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Delle guerre de’ Goti

di Gabriello Chiabrera

Canto X

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.09.15 9:03

Vitellio batte e uccide Getulio a duello (1-23)

1Sì tosto come il bon Vitellio vede
Getulio uscir da gli steccati fuore,
seco rammenta la già data fede
e la disfida gli ritorna in core,
né punto bada a riguardar ma chiede
subito l’armatura e ’l corridore,
e tranquillo l’essercito abbandona
e fuor del campo a la battaglia sprona.

2L’altro, che ’l disiato cavalliero
vede uscito già fuor su la foresta,
si rallegra ne l’occhio e nel pensiero
e per disio già pon la lancia in resta.
Tal si fa lieto il cacciator levriero
e tutto ardente ad affrontar s’appresta
se dal fondoso varco, ov’ei l’aspetta,
mira la fera a sé venirne in fretta.

3Così da lunge in su l’erboso smalto
venian frenando i corridori ardenti
che con passi nitriti a salto a salto
mostravano ira de i viaggi lenti,
e già d’intorno a rimirar l’assalto
stannosi ferme l’infinite genti,
né v’ha fra lor chi volga gli occhi in giro,
né chi mova la bocca a trar sospiro.

4Similemente se due tori armati
compagni già nel pastoral soggiorno
geloso sdegno così tira avanti
ch’escono incontra ad abbassar il corno,
non pur da lunge tacite e tremanti
guardan le mandre che lor stanno intorno
ma, non so come da vaghezza tocchi,
anco i bifolci non rimovon gli occhi,

5così a giostrar de l’uno e l’altro regno
vengono a la presenza i cavallieri,
non per propria vendetta o per disdegno
ma per virtute incrudeliti e fieri.
A pena giunti al destinato segno
cacciano a tutto corso i bon destrieri,
e con lo stil di giostrator perfetto
segnano i duri colpi ambi a l’elmetto.

6A l’alto nembo polveroso e scuro,
al suono, al corso de l’orribil guerra
sembrò gran vento ch’a l’uscir d’Arturo
il cielo involve e le boscaglie atterra.
Ambi i cavalli ne l’incontro duro
poser le groppe, ripercossi in terra,
e i gran tronchi de l’aste come gelo
rotti su gli elmi se n’andaro al cielo.

7Tosto i guerrier ne’ destri pugni ignudi
le dure spade si recaro arditi,
e su le fine piastre e su gli scudi
rinnovellano assalto infelloniti.
Tal fora a rimirar duo leon crudi
che con graffi, con morsi e con muggiti
per le scure foreste in strana guisa
pugnan la preda c’han dianzi uccisa.

8Getulio a terminar l’aspre aventure
sopra lo scudo avverso alza la mano,
e de le piastre adamantine e dure
gran parte in pezzi egli scagliò lontano.
Cotal a’ colpi de la ria secure
manda le scheggie e la corteccia al piano
quercia ch’in mezzo a i rustici lavori
poliscono i bifolci e gli aratori.

9Getta Vitellio del reciso acciaro
l’inutil parte che su ’l braccio avanza,
e ’n volto oscuro e giù nel cor amaro
sveglia ne l’arme sua maggior possanza.
L’altro il bel viso amorosetto e caro
al cor dipinge e la gentil sembianza,
e nel pensier di quei begli occhi prende
vigor ne la battaglia e si diffende.

10Pur già l’invitto cavallier spingea
la dura spada a trapassarli il petto
e i fili estremi già raccor volea
l’acerbissima Parca al giovinetto,
ma tu, de la famiglia iniqua e rea
empio ministro a sua diffesa eletto,
per maggior danno che volgevi in core
provasti a sua salute il tuo valore.

11Il demon rio di lontanar bramoso
a la vicina morte il cavalliero,
rompe la briglia e di rumor ascoso
intronava l’orecchie al suo destriero.
Ei se ne va qual cervo paventoso
a la vista del veltro e de l’arciero,
e porta il suo signor per la campagna
che de la fuga si contrista e lagna.

12E sì come guerriero e come amante
era d’affanno e di vergogna pieno,
e volgeva la man, volgea il sembiante
a l’inimico che teneasi a freno.
Così mira da lunge il navigante
la dolce stanza del natio terreno
se talora, sforzato in suo governo,
in alto è spinto da l’orribil verno.

13Poi che né gridi né percosse ascolta
ma più trascorre l’animale et erra,
e ch’ei freno non have onde dar volta
lascia le staffe e si traggitta in terra,
e con lo scudo in braccio un’altra volta
rivolge i passi a cominciar la guerra.
Il bon Vitellio, che venir il vede,
smonta di sella e vagli incontra a piede.

