Sereno rifiuta l’accompagnamento di Ismaro e Arpalice per la sortita (1-16)
1Poi che la mostra de l’armata gente
anzi gli occhi del re pervenne al fine,
ciascun de i cavallier volse la mente
a le nove battaglia omai vicine,
e chi l’usbergo di grand’or lucente
e chi terge le spoglie pelegrine;
miransi l’aste, miransi i destrieri
e son tutti de l’arme i lor pensieri.
2Fra lor Sereno sol non si desvia
su nova cura, e sempre sta pensoso,
come possa tener secreta via
a trapassar infra i nimici ascoso.
Seco passar vorrebbe in compagnia
Ircano forte et Ismaro amoroso,
ambi insieme con lui da pargoletti
nudriti e ambi cavallier perfetti.
3Diceva Ircan: «Se la promessa fede
potesse unqua negarsi al suo signore,
e per se ritener ciò che richiede
la legge de la guerra e de l’onore,
già tu colà non moveresti il piede
solo affidato dal noturno orrore,
se ne l’imprese perigliose e rie
avesser peso le parole mie.
4Or se legge d’onore acerba e dura
senza rimedio ha ’l tuo voler costretto
vanne felice, ma ne l’aria oscura
per mio conforto non andar soletto;
io di dolente e misera ventura
molto spavento già rivolgo in petto,
né fia lontan da la tua dolce vista
l’anima mia se non turbata e trista.
5Vuoi tu, Sereno, che da te lontano
stia fra duri pensier de la tua vita?
e conti ognora, ogni momento in vano
misurando il ritorno e la partita?
Se pur vai tu non rifiutar Ircano,
né disprezzar la sua fedele aita,
ch’a molte cose entro quell’aria bruna
questa mia destra può chiamar fortuna».
6Così gli disse Ircano e dolcemente
Sereno riguardandol gli rispose:
«Ove ti lasci traviar la mente
disciogliendo la lingua in su tai cose?
Siamo noi forse infra l’armata gente
per rifiutar l’imprese perigliose,
o pur per far con rischio e con fatica
l’eterna fama a’ nostri nomi amica?
7Ircan, qual pro che nostra fral etate
s’invecchi al mondo e molto tempo dure
se poscia co ’l fornir de le giornate
nostre memorie rimarranno oscure?
Sgombra, sgombra per me quella pietate
che ti germoglia in cor tante paure,
che passerommi scompagnato e solo
con men di rischio infra ’l nimico stuolo.
8Ma se dura fortuna a mio disire
et a mia speme fia crudele e ria,
faccia erede, o fedeli, il mio morire
de l’amor vostro la diletta mia».
Quivi de l’amoroso suo martire
già fuore il pianto de’ begli occhi uscia.
Ismaro allora in verso lui si volse
e ’n questi detti le parole sciolse:
9«Tu trascorri colà dove ti mena
disir di gloria e non mi meraviglio
se ’l tuo cor generoso or non affrena
né nostro prego né mortal periglio,
ma l’alma tua, che d’ardimento è piena,
non raccolga stupor del mio consiglio,
né creder tu che variando stile
tosto ritorni e timoroso e vile;
10che tu resti di gir per la paura
poi ch’in pegno è tua fé non direi mai,
ben dico, sì, che perigliosa e dura
è la notturna impresa ove n’andrai,
però ti doma e di passar procura
se con lieve pericolo potrai,
ma se ti miri grave rischio intorno
vergogna non t’assembri il far ritorno».
11Mentre così ciascun l’amica vita
come può meglio co ’l saper diffende,
ecco del rischio suo quasi smarrita
ch’Arpalice ne viene in quelle tende;
ella quivi a temprar l’aspra ferita
che già le diede Amor spesso discende,
e poi ch’a pien tutte ha le cose intese
così contra Sereno a parlar prese:
12«O non men che noi stessi a noi diletto,
se si riguarda a l’alto tuo valore
indegnamente ne percote il petto
per pericolo d’arme alcun timore,
ma ciò ch’Ircan, ciò ch’Ismaro t’han detto,
ciò che dirò me lo consiglia Amore,
e tu devi sentir nostre parole
come l’amante da l’amante suole.
13Certo il nostro signor non ben misura
l’opra commessa co’ tuoi merti altieri,
che provarsi dovria per l’aria oscura
alcun periglio de i minor guerrieri,
non tu, che sempre a la battaglia dura
precorri in arme i cavallier primieri,
e da cui prende ciascun altro essempio
a far de gli inimici acerbo scempio.
