di core,
di beltà nobil mostro e di valore.

57Questa, ch’è ben della regina Arsite,
che su le forti amazzoni ha l’impero,
degna nipote, con sue lancie ardite
più d’ogn’altra mostrò valor guerrieri,
né sempre già nell’avventar ferite
torse in fuga veloce il suo destriero,
ma spesso ancor con la fatal bipenne
a più d’un cavaliero a fronte venne.

58Non restan saldi elmi od usberghi o scudi
sotto al suo ferro orribile e pesante,
che taglia e spezza e passa a i membr’ignudi
e cader fa guerrieri et armi infrante.
Sol da’ suoi colpi impetuosi e crudi,
benché scosso e ferito, il mauro Organte
par che non tema il paragon e al fine
con lieve piaga insanguinolle il crine.

59Ma i feroci German, de le donzelle
quasi ad onta recandosi il valore,
con esse a gara ne le genti felle
s’inoltran con magnanimo furore,
et abbassan le lancie e dalle felle
mandan chiunque a lor s’oppone fuore,
e dan d’impeto tale assalto orrendo
che chi non fugge cade allor morendo.

60Vittorioso Elmondo, ancorh’estinti
vede non pochi de’ guerrier cristiani,
i suoi raguna e con bell’arte spinti
tutti in un punto ha ne i guerrieri pagani.
Corrono dietro i vincitori a i vinti,
sdrucciolan molti ne i gelati piani,
ma se cade il cristian spesso è risorto
ove il pagan resta o prigione o morto.

61Così da tutti i lati or la cittate,
sconfitti i suoi guerrier, resta indifesa,
e a tal miseria è giunta lor viltate
ch’è la fuga a i pagan scarsa difesa.
Di ferro sì ma non d’ardire armate
restan le turbe e non san fare offesa,
disfatte e sparse e rare son le schiere
di fanti o cavalier ch’alzin bandiere.

62Cesare allora i suoi cavalli a volo
spinge quanto più può verso le mura,
e scelto anco de’ fanti invitto stuolo
co’ suoi Romani il primo entrar procura,
ch’in più d’un loco il gran tremor del suolo,
benché sassosa, aprì strada sicura,
et or ch’al fin senza difesa resta
più facile si varca e si calpesta.

63L’invitta genitrice al dubio varco
non men veloce il gran figliol seconda,
benché il petto di ferro in tutto scarco
sol la veste servil copre e circonda;
ha sol la spada nella mano e carco
di scudo il braccio e d’alta speme abonda,
che ben sa come intrepida di core
che non lieve difesa è gran valore.

64Già son sotto le mura e già da i sassi
pronta la gente a piè sgombra il sentiero,
che in brevissimo tempo agevol fassi,
poiché intent’è ne l’opra ogni guerriero.
Ma perché più d’un varco aperto stassi
ch’aprì già ruinando il muro altero,
da gl’intoppi ogni via sgombrando vanno
e fervidi nell’opra intorno stanno.

65Sovra l’alte ruine il gran romano
s’inoltra, e debil resistenza trova,
e s’alcun v’è, la vincitrice mano
fuggono tutti immantiente a prova.
che, diradato assai lo stuol pagano,
più ch’il pugnar solo il fuggir qui giova,
e temendo ciascun mostrali scempi
s’asconde ne le torri e dentro i tempi.

66Passano allor su i dirupati muri
vittorïose le squadre latine,
e trovano i sentier sgombri e sicuri
che fuggìr tutti i difensori al fine.
Par che nessun pugnar più s’assicuri,
indifeso lasciando ogni confine.
Precede a tutti Cesare davante
e sale su le mura in quell’istante.

67E di man tolta al fido alfier non tardo
pianta colà la vincitrice insegna,
e spiega al vento il trionfal stendardo
che su nel Cielo e nella terra regna.
Volgon diverso i duo gran campi il guardo,
chi gode a sì gran vista e chi sdegna.
Al vento intanto egli si volve e gira
e l’Asia tutta a sé soggetta mira.

68Tutte in quel punte allor Bizanzio vede
le schiere entrar per l’espugnate porte.
Ciascun fuggendo al vincitor già cede,
fuggon le turbe e appar di lor le scorte.
Entra Rosmondo e Baldovino, il piede
movon sopra le genti esangui e morte,
e scorron già per le solinghe strade
e s’alcun pur resiste estinto cade.

69Ma pochi son che, disperati, il petto
offron a morte in disegual tenzone,
poiché ciascun, da la gran tema astretto,
sol nel celarsi ogni sua speme pone.
Fugge anco Alessio dal regal suo tettoAlessio fugge, Casmoro lo segue e lo uccide, quindi ne mangia le spoglie (69,5-83)
e già posto ha in oblio le sue corone,
e solo fugge e nessun brama insieme,
né men gli amici che i nemici teme.