14Quanto egli avea di forza e di fierezza
Getulio in arme e d’arte e di valore
tutto per acquistar l’alta bellezza
a parte a parte gli rammenta Amore.
Ora la violenza or la destrezza,
ora adopra l’ingegno or il furore,
quando mena di taglio in su l’elmetto,
quando tira di punta in mezzo ’l petto.

15Da i brandi e da le piastre combattute
perpetuo vampo di faville ascende,
e da le botte di sì gran virtute
il campo intorno rimbombar s’intende.
Vitellio, diligente a sua salute,
con poco sforzo l’aversario offende,
e modo cerca onde in un punto vaglia
spegnere l’inimico e la battaglia.

16Indugia ribattendo in fin che stanco
l’aspro furor intepidito cada,
et or dal lato destro ora dal manco
schifa ogni colpo e fa ch’a vòto ei vada;
ma pur mai sempre a l’inimico fianco
mostra la punta de l’acuta spada,
e minaccia ferita onde l’estrema
percossa e in vita il giovinetto tema.

17Le turbe ch’ivi a la battaglia intente
pugnar videro dianzi in su i destrieri
e che pur or non men ferocemente
pugnar veggiono a piedi i cavallieri,
meraviglia han come sì longamente
durino a le percosse i brandi intieri,
e che sangue non corra in su ’l terreno
o lor non vinca la stanchezza almeno.

18Et ecco spigne il mauritano allora
la dura spada e sì feroce ei punge
che fora piastra adamantina e fora
ogni diffesa, e fino al fianco aggiunge.
Il chiaro sangue non veduto ancora
venne co ’l ferro e si sgorgò da lunge,
et indi giù per lo ferrigno arnese
con stretta riga in fin al pian discese.

19Or dove sente il bon Vitellio e mira
le membra e l’arme ivi smagliate e rotte,
s’aventa quasi turbine da l’ira
ch’ingombra il ciel di tenebrosa notte,
e se nel corso impetuoso aggira
a l’or dal mar anco i navigli inghiotte;
pria percote nel fianco ond’ei fu colto,
indi raddoppia e gli recide il volto.

20Qual dove a consolar suoi giorni spenti
il puro cigno in su ’l morir si lagna,
o del Meandro a i vaghi avolgimenti
o dove in Asia il bel Caistro stagna,
s’interrompendo i suoi dolci lamenti
sopra gli batte l’aquila griffagna
poco schermirsi da quei duri artigli,
poco indugiar può gli ultimi perigli,

21Così da le dure armi e dal furore
del sempre invitto cavallier romano
cercava in su ’l morir dal suo valore
indugio e schermo il giovinetto in vano.
mentre sanguigno e dibattendo ei more
misero amante e gelido su ’l piano,
il vincitore in lui le luci fisse
con altiera sembianza e così disse:

22«Ecco ti adduce a l’ultimo martire,
infelice amator, voglia amorosa,
e pur del così fresco tuo morire
Morte ne la battaglia era pietosa;
ma così chiuda il temerario ardire
chi la nobile Italia offender osa,
e caschi anciso a vendicar la terra
cui facea vivo ingiuriosa guerra.

23Dunque tante montagne e tanti mari
non potran Roma mantener sicura
e ne verranno i mauritani avari
Italia a depredar senza paura?
Or tu qui giaci e ciascun altro impara
i suoi perigli ne la tua ventura».
Così dicendo egli rimonta e sprona
e steso a dietro il giovane abbandona.

Lamento di Orisgonte e suoi propositi di vendetta (24-43)

24Allor al ciel de l’acquistato vanto
le grida alzò tutta sua gente armata,
solo agghiacciò, solo smarrissi alquanto
là tra i Latin la prigioniera amata.
Ella, quantunque a l’amoroso pianto
sempre sdegnosa fu, sempre gelata,
non può far sì però ch’or non l’annoi
l’acerbo fin de i diffensori suoi.

25E già trascorse de l’amiche genti
molte erano a raccorre il cavalliero,
e tra le più veloci e più dolenti
il canuto Orisgonte era primiero.
Il misero in mirar l’arme lucenti
e d’intorno sanguigno ogni sentiero
fu per venir de la sua vita a meno,
di passione e di pietà ripieno.

26Poi dove l’elmo egli discioglie e mira
i leggiadri sembianti impalliditi,
e può veder che dibattendo tira
presso al finir gli spiriti smarriti,
allor di cor proffondo egli sospira,
sospiri che rassembrano muggiti,
e la rugosa faccia e ’l petto inonda
tepido pianto che da gli occhi abbonda.

