Narsete presenta Vitellio al consiglio (1-14,2)
1Poi che mirossi i cavallier da lato
disse Narsete a la romana gente:
«Al nostro duro e periglioso stato
Dio comparte giustizia assai clemente,
perché sì come alcun mio rio peccato
mi fea, compagni, in guerreggiar dolente,
ei dando pena a’ miei nascosti errori
non vuol frodarvi de i dovuti onori.
2In questi campi altiera palma avrete
estinguendo de i Goti ogni memoria,
ma non consente il Ciel ch’abbia Narsete
di questa guerra memorabil gloria.
Questo, che meco da vicin scorgete,
Romani, è ’l cavallier de la vittoria,
e ben avran di voi molti raccolto
del buon Vitellio le fattezze e ’l volto.
3Egli di mio voler fermato s’era
su l’Alpe là fra i popoli toscani,
per far di quella gente iniqua e fiera
a di qua tragittarsi i pensier vani;
poscia, avuta di voi novella intiera,
venuto è da que’ monti in questi piani
alto volando per voler divino,
e porta ne la destra alto destino.
4Io chiamo il Ciel, chiamo il Dio nostro e giuro
la sua virtute in testimon del vero,
ch’a me pur dianzi dentro l’aere oscuro
se ne venne celeste un messaggiero,
et ei parlando fe’ ’l mio cor sicuro
che qui sarebbe vincitor l’impero
quando a questo guerrier lasciassi in mano
il freno de l’essercito romano.
5Dicea ch’a pena com’è in Ciel da Dio
sarebbe in terra capitano eletto,
che di macello entro quel popol rio
anco senza armi si vedrebbe effetto;
così disse egli, et indi al Ciel sen gio.
Ora, o Romani, ad ubidir v’affretto
e donando credenza al mio sermone
dovete dar sì come Dio v’impone.
6Io, poi ch’a me pugnar non si concede,
non muoverò de gli steccati fuore.
Costui Dio manda, questi a me succede,
io commetto la guerra al suo valore;
voi, lodati fin qui, di nobil sede,
non vi macchiate di novello errore:
questi da l’alto ne si scorge, e voi
vincer dovete con gli imperi suoi».
7Così diceva, e su quel dir pensoso
si taceva ciascun de i cavallieri.
Chi la mente inchinava e chi dubbioso
il freno raccoglieva a’ suoi pensieri,
e chi superbo si facea ritroso
ad accettar altri novelli imperi.
Or mentre era silenzio Armodio solo
così parlò ne l’adunato stuolo.
8questi tra l’armi di valor primiero
era nel campo di supremo onore,
e di suoi merti e di sua gloria altiero
si pregiava d’Achille il genitore,
Achille giunto a Corsamonte il fiero
co i legami del sangue e de l’amore,
che già senza arme in singolar assalto
uccise armato il padovano Argalto:
9«Non tarda ubidienza, alto stupore,
Narsete, è quel ch’ora a tacer consiglia,
ma voi scacciate, o cavallier, dal core
il peso di cotanta meraviglia:
questo è di Dio mirabile favore,
ma noi siamo di lui fedel famiglia,
e ne la nostra aita hanno diffesa
il sacro Imperio e la romana Chiesa.
10Dio, cavallier, nostra ragion diffende,
e par che ’l nostro rischio il Cielo annoi,
ned ei questa arte novamente apprende
di far diffesa e d’aiutar i suoi.
Or te, ne la cui destra Egli discende,
o destinato infra i più chiari eroi,
come sarà ch’alcun timor n’assaglia
di seguir capitan ne la battaglia?».
11Così dicendo, riverentemente
al cavallier celeste ei s’avvicina,
e dietro l’orme sue seguentemente
co ’l grand’essempio ogni baron l’inchina.
Vitellio, umile rivolgendo in mente
l’altiero fato e l’opera divina,
dopo queste accoglienze oneste e liete
così disse a’ compagni et a Narsete:
12Ben vince i merti miei la dignitate
de l’opra altiera onde son duce eletto,
pur s’Italia n’avrà sua libertate
strano non sia se volentier l’accetto.
Certo, compagni, infra le schiere armate
correre i primi risch’io vi prometto,
et a l’alta vittoria aprir la via
su quella gente scelerata e ria».
13Così dicendo sfavillò dal volto
aperto incendio di disdegno e d’ire,
e lo stuol de i guerrier quivi raccolto
sentì nel petto di pugnar desire.
