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Delle guerre de’ Goti

di Gabriello Chiabrera

Canto VIII

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.09.15 8:58

Nicandro propone di chiedere una tregua funebre per potersi riorganizzare (1-10,4)

1Era la notte e ’l mondo e gli animali
in riposo aspettavano il mattino,
né su per l’alto ciel battevan l’ali
né gian guizzando per lo suol marino,
pur dentro l’arme i miseri mortali
vegghiano a l’opre del lor fier destino,
e chiama a dispiegare i lor pensieri
il tiranno de i Goti i soi guerrieri.

2Ei, che ne la battaglia alta sembianza
di Marte avverso rimirato avea,
non pur lascia d’Ausonia la speranza,
ma di ventura più crudel temea:
«Che più» dicea «da dubitar m’avanza,
fedeli miei, de la novella rea?
Se v’ha novel nimico assai ve ’l mostra
con dura prova la battaglia vostra.

3Or, poscia ch’a l’essercito latino
par che vegna da’ Ciel tanto favore,
dobbiamo alzar la mano al fier destino
o con l’armi provar nostro valore?».
A quel parlar umilemente inchino
ciascun dava consiglio al suo signore.
Al fin, dopo molte ragioni intese,
così il vecchio Nicandro a parlar prese:

4«Non so, signor, se coraggioso e forte
parrà il pensier che m’è venuto in mente,
ma me ’l consiglia l’infelice sorte
e c’hai rimirato de la nostra gente
e quello strazio de le schiere morte
pur con le torri entro la fiamma ardente,
che miracol non fia s’alcun timore
al nostro campo avrà lasciato in core.

5Signor, da la mia prima gioventute
de la milizia mi commisi a l’arte,
e diverse battaglie indi vedute
ho quando in una e quando in altra parte,
non però tanto ardir, tanta virtute
giamai conobbi nel mestier di Marte
quanto è nel petto del guerrier che solo
ha tolta la vittoria al nostro stuolo.

6E se la nostra gente, or paventosa,
facciamo in campo novamente uscire
non ha ’l consiglio tuo seco altra cosa
fuor che rischio di fuga o di morire;
ma s’ella in pace alquanto si riposa
fin che riprenda lo smarrito ardire,
indi con arte l’inimico assaglia,
forse a nostro favor fia la battaglia.

7E perché a l’inimico il mio pensiero
potrebbe forse rassembrar viltate,
faremo froda e copriremo il vero
sotto mentita forma di pietate.
Spedirassi a’ Latini un messaggiero,
come s’usa, a pregar qualche giornate
sicure da l’offesa e da la guerra
per dar gli uccisi al foco et a la terra».

8Così disse Nicandro, e piacque il detto
al suo signor, che gli rispose poi:
«O dignissimamente a me diletto,
che tanto co ’l pensier conoscer puoi,
tu che consigli al disiato effetto
recarci devi anco i consigli toi,
però tosto che Febo inalzi i rai
al campo avverso messaggiero andrai.

9E se giamai dopo sì longo spazio
ch’ella qui ne gradisce e ne disdegna
rende il mio cor de la vittoria sazio
l’alta fortuna, che tra l’armi regna,
o miei fedeli, acerbo e lungo strazio
e crudeltate di nimico degna
vorrò ch’appaghe e che consoli l’ore
che traemo di affanno e di dolore».

10Sì minacciando al barbaro costume
più co’ soi cavallier non fa dimora,
e tutti van su le notturne piume
con rio pensiero ad aspettar l’aurora.
Non men di loro il matutino lumeGetulio si lamenta (10,5-20,2)
e ’l sol che i piè de la bella alba indora
Getulio afflitto e sospiroso brama,
e contando i momenti indarno il chiama.

11Egli co ’l sonno e co ’l riposo in bando
infelice tra pianti e tra sospiri
quando gravoso in su ’l sinistro e quando
su ’l destro va schermendo i soi martiri.
Così vegghia la notte lacrimando
i quasi disperati soi disiri,
e dietro la memoria de’ soi guai
scioglie il pensiero e nol raccoglie mai.

12Ora biasma fortuna, or sé dolente
incolpa di soverchia tarditate,
né si po dar perdon ch’a lui presente
gisse prigion la cara sua beltate.
Or dubitando va s’ei fia possente
a presto ritornarla in libertate,
e pensa schermi et arti di battaglia
e quando e come l’inimico assaglia.

13Talor pensa che fia de la sua vita
s’e’ trovasse al pugnar chiusa la via,
sì che donar non le potesse aita
e rimanesse ne l’altrui balia.
Ma sopra tutto a disperar l’invita
acuto spron d’iniqua gelosia,
ch’in mille modi gli circonda il petto
di gelata paura e di sospetto.

