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Delle guerre de’ Goti

di Gabriello Chiabrera

Canto XI

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.09.15 9:04

Irene accetta, nonostante le reprimende dell’amato, l’incarico affidatole e si appresta a partire per il campo latino (1-26,4)

1L’afflitto campo e la dispersa gente
dianzi per la campagna in sua presenza
operò ch’al suo dire agevolmente
nel re trovò l’incantator credenza,
né più ritroso il barbaro consente
d’Orisgonte a la perfida sentenza,
che per uso non scerne e non ritrova
biasmo nel tradimento a l’or ch’ei giova.

2Mira il fellon ch’una gentil donzella
i rischi in sé del suo disir sostiene,
e che se sorte non le vien rubella
non sarà più chi sua vittoria affrene,
però gioioso immantinente appella
il bon Settimio e la sua bella Irene,
e dolcissimamente ambo raccoglie
e ’n questi prieghi la favella scioglie:

3«Porria forse ad alcun mostrarsi errore
ch’io spenda prieghi a ricercarti aita
quando ne la battaglia a mio favore
tiene obligata ogni guerrier la vita,
ma la tua dignitate e ’l tuo valore
teco pur sempre a ripregar m’invita,
né consente ch’io tenga alcuna via
se non fe’ quella de la cortesia.

4Che sia per scampo del Romano Impero,
che de l’Italia già prendeva essiglio
apparito un fortissimo guerriero
dianzi fu visto nel commun periglio,
costui così nimico e così fiero
abbiamo di troncar preso consiglio,
non però con quell’armi e con quell’arte
che ne le guerre ne ministra Marte».

5Quinci distingue il suo pensato inganno
e lor soccorso novamente chiede,
et additando va lo strazio e ’l danno
ch’omai supremo e da vicin si vede;
promette del periglio e de l’affanno
a la loro vaghezza egual mercede,
e d’altra parte egli dimostra segno
come ritrosi incontreran disdegno.

6Sentendo raccontar la dura impresa
che sotto faccia di leggiadro amore
occultamente rinchiudeva offesa
di coltello, di sangue e di dolore,
fu da timor la giovinetta presa
e ne diè segno palpitando il core,
e già sua scusa ripensar volea
per torsi a l’opra dispietata e rea.

7Pur, estimando la real preghiera
e la minaccia e la mercé promessa,
e che sua forma n’anderebbe altiera
sì come scampo de la gente oppressa,
fu lo spavento e la viltà primiera
da’ secondi pensieri in fuga messa,
e si dispone in quelle genti armate
far alta prova de la sua beltate.

8E già pensando va come deggia ire
senza temer de gli inimici oltraggio,
e la menzogna ha già nel cor, che dire
ella dovrà del feminil viaggio;
già pensa le parole onde ferire
si può d’amore un animo selvaggio,
e studia i modi, le lusinghe e i guardi
ond’egli aventa le fiammelle e i dardi.

9Da l’altra parte miserabilmente
l’interna fiamma il cavallier saetta.
Dunque del regno e de la morta gente
sol con sua pena si dèe far vendetta?
Misero, di campar non è possente
lontano un punto da la sua diletta,
e barbarica forza glie l’invola
né può, dolente, far udir parola.

10Ma pur l’interno et amoroso male
meglio ch’ei può da la sembianza ei svia,
e cerca di provar caduca e frale
ogni speranza de l’imprese ria,
«O di quanto ella può, di quanto vale
signore» incominciò «la vita mia,
a te mi chiami e sì mi porgi i prieghi
e poscia in nulla mia persona impieghi.

11Io, dianzi udendo in modo tal pregarmi
m’apparecchiava ad opera gentile,
ma noi sprezzando tu riponi l’armi
nel valor d’una destra feminile.
E se ben questo chiaro indizio parmi
che tu ti rechi nostra aita a vile,
pur volentier io loderei l’inganno
se quinci uscissi del tuo grave affanno,

12ma per grazia, signor, volgi la mente
e pensa l’arte onde procuri aita:
come può gir fra la nimica gente
né dar indizio de la dipartita?
E se pur n’anderà celatamente
senza sospetto non sarà sentita.
Che può condurre infra le schiere armate
giovine sola e di fiorita etate?

13Ma passi chiusa e la secondi a pieno
ne i gran principi la seconda sorte,
fia tal fierezza nel femineo seno
che possa trarre un cavalliero a morte?
non si verrà tutta l’audacia a meno?
sì saldo il cor sarà? la man sì forte?
né le cadran di tema e di spavento
i duri ferri in su quel gran momento?

