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Delle guerre de’ Goti

di Gabriello Chiabrera

Canto IX

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.09.15 9:01

Il vecchio Orisgonte tenta invano di dissuadere Getulio dal duello (1-14)

1Mentre comparte la guerriera gente
la tregua e l’ozio a l’opere pietose,
Getulio acceso ne la fiamma ardente
chiude solo nel cor voglie amorose.
Avisa il coridor, volge la mente
su per l’armi dorate e luminose,
prova la loro tempra e va guardando
ora l’asta gravosa et ora il brando.

2E già ne vola il grido e si distende
e pe ’l barbaro campo si raggira
e ’n prova ognun la bella coppia attende
e lei tra l’armi vagheggiar disira.
Sol percosso da tema, ove l’intende
Orisgonte dolente ne sospira,
paventa quella pugna e per vietarla
al giovinetto così priega a parla:

3«Omai per certo vanamente speri
che sian toi casi ad Orisgonte oscuri,
ché parla il campo e parlano i guerrieri
de la donzella che campar procuri.
A che pur taci e i novi toi pensieri
a l’amorosa mia notizia furi?
e perché ne gli estremi toi perigli
paventi, o giovinetto, i miei consigli?

4È forse così strana mia sembianza
o così duro m’hai provato il core
ch’aver non debbia, o giovine, fidanza
di meco discoprir piaga d’amore?
e chi non sa ch’è giovenil usanza
il consumarsi in amoroso ardore?
e chi può far contrasto e chi corregge
le fiamme de gli amanti e dar lor legge?

5Già strano a me non par che tu non scioglia
il nodo che ti lega il gran disire,
né ti riprendo l’amorosa doglia
ma biasmo solo il periglioso ardire,
né posso ritrovar perché tu voglia
amando porti a rischio di morire,
quando per tanti modi ai dolor toi
porger conforto e facilmente puoi.

6Dimmi, se ’l re costei per grazia chiede,
pensi che sia la sua richiesta in vano?
che fia dapoi se per egual mercede
franco darà qualche prigion romano?
S’in ciò fallace tornerà mia fede
a la forza de l’oro io porrò mano,
tanto farò che senza lancie e spade
trarrò questa tua donna in libertade.

7Pensa, figliuol, come benigna sorte
teco de le sue grazie usò larghezza:
ella t’aperse a grand’onor le porte,
ella t’ha tratto a la reale altezza;
e tu mal cauto te ne corri a morte
per desiderio d’una vil bellezza
e per te stesso a perder sei vicino
la gran promessa de l’altier destino.

8Pensa che ne la giostra ove ne vai
(e par che non t’incresca e non t’annoi)
su ’l colpo d’una lancia tu porrai
tutto ’l conforto de gli amici tuoi.
E come consolar potria già mai
la reina tua madre i dolor suoi
se di tua vita per acerba stella
gisse a l’orecchie sue dura novella?

9Deh, poi ch’in tempo sei sin da questa ora,
a gli affanni di lei volgi la mente,
e per pietate la rivolgi ancora
a questo vecchio che ti sta presente:
non consentir che sì canuto io mora
di tanto affanno misero e dolente,
e tieni certo che ’l destino istesso
ch’a te fia giunto a me sarà d’appresso.

10Questa battaglia di mortal orrore
con rischio di te sol non fia fornita,
ché giustamente no ’l consente Amore;
e s’a te sparge indegna mano ardita
di sangue il volto, a me di morte il core,
s’a te di piaga a me torrà la vita».
Così gli parla e ’l cerca far lontano
da la battaglia ma gli parla invano,

11ché qual su ’l dosso a l’Apenino ombroso
quercia di Giove dura contra i venti
cotal durasti, o giovine amoroso,
contra soi prieghi e contra soi lamenti.
Amor, a torto di mirar bramoso
gli anni tuoi freschi acerbamente spenti,
nel tuo petto fermò gli empi consigli
ch’ebbero seco gli ultimi perigli.

12Rispose il giovinetto: «Indarno prieghi
perché la bella impresa io non ardisca.
Amor non vol ch’al tuo pregar mi pieghi
ma che sue dure leggi io riverisca;
né perché sordo d’appagarti io nieghi
avvien che tua pietate io non gradisca,
anzi la tua molestia e ’l tuo dolore
han grazioso loco entro ’l mio core.

13Ma tu contra tuo stil fuor di misura,
et è forse argomento a sconsigliarmi,
o vecchio, nel tuo dir mostri paura
di quei perigli che ne recan l’armi.
Io non mi fingo così ria ventura
e volentieri movo a procacciarmi
co ’l duro ferro in man quella mercede
che s’è fin qui negata a la mia fede.