27«Ben» lacrimando egli dicea «da pria
ebb’io nel cor questo pensier doglioso,
e ne feci sentir la voce mia
e doloroso al suo voler m’opposi,
e per sottrarlo a la ventura ria
anco a l’Inferno mia preghera esposi,
ma i duri fati e la mia stella avversa
a i venti ogni fatica hanno dispersa.

28O carissime membra, a cui dolente
amore, affanno et ogni cosa deggio,
come cadute subitaneamente
de l’antiche speranze io vi riveggio!
Tu dipartendo rivolgevi in mente
il patrio regno e l’acquistato seggio,
et or di sangue ribagnato e tinto
in strana terra ti rimiro estinto.

29O fossi allor ch’a dipartir movesti
tra le materne braccia al fin venuto
che colà morto e grave doglia avresti
e sepoltura alteramente avuto!
Qui tra ’l furor di popoli funesti
abbandonato giaci e sconosciuto,
et infelice su la vil campagna
a pena v’ha chi ti sospiri e piagna.

30O mie longhe fatiche a tuo sostegno,
o mie vigilie ora caduche e vane,
e contra i miei pensier fermo disdegno
di stelle a torto ingiuriose e strane,
figlio, a camparti io faticai l’ingegno
anzi ch’uscissi a le miserie umane,
sperando qualche ben de la tua vita
ma inanzi tempo ella se n’è sparita.

31Deh perché, lasso, in tenebre sospinti
non rinchiusi i miei lumi egri e dolenti,
pria che mirarvi in questa forma estinti
occhi tra ’l sangue ancor chiari e lucenti?
O per angoscia sostenuti e vinti
anni canuti e lor gravi tormenti!».
Così mesto piangeva e ’n mezzo ’l pianto
l’alma diletta era fuggita in tanto.

32Et ei le fredde membra e sanguinose,
così S | con' gravate dal ferrigno arnese,
in su le fide braccia et amorose
pur co ’l favor de gli scudier sospese,
e là dove le fiamme strepitose
sol per gli uccisi avea la gente accese
tra la turba de i popoli recolle
e di sua propria man quivi ei spogliolle.

33Prima lo scudo e l’armature elette
così tutto ciò che di lor fregi avanza
a parte a parte in su l’incendio mette
seguendo l’orme de l’antica usanza;
al fin l’altere membra giovinette
concede de le fiamme a la possanza,
e lacrimoso e con angoscia al core
disse queste parole di dolore:

34«O nostra frale e non mai certa speme
che di bugiardo bene empie e diletta,
te gelo eterno ecco circonda e preme
in su l’età fiorita e giovinetta;
e le sue glorie e ’l tuo ritorno insieme
tra pensier dolci vaneggiando aspetta
Libia infelice, che gli onor perduti
gìa consolando ne le tue virtuti.

35O dolorosa e misera reina,
cui tanta speme in lacrime abbandona!
Ella di suo destin falsa indovina
forse apparecchia la real corona,
e forse finge la staggion vicina
a dover rimirar la tua persona,
e sol ne mirerà quel poco o molto
che da queste empie fiamme avrò raccolto».

36Così diceva e i gran singhiozzi e ’l pianto
interrompeva i duri suoi lamenti,
e le leggiadre e belle membra intanto
eran distrutte da le fiamme ardenti,
e la gran gente che gli stava a canto
accompagnava i suoi giusti tormenti.
Ei con percosse da lontano udire
faceva il suon de l’aspro suo martire.

37Come nel tempo che l’augel d’Atene
suoi cari nidi a l’oceano affida,
s’in quelle estati tepide e serene
turbine vien che dentro ’l mar gli ancida,
a disfogar il duol ch’ei ne sostiene
con roca voce si lamenta e grida,
e sorga il sole o pur declini in mare
empie le rive di querele amare,

38così disfoga l’amorose doglie
piangendo il suo signor giunto a l’occaso,
e da le fiamme di sua man raccoglie
le nobili ossa e ’l cenere rimaso.
Indi un vel sotilissimo discioglie
et apre d’oro un prezioso vaso,
e con arabe fronde et odorate
ivi rinchiude le reliquie amate.