Già de i lor cori ogni timor è tolto
e ne’ sembianti appar nobile ardire,
e disiosi ch’a battaglia s’esca
mostran ch’ogni momento a loro incresca.
14Ma mentre ch’essi a i bellici desiri
svegliano l’alme coraggiose e fiere,
Narsete impon ch’ogni guerrier ritiriNarsete fa sfilare in rassegna le schiere davanti a Vitellio (14,3-26)
i soldati minori a le bandiere:
vuol ei che l’alto cavallier rimiri
ad una ad una trapassar le schiere.
Or apri il fonte d’Elicona, diva,
a ciò le squadre e i duci lor descriva.
15Primiero Armodio a dimostrarsi viene
a gli occhi di Vitellio in su quei piani,
è duca nobilissimo d’Atene
eguale in arme a’ cavallier sovrani.
Egli duo mila e cinquecento tiene
a suo governo d’uomini romani,
ne la cui fede e ne la cui possanza
è di vittoria la maggior speranza.
16Ha per insegna il sol che si nasconde
da gli occhi de’ mortali in grembo a Teti,
e sarà ver ch’in tenebra profonda
chiuderà presto i dì soavi e lieti.
Arcadio poscia il giovine seconda
in giovinetta età, duca di Creti,
e conduce, ne l’armi rilucente,
numero egual de la medesma gente.
17Nave che d’alto se ne vien veloce
entro la gran bandiera egli dipinge,
ma su l’entrar de la sicura foce
impetuoso vento la rispinge.
Vien poi Cosmondo, il persian feroce,
che di gran neve la gran barba tinge,
e sotto il lungo numero de gli anni
può sostener i militari affanni.
18Aquila ei spiega ch’in su le possenti
piume volando porta i pargoletti,
e su per l’alto cielo incontra i venti
fa forti con sua forza i soi diletti;
è duo mila la somma de le genti
e fatte son di feritori eletti,
ne le battaglie e ne gli assalti arditi
e di spoglie e di ferri assai guerniti.
19Gordio succede, altissimo gigante
che de gli Unni feroci aveva il regno.
Ei co ’l valor così trascorse inante
che de l’altiero titolo fu degno.
Dispiega ne l’insegna il grand’Atlante
che del ciel con le spalle era sostegno,
e guida quattro mila, picciol parte
de i suoi campata al gran furor di Marte.
20Meonio poscia in graziosi modi
vien con la guancia colorita e bella.
E’, giovinetto, è principe di Rodi,
ha mille cinquecento Eruli in sella;
porta la man che tanti occhi custodi
ammorza per la nobil vaccarella.
Asueto poscia di duo mila a pena
or cinquecento cavallier qui mena.
21Duca era de i Gepidi e fu ’l desire
de le battaglie nel suo cor sì forte
che lasciò perigliosa di morire
la bella e fedelissima consorte;
ella su l’ora del suo dipartire
ebbe l’anima accesa in su le porte,
et egli or, disioso del ritorno,
dispiega un cervo di grand’ali adorno.
22Vien dietro il Faga tra i guerrier primieri;
da principio ei guardò schiera maggiore,
or soli ha mille greci cavallieri,
chiarissimi di fede e di valore.
Porta la stella ch’a’ signori altieri
è presagio di morte e di dolore,
e ben con la sua mente alta ruina
al principe de’ Goti egli destina.
23Fusti tra tanti con dimesse ciglia,
quantunque sconosciuta, verginetta
Marzia, che ’l corso di cotante miglia
osasti in arme trapassar soletta.
Amor, ch’opre mirabili consiglia
tosto ch’impiaga de la sua saetta,
costei per periglioso e rio sentiero
qui trasse ricercando un cavalliero.
24Ella in riva del Tebro allor che prese
Roma vittoriosa il popol rio,
de la beltà d’un cavallier s’accese
che in lei sola finiva il suo disio;
ma poi ch’a liberar l’almo paese
venne Narsete, e ’l barbaro se ’n gio,
fra le morti e fra l’armi in varie guise
le dolci fiamme lor furon divise.
25Quinci sospinta da la fiamma ardente
volle cercar del cavallier amato,
e si fermò fra la romana gente
sotto fiere arme come fier soldato.
Ma ben che ne le pugne intensamente
spiato avesse tutto ’l campo armato,
non però venne a’ suoi begli occhi avanti
l’insegna che ricopre i bei sembianti.
26Dopo la nobil mostra in campo uscita,
così parla Narsete al cavalliero:
«Con così scarsa o così poca aita,
signor, diffender tu ne dei l’Impero,
ben che sol per tua man sarà fornita
qui al battaglia, s’ho sentito il vero».
