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Delle guerre de’ Goti

di Gabriello Chiabrera

Canto VI

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.09.15 8:54

Vitellio dispone le truppe per la battaglia campale (1-16)

1Oppressi intanto da gravoso affanno
che di vil tema loro agghiaccia il core
gli infidi Goti stan, che veduto hanno
contra sé l’armi e l’inimico ardore,
e con la mente ricercando vanno
il cavallier de l’immortal valore,
e, ripercossi da’ pensier, non ponno
dar gli occhi stanchi al disiato sonno.

2Non già così dentro l’armate tende
stansi di Italia i cavallier pensosi,
che lieti del valor che gli diffende
godon l’ore de gli agi e de i riposi.
Sol quivi per Vitellio in van distende
la taciturna notte i veli ombrosi,
né sonno ora brevissima accompagna
gli occhi, ch’amaro pianto inonda e bagna.

3Ei, pur con l’armi travagliose intorno,
cosperse ancor de gli inimici estinti,
vegghia con rei pensier ch’empio soggiorno
fangli nel cor, donde non fian mai spinti.
Tu che di fede e di fortezza adorno
caddesti sotto a gli avversari vinti
il chiami, e teco ei si querela e duole
e porge a l’ombra tua pianti e parole.

4E mentre a l’aria sparge i mesti accenti
e di lacrime bagna il petto e ’l viso,
le turbe al padiglion meste e dolenti
recano in braccio il cavallier ucciso,
che da le fiamme e da le travi ardenti
era miseramente arso e diviso,
e le guaste fattezze e ’l rio sembiante
rinovaro dolor nel core amante.

5Al fin nel petto il duol rinchiude e serra,
e volge irato al sommo duce il piede,
e dice: «Ecco colà fumanti a terra
le moli ov’io già ti ubligai mia fede,
ma ’l mio destino e la commessa guerra
più dal mio cor e da la destra chiede».
Narsete a l’or tinto di gioia in faccia
l’alto baron meravigliando abbraccia,

6e dice: «O gloria, o vero alto sostegno
del campo dianzi a ruinar vicino,
già da tua destra ha manifesto pegno
nostra speranza de l’altier destino,
discendi omai, struggi il nimico indegno,
e mena a riva il gran voler divino».
Ei, già venuto sordo a tante lodi,
così soggiunse in reverenti modi:

7«Quando il tenor de le celesti sfere
ad altri esponi e per te prima intendi,
sì che vincendo le tue voglie altiere
me tuo ministro a la tua gloria prendi,
mentre io là movo a guerreggiar le schiere
qui la vittoria, o gran Narsete attendi».
Indi rivela e ai cavallier sua mente
e parte in squadre l’animosa gente.

8Ciò ch’era in campo de la gente fida
al rischio estremo de la guerra ei vole,
e tutto ’l campo di vittoria affida
e sveglia a guerreggiar con sue parole.
E già la dea ch’in Oriente annida
facea la scorta in su ’l mattino al sole,
e vaga usciva dal celeste albergo
sprezzando il vecchio che le piagne a tergo,

9a l’or Vitellio in se medesmo avisa
le forze a lui soggette e le nimiche,
e seco pensa l’ordine e la guisa
di partire i perigli e le fatiche.
La gente strana in due parti divisa
chiudea le genti de l’Esperia amiche,
e Gordio ne la destra era primiero
co i feroci Unni, ond’egli avea l’impero.

10Cosmondo poscia i Persian stendea
da sinistra a guardar gli altri confini.
Lor dietro alquanto di furor fremea
il doppio stuol de’ popoli latini.
Quinci di Grecia i cavallieri avea
partiti a lato a’ fanti peregrini;
ma gli altri strani per aita eletti
dietro la destra parte eran ristretti.