14Costei, qualora a i soliti riposi
torna ciascun dal marzial furore,
gli occhi rivolge da i guerrier dogliosi
né su le piaghe ha di mirar valore,
e de repente vuoi che cotanto osi
che sparga il sangue e non ne senta orrore?
Se tanto ha di fidanza ella te ’l dica,
io duramente il credo et a fatica.

15Ma perché tu, che sostener l’impero
solevi con valor ne i tempi duri,
or obliando lo tuo stil primiero
sol ne le frodi l’animo assicuri?
come anderai de la vittoria altiero
se pur con arte di viltà la furi?
dunque sì poco di virtù n’avanza
che si deggia cader la tua speranza?

16Io né di tanta forza né di tanto
favor celeste ho ’l fiero cor fornito
che, debbia trapassando il commun vanto,
in tua presenza dimostrarmi ardito.
Pur fa che s’oda de le trombe il canto,
io qui tutti gli altri a la battaglia invito,
e s’alcun più di me non sarà vile
si spregierà soccorso feminile».

17Egli così ragiona, e ben discerne
il barbaro tiranno de le genti
che da la forza de le fiamme interne
eran dettati i così fatti accenti,
e dice: «Il pregio de le glorie eterne
vaglion le tue promesse e gli ardimenti,
né fin che ’l Ciel mantenirammi in vita
da la memoria mia faran partita.

18Pur te gravezza, o mio fedel, non pigli,
né l’animoso cor punga disdegno
se qui disira il re co’ soi consigli
alcuna volta governare il regno.
Ma tutti quegli affanni e quei perigli
ove narrando ei faticò l’ingegno
par che sì come fregio amor dimostre,
o giovinetta, le bellezze vostre.

19E certo la beltà meravigliosa,
che ’l cielo in voi sì largamente accese,
dovea per opra altiera e gloriosa
a tutto ’l mondo divenir palese,
voi moverete forte e coraggiosa
a vendicar tante communi offese,
e chiameravvi la futura etate
trionfatrice de le schiere armate».

20Così per trarre a fin l’empie sue frodi
vanti e lusinghe il barbaro tessea,
ma la fanciulla a le superbe lodi
la bella guancia di rossor tingea;
indi gli occhi girando in vari modi
sparse la fiamma dilettosa e rea
e da le belle perle e da le rose
sciolse la bella voce e gli rispose:

21«Io non so già se mia bellezza è tale
che senza alcun error le si commetta,
e de l’affanno e del sofferto male
la disiata general vendetta;
ma poi che dignitate alta e reale
l’ha per se stessa a tanto ufficio eletta,
qual sia caggion ch’io più discorra o pensi?
Ubidirò, sì come a me conviensi.

22Trapasserommi a i barbari soggiorni,
adoprerò, sì come tu m’imponi;
voglia Dio poi che degna io mi ritorni,
o re, di quella gloria onde ragioni.
Certo né copia di artifici adorni
né di lusinghe fia che m’abbandoni,
né quegli effetti oblierò ch’uscire
soglione da l’ingegno o da l’ardire.

23Io pur qui bramerei dove s’avezza
schiera di donne a l’opera di Marte,
armarmi d’ardimento e di fierezza
e travagliarmi ne la guerra in parte;
ma che potrò far io se vil bellezza
dileggierà la mia speranza e l’arte,
e se mia forma che vi sembra ardente,
parrà di ghiaccio a la nimica gente?».

24Così piegava i chiusi soi pensieri
e dal volto leggiadro e pellegrino
e da i begli occhi e da i sembianti altieri
spargeva fiamma e non so che divino.
Ben già nel core avisano i guerrieri
un grave ardor nel cavallier latino,
e l’han ne gli occhi di costei soggetto
tra mille nodi incatenato e stretto.

25Né cessa intanto il duro re, né cessa
Orisgonte né ’l vecchio incantatore
seco di ciò parlar che per se stessa
astutamente ha già raccolto in core,
come la nobile opra a lei commessa
possa trattar d’ogni sospetto fuore,
e qual sia l’inimico e come trarlo
deggia ne la sua forza e superarlo.

26Ma poi che con la lingua e con l’ingegno
a soi pensieri hanno recato aita,
abbandonando i consiglier del regno
ella pe ’l padiglion fa dipartita.
Or qui l’amante al suo cordoglio indegnoIrene consola l’amato Settimio (26,5-45)
per gli occhi e per la bocca apre l’uscita,
e versa il duol da l’affannato seno
ch’al re dinanzi avea tenuto a freno.