Poscia d’acciaro fa recar e d’oro
un’armatura di sottil lavoro.
Vitellio riceve un’armatura e un cavallo, ordina di preparare le armi per la battaglia del giorno seguente (27-41)
27Qui ne gli usberghi altissimo gigante
ritratto in mezzo al popolo infinito
a gli atti de la mano e del sembiante
facea di guerra singular invito,
e de i fieri nimici a lui davante
si vedeva ogni volto sbigottito.
Sol, disarmato, con la fromba e i sassi
un garzon contra gli moveva i passi.
28Vedeasi il mostro con sembianza oscura
il gran fanciullo minacciar in vano,
e contra lui, che ’l suo gridar non cura,
l’asta vibrar con smisurata mano.
Al fin vedeasi da la selce dura
accolto in fronte traboccar su ’l piano,
e co ’l gran busto e con l’immense spalle
e scuoter tutta et ingombrar la valle.
29L’alto garzon da l’inimico fianco
corre la spada a scior con la man presta,
e a quel fier, che di dolor vien manco,
parte il gran corpo da l’orribil testa.
Pareva il teschio impallidito e bianco
del gran sangue inondar l’ampia foresta,
e d’ogn’intorno i vincitori e i vinti
stavano in viso di stupor dipinti.
30Ne l’altra parte de l’acciar lucente
scolpito si vedea nembo celeste,
sopra lo stuol di fuggitiva gente
di sassi grandinar nove tempeste.
L’alto Israelle a la vittoria ardente
partia le membra, le nemiche teste,
ma più vedeansi quei sentier sanguigni
per la gran pioggia de i crudel macigni.
31V’era il gran cavallier ch’ogni soccorso
toglie a’ nimici suoi con le parole,
e, divoto di Dio, mirabil morso
pone a la luna et al fuggir del sole.
Il sol ch’al nido declinando il corso
per li campi del ciel par che se ’n vole,
rompe il viaggio e ratto ferma il piede
per la virtù di così nobil fede.
32Ma ne lo scudo si potea fra gli ori
e fra gli ostri veder l’ebreo Sansone
essercitar sue forze e suoi furori
con nimici e con fere al paragone.
V’era ch’uscito de la patria fuori
disarmato sbranava empio leone;
vedeasi espor fra la campagna poi
incatenato a gli aversari suoi.
33Ma sciolto e pur con la mascella in mano
vedeasi incominciar l’orribil arte,
e di mille nimici in su quel piano
lasciar le membra lacerate e sparte.
V’era da poi come d’amor non sano
da se medesmo ogni virtù diparte,
come il nimico a cui pervenne in forza
ambe le luci di sua man gli ammorza.
34Altrove si mirava orbo e negletto
pascer la vista de i nimici a mensa,
ma quivi è tal che ne l’altiero aspetto
si può veder come gran cose ei pensa.
Al fin crolla le mura e scote il tetto
e tutto involve di ruina immensa.
Indi l’altre armi e non di minor pregio
porge Narsete al cavalliero egregio.
35Purpuree piume e riccamente adorno
elmo indorato et indorata vesta,
che distinta di perle intorno intorno
era di fine porpore contesta.
L’ebbe fra i ricchi arnesi di quel giorno
che fu la pugna a Totila funesta.
Poscia gli porge rilucente spada
onde a l’alta vittoria apra la strada.
36Armodio d’un corsier gli fa presente,
co ’l quale il vento si verrebbe a meno,
tutto guernito di fin or lucente,
d’oro le staffe e d’oro aveva il freno.
Tendea l’orecchie et annitriva ardente
e co ’l piè spesso percotea ’l terreno.
In ogni parte brun ma nel piè manco
e ne la fronte era macchiato in bianco.
37Né pur lo stuol de i cavallier l’onora
che dinanzi a consiglio eran venuti,
ma fuori uscendo lo raccoglie ancora
la spessa turba de i guerrier minuti;
e così va crescendo ad ora ad ora
la voce de le lodi e de i saluti
ch’intorno s’odon rimbombar lontani
come di tuoni le montagne e i piani.
38Allor Vitellio a i cavallier rivolto
l’altiero sguardo e l’onorato aspetto,
dice: «Il gridar di vostra fede ascolto
in testimon di vostra fede accetto,
ma cotesto valor ch’avete accolto
romani amici, ben fermate in petto,
e sia ciascuno e coraggioso e forte
nel dì de la vittoria o de la morte.