14Vo’ che ’l mio rischio e le mie forze armate,
non ricchezze del re, non cortesia
traggan la bella donna in libertate
e quinci a forza ella divegna mia».
Così con voglie dure et ostinate
a l’acerbo destin la strada apria,
e tanto più co ’l vecchio ei contendea
quanto più ripiegando ei gli dicea.

Orisgonte racconta all’incantatore Rifosco la storia di Getulio e gli chiede aiuto tramite gli spiriti inferi (15-38,4)

15Al fin, mirando uscir senza valore
e soi consigli e sue preghiere ardenti,
a medicar il giovenil errore
cercò nova maniera di argomenti.
Vassene da Rifosco incantatore,
ivi chirurgo de l’armate genti,
e gli scopre l’interna sua ferita,
indi lusinga e gliene chiede aita.

16Dice: «O ben nato ch’i secreti ascosi
scorgi del tempo et ogni sua scurezza,
e i rei demoni al mondo ispaventosi
commandi a l’opre d’ogni tua vaghezza,
se l’uso de’ toi studi alti e famosi
le dimesse preghiere non disprezza,
odi l’istoria dilettosa e breve
del cavallier ch’a la battaglia ir deve,

17sì potrebbe avvenir che ’l bel tenore
de l’avventure sue mal conosciute
contra nimica sorte a suo favore
svegliasse tua pietate e tua virtute.
Già trapassato il giovenil vigore
su le staggioni sue gravi e canute
al re de’ Mauritani iniqua sorte
spense i figli diletti e la consorte,

18et ei sperando de la real sede
che resse a tutti soi dolce e gradito,
lasciar del sangue suo qualcuno erede
carco di tempo si fe’ dir marito,
ma ’l disiato fin de la sua fede
o dal fato o da gli anni fu schernito,
sì ch’ei stava a la morte omai vicino
lacrimando suo regno e suo destino.

19Mentre il canuto re vinto d’affanni
sua stanca vita trapassava in pianti,
sua donna, in mezzo ’l fior de i più begli anni,
uno s’elesse d’infiniti amanti,
e seguendo la via di quegli inganni
che dolce amor ne rappresenta avanti,
tra gioco e riso e tra piacer suave
di sangue strano ella rimase grave.

20E del periglio ella s’accorse a pena
in che la trasse il disiderio ardente
che da la vita nostra alma e serena
uscìo l’amante subitaneamente.
Ella premendo l’amorosa pena
chiuse a gli altrui sospetti il cor dolente,
et ogni accorgimento pose in opra
ond’il fallo amoroso asconda e copra.

21Sol meco prende a dir, meco consiglia
la colpa di che amor l’ha fatta rea,
sì perché la cittate e la famiglia
a lei di me più fido om non avea,
né men perché mia giovinetta figlia
nel gran secreto adoperar volea,
che dianzi a soi pensier cara e diletta
seco era a chiusa servitute eletta.

22Io, che scorgeva memorabil danno,
proposi di aiutar la sua salute,
e mi pensai che liberar d’affanno
l’antico mio signor fosse virtute,
ma vedendo impossibile l’inganno
al re per sue staggion tanto canute,
feci pensiero di portar celato
quello amoroso e feminil peccato.

23Ella a coprir la malizia amorosa
varia scusa trovò, varia cagione.
Ben sai com’è veloce et ingegnosa
la donna a far inganno a le persone;
ma poscia ch’a depor la soma ascosa
fu venuta matura la staggione,
in una villa dilettosa et erma
con poca compagnia si finse inferma.

24La mia fanciulla, perché ’l fea sovente
sola potea servir senza sospetto,
et ella traviò furtivamente
e mandommi secreto un pargoletto.
Poscia da i servi e da l’amica gente
lasciò vedersi la reina in letto,
e se n’usciva a la primiera usanza
pur deboletta da la regia stanza.

25Io del fanciullo e de l’inferma vita
feci pigliar secretamente cura,
e con gran studio già porgendo aita
a la necessità de la natura.
indi con voce e con sembianza ardita
mi diedi a raccontar strana ventura
e per la corte gìa narrando cose
che mio pensier, non verità, compose.

26Dicea che fra le selve e fra le piante
mentre per tempo e solitario io giva
vidi su l’erba un pargoletto infante
che ai primi pianti i molli labri apriva,
e ch’empia tigre in orrido sembiante
dal suo chiuso covil rapida usciva,
e che diritta raddoppiava il corso
al fanciulletto che chiedea soccorso.

