Irene decide di dichiararsi a Vitellio (1-15)
1Non perché notte in questi alberghi e ’n quelli
a i peregrin più travagliar divieti
e i pesci in mare e su nel ciel gli augelli
e ne’ loro antri gli anima’ secreti
aspettando del sole i rai novelli
alto silenzio dolcemente acqueti
la bella giovinetta si consiglia
né di posar né di chinar le ciglia.
2Sente nel cor profondo i soi martiri
più di ora in ora divenir pungenti,
e sente, lassa, i fervidi sospiri
dal fianco uscir come di fiamma ardenti.
Parte di qua, di là con spessi giri
su le noiose piume i soi tormenti,
e rivolge i pensier tutti ad un loco
là donde colto ha l’amoroso foco.
3Sempre ha ne gli occhi il cavallier diletto
e del viso leggiadro i bei splendori,
e sempre volge ne l’acceso petto
la longa istoria de’ soi chiari onori.
In dubbio vien quando abbracciato in letto
l’abbia sommerso ne’ suavi amori
se dèe tra gli atti e tra i sembianti amici
fornire i crudi e sanguinosi uffici.
4Del suo signore e de le schiere armate
così presso a perir le vien mercede,
et amerebbe a la futura etade
gir gloriosa di cotanta fede,
ma trarre a morte così gran beltade
sembianza di pietà non le concede,
e tra questi pensier non sa, dolente,
ov’inchinar la combattuta mente.
5Alcuna forma ritrovar vorria,
e longamente vi fatica il core,
da trar sua gente da la sorte ria
senza ch’avesse il cavallier dolore,
ma poi ch’ella non può come disia
fede serbare e seguitare amore,
i pensieri impossibili abbandona
e quasi querelandosi ragiona:
6- Ohimè, di questo avverso cavaliero
qual sì gran cosa ho rimirar potuto
che da parte lasciando ogni pensiero
ho così tosto ogni valor perduto?
dunque dove il mio re, dove il suo impero
ricercano da me l’ultimo aiuto
non mi sarò così costante e forte
ch’a tutti altri pensier chiuda le porte?
7Ben è leggiadro a meraviglia e bello,
né può mortale trapassar quel segno,
né fu veduto in questo loco o ’n quello
per alcun tempo cavallier sì degno,
ma che s’è guerreggiando a noi rubello
et è distruggitor del nostro regno?
e se da l’armi e da la sua virtute
ne si apparecchia morte e servitute?
8Il re non mi sospinse in queste schiere
né mi pregò così soavemente
perché venuta qui le sue maniere
e i merti soi mi rivolgessi in mente;
vuol ei che con bellezze lusinghiere
procuri scampo a l’infinita gente
e sia vendetta di cotanti uccisi
e per ciò venni e questo sol promisi -.
9Così ragiona e ne l’acceso petto
i sospiri e le lacrime rinova,
e di quel tutto c’ha parlato e detto
nessuna parte come bono approva,
e contra vi ripensa a bel diletto
e diversi argomenti vi ritrova.
E così passo passo l’infelice
vien consentendo a soi disiri e dice:
10- Quali argomenti o quai ragion remote
vo ripensando ad ingannare il core?
Questi che mi combatte e mi percote
con tanta forza è solamente Amore.
Ben le sue rie quadrella a me son note
e la sembianza del suo fiero ardore,
e conosco la piaga al cui veneno
ogni possanza, ogni valor vien meno.
11Amor sovra ogni cor tien signoria
e si trionfa di qualunque impresa:
or perché dunque dispettosa e ria
vo’ far contrasto ove non ha diffesa?
Al re promisi a l’or quando era mia,
ora che posso incatenata e presa?
Ben i pensieri miei sarian gl’istessi
se di me stessa ora dispor potessi -.
12Fra queste voci indi le viene inante
de l’afflitto amator la rimembranza;
pensa com’è di sue bellezze amante,
pensa che fuor di lei nulla gli avanza.
– Dunque (diceva), o cor poco costante,
contra un strano amator non hai possanza,
e lasci così tosto in preda a i venti
le promesse amorose e i giuramenti?
13Tu volgi, Irene, i toi pensieri a segno
non conosciuto ancor, donna crudele,
ma donde averà vita? onde sostegno?
onde averà conforto il tuo fedele?
Vuoi tu ch’acceso d’ira e di disdegno
empia il cielo di gridi e di querele,
e faccia udir per la futura etate
le tue bellezze e le tue voglie ingrate?