39Allor, tolto ogni requie, ogni riposo,
non vi fia dato respirar in vano.
A pena il sol ne l’oceano ascoso
forse vi leverà l’armi di mano,
ma per che ’l duro affanno e sanguinoso
possiate armati ben durar su ’l piano
su l’affannate membra ora attendete
e fermatele d’esca e di quiete.
40Ciascun, mentre che può, l’arme riguardi
e le pompe de gli elmi e de i cimieri,
tenga gli scudi e ben agguzzi i dardi
e rivolga la mente in su i destrieri».
Così diceva, e i cavallier gagliardi
diero risposta a’ suon di gridi altieri,
e lodato il guerrier con l’alte voci
andaro l’armi ad apprestar veloci.
41Già guardando da loco alto e sospeso
e da le torri i barbari di fuori
fin dal primo tumulto aveano atteso
a la mostra de l’armi et a i rumori,
e mirando l’essercito disteso
estimarono i numeri maggiori,
o fosse inganno o pur voler di Dio,
e la fama veloce al re se ’n gio.
I Goti nemici vedono la rassegna dalle proprie posizioni, Teia indice una notturna missione esplorativa per capire se i Romani si sono effettivamente rinforzati (42-46)
42Egli ne l’ascoltar alza le ciglia
e fa di tutto riparlar sovente.
Di cotante novelle ha meraviglia
né sa ben che fermar ne la sua mente.
Al fin di più saper riconsiglia
et a sé chiama la più nobil gente,
«Udita avrete il suon de la novella»
dice «onde in campo or ciascun uom favella:
43parlasi qui ch’a le nimiche schiere
sia nova gente novamente unita.
Io se ben guardo, non però vedere
so come giunta o donde sia partita;
pur, se vero se ne dèe sapere,
ci fa bisogno di persona ardita
ch’in mezzo ’l tempo de la notte ombrosa
trapassi al campo de i nemici ascosa.
44Dunque di scaltro ingegno e di sottile
chi può fornire e di fortezza il petto?
Io sopra il vanto guiderdon non vile
al suo tornar su la mia fé prometto.
Or per miei preghi a l’opera gentile
omai s’accinga alcun nostro diletto,
e ne sappia contar gli accrescimenti
et il pensier de le nemiche genti».
45Quivi Sereno, giovine signore
del laco ameno e del gentil Bracciano,
disse: «Per la mia forza e pel valore
io mostrerò che non commandi in vano».
Questi, garzon, con Orso ’l genitore
già guerreggiò tra ’l popolo romano,
poscia di sdegno contra lui s’accese
e co ’l signor de i Goti il ferro prese.
46Ei forte ne la guerra e mai non stanco
fu primier ne gli assalti aspri e mortali,
sì ch’onorato a par d’ogni altro e franco
giva il suo nome dibattendo l’ali.
Non fu forte però sì che dal fianco
lunge tenesse gli amorosi strali,
anzi dentro una fiamma e dolce e rea
chiuso ne l’armi volentier ardea.
Teia ordina a rassegna le proprie truppe (47-63)
47Ma Teio, poi che di fedele spia
proveduto rimira a suo volere,
vuol che la gente rassegnata sia
sotto suoi duci e sotto sue bandiere,
perché se vera la novella fia
che sian cresciute le romane schiere,
come par che s’affermi, egli non stima
la vittoria sì facil come prima.
48Or così imposto assai speditamente
manda i primi guerrieri ad ordinarla,
et ei sopra la sede alteramente
con suoi pochi s’adagia a riguardarla.
Ma chi potria de l’infinita gente
donar certa notizia o pur contarla?
Musa, di tanti numerosi stuoli
ti piaccia dirmi i capitani soli.
49Pisandro duca d’Istria, aspro guerriero,
valoroso d’ingegno e pro di mano,
d’oro lucente trapassò primiero
al tiranno davanti in su quel piano.
Ei traeva di Goti il popol fiero
ch’abitava fra l’Arsia e fra ’l Cesano,
da che la bella Italia era in balia
de la lor empia e dura signoria.
50Spiegava il duca di Aquilegia appresso,
detto Pacoro, la bandiera al vento,
a cui tutto ’l paese era commesso
che trascorre il Timavo e ’l Tagliamento.
Seguiva Aminta, nel cui volto espresso
li rimirava orribile ardimento,
e tutte in arme dietro i suoi vestigi
movevano le schiere di Trevigi.