39Né giamai sgorga da quegli occhi fuore
men pianto o quella bocca men sospira
né men s’afflige dibattendo il core
o men l’anima dentro si martira.
Pur qualche volta in mezzo ’l gran dolore
nel petto avampa di disdegno e d’ira,
e piagne quella morte e vendicarla
procura e brama e così seco parla:

40- Misero me, che mi distruggo e pèro
e spargo al ciel solo querele e strida,
ma d’altra parte ne gioisce altiero
quasi in trionfo il barbaro omicida;
e te forse là su prende pensiero
di tua vendetta, alma diletta e fida,
e certa che sepolto ancora io t’ami
per mia virtute la disiri e brami.

41Lasso, o sì come e le sventure e i danni
posso portar su queste membra antiche
potessi ancor ne i militari affanni
l’armi portar di gioventute amiche,
o tornassi nel fior de i primieri anni
a rinovar le giovenil fatiche,
che poco a vendicar lento sarei
l’acerbe tue ferite e i dolor miei!

42Ma, lasso, or che verrà perché m’adiri
e di nobile sdegno il petto accenda?
che fia, benché a sfogar nostri martiri
a l’asta il braccio debile io distenda?
Omai soverchio è che destriero aggiri
e ’l peso indosso de gli usberghi io prenda,
ch’altrui gioco farò sol con l’armarme
e danno solo a me recheran l’arme.

Orisgonte suggerisce a Totila un piano per uccidere a tradimento Vitellio (44-54)

43Ma se duro destin non mi concede
provare in guerra questa debil mano,
non però chiederai da la mia fede
anima bella, tua vendetta in vano,
e forse poco d’allegrezza erede
fia per tua morte quel ladron romano -.
Ciò detto volge dal disdegno ardente
in molte parti l’affannata mente.

44Al fin fermato in un pensiero il core
la pietate e le lacrime disvia,
e seco giunge il vecchio incantatore
e vanno dal tiranno in compagnia.
«O re,» comincia «scioglie il gran dolore
al tuo cospetto la favella mia,
ma non t’incresca, ch’io dirò di cosa
che può la mente tua render gioiosa.

45Ch’abbia il tuo campo il cavalliero stesso
onde è caduto il mio signore estinto
ieri a terra disperso e in fuga messo
e te per poco de l’Italia spinto
fu chiaramente a te medesmo espresso
che quinci afflitto il rimirasti e vinto,
e mal ritorni nel tuo stato antico
se pria non spegni un così fier nimico.

46Di lui gran cose può costui narrarti
donando a i venti le da te vedute,
costui che dianzi con sue nobili arti
l’ha per gran strada et infernal sapute,
e se duri con l’arme a riprovarti
nulla fia certo de la tua salute.
Or tu volgi l’orecchia al mio consiglio
e da noi lunge caderà il periglio.

47Il signor che ti regge e ti diffende
colà di Siena le gentil contrade
ha seco damigella in cui risplende
alta bellezza in giovenil etade,
tal che se l’occhio a rimirarla prende
subito l’alma innamorata cade;
poi versa nel suo dir tanta dolcezza
che rompe a i cori intorno ogni durezza.

48Costei s’al rio guerrier si fa vicina
fingendo di lontan sua dipartita
dubbio non è che la beltà divina
per la gioia d’amor sarà gradita.
A lui corra dolente e peregrina
e simulando ne richieggia aita,
s’a lui dolce ragiona e dolce il guarda
sarà sì fier che non s’avampi et arda?

49Ma dove Amor di dolce fiamma acceso
gli abbia trascorso depredando il petto,
ella da speme lusingato e preso
in forza avrallo a suo voler costretto,
quale scampo averà mentre disteso,
nudo dormendo giacerassi in letto?
A l’or lo sveni e gli traffigga il core
e torni altiera di sovrano onore.

50Ciò che seguir, ciò che schifar conviensi
per tirar l’opra al disiato segno
non gir pensando tu, lascia che ’l pensi
l’arte e l’ardir del feminile ingegno.
Pur ch’ella il suo valor quivi dispensi
a morte è giunto l’inimico indegno,
né fia che l’opra ti contenda e nieghi
quando ella senta di tua bocca i prieghi.

51Or perché tanto disiderio segua
volgi nel cor se lusingar tu dei.
Certo ’l farai se la giurata tregua
non ti rubella da i consigli miei;
ma sì fatta ragion non punto adegua
l’alta prudenza onde fornito sei,
e vanamente di regnar ti affidi
se ti cal de la fede e non te ’n ridi».

52Così sponea l’iniquo suo pensiero
d’alta vendetta cupido Orisgonte,
indi rivela il mago cavallliero
cose a lui dianzi manifeste e conte,
come temuto era il roman guerriero
fin ne gli oscuri regni d’Acheronte,
e come incontra lui per venir meno
era in battaglia ogni valor terreno.