14Parli mirar che ’l cavallier romano
da quei begli occhi inamorato penda,
e ch’or s’appressi e ch’or l’ardita mano
entro la neve del bel sen distenda,
e che dal viso disdegnoso invano
i cari baci a sé devoti prenda,
indi con modi umili e mansueti
la bella donna lacrimosa acqueti.

15In sì duro pensier non è più forte
a rinchiuder nel petto il suo dolore,
ma palpitando e con color di morte
trova lamenti a disfogar il core:
«Ahi crude leggi» egli diceva «e torte
onde governa i soi fedeli amore,
e con ciascuno e maggiormente meco
giudice sempre e pargoletto cieco!

16Ciascuno amante dal mio strazio indegno
i giudici amorosi a tempo impari,
io sia l’essempio, che spregiato il regno
servire elessi a dui begli occhi avari,
né per alcuna servitù fui degno
mai rimirarli a me sereni e chiari,
che disiosi ognor del mo martire
m’hanno sospinto al cor folgori d’ire.

17Misero, ch’ogni forza et ogni inganno
ho sostenuto a dimostrar mia fede,
né dato mai l’alte bellezze m’hanno
o speranza di grazia o di mercede,
et or senza tormento e senza affanno
un barbaro crudel se la possiede,
e forse a riva sua vaghezza mena
di quel piacer ch’io disiava a pena.

18O vita mia, che di durezza armasti
l’alma a gran torto contra ’l mio diletto,
né mai pietosa d’ascoltar degnasti
per scampo di mia vita alcun mio detto,
or sì ch’a gran ragione i pensier casti
ti faran scudo e t’armeranno il petto.
Ma, lasso, io temo, ch’a mio sol dolore
di tanto smalto t’abbia cinto Amore».

19Ei così piagne et indi a la paura
che ’l cor gli strugge subito s’invola
e da sé scaccia la gelosa cura
e con novo pensier si riconsola.
In tal modo ei paventa e s’asicura
pur come insegna Amor ne la sua scola,
e già scorgendo l’alba in Oriente
volgea la notte il suo carro ad altra gente.

20Subito sorge, si pon l’arme intorno,
si cinge il brando, il corridor richiede
e quasi ne l’uscir del suo soggiornoNicandro ottiene sei giorni di tregua, Getulio sfida a duello Vitellio per Idalia (20,3-37,4)
Nicandro accinto a la partenza ei vede.
A lui s’aggiunge e co ’l novello giorno
al campo avverso van movendo il piede,
e giunti verso ’l fin de i lor sentieri
hanno incontra soldati e cavallieri.

21Essi in mirar pacifica l’insegna
rifiutano il pensier d’ogni temenza,
e l’han raccolto e ciascun om s’ingegna
d’usar modi cortesi e riverenza,
e spiato da lui perché ne vegna
il tranno di Narsete a la presenza.
Quivi Nicandro con sembianze gravi
sospinse dal suo cor detti suavi:

22«Romani amici e tu, signor, ch’altiero
risplendi di valore e di pietate,
io ne vegno tranquillo messaggiero
a chieder cose ne la guerra usate.
Così posasse questo antico impero
o si chiedesse senza schiere armate,
onde sperasse a l’alte sue ruine
mirar l’Italia alcuna volta il fine!

23Ma poi che stelle a’ nostri danni accese
e fato il varco a la quiete serra,
al men per modo nobile e cortese
forniamo l’opre acerbe de la guerra.
Ecco le genti che pur dianzi han stese
i duri fati in su la dura terra
saranno cibo d’avoltori et esca
s’avvien che di lor sorte or non n’incresca.

24Ma quei guerrier ch’a stabilire il regno
porsero invitti a le percosse i cori
mirate, o cavallier, come sia degno
che sian privati de gli estremi onori,
però messaggio a te, Narsete, io vegno
tregua a pregar da i bellici furori
fin che siano rinchiusi in picciol fossa
le loro fide e così nobili ossa».

25Così dicea Nicandro e ’l buon Narsete
diverse cose rivolgeva in mente;
al fin, giocondo e con sembianze liete,
dolce parlando al suo pregar consente.
Era bramoso di donar quiete
per breve spazio a la sua stanca gente,
e ’l pio Vitellio de gli estremi uffici
ornar voleva i trapassati amici.

26Rispondeva Narsete: «O messaggiero,
vostra preghiera è di pietà fornita,
et io verso color non sarò fiero
che tra ferri ’l destin tolse di vita.
Sì scacciasse da l’alma il rio pensiero
il signor vostro ch’a pugnar l’invita,
onde per l’avenir si rimanesse
di più formar queste preghiere istesse.

