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Delle guerre de’ Goti

di Gabriello Chiabrera

Canto I

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.09.15 8:42

Proemio (1-4)

1Musa, dimmi ’l valor del cavalliero
che vinse i Goti e le lor schiere armate,
quando Narsete a pro de l’alto impero
tornò la bella Italia in libertate;
come egli, omai de la vittoria altiero,
avesse incontra feminil beltate,
e ’l re spegnesse e i maggior duci, errando
gli altri, lasciasse de l’Italia in bando.

2Tanto dimmi di lui, mentre non osa
mia lingua risuonar sovrani onori,
né cantar le vittorie, onde gioiosa
s’orna la Dora d’immortali allori,
ché le battaglie per cui lieta or posa
Italia, tolta a i marziali ardori,
i Vermandi, la Somma opre non sono
da poco noto et ancor debil suono.

3Tu, di cui tante meraviglie ha sparte
fama in su ’l fior de’ più verdi anni tuoi,
Carlo, che Febo in questa etate e Marte
richiami glorioso a gli onor suoi,
mentre co i nomi de le antiche carte
tempro la cetra pe i tuoi chiari eroi,
di cui secondi e già pareggi ’l vanto,
l’imprese ascolta di Vitellio intanto.

4Or donde mosse a di sgombrar l’orrore
che d’ogn’intorno avea Roma dolente?
E chi tanta gli diè forza e valore
che sol spegnesse la nimica gente?
Questi fu Dio, che volse al gran dolore
del pio Narsete la pietosa mente,
e di sua fede et umili preghiere
raccolse il suon de le beate spere.

Narsete riceve il rifiuto del re di Francia alla sua richiesta di aiuti (5-18,4)

5Ei, chiamando l’Italia a miglior stato,
di Roma il giogo avea disciolto a pieno,
che mal fu forte Totila spietato
su ’l bel principio a ritenerlo a freno:
or nuovamente ne la Puglia armato
a Teia incontra si veniva a meno,
onde scampo cercando al gran periglio
chiedeva spesso a i cavallier consiglio.

6Et ecco il buon Leonzio, il quale in pria
fu per aita del romano impero
per molto lunga e perigliosa via
al tiranno de i Franchi messaggiero;
lui chiama il duca disioso e spia
l’opra de la richiesta e del sentiero,
e con sembianze di dolore asperse
le labbia accorte in queste voci aperse:

7«Dopo trascorse region nemiche
fra spaventi di strazi e di rapine,
superati i perigli e le fatiche
fummo davanti al fier Tebaldo al fine.
Ei, nel paese ch’a sue terre antiche
giunse, dianzi d’Italia, in su ’l confine,
molti suoi stuoli e di stranieri molti
a fiero uso di guerra avea raccolti.

8Qui, mentre affanna e con pensier provede,
non breve spazio il mio desire affrena;
pur dopo alquanto a sé mi chiama e chiede
che tenor di fortuna a lui mi mena.
Allor io di tuo stato e di tua fede
fo verso lui chiara notizia e piena,
e di soccorso il priego e rendo ’l certo
ch’andran di pari il guiderdone e ’l merto.

9Et ei rispose: – S’a pregarmi or prende
il buon Narsete, e mio favor procura,
strano non dèe ch’a ciò discenda
chi sorte incontra disdegnosa e dura;
ma quei che giova o l’altrui stato offende
deve diritto a la ragion por cura.
Or pensa tu s’a i vostri prieghi
giusto è che porga o che soccorso i’ nieghi.

10L’armi vostre e le genti, onde bramate
omai tratti a l’estremo, alcun sostegno,
sono da i Longobardi accompagnate
vèr cui nudrisco inimicizia e sdegno.
Così voi dunque le mie forze armate
a pro de i miei nemici e del mio regno
e vinti ricorrete al valor mio,
di cui vincendo v’ha pigliato oblio?

11Poi se Zenone per lo tempo antico
contra Odoacro, che duo regi ancise,
sospinse nell’Italia Teodorico
et ivi i Goti guerreggiar permise,
perché l’imperio, a lor fatto nemico,
oggi contende ciò che già commise?
Io per me là non sono per mover l’armi
ove non oda la ragion chiamarmi -.