11Sotto cotal impero e con tal arte
sue brevi squadre a la campagna ei stende,
gli Unni al duca di Creti indi comparte
e i Persiani a suo governo ei prende,
et altamente a l’opera di Marte
suono di trombe i coraggiosi accende,
e van per gli occhi ad infiammar le menti
altiere insegne tremolando a i venti.

12Come ne’ dì che sua gentil corona
giugne Arianna a le superne stelle,
Borea, che i lumi suoi non abbandona,
scende nel mar a risvegliar procelle,
a l’or fremendo l’ocean risuona
d’alto rumore in queste parti e ’n quelle,
così spargeva il popolo feroce
strepito d’armi e coraggiosa voce.

13Ma dove il goto apparecchiarsi mira
battaglia aperta al rilucente giorno,
il barbarico ingegno infiamma d’ira
et a’ soi grida, ch’a lui stanno intorno:
«Forse virtute il disperato or tira
a cercar modo di morir adorno,
o co ’l vigor che dal digiun gli avanza
vincere il vincitor prende speranza».

14A quel parlar Nicandro il guardo porge
e disarmato in placida quiete
sopra il confin de gli steccati scorge
starsene rimirando il gran Narsete,
e dice: «Or chi può dirti a che lo scorge
il fin de le speranze lor secrete?
Ma, qual pensiero a guerreggiar se ’l meni,
dritto non par che la tua gente affreni.

15E poi che ’l duce nel sovran periglio
sue genti cauto o timido abbandona,
segui la maestà del mio consiglio,
né pregiar l’arme lor di tua persona».
A ciò ’l tiranno con turbato ciglio
gli occhi rivolge, indi così ragiona:
Dunque oggi sieno l’armi e ’l loro impero,
o Ridolfo, commesse al tuo pensiero.

16Discendi al piano e i chiusi lor disegni
pur con la spada e con la lancia spia,
et oggi Marte de gli esperi regni
con largo sangue la sentenza dia».
Ei con l’aita de i guerrier più degni
e stima e pensa del pugnar la via,
et indi a’ minor duci et a’ guerrieri
va spiegando il tenor de’ soi pensieri.

Aristie di Cosmondo e Fileno (17-31)

17Al fine abbatte i varchi e si disserra
il gran furor de l’infinite genti.
Ardere assembra e fiammeggiar la terra
a i chiari lampi del metallo ardenti;
esse a fornir la già molesta guerra
se ’n van co ’l piede e più co ’l cor correnti,
e tra’ rischi di guerra acerbi e gravi
pascono l’alme di pensier suavi.

18Qual se da l’antro ove la doma e strigne
Eolo scioglie a sua famiglia il freno
il mar, ch’alternamente si rispigne,
ribolle et empie di tempesta il seno,
ma pur mai sempre co ’l furor sospigne
l’un’onda nell’altra al margine terreno,
tal ondeggiando in su ’l gran pian si stanno
i Goti in arme e pur inanzi vanno.

19Mugghia la terra dal gran peso et anco
mugghia da l’armi ripercosse insieme.
Così Tifeo se dal gran monte è stanco
che in pena eterna duramente il preme
dibatte indarno il folminato fianco
e scote ad Etna le radici estreme,
e di sue prove al disiderio vane
senton rumor le region lontane.

20A l’or al Ciel porse preghiera umile
Vitellio, aprendo ambe le braccia armate:
«Signor, non duce cavallier sì vile
ma scorge il campo umil tua volontate.
Tu vèr lui di pietà serba tuo stile,
rammenta teco la tua gran bontate».
Indi a gli arditi soi guerrier sospinge
e l’armi altiero a la vittoria stringe.

21Et ecco in forma spaventosa e dura
d’armi già tronche la campagna è piena.
Alito e polve il chiaro giorno oscuro
e sangue inonda la calcata arena.
Lacrima il vento sua crudel ventura,
minaccia il vincitor, ch’a morte il mena,
e perché il ferro non languisca intanto
doppian le trombe il sanguinoso canto.