14Io, per me, chiaramente il ver confesso,
ch’ove tra l’arme folgorarti miro
sol d’esser teco e guerreggiarti appresso
et appagar il mio furor disiro;
ma se per lo gran vanto al re promesso
poco ti cal del nostro aspro martiro
non far che disiosa io qui rimagna
né sprezzar una vergine compagna».
15Ella con occhi di disir tremanti
infiammata d’amor così dicea,
ma su ’l dolce pregar di quegli amanti
l’ardito cavallier poco attendea.
«Questi prieghi novelli e questi pianti
chi vi tragge da l’anima?» dicea,
«Siano i pensieri e le speranze liete,
ché lontani da me poco sarete.
16Già tante volte infra la guerra ardente
ho conteso fra ’l sangue e fra la morte,
e con gran danno de l’avversa gente
con la vittoria a ritornar fui forte,
or dunque perché il cor tanto dolente
avete voi di mia contraria sorte?».
Così con giocondissima presenza
disgombrava da loro ogni temenza.
Sereno parte nottetempo, seguito di nascosto da Marzia (17-29)
17Ma già con l’ombra al chiaro polo intorno
la notte errava fra i celeste campi,
mentre serrato in Occidente il giorno
nel mar tien Febo i luminosi lampi,
quivi uscendo il guerrier dal suo soggiorno
i passi move a gli avversari campi,
lasciando i Goti che dal sonno tranno
ristoro a i corpi del sofferto affanno.
18Né destrier sale, né scudier a lato,
seco a l’impresa perigliosa accetta
move solingo e lievemente armato
l’imposta cura a terminar s’affretta.
Ma s’opra in van, che tra viaggio il fato
a duro passo con amor l’aspetta,
e tra quel molto che soffrire ei deve
piagarsi ’l cor sarà soave e lieve.
19Misero lui, che de l’angoscie estreme
fia largo essempio a la futura gente,
che mentre al petto del signor che ’l preme
egli pur tien tutte le cure intente
la donna sua, ch’innamorata geme,
volge a funesti e rei pensier la mente,
e fra sé tratta in che maniera e dove
cercar può sì ch’il caro amante trove.
20- Forse (dicea) per allongarmi il duolo
in altra parte il mio destin l’ha volto
che fra le squadre de l’armato stuolo,
e lui non veggio e di lui nulla ascolto.
ben è tenor di mio destin ch’ei solo
non sia fra tanto essercito raccolto,
né fortuna il suo stil mette in oblio
di contraria mostrarsi al disir mio.
21Tra i sette colli ove da prima anciso
mi vidi il cor da l’amoroso aspetto,
a pena gli occhi consolai del viso
e ’l foco a pena palesai del petto
che da la vista mia fusti diviso,
o fuggitivo e caro mio diletto,
né pria gli accesi cor furon congiunti
che i corpi, ohimè, dal rio destin disgiunti.
22Et or, qui tratta, tu da me lontano
di novo ancor peregrinando vai:
dunque fia sempre ch’io ti pianga in vano
né sarà più ch’io ti riveggia mai? -.
Così sfoga dolente il cor non sano
e bagna in pianto de’ begli occhi i rai,
né sonno accoglie, né le membra posa,
fatta de’ soi pensier preda angosciosa.
23Pur a l’afflitto cor porge sostegno
il reputar d’ogni credenza fuore
che tra quell’armi onde contende il regno
seco non abbia il re tanto valore.
– Com’esser può che cavallier sì degno
tragga (or dice ella) in vil riposo l’ore?
Ne ’l dubbio stato del signor suo pensi
se pur sovra la terra ancor mantiensi.
24Ma ch’or, Sereno mio, tu non abbassi
fra l’ombre eterne l’onorata testa
sia certo indizio che sentir non fassi
alto cordoglio in sorte sì funesta.
Ma se fu vero e se ne’ regni bassi
memoria a l’alme de’ suoi cari resta
come a la donna tua non sei tu stesso
almen in sogno de’ tuoi casi il messo?
25Ma di tormenti sì spietati e rei
fo caduco presagio a la mia vita,
che tu pur vivi e qui presente or sei,
et al re porgi et a’ seguaci aita.
L’arme t’hanno involato a gli occhi miei
tra la confusa turba et infinita,
o non sei forse da le tende uscito
a far co ’l ferro sanguinoso il lito?
26Et io ché piango? ché non corro e varco
a te nel seno et acquetarmi in parte,
se ’l molle petto di metallo ho carco
se per te vivo entro ’l furor di Marte?
come temo io di così picciol varco
che te, caro mio cor, da me diparte?