14Cor mio, che ’l mio cor vago e giovinetto
ne la rete d’amor prima involgesti,
e poscia di lusinghe e di diletto
e di suave ardor sempre il pascesti,
in vano esponi a le paure il petto,
invan la lingua a le querele appresti,
ché s’amor novo a disiar mi prende
tributo in van da mia bellezza attende -.
15Ma d’altra parte ov’a la mente riede
qual viso armato di celeste ardore,
rivolge in fuga ogni pensiero il piede
e sol riman vittorioso Amore.
– Dunque (dicea) vano timor di fede
da piacer tanto affrrenerammi il core?
Oh non così volubili e ’ncostanti
vanno cangiando il cor gli omini amanti -.
Vitellio la rifiuta, lei gli rivela la congiura (16-49,6)
16Or per tal modo il suo novel piacere
prova parlando e gli si dà per vinta,
e colà se ne va di suo volere
ove alto incendio già l’avea sospinta.
L’alba gentil per le celesti sfere
la porta d’Oriente avea dipinta,
et ella inanzi il mattutino lume
surge dal letto e da le dure piume.
17Arsa da voglie fervide e moleste
e da tormenti impetuosi e strani,
ella non può dal cavallier celeste
gli occhi bramosi più tener lontani.
Dunque gli oscuri manti si riveste
e su v’adopra l’ingegnose mani,
e fassi per drittissimo sentiero
a le tende condur del cavalliero.
18Ei, scorta la bell’alba in su ’l mattino,
i riposi e le piume avea lasciate,
e Dio pregava umilemente inchino
a por la bella Italia in libertate.
Ancor non eran de lo stuol latino
seco le squadre de gli amici usate,
sol dimoravan gli scudier di fuore,
questi trasser la donna al suo signore.
19Come Vitellio in su quell’ora oscura
a sé venir la giovinetta mira,
sopra il tenor de la sua ria ventura
tutto pietoso la memoria gira.
Ella, presa da ardire e da paura,
pur quasi vergognandosi sospira,
e ’l cortese guerrier per confortarla
la move incontra e così seco parla:
20«Nobile giovinetta, il fiero Marte
e gli ordini de l’arme strepitosi
forse vi fanno ora imparar nostr’arte
e per tempo lasciar vostri riposi?
Io ben già mi sapea ch’in questa parte
tutti gl’indugi vi sarian noiosi,
ma per picciolo spazio sostenete:
tosto vittoria arrecherà quiete.
21Or non si portan le dure armi intorno
per dare a i morti i lor dovuti onori,
ma poco lunge è ’l destinato giorno
che rinovellerà gli aspri furori».
Irene intanto giù dal viso adorno
stava spargendo cristallini umori,
e cercava parole infra i sospiri
per ben manifestarli i suoi disiri.
22«Voglia, deh voglia alta pietà di Dio,»
ella gli dice «o cavallier cortese,
che come vostro e desiderio mio
vegna vendetta di cotante offese;
ma voi, domato l’avversario rio,
pur andrete a domar novo paese,
et io, lassa, dolente e verginetta
abbandonata rimarrò soletta.
23Questo è ’l duro pensier che mi tormenta
e che ferocemente il cor mi preme.
Io mi credea fra voi lieta e contenta
fermar la mia fortuna e la mia speme,
o pur almen, dopo la guerra spenta,
con voi potessi accompagnarmi insieme,
e sì mi fosse per pietà concesso
di seguitarvi e di venirvi appresso».
24«No,» le risponde «non aver paura
di casi somiglianti a i tuoi primieri.
Per Dio renditi, o vergine, sicura
e da l’anima scaccia i rei pensieri;
non attendono qui con leggier cura
a i rischi de le donne i cavallieri;
di ciò che può venir da nostra mano
nulla per te richiederassi in vano.
25Qui per Italia noi moviam le spade
contra la gente scelerata e ria,
acciò che poscia per le sue contrade
nobiltate fiorisca e cortesia.
Di tua fortuna e di tua dignitade
si farà quel che più tuo cor disia:
sarai fermata in gloriosa sorte,
ti si darà, se ciò vorrai, consorte».
26Così parlava il bon guerrier pietoso
per lo finto dolor de la donzella,
et ella, alzando il bel viso amoroso,
gli risponde in dolcissima favella:
«Che può dov’oda ragionar di sposo
rispondere un’afflitta verginella?
Io, lassa, di mia vita e di mio stato
in vostra man tutto ’l dominio ho dato.
27Forse averrà che fra la vostra gente
si trovi adorno e nobil giovinetto
che stanco di penar più longamente
di meco riposarsi aggia diletto.