12Tal diè risposta a i caldi preghi toi
con finta scusa il barbaro tiranno,
et io poi trassi da la bocca a’ suoi
ch’a pro de i Goti le lor armi andranno.
Or quinci nostro stato intender puoi,
signor, co ’l rischio del futuro affanno».
Qui tacque, e gli occhi in terra il duca fisse,
indi a’ suoi volto alteramente disse:

13«Troppo era pur se la malvagia gente
al sacro impero allontanava aita,
senza schernir, senza recarci a mente
occulta froda di pietà vestita.
Or poi ch’in duro tempo indegnamente
nostra speranza è per costor tradita,
che schermo puossi ritrovar che scampo,
dite, o compagni, a l’affannato campo?

14Né l’alta voglia a l’alma Esperia amica
men ne i cor vostri, o coraggiosi, vegna
perché l’infido vaneggiando or dica
che in legitimo giogo altri la tegna.
Egli in mentir la veritate antica
pietosa scusa a i falli suoi dissegna,
ma chi non sa quando d’Italia sia
fatto il goto tiranno e per qual via?

15Non mente già che ’l Correttor del mondo
su ’l Tebro i Goti a guerreggiar spignesse,
ma ’l consigliò disir che dal profondo
Roma d’angoscia e di viltà sorgesse,
non ch’ella sotto a giogo vil secondo
barbara fatta in servitù cadesse,
e nimica al pastor ch’in lei s’annida
fosse a la fé de la salute infida.

16Di qual error non n’ha recato essempi
la turba vil d’origine mal nota?
D’empia dottrina ha fatto scola i tempi
a rubellar la nazion devota.
Calcati i buoni e sollevati ha gli empi
dal bel sentier de la virtù remota,
e schiva di dannar l’appreso stile
i gran messaggi ha de l’imperio a vile.

17Contra furor sì barbaro e sì strano
che più dritto o più ragion s’aspetta?
Ma se fin qui fu nostra forza in vano
a racquistar la region diletta,
forse è però che la celeste mano
move assai lentamente a la vendetta,
o verso me de i falli miei sdegnato
a tanta gloria non mi chiama il fato.

18Ma se pur Tu, che i nostri error correggi,
il nostro danno per me sol consenti,
nuovo rettor, nuovo ministro eleggi,
e n’aggian pace le romane genti».
A quel parlar ne gli onorati seggiIl consiglio di guerra dà a Narsete pareri discordanti (18,5-27)
ster queti alquanto i cavallier prudenti,
quasi tenuti da cordoglio a freno,
indi dier voce dal profondo seno.

19Surse Giovanni, c’ha di Faga il nome,
nobile e glorioso cavaliero,
a cui più volte le più gravi some
furon commesse del romano Impero,
ma con l’etate e con le bianche chiome
fatto era mansueto il suo pensiero,
e schivo de l’imprese perigliose
questa sua mente in quete voci espose:

20«Il vostro stato e la fortuna estrema
ove, o Narsete, ci troviam sospinti,
e de l’ultimo danno ultima tema
mi fa parlar di noi come di vinti.
La nostra gente in molta parte è scema,
e noi con torri da i nemici cinti
possiamo mal fuor de i ripari uscire
né per battaglia far né per fuggire.

21La gente presso a noi non ha possanza
tal che deggia a la guerra avventurarsi;
se soccorso aspettiam di lontananza
non so come da noi possa aspettarsi.
In misero stato or qual avanza
consiglio che per uom debba pigliarsi
salvo che de le cose omai perdute
parte salvarci e procurar salute?

22Or ciò la somma è di consigli miei,
vorrei di pace ritrovar qualch’arte,
né l’Italia donar schivo sarei
a l’inimico tributario in parte.
Forse ch’ei, stanco de i travagli rei,
fia sazio de i pericoli di Marte,
e quinci sottrarrai con picciol danno
da morte noi, l’imperador d’affanno».