27E che non prima divenia vicina
a lui che abbandonato si giacea
che, quasi tocca da virtù divina,
lasciò l’usanza dispietata e rea,
ma vezzeggiando e con dolcezza inchina
le dure poppe al miserel stendea,
e spargeva di latte l’infelice
in sembianza di madre e di nudrice.

28E che sì tosto come gio lontana
io presi in braccio il sacro fanciulletto
che scompagnato d’ogni aita umana
era a le fere et era al Ciel diletto.
Questa novella dilettosa e strana
a tutti empieo di meraviglia il petto,
e stette il re pensoso e volle poi
il fanciullo mirar con gli occhi soi.

29Molta pietà da quella vista ei prese
e sempre caro e custodito il tenne,
e lui, nel qual il Ciel fu sì cortese,
lasciar nudo e mendico ei non sostenne.
La fama poscia per lontan paese
di ciò cantando dispiegò le penne,
e la gente in sentir meravigliosa
stimò il bambin come mirabil cosa.

30Dal suo destin, da così nobil fede
da la moglier, da nostre voci spesse
il re percosso a la real sua sede
questo fanciullo successore elesse.
Pensò che ’l Ciel di così fatto erede
a lui privato proveduto avesse,
però il garzon da lui sempre gradito
fu come figlio e come re nudrito.

31Mal a parole io qui contar porria
quanta s’accrebbe in lui garzon bellezza,
e quanta poscia a mano a man fioria
ne la staggion sua giovenil fortezza.
Tigre, leon che da le selve uscia
era sua destra d’atterrar avvezza,
e ne l’opra de l’arme e dei guerrieri
ornossi in breve de gli onor primieri.

32Ma poi ch’ei giunse in giovenil etade
di gentilezza cupido e d’onore,
di gir errando per l’altrui contrade
nobile voglia gli si mise in core,
né gran preghiera né de’ soi pietade
già mai di ritenerlo ebber valore.
Al fin spedito egli si mise in via
et io fui destinato in compagnia.

33Molto per noi s’errò, molta vaghezza
molto per molte parti ne ravolse.
Al fin, già stanchi, l’immortal bellezza
de gli italici lidi ne raccolse.
In tanto morte e l’ultima vecchiezza
dal nostro mondo il nostro re disciolse,
e tornar volemmo in nostra terra
ma ne ritenne la presente guerra.

34La vaghezza de l’armi e de gli affanni
che seco han gloria ne l’armate imprese,
subitamente in quei giovenil anni
alto disio di guerreggiar accese,
e fin qui da la morte e da’ soi danni
ha le nostre speranze il Ciel diffese;
ma sia vano il timor che mi sgomenta
ora parmi veder ch’ei se ne penta.

35Sai quel guerrier che l’alte torri al piano
trasse l’altro ier sì facilmente et arse,
a cui pur dianzi ha contrastato in vano
il nostro stuol ch’ei sotto i piè si sparse?
Seco soletto con la lancia in mano
move lo sfortunato ad incontrarse:
vedi omai quanto tempo e quanto spazio
lasso gli avanza da l’estremo strazio.

36Io l’ho pregato ma si sparge a i venti
poco apprezzata la preghiera mia,
e seco le mie lacrime e i lamenti
lasso sen van per la medesma via,
Tu, che sopra gli spiriti possenti
hai per tuo senno altiera signoria,
a lo scampo del giovine comparti
qualche consiglio di tue nobili arti.

37Suscita qualche intrico ond’a fornire
questo tuo disiderio egli non vaglia,
o che almen senza rischio di morire
oggi fornisca la crudel battaglia,
e sì darai conforto al gran martire
che l’anima già stanca mi travaglia,
e porgerai soccorso a la mia vita
che s’egli casca se ne va fornita».

38Ei così disse, e molto lacrimoso
a piè del mago ripiegando stette,
e lui lusinga co ’l modo amoroso
che ne la bocca il gran martir gli mette.
Da la sua passion fatto pietosoGetulio veste le proprie armi e si avvia al duello (38,5-53)
sicura aita il fisico promette,
e se ne torna al loco ascoso e chiuso
là ’ve incantar lo scelerato era uso.

39Quivi egli pien de l’infernal furore
volge la mente a soi riposti ingegni,
e trae l’iniquo i sacri arnesi fuore
e forma in terra empie figure e segni.
Mormora indegne note, il cui valore
è già temuto ne’ tartarei regni,
e poi che ’l suo disir fornito vede
e i soi bisogni ad Orisgonte riede.

40Dice: «Secondo il tuo gentil disio
e mia fatica e mia dottrina ho spesa;
cessa il timor, ché ne l’assalto rio
non fia l’alto garzon senza diffesa;
ma ben sarebbe il disiderio mio
ch’ei pentisse da l’ardita impresa,
e ritornasse nel suo regno antico
o si provasse con minor nimico.