Se pur altrove ti dimori, almeno
mi farò saggia di tua sorte a pieno -.
27Fra queste voci impetuosa spinge
da sé le piume e le dure armi trova.
Si copre il dosso, indi la spada cinge,
già destinata a dolorosa prova.
La chioma d’or sotto grav’elmo stringe
e va, né pensa pur donde si muova,
né teme l’aer tenebroso e cieco
né i gravi rischi che le guerre han seco.
28Alto fanciul, ch’ora benigno or fiero
condisci il fele de gli altrui martiri,
che sotto il fren del tuo possente impero
come ti aggrada l’universo aggiri,
tu le reggesti il poco san pensiero,
tu governasti gli egri soi disiri,
e i cheti passi e i movimenti sui
furasti a gli occhi et a l’orecchie altrui.
29Così move ella, e coraggiosa e presta
a i barbari steccati indrizza i lumi,
né dal gran spazio il molle piè s’arresta,
né più rimembra i feminil costumi;
sempre è più pronta e più veloce e presta,
né sente offesa aspri cespugli e dumi,
e mormora i saluti e le parole
ch’al caro amante replicar poi vuole.
Duello tra Sereno e Marzia e morte di entrambi (29-50)
30Cotal d’un rivo al ponticel pervenne
che gìa secando la campagna erbosa,
ove condotto il cavalier pur venne
da stella poco al suo dolor pietosa;
né lor scoprirsi da lontan sostenne
l’alto orror de la notte tenebrosa,
né la pesta sentir che ’l piè faceva
l’onda che strepitosa al mar correva,
31tal che repente l’uno a l’altro pria
che pensar possa appropinquar si vede
e l’incontrarsi da nemica via
esser nemici ad ambo lor fa fede.
Sereno, spinto da virtù natia,
la spada impugna e move inanzi ’l piede,
e vibra il ferro con la destra ardita
a spegnere il suo bene e la sua vita.
32Che tentar quivi e che schivar poteva
donna amorosa e d’improviso colta?
Sé giunta a morte in guerreggiar vedeva,
né speranza ha di scampo in fuga volta;
indegno oltraggio procacciar temeva
fanciulla dirsi entro quell’arme involta,
sì che la pugna e ’l duro assalto accetta
ove almen d’ogni mal può trar vendetta.
33E la man bella, a più dolci opre avvezza,
stanca dal ferro disperata aggira,
pur il tenero cor arma d’asprezza
il grave rischio e la fa forte l’ira.
Così mugghiando essercitar fierezza
se ’l molle parto assediato mira
vaccarella osa, et abbassando intorno
a fier leon va coraggiosa il corno.
34Ma scarse escon tutte opre a sua diffesa
sì fieramente il cavallier la batte.
Già l’ha nel fianco di due punte offesa,
e feroce instà e con furor combatte.
Et ecco il ferro a terminar l’impresa
entra nel viso tra le rose e ’l latte,
e di tepido sangue inonda il petto
e sì funesta l’amoroso aspetto.
35Cade allor, quasi un arboscel fiorito
che svella Borea da natio terreno,
o quasi augel ch’a sua pastura uscito
da stral percossa in su ’l volar vien meno.
Gridò cadendo: «Ha pur il Ciel fornito
l’ingiusto sdegno», e nominò Sereno.
Egli la spada a quel suo dir sospende
e così piano a ragionar le prende:
36«Guerrier, non odio ma n’ha tratti il fato
a l’arme et uso di milizia dura,
e cagion fu ch’io vincitor sia stato,
non viltate di te ma mia ventura.
Come anzi acerbo mi provasti armato
così amico provarmi or t’assicura;
passata è l’ira, io tuo qui sono, or vedi
ov’io m’adopri e con fidanza chiedi».
37Trasse ella un gran sospir dal cor doglioso
e spirto accolto a favellar fe’ prova:
«Tua bontà «disse «e stimolo amoroso
fa che morendo a travagliarti io mova.
Al re gradito e di valor famoso
Sereno detto un cavallier ritrova,
ch’a me fia di piacer, benché sepolta,
s’egli per te queste parole ascolta.
38Sereno intento a sanguinoso orrore
Marzia lasciar poi sì da te divisa,
et ella, spinta da vivace amore,
a te qui corre e vi rimane uccisa».
Cesse in questa la voce al gran dolore
e ’l cavallier, che ’l suo destino avisa,
la cara donna lagrimando abbraccia
e ’n alta angoscia dal dolor s’agghiaccia.