22Come pe ’l tempo che l’orribil fronte
de le dure Alpi orrido gelo asconde,
s’aspri torrenti da contrario fonte
van ne la stessa a romper l’onde
rimbomba sì che su lontano monte
alto sospetto il villanel confonde,
così spargea rumor che da quel suolo
a’ ciel se ’n giva l’uno e l’altro stuolo.

23Primier Cosmondo Andiloco percote
colà dove l’assalto era più forte,
ch’al signor di Verona altier nipote
godrà le grazie de l’amica sorte;
e diparte a Cilindro ambe le gote
e di doppia ferita il mena a morte,
ch’a sommo ’l ventre il duro ferro immerge
e le minuggia ivi a la terra asperge.

24Indi Sebeto, cui vaghezze ardenti
trasser da gli agi a le più dure cose,
quando più gli occhi ei rivolgea lucenti
e le guancie leggiadre et amorose.
Costui la madre, che reggeva armenti,
in su la riva del Sebeto espose,
e dal bel nome de le limpide acque
nomò ’l garzon ch’a la rivera nacque.

25Ma da ria stella a guerreggiar sospinto
a lei non rese gli amorosi uffici,
che dal furor de la battaglia vinto
incontrò morte a le staggion felici.
Ei d’ostro e d’oro e di dure arme cinto
chiedea l’assalto de i maggior nimici;
al fin, tinto di molti, aspro destino
al furor di Cosmondo il fe’ vicino.

26Et ei co ’l ferro nel sinistro fianco
là dove il core et ha la vita albergo
fiero percosse il giovinetto franco,
e ruppe il petto dopo ’l duro usbergo.
A l’or, gelato de la morte e bianco,
giù ruinando traboccò su ’l tergo,
e fra’ soi steso di sanguigna vena
stette bagnando la nimica arena.

27Così bell’olmo che crescea superba
in su le piaggie d’Apenin remote
al fin recisa da secure acerba
la natia riva con rumor percote;
lei, così tronca, il villanello serba
a farne aratri e rusticane rote,
e perché asciughe il ceppo verde intanto
distesa giace al vicin fiume a canto.

28Ove Fileno, che lontan contende,
ucciso mira il giovinetto a terra,
la destra e l’arco oltra l’orecchia tende
pur a Cosmondo minacciando guerra.
Lo stral ben l’aure minaccioso fende
ma ’l sagittario nel percoter erra,
e là dove la coscia al ventre aggiunge
quivi Alforisio amaramente punge.

29Questi, di sangue e di virtù straniero,
vide nascendo il puro ciel romano,
e gìa predando ne l’assalto fiero
l’oro a le membra che cadean su ’l piano,
ma con lo stral l’insidioso arciero
punì da lunge la rapace mano.
Indi, non pago de l’umil vendetta,
arma la corda di miglior saetta.

30Parte sospigne e parte indietro tira
fin che avvicina ambe le punte avverse,
e pur con l’occhio destro intento mira
il signor vecchio de le genti perse.
Ei, mentre combattendo si raggira,
la gola alquanto disarmato aperse,
e colà tosto la saetta è giunta
e dentro bagna la nimica punta.

31Qual alta cima di deserto scoglio
che spesso indarno la tempesta ha roso,
al fin, partita dal marino orgoglio,
fa rimbombar il pelago spumoso,
cotal lasciando a’ soi guerrier cordoglio
cadde il perso traffitto e sanguinoso,
e con l’armi dorate ond’era adorno
fe’ la campagna risonar d’intorno.