23Così diceva, e ’n così fatti accenti
egli porgea consiglio al capitano,
ma ’n sé mirando i cavalier intenti
mosse a parlar Cosmondo il Persiano.
Questi, pur vecchio ma di spirti ardenti,
e già feroce in gioventù di mano,
avea grave dolor che si seguisse
la sentenza del primo e così disse:

24«Io non vo’ misurarti ogni ragione
né farti lungo giro di parole,
a mostrar che l’intesa opinione
da te, Narsete, rifiutar si vuole.
Tra quelle che stimar si devon buone
io ti vo’ ricordar queste due sole:
ch’ella seco non ha se non vil cosa,
e c’ha l’imperador sarà noiosa.

25Io so ben ch’a la tua gran potestate
e la pace e la guerra egli ha commessa,
e c’ha commessa a la tua gran bontate
l’imperador la sua possanza istessa,
pur s’ei ti rimanda con le genti armate
a liberar la bella Italia oppressa
stima s’egli udirà senza alcun sdegno
ch’al inimico n’abbia dato il regno.

26E s’or per molti casi acerbi e strani
è nostra sorte in guerreggiar peggiore,
cosa non è da cavalier romani
consigliar ne i rischi co ’l timore.
Io per me loderei che con le mani
parimente ciascuno armasse il core,
e potrem forse rimaner felici
ad onta de la sorte e de i nemici».

27Qui tacque, indi ciascun de i cavalieri
secondo l’orme di costor favella,
ma Narsete, distratto in gran pensieri,
né questa opinion ferma né quella;
scieglie il consiglio, e de i miglior guerrieri
le guardie per la notte ei rinovella,
e poi ch’è ritornato al padiglione
manda a i notturni alberghi ogni barone.

Narsete prega Dio, il quale manda Gabriele ad un eremita perché conduca Vitellio in guerra (28-46)

28Et ei frale avisando ogni valore
de le terrene forze al caso rio,
pieno di viva fede inalza il core
e piega le ginocchia inanzi a Dio,
e gli dice: «Signor, nel tuo furore
non voler giudicar su ’l fallir mio,
ma volgi i rai de la pietà infinita
a Roma tua che ti domanda aita.

29Ella pur dianzi de l’iniqua gente
in parte ha racquistati i pregi soi,
ora di novo misera e dolente
è per languir e per perir con noi.
Deh torniti, Signor, torniti a mente
ch’è fatta stanza de i vicari toi»;
così co ’l corpo e con la mente inchino
pregava aita dal favor divino.

30Ancor dicea che numerosa schiera
d’Angeli pietosissimi e di santi
forza crescendo a la mortal preghiera
al Re del Ciel se ne volaro avanti.
Egli a punir la gente iniqua e fiera
commosso fu da quei devoti pianti,
e sopra il Vatican rivolse il viso
e si fe’ tutto lieto il Paradiso.

31Et indi fra l’angelica famiglia
ch’in lui mai sempre tien lo sguardo intento,
in verso Gabriel gira le ciglia
egli fa manifesto il suo talento.
L’Angelo ubidiente il volo piglia
con l’ali onde trascorre in un momento,
e se ne viene in terra a far palese
ciò che nel volto del Signor comprese.

32Su ’l confin de i Tirreni aspre montagne
alzan giogo durissimo espedito,
il qual, perché si vestan le campagne
non mai si vede verdeggiar fiorito;
quivi devoto et umile si piagne
le mortali miserie omo romito,
e prende a scherno in quelle dure asprezze
le mondane delizie e le dolcezze.

33A costui cala dibattendo i vanni
l’Angelo, e parla con sembiante umano:
«A te fia scorto il cavallier Giovanni
detto dal genitor Vitelliano,
Dio vuol ch’ei scenda a ristorar i danni
di Roma e de l’essercito romano:
tu ragionando infiamma il so disio
a porre in opra il gran voler di Dio.

34Ei qui si l’Alpi l’inimico aspetta
per farsi incontra a traversar la strada,
ma ne la Puglia ei trapassato affretta
perché Narsete abbandonata cada.
Digli tu ch’ei s’accinga a la vendetta
che dal Cielo è commessa a la sua spada,
e vada a governar l’armato stuolo;
là per questa ombra ei fia condotto a volo.