Io, se troppo alto non mi va la mente,
già con ragion l’ho nel mio cor eletto,
et ei non sdegnerà mia compagnia
se ’l colmo de i soi merti un poco oblia.
28Ché se pur deve di sua vita al danno
nobile cavallier già mai por fine,
né sempre andando di un in altro affanno
cercar nimiche terre peregrine,
dove a ragion più riposar potranno
e tue bellezze e tue virtù divine,
che presso a Roma in quella nobil terra
che lieta hai fatta dopo tanta guerra?
29Ma se di gloria ad infiniti segni
con morte a i fianchi, o generoso, aspiri,
et a nove provincie e novi regni
porre alto giogo di tua man disiri,
conosco il fallo de i miei prieghi indegni
né ti vo’ ritardar co’ miei sospiri;
sol verrò teco in questa parte o ’n quella,
non tua consorte ma devota ancella».
30Quivi co ’l pianto che nel sen le scende
rivolge a terra de’ begli occhi il sole.
D’altra parte Vitellio a pensar prende
sopra il tenor di quelle sue parole,
e ben l’accorto apertamente intende
ciò che nel dir la giovinetta vuole,
ma nel profondo del suo cor l’asconde
e così sorridendo le risponde:
31«O damigella, al tuo disire avversi
gli altieri fati son de la mia vita,
e ’n vano il pianto e le preghiere versi
benché per altro a me sarai gradita.
io per paesi barbari diversi
assai presto di qui farò partita,
e sempre in parte affretterò mio corso
là ’ve la vera fé chieda soccorso.
32Ma non si dèe la tua gentil bellezza
condannare a fatiche et a disagi,
né devi consumar tua giovinezza
trascorrendo paesi aspri e malvagi;
devi tu con riposo e con dolcezza
goder consorte intra delizie et agi,
lontana da la guerra e dal furore,
ch’a nobil donna oscureria l’onore.
33Né però l’alte tue bellezze io schivo
quasi meno leggiadre o men gentili,
ma qual mi vedi io volentier mi vivo
lunge da le lusinghe feminili,
et ogni amor, ogni pensier lascivo
è nel mio cor fra i disideri vili.
Tanto di me ti basti e creder pòi,
or tu va consigliando i pensier tuoi».
34A questo dir la bella donna bagna
e versa sovra ’l sen lacrime nove,
e i sospiri co ’l piangere accompagna
e de le grazie tutta l’arte move.
cosa qua non vuol che si rimagna
ma s’apparecchia a far l’ultime prove,
e ricerca quei prieghi e quei lamenti
ch’ella stima più dolci e più potenti.
35«O cavallier, che infra le schiere armate
sol t’invogli d’affanni e di furori,
e le leggi d’amore e di pietate,
perché non so, ma così poco onori,
se pur fierezza et empia crudeltate
l’anima ti fa sorda a’ miei dolori,
almeno apri l’orecchie et udrai cosa
de le bellezze tue meravigliosa.
36Io dissi dianzi che da gente amica
veduta uccisa ogni persona mia
a voi fuggiva da la patria antica,
ma ciò dissi per arte e per buggia:
io mi son de la gente a voi nimica,
e qui de’ Goti il principe m’invia
perché con arte e con leggiadri modi
tessessi inganni a tua salute e frodi.
37Io, se pur dianzi a la crudel tua vita
esser voleva dispietata e rea,
famosa in campo et al signor gradita,
ogni fortuna disiar potea.
O quanto per mercé d’una ferita
il re promesso guiderdon avea,
e con quanto disire il campo aspetta
ne la tua morte general vendetta!
38E se ben si conosce assai palese
che molto crudo ti formò natura,
pur s’io durava in su l’insidie tese
diverse cose potea far ventura.
Ma de la vita tua pietà mi prese
tosto ch’io vidi tua gentil figura,
e la promessa fede e i giuramenti
tutti dispersi volentieri a i venti.
39Or se mie voci, o cavallier, tu credi
veracemente come creder dei,
e se rivolti apertamente vedi
verso la tua salute i pensier miei,
perché la vita mia duro depredi?
perché sì sordo a mie querele sei?
son forse gloriosi et onorati
fra voi Romani i cavallieri ingrati?
40Ma se stai sordo a gli amorosi prieghi
e sprezzi ’l vago fior de la beltate,
e guiderdone a le bell’opre nieghi
né t’allontani da le voglie ingrate,
al men t’intenerisca, almen ti pieghi
un poco di clemenza e di pietate,
e pensa ove da te poco gradita
potrò dolente più menar mia vita.