27A l’abbondante umor non par ch’ei piagna
ma che riversi tepidi torrenti,
e con tal forza si querela e lagna
ch’interrotti se n’escono i lamenti.
La bella e pietosissima compagna
ch’ascolta e vede i così gran tormenti
sta d’intorno piangendo a l’infelice
e dolcemente il riconforta e dice:

28«O tu, cui di mia vita e di mia morte
lo stame sottilissimo s’attiene,
com’è che lacrimoso apri le porte
sì repentinamente a tante pene?
che ti tormenta, che ti duol sì forte,
Settimio, in braccio a la tua cara Irene?
t’adduce forse in dubbio de al vita
questa mia breve e picciola partita?

29Se per questa cagion trabocchi e spandi
sì largo pianto e ti consumi il core,
deh perché, vita mia, non mi commandi
che teco mi soggiorni e mi dimori?
Son forse così forti o così grandi
le preghiere fra noi d’alcun signore
ch’i le deggia sentir non che fornire
con tuo sì grande e così fier martire?

30Non sai com’io m’appago e mi consolo,
o dolce anima mia, ne’ piacer tuoi?
non sai come mi reggi e come solo
tanto posso voler quanto tu vuoi?
Or tu da’ bando a l’angoscioso duolo
e rendi a’ toi begli occhi i raggi suoi,
fornisci questi pianti e questo affanno
e questi guai che fin al cor mi vanno».

31Così parlava, et amorosa e pia
tutto gli rasciugava il viso e ’l petto,
e da le chiare stelle in tanto apria
di liquidi cristalli un ruscelletto.
L’amante in mezzo de la pena ria
vinto da suavissimo diletto,
già tolto fuor di se medesmo fisse
gli occhi ne’ soi begli occhi, e poscia disse:

32«O dolce et acerbissima sirena,
a le cui note omai tardi m’involo,
deh manda in bando l’angosciosa pena,
non sai ch’in te m’acqueto e mi consolo?
E pur il re n’ha ragionato a pena
ch’abbiam promesso e ce n’andiamo a volo,
e presi a l’esca di caduco onore
non ci prende pietà di chi si muore.

33O per mio mal sotto sembiante umano
alma di duro scoglio, alma di fera,
se non fosse il tuo cor da me lontano
o pur se fé mi si serbasse intiera,
ben sai ch’uscita ne sarebbe in vano
e la minaccia e la real preghiera.
Ma prender a ragion non si dovea
alcun pensier de la mia vita rea.

34Or su non indugiar, vattene omai
animosa donzella infra i nimici,
e de le morti e de i sofferti guai
sien le bellezze tue vendicatrici.
Là del bel viso e de’ begli occhi a i rai
farai di Roma i popoli felici,
et io da lunge entro la fiamma ardente
sospirerommi e piagnerò dolente».

35Così le dice e quasi disdegnoso
procura uscir da le dilette braccia,
né da la donna vuole atto amoroso
ma da sé la rispinge e la discaccia.
Ella del duol ch’avea ne l’alma ascoso
nuvoli sparge in su la bella faccia,
e suo mal grado acquetare il vuole
et alternando va baci e parole.

36«So pur» dice ella «che ti sazi a pieno
e fai vendetta d’ogni tuo dolore,
così disciogli de l’ingiurie il freno
e così macchi il mio leggiadro onore.
Io son ch’ascondo i duri scogli in seno?
che non prendo pietà di chi si more?
tanto poco, Settimio, ti ramenti
che spargi a l’aria così fatti accenti?

37Comincia a ricontar qual tuo disire
qua’ tue vaghezze fur da me sprezzate?
Io pur a l’amoroso tuo martire
fei medicina de la mia beltate,
e, proveduta di soverchio ardire,
t’ho pur seguita in tra le schiere armate,
e sì tutta mi diedi in tua balia
che non posso a ragion dirmi più mia.

38E pur chiamata son poco amorosa
e son l’ingiurie e le querele pronte?
Ma non vo’, come tu, precipitosa
tratta da sdegno toi correre a l’onte.
Fatti da presso, alza la faccia ascosa,
volgimi gli occhi e la serena fronte».
E così lacrimosi et abbracciati
si stemprano di vezzi inamorati».