27Ma vedi tu ch’ei sua pietà distende
pur solamente in vèr le genti morte,
e sopra i vivi a ripensar non prende
benché già presso a la medesma sorte.
Or fin ch’el chiaro sole in ciel non splende
e non riapre al sesto dì le porte
assalto di nimico alcun non tema
e s’usi a morte la pietate estrema».

28Quivi con faccia in maestà serena
aggiunse seco il messaggiero a paro,
e dolcemente a ragionare il mena
de i guerrier che ne l’armi s’incontraro,
se de gli estinti, onde la terra è piena,
alcuno ve n’avea nobile e chiaro,
e de la pugna e se sapendo donde
venisse il grand’aiuto, et ei risponde:

29«Signor, benché di quei ch’a la campagna
turbano sotto ’l re vostro riposo
non poca parte estinta ne rimagna
e da morbo e da Marte sanguinoso,
non è però che si disiri e piagna
alcun tra loro di valor famoso,
però ch’a l’omo coraggioso e forte
perdona in guerra volentier la morte.

30Ma sorte ria, ch’a sue miserie trova
mai sempre il varco e le fornisce a pieno,
come in te so averai, con arte nova
alcuni amanti n’ha condotti a meno».
Indi racconta la dolente prova
d’Arpalice, di Marzia e di Sereno,
e come poscia et Ismaro et Ircano
traendo il morto se n’andò lontano.

31E ciò contando va cingendo ’l petto
a i bon Romani di pensier dolenti.
Così con uno et or con l’altro detto
eran su ’l varco de gli alloggiamenti
quando Getulio, che ne l’alto aspetto
del bon Vitellio aveva i lumi intenti,
e traeva dolor ch’in lui fiorisse
cotanto lume di beltà, gli disse:

32«Or che fian poste per alquanto l’ire
commosse qui per general cagione,
io ti disfido a guerreggiando uscire
a privata o domestica tenzone,
e certissimo son ch’al mio disire
non sarà cavallier che non perdone,
pur ch’ei volga la mente a molte cose
che nel fondo del cor mi stanno ascose.

33Ieri, signor, là ’ve la pugna accesa
più s’avolgeva sanguinosa e fiera,
sorte co ’l tuo valor trasse a contesa
una bella e magnanima guerriera,
e qual fusse l’offesa e la diffesa
non so, ma tu la guardi prigioniera:
io con le leggi tra i guerrier usate
ti chiedo di costei la libertate».

34Ei così ragionava, e dal sembiante
e da la fiamma d’un novel colore
Vitellio ebbe per fermo e per costante
ch’egli sfidava e ch’egli ardea d’amore,
e ripensando al titolo d’amante
ebbe qualche pietà del suo dolore;
pur pensò d’atterrar per ogni via
ogni guerrier di quella gente ria.

35«Vero è che quanto ragioni, o valoroso,»
dice ei «de la magnanima guerriera,
né sol perch’era donna io fui pietoso
ma perché mi si rese prigioniera,
et io pensando al tuo pensiero ascoso
accetto la disfida e la preghiera,
sì perché invito d’arme io non rifiuto,
sì perché ’l tuo servir sia conosciuto.

36Ma poi che in vostra gente or si ritrova
franco guerrier di feminil beltate
e volentier vi conducete in prova
a racquistar vostre bellezze amate,
com’è che parimente alcun non mova
de l’Italia a giostrar la libertate
sì che ’l sangue d’un sol chiuda la guerra
né più si miri rosseggiar la terra?».

37Ei così disse, e raggirò d’intorno
gli occhi splendenti di focoso ardire,
e si spargeva dal bel viso adorno
certa sembianza di minaccie e d’ire.
Ma rivolto Nicandro al suo ritornoSi compiono gli uffici funebri (37,5-52)
avea preso commiato al dipartire,
e ’l bon Narsete rivolgendo il tergo
moveva i passi al militare albergo,

38e ripensando al dir del messaggiero
e su le gravi morti e sugli amori
conobbe il fato pienamente vero
ch’ei rimirò su i matutini albori,
e disse: «O de l’Italia e de l’Impero
amici gloriosi e difensori,
date, date l’orecchia et attendete
quanto sia lunge dal mentir Narsete.

39Tornavi in mente che venuta a meno
la vostra gente io pur vi promettea
ch’ove n’avesse il bon Vitellio il freno
fora de i Goti la fortuna rea?
Ora membrate Arpalice e Sereno,
come pur dianzi il messaggier dicea:
quel suo dolor, ch’egli n’ha fatto espresso,
è ’l principio di quel che v’ho promesso.