39E poi ch’al fin dal gran martir raccoglie
i tormentati spirti ond’era tolto,
grida: «O ministro a le mie lunghe doglie,
tu pur m’hai, Cielo, in tanto errore involto!».
E ’l sangue asciuga frettoloso e scioglie
l’elmo e le dice, doloroso molto:
«Deh, ti sia mia notizia ancor gradita,
su l’estremo confin de la tua vita.
40Sono io Sereno tuo, ch’allora estinto
foss’io, che nacqui sotto i fati avversi,
che ben da fera stella io fui sospinto
quando in te gli occhi innamorati apersi!».
Qui cadde in grembo a la sua donna e vinto
non ritrovò la voce a più dolersi.
Ella sostienlo e si fa lieta e forte
sopra il dolor che la conduce a morte.
41E gli dà lunghi baci e men si pente
che la spietata piaga omai l’atterri,
poi tra l’asprezza il fier destin consente
che gli occhi in morte il suo amator le serri.
Indi così ragiona: «O lungamente
lunge bramato e fra i nimici ferri,
che ’l cielo a torto a le mie angoscie volto
m’ha conceduto in un momento e tolto,
42son presso al fine e chi di noi tien cura
te su la terra lascia e vuol ch’io mora.
So che la vita ti fia grave e dura
ma per miei prieghi vivi lieto ancora;
passeran gli anni che ti diè natura,
allor nel Ciel farem lunga dimora.
Ma mentre il fin de i nostri voti avegna
tiemmi viva nel cor s’io ne son degna,
43che tu sempre fia meco, e se è concesso
di me sovente apporterò novella.
Or vivi «disse, e va sospiro appresso,
seguì compagno a l’ultima favella,
e dietro ’l sospirar lo spirto istesso
girsene al Ciel et a la par sua stella.
Ma chi può dire a pien come rimanga
l’amante suo, come s’affligga e pianga?
44Sovra l’essangue corpo ei si distende
e le bramate e care membra preme,
e dal bel viso impallidito prende
i freddi baci e lungamente geme.
Indi, rivolto in sé lo sdegno, offende
il petto e batte ambe le palme insieme,
morde le labbia e da la pena oppresso
ora le stelle accusa, ora se stesso:
45«Or da più duolo essercitata e vinta
Niobe antica rimembrando ir svolsi,
che d’aspra selce d’ogn’intorno cinta
pur entro ’l sasso si querela e duolsi,
et io vivrò te, cara Marzia, estinta?
io ch’a la vita di mia man ti tolsi?
né m’aprirà la strada a seguitarti
la scellerata man ch’osò piagarti?
46Sì fra l’ira fremendo e fra ’l dispetto
ricorse al ferro e sospirando disse:
«O fortunato, a cui tra l’armi ’l petto
nimica forza in guerreggiar trafisse,
dunque m’ha il Ciel spazio più lungo eletto
perché mia donna per mia man perisse,
e te spingessi a dura morte e rea
io, che morir per te campar dovea?
47Ma se tu quinci intorno anco dimori,
spirto amoroso, breve tempo aspetta,
fin che giungendo morte a i miei dolori
di me stesso e di te faccia vendetta.
Deh, per gli abissi e per quei ciechi orrori
compagno eterno il tuo Sereno accetta».
E mentre ei ciò S | ci dicea svelossi intorno
Cinzia, e portò ne l’umide ombre il giorno,
48e l’empia vista che l’orror contese
a i miseri occhi de l’afflitto amante
fe’ con fiero spettacolo palese,
e l’aspre piaghe appresentogli avante.
Allor con voci da cordoglio offese
«Occhi,» diss’egli, pallido e tremante
«ecco che la vittoria a voi si mostra
che portar seppi de la donna nostra.
49Non è sazio il destin crudele e strano
che de l’opra che fei meco m’adiri,
che quanto osò la scelerata mano
vuol che con gli occhi stessi anco rimiri?
Questo è, misero me, quel viso umano
che temprò con l’aspetto i miei martiri?
son questi gli occhi che di dolce ardore
lunga staggion m’hanno nudrito il core.
50Deh chi m’abbonda il pianto ond’io sia forte
a piangere il mio error quanto conviensi?
Ma che dico io? Per sì dolente sorte
troppo ogni indugio di morir sconviensi.
Sia pur mia scusa e sua vendetta morte,
me spenga il ferro ond’io sua vita spensi».
Così dicendo crudelmente immerse
la già sanguigna spada e ’l cor s’aperse.