35Ciò detto spare e ’l volo suo riprende
e batte in vèr l’essercito latino.
E bene il santo vecchiarel comprende
al disparir ch’è messaggier divino;
ei con la faccia a terra si distende
et a Dio prega, umilemente inchino,
che de l’alta sua grazia or gli provegga
e nel fornir sua volontate il regga.

36Febo nel mar avea tuffati i raggi
e gran notte adombrava l’emispero,
e per campi durissimi e selvaggi
Vitellio se ne gìa fuor di sentiero.
Ei turbando a le fere i lor viaggi
avea speso cacciando il giorno intiero,
e per l’alta foresta a l’aer bruno
si ritrovò senza compagno alcuno.

37Molto di qua, molto di là si gira
e con lo sguardo la campagna spia,
e sol dal nido de l’uom santo ei mira
che poca luce sfavillando uscia.
Colà dietro il destin che seco ’l tira
con lunghi passi ad alloggiar s’invia,
et arrivato a la devota sede
chiama l’uom santo e di riposo il chiede.

38Tosto apre l’uscio il vecchio benedetto,
fatto presago a pien de l’avventura,
e con giocondo e con benigno aspetto
quanto può gli agi de’ guerrier procura;
poscia comincia: «O cavallier eletto,
tu vai solingo per la selva oscura
cercando chi t’accolga e chi t’annidi
e non intendi come il Ciel ti guidi,

39or perché Roma e ’l nobile paese
omai risorga di suo stato afflitto
io veramente ti farò palese
ciò che ne l’alto s’è di te prescritto,
e sì come si mostra il Ciel cortese
a voler farti ne la guerra invitto
tu verso ’l gran destin pieghi la mente;
o quanta gioia a la romana gente!

40Odi figliuol: l’imperiali schiere
che vorran por l’Italia in libertate
là ne la Puglia omai presso a cadere
si sono del nemico in potestate;
Narsete, disperando il suo potere,
ha pregato di Dio l’alta bontate,
ch’a la giusta opra voglia dar la mano
e soccorrer l’essercito romano.

41Il Creator a la preghiera pia
grazia vuol far de l’alto suo favore,
ma vuol ch’in terra la vittoria sia
pur co ’l tuo impero e co ’l tuo gran valore.
Tu ciò che suona la parola mia
ferma, ferma o Vitellio in mezzo ’l core,
e pien di viva e si di sicura fede
al campo de’ latini affretta il piede.

42Né teco discorrendo umanamente
alcuno timor, o cavalier, t’assaglia,
né pensar come un’infinita gente
la tua destra soletta a spegner vaglia,
ma pensa che ’l Dio nostro onnipotente
come d’altro è signor de la battaglia,
e vedi che dov’egli a ferir prende
la vostra umanitate in van contende.

43E se di tanto spazio ora distante
stassi da te l’essercito latino,
non sbigottir, figliuol, ch’ali a le piante
aggiugneratti il gran voler divino.
Vattene pur, ch’al gran Narsete avante
potrai rappresentarti in su ’l mattino,
né condur gente a guerreggiar ti caglia
basta solo tua destra a la battaglia».

44Qui tacque il vecchio, e così fattamente
la rivelata volontate spose,
e ’l sacro cavalliero, umilemente
in sé pensoso, indi così rispose:
«Padre, io m’affido, ché ’l tuo dir non mente
a mio favor su le narrate cose;
però se così vuolsi là di sopra
so ch’ogni detto metterassi in opra.

45Et io per Dio, ch’a così far mi invita,
e per tòr Roma da’ nemici rei,
là tra la guerra a consumar la vita
non che trionfo a riportarne andrei;
ma tuttavia pregando alcuna aita
da Cielo impetra a i desideri miei,
sì che miei falli, o padre, or mi perdoni
né de l’alta sua grazia ei m’abbandoni».

46Così dice egli, e poco spazio attende
d’alcun’altre parole a l’udienza,
e poscia lieto s’accommiata e prende
dal vecchio sacro l’ultima licenza,
et ecco nuvoletta si distende
e fascia del baron l’alta presenza,
e verso ’l campo in tal furor s’invia
che seco tardo il fulmine saria.