Vitellio sbaraglia i Goti sulla propria ala, dall’altra i Latini sono messi in fuga (32-54)

32Come s’avvien che a ricercar pastura
per l’alte selve l’orrida orsa mova,
ch’in su ’l ritorno la spelonca oscura
dal cacciator poi depredata trova,
se ben si rode e l’acuta unghia indura
pur guarda il nido e vanamente il cova,
e per alquanto men acerba e ria
sicura lascia al peregrin la via,

33così non men pe ’l cavallier già spento
giusta pietate il bon Vitellio affrena,
ma partendo da l’anima il tormento
segue il furor ch’a la vendetta il mena.
Qual in seno di mar forza di vento
conturba l’onda e la minuta arena,
tal ei scote co ’l ferro e co’ sembianti
armati et arme, cavallieri e fanti.

34Tra la morte di lor cui non raviva
eterna fama e cieca notte imbruna,
ei co ’l ferro alto a la bandiera arriva
che la gran turba di Liguria aduna,
gente cresciuta a la marina riva
usa fra l’onde a sostener fortuna.
Quivi d’Ibero ambe le man diparte,
callose in maneggiar ancore a sarte.

35Indi su ’l braccio, che per l’aria stende
l’insegna eletta a la vittoria in vano,
rivolge il ferro, e sanguinoso il fende
e seco manda la bandiera al piano.
Allor la turba fuggitiva prende
strada a lo scampo dal guerrier lontano,
ma ’l forte Argante, che la regge e guida,
a lei s’oppone duramente e grida:

36«Che più verrà ch’ella da voi si speri
la patria lassa, a cui fuggendo andrete?
dunque o non mai di vostri pregi altieri
a le minaccie d’una man cedete?
Non già così tra femminil pensieri
entro le risse de l’amor solete:
omai l’arme virili altrui lasciate,
che son da voi così vilmente oprate.

37Da voi non sono i bellicosi canti,
non son le trombe degnamente intese.
Gitene, gite lascivetti amanti
a cercar fama in più sicure imprese.
O guerrieri d’amor, gli almi sembianti
guardate ben da le nimiche offese,
che se la donna vostra unqua vi mira
la beltà guasta ella non aggia in ira!».

38Mentre ei così ne’ fuggitivi tenta
tornar di Marte il dispregiato onore,
l’invitto cavalier gli si appresenta
e con la punta gli ritrova il core.
Subito il freno al corridore allenta
e gli occhi ei vela di mortal orrore.
Perciò Vitellio di ferir non cessa
contra la turba fuggitiva oppressa.

39Ella, dolente e sbigotita, stride
là ’ve la spada folgorando abbassa.
Et ei molti percote e molti ancide,
molti trabocca e sovra lor sen passa,
disperde i busti e i capi indi divide
e dentro a gli elmi le querele lassa,
e per lor fuga di ferir non resta,
e vivi e morti vincitor calpesta,

40tal che d’intorno omai l’ampia campagna
si par che fiume sanguinoso inonde,
e ’l corridor, ch’ivi s’immerge e bagna,
l’elmo e l’usbergo al cavalliero infonde.
Etna non mai s’Encellado si lagna
e d’arsa nebbia il chiaro polo asconde
tanto spavento a’ riguardanti porge
quanto ne l’arme e nel guerrier si scorge.

41E da l’altiero e glorioso essempio
fatta feroce oltra l’usato e franca,
suda sua gente in raddoppiar lo scempio
sovra lo stuol che si dilegua e manca.
Chi svena i forti, chi sanguigno et empio
caccia la turba che nel corso è stanca,
e de la vita il don contende e niega
e tronca le man giunte onde ella il priega.

42Ma nel feroce assalto, onde lontano
era il valor del cavallier divino,
incontra’ Goti era caduco e vano
l’antico ardir del popolo latino.
Già l’alte insegne eran cadute al piano
et a la fuga ogni guerrier vicino,
sol contra le minaccie de la morte
era l’alma de’ duci altiera e forte.

43S’affanna Arcadio e le disperse genti
di ridur prova al suo valor primiero,
e con dolce parole e con pungenti
s’adopra indarno e con essempio altiero.
Al fin su i monti de i seguaci spenti
abbandona le redini al destriero,
e pien di voglia disdegnosa e rea
le piaghe incontra onde ciascun temea.