51Vien quarto Oreste, che novellamente
avea di Padua a suo governo il freno.
Quindi egli armata conducea la gente
che pasce il fertilissimo terreno
Archita, poi che tra le schiere spente
venne in battaglia Beremondo a meno;
duca fu di Vicenza et or traea
quindi sua gente a la battaglia rea.
52Con le sue squadre mosse poscia il piede
quivi Aldibaldo, il duca di Verona,
Canduccio poi, che dentro Mantua siede,
Mantua che sì gran fonte ha d’Elicona.
Linacro terzo a questi due succede
e governò la gente di Cremona,
poi che morio Danastro, il gran gigante,
su Ponte Molle al fier Traiano avante.
53Appresso questi un’infinita schiera
d’arme e di gente Palamede guida,
e son tutti di quei ch’a la riviera
Bressa de l’Idri, de la Mela annida.
Egli non era di prosapia altiera
ma l’alma aveva et amorosa e fida,
e fu co ’l re ne le staggion minori,
or n’ha raccolti i meritati onori.
54Segue Galeso et ha seco Milano
con longa schiera e Bergamo montoso,
ma quei che stanno ove rigando il piano
corre il Tesino ameno e dilettoso
van minacciando al popolo romano
sotto Clenarco, duca lor doglioso;
ei con sembianza di dolor dipinta
piangendo vien la cara moglie estinta.
55Poscia conduce il principe Ademaro
la gente sua che raccogliea Vercelli.
Guida Gismondo il Monferato: ei chiaro
è per sembianti giovenili e belli,
gli occhi di lui van con le stelle a paro,
risplendono com’oro i suoi capelli,
la guancia è come rosa in su ’l mattino,
ma sua beltà fu di crudel destino.
56Van poscia i Goti di Liguria avante,
indi quei di Piacenza a mano a mano,
quei di Liguria conduceva Argante,
quei di Piacenza conducea Montano.
Sotto Boardo indi movea le piante
Bologna, da costor poco lontano.
Poi vengon quei che fanno loro albergo
dentro Ferrara, e li conduce Ulmergo.
57Seguia Ravenna e quei ch’ivi han ricetto
di Pilade ammiravano il valore;
poi che fu re di tutti i Goti eletto
Teio di quella parte il fe’ signore.
Timarco v’ha, che col canuto aspetto
ne gli occhi di ciascuno acquista onore;
ei ne l’altiera costa d’Appenino
reggeva l’aspro e dilettoso Urbino.
58Ridolfo poscia, il gran vecchio, seconda,
da numerose schiere accompagnato.
Avea la terra che ’l grand’Arno inonda,
Arno da Febo e da le Muse amato.
Dopo tanti venìa con chioma bionda,
con occhi ardenti e vagamente ornato
un che reggeva i bei colli di Siena,
che dovunque si move Amore il mena.
59Eri Settimio tu, s’altrui vaghezza
non s’attraversava, o giovine, felice,
ma poca fede e femminil bellezza
il tuo ben seccherà da la radice.
La gente poscia a le battaglie avvezza
di cui Pisa soleva esser nudrice
servian in quella guerra Rodorico
lor capitano e cavalliero antico.
60Fur sì fatti guerrier che la gran gente
parte scorgean pedona e parte in sella,
ma ne l’ultimo spazio altieramente
apparse quivi Arpalice donzella.
Questa a i duri mestier volse la mente
e trattò l’armi in su l’età novella,
et occupò ne la milizia dura
sua dolce, vaga, angelica figura.
61Ebbe madre Altamonda, e Serpentano
ne l’Italia di lei fu genitore,
e Totila il crudel le fu germano
dianzi caduto dal reale onore.
Udio ch’a pro del popolo romano
già mostrava Nicandra alto valore,
allor che ’l grande Bellisario in guerra
sparse de’ Goti tanta gente a terra,
62quinci da l’alta e nobile memoria
di quella altiera giovinetta accesa,
si diede a l’armi, e disiò la gloria
ch’adorna altrui di perigliosa impresa.
Sì fu cara di Marte, or la vittoria
da lei non parte ov’ella fa contesa.
Sasselo Roma, che tra l’armi ardente
l’ha rimirata folgorar sovente.
63Sono al bel fianco vergini compagne
d’arco maestre e di crudel ferire;
ella fra lor le tende e le campagne
raggirando i begli occhi empìo di ardire,
pur dentro il cor se ne sospira e piagne
e d’amor punta è in rischio di morire,
e ben indizio de la ria ferita
porge la bella guancia impallidita.