41Fra’ Goti a me loco nessuno avanza,
né far io posso colà giù ritorno,
ché ’l re, di cui tradita ho la possanza,
non mi perdonerebbe oltraggio e scorno.
Di con voi dimorar non è speranza,
ché tu crudele non mi vuoi d’intorno.
Potrei peregrinar di regno in regno
ma donde averò cibo, onde sostegno?
42Deh perché vuoi che ricontando vada
tanta fierezza a le straniere genti?
Meglio è per te ch’in questa parte io cada
e sian co ’l mio morir tuoi biasmi spenti.
Or se così ti par alza la spada
e rinchiudi la strada a’ miei lamenti,
e pregio accresci a la tua gloria antica
co ’l sangue sparso di sì gran nimica».
43Così gli dice; il pianto a guisa d’onde
in fin a terra discorrendo vanno,
et al bel viso et a le chiome bionde
et al bel petto fa sentir l’affanno.
Il cavallier la guarda e non risponde,
tutto pensoso in su l’occulto inganno,
e disioso al fin di rimandarla
a la sua gente, brevemente parla:
44«Attendi, o giovinetta, in questa parte,
poco poi dimorar senza periglio,
da tal loco movesti e con tal arte
ch’a partir prestamente io ti sconsiglio».
Indi le volge il tergo e si diparte,
nel viso d’ira e di furor vermiglio,
e vago d’alta e subita vendetta
al gran Narsete et a i guerrier s’affretta.
45Et ella dietro in lagrimevol suono
grida e ’n accenti dolorosi e mesti:
«Così lassi, crudele, in abbandono
la giovinetta onde salute avesti?».
Ma sparse al vento le querele sono,
ché non pon far che ’l cavallier s’arresti.
Or quando in tutto disprezzar si mira
grida infiammata di disdegno e d’ira:
46«Dunque d’un cor che sue bellezze adora
tanto è lo strazio da costui negletto?
e può mirar che mi distrugga e mora
e non formare a mio conforto un detto?
Vada pur lieto, e verrà tempo ancora
ch’ei vorrà forse intenerirmi il petto,
e sorda a i prieghi mirerammi e forte
ne l’opre di suo sangue e di sua morte.
47Che parlo? dove sono? o qual disire
la mente vaneggiando or mi disvia?
io pur minaccio a quel crudel martire,
minaccio morte dispietata e ria,
ma come adempirò gli sdegni e l’ire?
onde avrò forza a la minaccia mia,
se ’l pensier volgo in su la mia fortuna
né de la vita ho più speranza alcuna?
48Dovevi, o folle, mantener costante,
dovevi Irene a la bell’opra il core,
e non piegarti e non venirne amante
e non andarne in subitano ardore.
Ma pur com’è che sì gentil sembiante
tanto rinchiuda in seno odio d’amore?
forse ch’al mio pregar non fu cortese
e che mio stato a consolar non prese?
49Ahi perché dianzi al mio signor rubella
non temprai co ’l suo strazio i nostri danni?
e non feci sicura ogni donzella
da la nequizia de’ soi dolci inganni?
Se poi de l’opra ingiuriosa stella
volea punirmi co i più gravi affanni
se poscia io n’era straziata e spentaVitellio, visti i patti infanti, sprona i suoi alla guerra (46,7-52)
potea languir, potea morir contenta.
50O signor, o guerrier ch’a la mia fede
incauti commetteste i vostri onori,
o qui venite, o qui movete il piede
a consolarvi de i miei gran dolori.
E tu, lassa, a mirar l’aspra mercede
vieni, o Settimio, dei traditi amori».
Così diceva e si struggeva in pianti,
Vitellio in tanto era a Narsete avanti.
51E poscia ch’ivi a quel signor palese
fece la froda de l’inique genti,
dice: «O compagni, pienamente spese
abbiam noi l’ore per gli amici spenti;
ora a rinovellar l’aspre contese
il barbaro ha disciolti i giuramenti.
Io voglio dir che ragionevol parmi
che non s’indugi e che si vestan l’armi».
52E benché infermo ogni guerriero eletto
far non potesse in quello assalto uscita,
e sentisse ei ne l’onorato petto
non salda ancor la picciola ferita,
pur con la voce e con l’altiero aspetto
tutta la gente a la battaglia invita.
Indi ogni capitan le proprie schiere
richiama con la tromba a le bandiere.