Narsete riceve la visita dell’angelo che gli impone di lasciare il comando a Vitellio, quindi si trova Vitello nella tenda e lo accoglie festevolmente (47-57)

47Fra tanto in mezzo l’ombre, appresso ’l letto
ove prendea Narsete alcun riposo,
si rappresenta ne l’altiero aspetto
di Bellisario l’Angelo nascoso,
e così gli ragiona: «O mio diletto
e compagno ne l’armi glorioso,
porgi, porgi l’orecchia a mie parole
che quel ch’io dico su nel Ciel si vuole.

48La tua preghiera è su ne l’alto udita,
tu di questa promessa il cor conforta,
e vincerà tua gente or sbigottita
ma non però sotto tua nobil scorta;
quegli ne la cui destra è vostra aita
è già da presso, et Angelo se ’l porta,
e dentro questo albergo il mirerai
come apri gli occhi del bel sole a i rai.

49A te sovegna che ’l romano Impero
sofferse di Vitellio aspri furori,
or di lui fia condotto il germe altiero
per far ammenda de i paterni errori,
né perciò ti riponga in rio pensiero
mirarti privo de gli usati onori,
quando la bella Italia un’altra volta
sarà per poco di tua man sepolta.

50Narsete, poco tempo a volgersi hanno
le preste rote del celeste regno,
che l’italiche schiere a scherno avranno
libere il nome d’ogni imperio indegno;
ma tu, crudel, rinoverai l’affanno
sospinto sol da feminil disdegno,
e quinci l’odio e i barbari desiri
Italia appagherà co i suoi martiri.

51Però giusto voler qui non consente
a la tua mano, onde sarà infelice,
che de l’Italia e del suo mal presente
ella si deggia dir liberatrice.
Tu, devoto di Dio, volgi la mente
a ciò che di sua voglia or ti si dice;
siedi fra gli steccati e lascia in mano
a quel guerrier l’essercito romano.

52Ché dov’egli del campo avrà l’impero
anzi che mova i piè fuor de i ripari
di dolore e di orrore acerbo e fiero
l’alme s’ingombran de gli avversari.
Fia che pe ’l sangue di più d’un guerriero
a paventar il rio tiranno impari,
e che ne’ casi di quei suoi diletti
gli ultimi danni paventoso aspetti».

53Così dicendo folgorogli il volto
d’un chiaro lampo, e verso il ciel sen gio.
Narsete il sonno subito disciolto
cerca con gli occhi onde la voce uscio,
ma ’n vece di colui che gli s’è tolto
rimira solo il cavallier di Dio,
ch’a lui giungendo e senza nube intorno
mostrava il viso alteramente adorno,

54e grida: «O nobilissima pietate,
o man di Dio prontissima e cortese,
o certa e stabilita libertate
di Roma e de l’italico paese!
Ma tu, ch’in mezzo de le schiere armate
sei destinato a l’onorate imprese,
liberator de’ cavallieri oppressi
ché non sciogli la lingua e non t’appressi?

55O bon Vitellio, e su ne l’alto eletto
a far macello e’ nemici orrendi,
non giungi ignoto, io tua venuta aspetto
se ben fra noi sì repentin discendi.
Tu pur a l’armi n’apparecchia il petto
e tua virtute e tuo valore accendi,
ché son mie voglie et infiammate e preste
a ubidir il gran voler celeste».

56Vitellio allora umile e riverente
fa sentir sua favella al capitano:
«I’ mi so che tu sai chi fu ’l possente
a voi condurmi di così lontano,
però di me parlar più lungamente,
signor, sarebbe adoperar in vano,
tanto sol ti vo’ dir, che creder poi
d’ubidiente avermi a’ cenni toi».

57E ’l pio Narsete: «Il gran voler eterno
fatto m’è conto e l’alta tua ventura,
e di darti l’essercito a governo
com’è voler di Dio prenderò cura».
E già tornando al suo camin superno
sgombrava il sol l’aria notturna e scura,
e ’l capitan senza dimora alcuna
chiama il consiglio e i cavallieri aduna.