40Anzi che ’l ferro ei si recasse in mano
a far i campi sanguinosi e rossi
ha gl’inimici empio destino e strano
e di mestizia e di dolor percossi;
ma dove armato egli discese al piano
visti gli avete, combattuti e scossi
voltarvi ’l tergo e senza alcuna aita
ad una abbandonar l’arme e la vita.

41Dunque, o seguaci, non vi punga il core
de l’alta veritate alcun sospetto.
Questi, fornito d’immortal valore,
è cavallier al Ciel caro e diletto,
e l’ha per trarne Italia al primo onore
a noi per scorta in questa guerra eletto,
e s’usiamo le grazie alte e divine
non fia diverso dal principio il fine.

42Ma poscia che pietosi e bei disiri
frenan l’armi bramose di vittoria,
e sepoltura debita e sospiri
doniamo de gli amici a la memoria,
essi beati su ne gli alti giri
e di letizia abbondano e di gloria;
pur mireran da la celeste sede
nostro amor volentieri e nostra fede».

43Così diceva, e ciascun om s’appresta
pieno di fede e d’amorosa cura
a gir per la campagna atra e funesta
per trarne i suoi diletti a sepoltura.
Co ’l guardo basso e con la fronte mesta
con gli occhi molli e con la guancia oscura
erravano tra ’l sangue gl’infelici
dolenti a ricercar gli estinti amici.

44L’alte percosse che si diero inanti
sospinti da l’immensa feritate
or come meraviglia hanno davanti
e le guardan con occhi di pietate.
Né ponno ravisar i lor sembianti
su le pallide membra et impiagate,
fin che non hanno rasciugati e netti
gl’impolverati e sanguinosi aspetti.

45Allora si raddoppiano i lamenti
e le gravi querele dolorose
e su le piaghe de gli amici spenti
allor piovon le lacrime amorose.
Quivi tra’ lamenti de le chiare genti,
tra l’insegne de l’armi più famose
là ’ve di guerra fu ’l più fiero ardore
vide Almonio travolto il suo signore.

46Armato anco in arcion sotto ’l destriero
giacea disteso il giovinetto ardito,
né parte indosso avea d’arnese intiero,
da colpi innumerabili ferito;
pur, minaccioso ancor, del brando altiero
il forte pugno egli tenea fornito,
e vive si vedean su ’l viso spento
imagini di sdegno e d’ardimento.

47Gl’arcioni in prima il vecchiarel disciolse
e di sottrarlo al corridor s’adopra,
e ne le stanche braccia indi l’accoglie
et ad un nobil carro il mette sopra,
e fascio fa de l’inimiche spoglie
onde la sepoltura adorni e copra.
In tanto il pianto et i sospiri danno
aperto indizio de l’interno affanno.

48Dicea piangendo con umil sembianza:
«O signor, ch’ora indarno il cor disia,
io fui mendico e ne la tua possanza
trovai rimedio a la fortuna ria,
e sempre con la voglia ebbi speranza
segno mostrarti de la fede mia,
ma con soverchio peso di martiri
adempie il Cielo avverso i miei desiri.

49Ahi lacrimosa, Arcadio, mia ventura,
ch’in guiderdon de l’alta tua pietate
sol posso far onor di sepoltura
a le tue membra pallide e gelate.
Ma voi ch’avete noi mortali in cura,
stelle, com’è che su nel ciel vogliate
Italia nostra per sì longo spazio
tanto sangue costarne e tanto strazio?

50Poi che di Tracia Bellisario mosse
sospinto a liberar Roma dolente,
corsero i fiumi e le campagne rosse
per lo gran sangue de la morta gente,
et ora oh quanti rivi, oh quante fosse
empie Narsete di sue schiere spente,
e quanti amici e quanti servi amanti
non men ch’Almonio se ne vanno in pianti!

51Tempo fia che i bifolci e gli aratori
per questi già felici almi paesi
l’aratro udran fra i rustici lavori
spesso sonar su’ militari arnesi,
e le grand’ossa di sepolcro fuori
riguarderan da meraviglia presi».
Ei così dice e per le gran campagne
de gli altri in tanto si sospira e piagne.

52Vanno predando le sanguigne rive
con longo studio de le membra amiche,
ciascun si carca, alcun non è che schive
il peso di sì nobili fatiche.
Similmente a le stagioni estive
trasporta il villanel le bionde spiche,
ch’ei sparse a l’aia e ch’ei tritò mature
su gli asinelli e su le spalle dure.