41Questi, che giunto a l’inimica gente
ne sbigottisce de la sua presenza,
se sua propria risposta a me non mente,
da l’Inferno è tenuto in riverenza.
Spirto non è là giù tanto possente
che non paventi de la sua potenza,
non ch’a i miei preghi tant’audacia prenda
che dentro l’armi in qualche via l’offenda.

42Pur a ciò ch’a lor è d’operar concesso
vinti da’ preghi e da la mia virtute
saranno in campo al giovinetto appresso
e cura prenderan di sua salute.
Fin qui ti posso dir, tu per te stesso
volgi il pensier su le risposte avute,
et in bilancia le speranze poni
co ’l rischio omai vicin di lor tenzoni».

43Così diceva il mago, et Orisgonte,
che mirava da presso i gran perigli,
stracciava i crini e percotea la fronte
e gli occhi avea di lacrimar vermigli,
«Onde parole troverò sì pronte
che da l’assalto il giovine sconsigli,
et a qual parte stenderò la mano
s’anco l’Inferno ho ripregato in vano?».

44Così diceva il vecchiarel pietoso
per l’invitta pietà che lo distrigne.
Getulio intanto, cui disio focoso
per sé mal cauto a guerreggiar sospingne,
rifiuta ogni momento di riposo
e prende l’arme et a giostrar s’accigne.
Pria di vesti più molli e più gentili
fascia le belle membra giovenili.

45Indi a coprire il forte petto e ’l tergo
da le percosse e da gli ostil furori
piglia d’acciaio il luminoso usbergo
tutto fregiato de i più bei lavori.
Dianzi ch’ei feo ne la Germania albergo
interrompendo i volontari errori
fece temprar la nobile armatura
con gran tesoro e con mirabil cura.

46Quivi dentro distinta a parte a parte
era la reggia de i celesti chiostri,
et ivi dentro poi, Venere e Marte,
scolpiti erano i furti e gli amor vostri.
E lo scultor con tanto studio et arte
aveva gli ori variato e gli ostri
che potea di leggieri il guardo istesso
creder l’inganno che scorgeva espresso.

47Eravi il dio de la milizia cruda
in cui gli orgogli alta dolcezza affrena,
e seco avea la bella diva ignuda
vinta da l’invisibile catena.
Eravi il fabro che n’agghiaccia e suda
che gli altri divi a riguardarli mena,
e nel sembiante dimostrava segno
de l’interna sua pena e del disdegno.

48Apollo, Giove e tutto ’l Ciel si stava
con gli occhi intenti a l’amoroso viso,
e per virtù de lo scultor mostrava
di fuori invidia non minor che riso.
Amore intorno dibattendo andava
additando il fortissimo conquiso,
e contra l’armi ond’egli suole ir carco
tendea per scherno le quadrella e l’arco.

49Ne l’altra parte del pregiato arnese
che l’una e l’altra spalla fea sicura,
dipinto avea de l’infernal paese
la regione orribile et oscura.
Quivi l’immense membra avea distese
Tizio su ’l volto de la terra dura,
e con ferrigni chiodi avea nel piano
confitto i piedi e l’una e l’altra mano.

50Sovra il gran corpo orribilmente sparse
grande avoltor sta dibattendo l’ali,
ministro destinato a sanguinarse
gli artigli ne le viscere immortali.
Il miser peccator sembra lagnarse
e lacrimar de gli infiniti mali.
Di sì grand’opre il bello usbergo adorno
il cavallier s’accomodava intorno.

51Prende poi scudo ove di puro argento
trascorre Galatea l’onda marina.
Stava la terra, stava il cielo intento
a lo splendor de la beltà divina.
Piagnea sovra Etna Polifemo e ’l vento
facea de’ pianti soi larga rapina,
e le Nereide co ’l gentil sembiante
schernian su ʼl mar lo smisurato amante.

52Indi la spada che d’acciar perfetto
sì formò con mirabil magistero
si cinge al fianco, e prende il bono elmetto
che salamandra in foco ha per cimiero.
Al fin cavalca il corridore eletto,
tra molti il più possente e ’l più leggiero,
che con fregi infiniti e con ricchezza
molto crescea la natural bellezza.

53Così va dentro l’armi e dentro gli ori
a la battaglia altieramente adorno:
tal su ’l principio de i notturni orrori
Espero riede a discacciare il giorno,
ei dianzi terso ne i marini umori
va rugiadoso risplendendo intorno,
e sfavillando co i bei raggi allegra
il volto de la notte umida e negra.