70Casmoro in tanto, che nel gran periglio
già si vedea della sua vita in forse,
con simulato e perfido consiglio
lui rintracciando, al re fuggente accorse,
e in atto di pietà dal mesto ciglio
lagrime finte e traditrici estorse,
pregandol a fuggir del Ciel lo sdegno
e seco ricoverarsi entro il suo regno.

71Ma già stende la notte il nero manto
tante stragi coprendo e tante morti,
e già il pietoso vincitor intanto
vuol ch’il popolo suo si riconforti.
Già divulga la tromba in lieto canto
regal editto onde ciascun s’esorti
a impietosir ne i vinti et a dar fine
a gli assalti, alle stragi, alle rapine,

72vietando altrui, di morte ancor con pena,
usar co i disarmati ostili offese,
mentre egli stesso placida e serena
dimostra a i vinti suoi fronte cortese.
Apparve allor tutta di gioia piena
l’alta città quando tai detti intese,
e benedì sì memorabil giorno
in cui pietate a lei fece ritorno.

73Osman intanto, come avea desio
e come il saggio Baldovin gl’impose,
in traccia va del re spietato e rio
né trovar può dov’il crudel s’ascose,
ché da quell’ora in cu novella udio
che fur sue schiere rotte e sanguinose,
a tutti s’involò fuor ch’al feroce
Casmoro, ch’a lui parla in cotal voce:

74«Non dubitar, signor, ch’io sono accinto
in tua difesa, e sarò sempre teco,
né sempre forse il vincitor del vinto
si riderà. Vienne pur lieto meco,
ch’al fin, se ben fortuna oggi ha te spinto
sol per salvarti in questo oscuro speco,
che sii chiuso in prigion non però parmi,
e ben potrem un ì riprender l’armi.

75Dimane intanto or ch’impetrita ha l’onda
andremo a piè peregrinando in mare,
poscia per terra, e ben avrem seconda
fortuna, ancor che tanto irata appare.
Sol la sembianza amabile e gioconda
d’Alinda or ben ne può riconsolare;
conserviam questa e nel lungo viaggio
ella ne sia di Cinosura il raggio.

76E se nel regno mio forse non curi
venir, non è lontan l’egizio regno,
in cui viver ben puoi giorni sicuri
senza temer del fier cristian lo sdegno.
Colà del Cairo entro i superbi muri
potrai posarti et acchetar l’ingegno,
e se ivi non vorrai fermarti in pace
nova impresa tentar, come a te piace.

77Unirem nove genti a nova guerra,
Africa, Egitto a te daran tributo,
navi per mare, esserciti per terra
movremo; il ciel dar deve a i forti aiuto».
Così finge il feroce e copre e serra
sotto il manto d’amor l’animo astuto,
et a dar posa a suoi pensier l’invita,
e in suo scampo promette espor la vita.

78Se ’l crede l’infelice e non avendo
altro aiuto gli sembra alta ventura,
e meno afflitto entro lo speco orrendo
giacque in fin che durò la notte oscura;
piangea spesso Casmoro a lui dicendo
ch’assai doleagli di sua sorte dura.
Ma l’alba a pena in Oriente sorse
che ’l guidò seco e sovra ’l mar sen corse.

79E nell’incerta luce ignoti andaro
s l’onda non più instabile e infedele,
et affrettando il piede il mar passaro
senza mai porre in opra o remi o vele.
Ma quando al fin su lido il piè fermaro
cercò loco opportuno il re crudele
al suo disegno, e dentro un antro ascoso
in un bosco prendean cibo e riposo.

80E perché Alessio avea passato molte
noti ognor vigilando in sua difesa,
tosto nel sonno fur sue luci involte
e pur quiete, ancor ch’amara, ha presa.
Ma già l’armi Casmoro in lui rivolte
gli passa il petto con mortale offesa,
ch’al suo spirto tiranno apre due porte
più che di vita assai degno di morte.

81Dice allora ad Alinda: «Ecco il ladrone
di tutta l’Asia e del mio bel tesoro
estinto già, non che di sue corone
spogliato, eccol già preda al tuo Casmoro.
mira fortuna come già propone
degno cibo il re d’Asia al rege moro,
né credo già rifiuterai tal esca
e che ’l patrio costume a te rincresca.

82Alinda, nel suo cor qualche pietate
benché sentisse dell’amante estinto,
fingendo gareggiò di crudeltate
col suo Casmor che a divorarlo è accinto.
Così aprendo la bocca all’esche usate
il dì seguente e ’l giorno quarto e ’l quinto,
di lupi in guisa in solitaria arena
di regia carne ebber la mensa piena.

83Quasi muto sepolcro in quella oscura
grotta infrante restàr l’infelici ossa,
prive di nome in su l’arena dura
e de gli ultimi onor prive e di fossa.
Così contro i giganti il Ciel congiura
quando seco fa guerra umana possa,
scettro real ch’al suo voler si oppone
frange, e in polve riduce auree corone.