44Parte per l’aria se ne vola et erra,
parte la dura piastra gli diffende,
parte veracemente a lui fa guerra
se ben in gioco il fiero cor se ’l prende.
Al fin più d’una il corridor gli atterra
che seco al piano il cavallier distende,
ove oppresso dal peso e senza aita
altrui concesse l’onorata vita.

45Né con pena minor poco in disparte
i suoi reggeva il principe di Rodi,
parte pugnando ne rivolge e parte
ne va sgridando in coraggiosi modi:
«Ove fia giunta, o popolo di Marte,
l’alta memoria de l’antiche lodi
s’Italia vostra in questo dì si vede
mostrar il tergo e rivoltar il piede?».

46Con queste voci infellonito gira
contra l’arme nimiche il volto e ’l corso;
così cinghial se ’l cacciator rimira
e i cani incontra che minaccian morso,
infiamma gli occhi di veneno e d’ira
e tutto inaspra il setoloso dorso,
e i can da lunge con le zanne scote
e dentro i ferri con furor percote.

47Allora il Faga e ’l fido Assueto insieme
e Gordio fier rapidamente move
per dar conforto a le speranze estreme
o perir chiari d’onorate prove,
e quattro spade e quattro cori han speme
che la vinta battaglia si rinove,
e se ’n van contra guerreggiando arditi
a’ vincitori popoli infiniti.

48Ben tosto i ferri infra i nimici volti
e l’alte destre a la vittoria pronte
tra molti estinti e tra piagati molti
di membri e d’arme alzan orribil monte,
ma pur non v’ha chi le preghiere ascolti
né chi pur osi rivoltar la fronte,
e per loro salute e per vendetta
soccorso in van tanta virtute aspetta.

49E son da i piombi e dai volanti sassi
e da le armi nimiche omai coperti,
e per ritrarsi al capitano i passi
dietro a fatica si vedeano aperti.
Così piagati da’ nimici e lassi
dal duro assalto e da la sorte incerti,
pur con sembianza minacciosa stanno
altrui porgendo e sostenendo affanno.

50Quivi Ridolfo, ch’in sovrano onore
il fren reggea de l’infinite genti,
acceso da disdegno e da furore
pungeva il campo di cotali accenti:
«O Goti, ov’è la forza, ov’è ’l valore
che poco dianzi ha gli inimici spenti?
Mirate l’avversario che dimostra
con la sua fuga la virtute vostra».

51Da queste voci a rinovar l’offesa
apparecchiano lancie i cavallieri,
mettono i dardi in sua la corda tesa
pur da lontan gli insidiosi arcieri,
e contra breve e picciola diffesa
fremono innumerabili guerrieri
con rimbombo di gridi e di rumori
che folgori nel ciel gli han via minori.

52Ma dove il campo avverso Almonio vede
tutto vèr quattro in tal furor sospinto,
rapido move al bon Vitellio il piede
là ’ve ei distrugge l’inimico vinto.
Servo di longa età, di longa fede
stato era Almonio in vèr Arcadio estinto,
et in quel duro assalto il tenea cura
di condur le sue membra in sepoltura.

53Questi a Vitellio sospirando grida,
turbato di dolore a la sembianza:
«O tu, ne cui valore ella s’annida,
ora adempi, signor, nostra speranza.
Qui fugge il Goto, e perché pur s’ancida
si par soverchia omai la tua possanza,
ma d’altra parte nostra gente è gita
se da tua destra non le viene sita.

54Sé solo Arcadio a gl’inimici offerse
poi che vide sua gente in fuga volta,
or quattro stan contra le turbe avverse
ma le lor voci nessuno altro ascolta».
Vitellio a quel suo dir da le disperse
turbe de’ Goti il corridor rivolta,
colà correndo, disdegnoso e fiero,
infiammato nel volto e nel pensiero.