39Or poscia che con atti lusinghieri
il cor di lui s’ha ritornato amico,
e che da i sospettosi soi pensieri
l’ha ben sommerso ne l’amore antico,
dice: «Tu che ti struggi e ti disperi
porgi un poco l’orecchia a quel ch’io dico,
e sì vedrai come al commun periglio
esposta non mi son senza consiglio.

40Ove eri tu quando il signore istesso
dianzi di mia persona ambi richiese?
A me tu certamente eri da presso
e sue parole ha la tua orecchia intese.
Egli ne fece suo bisogno espresso
assai per modo nobile e cortese,
pur così ci fe’ noto il suo volere
che di negar non ci lasciò potere.

41Ben sai che farmi sorda avrei potuto
e solo udire il mio pensiero interno,
ma s’egli in ira subito venuto
ti togliea de le terre il suo governo,
lassa, non eri de repente avuto
da la fortuna e da tutto omo a scherno?
Ora timor quinci non è che stringa
anzi altiera speranza ne lusinga.

42Dimmi, di che t’affligi e ti martiri?
temi che longo tempo a te sia tolta?
O di Settimio i publici disiri
o ’l ciel disperde o pur benigno ascolta:
s’avvien ch’egli secondo a noi si giri
fia la vita di lui presto sepolta,
e s’egli a’ miei pensier fa qualche scorno
velocissimamente a te ritorno.

43Ma per mercé d’amore e di natura
sì poca grazia non mi sento in viso
che con miei sguardi aver deggia paura
di non lasciare un cavallier conquiso.
Ben sì potrollo in amorosa arsura
e da tutto altro il mi terrò diviso
e vorrò che si caschi a terra morto
né che d’un bacio possa aver conforto».

44Così parlava de la sua possanza
la maestra bellissima d’amore,
ma non dentro la fragile speranza
il cavallier si racquetava il core.
«Che più» diceva «da parlar m’avanza
s’io rimiro da presso il mio dolore
e trovo indarno e v’apparecchio schermi,
né mi posso scusar non che dolermi?

45Io non m’oppongo più, più non contendo,
ben è che vada per la mia salute.
Se rifiutavi apertamente intendo
che le fortune mie sarian cadute.
Va’ pur, e tronca l’inimico orrendo,
sia Dio custode de la tua virtute,
e ’n ogni loco ti sovegna, Irene,
che qui Settimio s’è rimaso in pene».

Lamento di Settimio (46-51)

46Mentre fra pianti e fra pensier dolenti
ciascuno amante sua ragion dicea,
tempo correva e i suoi lumi lucenti
dietro l’oscura notte il ciel volgea;
ma poi che solo co i bei raggi ardenti
la bella stella de l’amor splendea,
s’appresta la donzella a far partita
pria che sia l’alba in Oriente uscita.

47A l’ora affatto il cavallier s’agghiaccia
da l’alta angoscia impallidito e bianco,
e vien sudor su la smarrita faccia
e forte batte il cor dal lato manco.
Misero, e pur ne le tremanti braccia
cinge a la donna e l’uno e l’altro fianco,
e suoi dolor con la beltà consola
ch’altrui vaghezza e rio destin gl’invola.

48Ma poscia che da i gravi empi martiri
ebbe la voce e da i dirotti pianti
interrotto da fervidi sospiri,
levava al cielo i miseri sembianti:
«O stelle, o tu, Signor che le raggiri,
se v’ha mercé per dolorosi amanti
cui dura sorte indegnamente preme
date udienza a le mie voci estreme.

49Se fermato è là su che conservarmi
si deggia Irene mia (la vostra aita),
e se da gl’inimici e se da l’armi
senza periglio ella dèe far partita,
se mai più seco io deggio accompagnarmi
io vi ripriego di più longa vita
che mi sarò con questa speme in mente
qualunque sorte a sostener possente.

50Ma di mie pene per amor sofferte,
s’empia fortuna non ti sazi a pieno,
or trovi l’alma sue priggioni aperte
et or si venga la mia vita a meno.
Or c’ho le cure, or c’ho le pene incerte,
or che mio core io ti racolgo in seno
e più non vivo ad impiagarmi vegna
crudel percossa di novella indegna.

51Ei così priega e ’n tanto il camin prende
con la donzella afflitta e lacrimosa
là ’ve da presso a le nemiche tende
era di spini una gran macchia ombrosa.
Quivi dolente il cavallier discende
e quivi lascia la sua donna ascosa,
et egli pria che si rischiari ’l giorno
al campo fa con gran dolor ritorno.