Baldovino ringrazia Dio e prende provvedimenti in favore del popolo (84-97)

84Ma nella reggia del tiranno oppresso,
ove, grazia del Ciel, pietà sol regna,
novelli indulti ha il novo re concesso,
ché incrudelir ne i vinti suoi si sdegna.
Per ministri fa grazie et egli stesso
ancor l’ultima plebe udir si degna,
ché sa qual pregio è il titolo di pio
e che vero re è chi somiglia a Dio.

85Passa la fama alle città soggette
come in Bizanzio il novo re s’onora,
ma passan con la fama alle dilette
misere genti i benefici ancora.
Sol brama altrui giovar, né già ristrette
tien sue ricchezze o povertà divora,
né vuol, re sol di nome in volto amico,
regnar ne l’opre al popol suo nemico.

86Egli non sol vuol la città regale
ma ristorar le più remote genti,
ché ben sa nel suo regno e quanta e quale
la turba sia de’ miseri languenti,
e più che del suo ben dell’altrui male
prende la cura, e se già sì dolenti
furo sotto inesorabile tiranno
con sua pietà vuol compensare il danno.

87Invia dunque Rosmondo e ’l saggio Alteo
de le sue grazie tesorier ben degni,
ch’alzando il giusto et opprimendo il reo
vadan pur tutti a visitar suoi regni,
e che in vece d’alzar arco o trofeo
mostrin di sua pietà ben certi segni,
de i gravi pesi onde giù fu sì carco
il suo popol rendendo in parte scarco.

88Dice poscia ad Ifacio, il qual festoso
gode a sue glorie ancor che lui non veda:
«Ben tempo è omai che prenda tu riposo
da tanti affanni, et in tua reggia rieda,
e che compagno benché grave e annoso
meco ancor tu nel regal soglio sieda.
Sì vuol ragion, e sol di ciò mi duole
ch’a te render non posso i rai del sole».

89Piange Ifacio di gloria e in lieto volto
dice: «O signor, chi tua pietà già mai
potria lodar a pieno? In te rivolto,
sì cieco ancor, di virtù veggio i rai.
Per te da ceppi e da catene sciolto,
resa la vita e libertà tu m’hai,
sia tuo lo scettro e ben ne sei tu degno
che picciol premio al tuo gran merto è un regno».

90Poi, benché a Dio del trionfale onore
rese ha già grazie, in suoi pensier rinchiuso
il pio guerrier del suo devoto core
dar già publici segni egli ha concluso,
e già ’l tempio maggior tutto di fòre
s’adorna e dentro ed’ fedeli all’uso,
ché a Dio le lodi nel teatro adorno
vuol che si cantin nel seguente giorno.

91E sorse a pena la novella luce
ch’alto rumor nella città s’udia.
Mentre ognun pronto per mirar s’adduce
la nobil pompa e piena è già ogni via,
egli fra tanto e seco ogni altro duce,
dall’auree stanze in lieto aspetto uscia,
e mentre passa per ministri allora
a i miseri meschin la mano indora.

92Esce poi da la reggia e in alto eretti
trova spesso in passando archi pomposi,
che più che d’or d’ossequiosi detti
ricchi gli alzaro i popoli festosi.
Carchi i balconi son, ripieni i tetti
di folta gente, e donne e vecchi annosi
e teneri fanciulli, e qui ridutto
in sì grand’allegrezza è il popol tutto.

93Ei su ’l destriero alteramente assiso
sen va sublime in placido sembiante,
con maestà ma con benigno viso
che addita il cor del commun bene amante.
E talor anco in amichevol riso
invita a sé qualche mendico errante,
e con pietosi detti il riconforta
et a chieder che brama anco l’esorta.

94Così va lungi da le regie porte
verso il gran tempio in umil manto e schietto,
e l’accompagnan allor con fide scorte
stuol di guerrier numeroso e stretto;
ma di tant’armi sue guardia più forte
gli fa l’amor del popolo sogetto,
e la turba ch’a lui d’intorno inonda
più che muro il difende e lo circonda.

95D’applauso popolar voce festiva
lita gl’invia l’ossequiosa gente,
che dice spesso replicando: «Viva
il gran liberator de l’oriente!».
Modesto in tanto egli in sembiante e priva
d’alterigia non men serba la mente,
ché saggio avviso alta virtù gl’insegna
come al publico ben servo è chi regna.

96Entra nel trionfal sacro soggiorno
e ciascun vien ch’in rimirarlo il laude,
e s’ode allor grand’armonia d’intorno
che di sua gloria a Dio dà gloria e laude,
mentre Bizanzio a sì felice giorno
et Asia e Libia e tutta Europa applaude,
e la fama canora in suo giocondo
ne dà lieto l’avviso a tutto il mondo.

97Vengon le genti all’auree porte a stuolo,
angust’è ’l tempio al popolo raccolto.
Cangias’in gioia ogni passato duolo,
ciascun del nuovo re s’affissa al volto.
Ei, chino il capo, alza la mente e solo
ha il sublime pensiero in Dio rivolto,
e non curando umane pompe allora
il Ciel contempla e ’l sommo Nume adora.