Idalia fugge a avvisa Totila, che a stento riesce a tenere insieme l’esercito sgomento (53-60,4)
53Dal gran bisbiglio e da quel gran rumore
che d’una in altra tenda si discioglie
Idalio con disdegno e con dolore
il fallo de la giovane raccoglie,
et a recar notizia al suo signore
del grave sconcio ella dispon le voglie,
sì che celatamente a lui se ’n riede,
e per pietate dispregiò sua fede.
54Ella fra le compagne e fra i guerrieri,
venuta del tiranno a la presenza
dice: «Signor, de i chiusi toi pensieri
ben sai che l’inimico ha conoscenza,
e rotti i patti e gli ordini primieri
essi de l’arme prendono licenza,
e se qui ti trattieni ancora un poco
ti corràn sprovveduto in questo loco».
55Indi ragiona a le gran turbe intente
sopra lo strano amor de la donzella;
vie molto in viso si conturba e ’n mente
il gran stuolo in sentir l’aspra novella,
e ’n vari modi e ’n varie vie la gente
dubbiosa ne risponde e ne favella,
et in ciascun siede pensier nel core
di sinistra ventura e di timore.
56«Ben con alta ragione» alcun dicea
«ne sparse il mago di paura il seno:
ciò che de l’inimico ei promettea
sorte infelice ha confermato a pieno.
Ita è la donna ingannatrice e rea
et ogni inganno s’è venuto a meno,
né più che l’armi nostre a quella morte
la sua bellezza e ’l suo pensier fu forte.
57Certo è voler di Dio, certo è destino
a nostri danni la costui virtute,
e gir contra l’essercito latino
altro non è che disprezzar salute».
A cotanto bisbiglio il re vicino
cercando va come pensier gli mute,
e con sermone e con giocondo aspetto
tornarli cerca l’ardimento in petto:
58«Quel c’ha tentato d’acquistar l’inganno
pur dianzi indarno con lascivo amore,
popolo fido, ora in mercé daranno
avventurose stelle al tuo valore.
Forse pugnando avrem più grave affanno
ma ne verrà la gloria anco maggiore,
e s’altri premio e guiderdon disia
l’aspetti il vincitor da la man mia».
59Ei così dice e i capitan riprega
che lor del regno e de la gloria caglia.
Indi con esso lor pensa e dispiega
come ei vol che si pugni e che s’assaglia.
E già nel campo ciascun om s’impiega
in opera di guerra e di battaglia:
chi ’l brando, chi ’l destrier, chi l’armatura
e chi le spoglie e gli ornamenti cura.
60Già per le piazze ogni guerrier discioglie
le sue bandiere tremolando a i venti,
e con gran studio a gli ordini raccoglie
suono di tromba le disperse genti.
Settimio sol tra l’amorose doglieLamento di Settimio (60,5-65)
misero versa gemiti e lamenti,
et è sì volto a l’angoscioso pianto
che poco intende de le trombe il canto.
61«O bellissima donna onde vivea
questo core dolente e sconsolato,
qual hai sì grave fallo» egli dicea
«or subitaneamente in me trovato,
che dopo averti nella fiamma rea
con ogni forza et ogni fede amato
tu rivolgendo altrove il tuo disio
m’hai così posto, o perfida, in oblio?
62Pur dinanzi lacrimando mi giuravi
(o fede al mondo come se’ schernita!)
ch’in me vivevi e che me solo amavi
e ch’era il tuo conforto e la tua vita.
Ora quei pianti e quei detti suavi
e la memoria tua dove n’è gita?
m’ami tu forse e mi conservi in core
così perduta di novello amore?
63O lacrimar che tanto altrui diletta,
o lusinghe, o promesse, o giuramenti,
o parole di donna giovinetta
tutte formate per usanza a’ venti!
S’amor facesse de la fé negletta
a femina già mai provar tormenti,
dimmi, quanti tormenti e quante pene
aspetterebbe tua bellezza, Irene?
64Ma tu pur con gli angelici sembianti
va’ trascorrendo ove piacer ti guida,
che de le vostre colpe e de gli amanti
parmi veder ch’ei si trastulli e rida.
Solo io son quel cui converrà tra i pianti
far penitenza di tua fede infida,
ch’in un momento abbandonato e cieco,
tutto ’l ben ch’era in me perduto ho teco.
65Così sfoga piagnendo il suo martire
et ogni patre lagrimando bagna,
e giù nel cor sempre raddoppia l’ire
e della donna si querela e lagna.
Al fin cruccioso e vago di morire
si veste l’armi et esce a la campagna,
e ’n mezzo a gli altri cavallieri ei move
quantunque per dolor non sappia dove.