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Delle guerre de’ Goti

di Gabriello Chiabrera

Canto XIV

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.09.15 9:13

Irene osserva la battaglia da sopra il tumulo mortuario eretto dai Latini (1-6)

1Irene in tanto con la fiamma al core
sta tra l’arme sospesa e sbigottita,
e vinta da disire e da timore
non sa, lassa, che far de la sua vita;
è discacciata e non consente Amore
che pur volga la mente a la partita,
ché troppo avventuroso è quel terreno
ove il guerrier potrà mirar almeno.

2E nel cor le ragiona, et ella il crede,
speranza, e sì l’affida e l’assicura
ch’ella di suo cordoglio e di sua fede
godrà co ’l tempo ancor maggior ventura;
ma sia che può, di questa parte il piede
levar non vol fin che l’assalto dura,
e ferma è di mirar chi su quel piano
oggi d’Italia avrà l’imperio in mano.

3Così conchiuso, raggionando porge
l’umido sguardo intorno a la campagna,
e loco acconcio a sua dimora scorge
là dove il fiume discorrendo bagna.
Colà ved’ella che la terra sorge
a guisa d’una picciola montagna:
Narsete dianzi l’opera commise
a coprir l’ossa de le turba ancise.

4Adunque move infra sospir dolente
e ’n verso quella parte il piede invia,
e molte cose ne la trista mente
sveglia quel loco di sua sorte ria.
Dice ella: – O morta, o qui sepolta gente,
non vi sia grave la venuta mia,
non mirate di fuor, che dentro poi
io son pur morta e somigliante a voi.

5Partita come voi mi son dal mondo
mentre co ’l ferro in man volea far guerra.
Se voi chiedete chi m’ha tratta al fondo,
è ’l più bel cavallier ch’oggi sia in terra -.
Così dicendo giù del cor profondo
un groppo di sospiri ella disserra,
e poscia travagliando a poco a poco
si tira in cima del funesto loco.

6Quinci mirar potea le squadre altiere
onde già tutto era coperto il piano,
et ella pur con gli occhi a le bandiere
si volgea de l’essercito romano,
e fra tante armi e fra cotante schiere
sol un ricerca, e no ’l ricerca in vano,
ch’anzi tutti altri e con l’usato arnese
a tutti occhi Vitellio era palese.

Aristia di Vitellio che combatte nel fiume (7-29)

7A soi rivolto egli diceva: «O forti
compagni d’armi, o popolo diletto,
la bella Italia e i soi dispregi e i torti
v’infiammi d’ira e di virtute il petto.
Io ben là tra le piaghe e tra le morti
macello memorabile imprometto,
ma di spegnere io sol non son possente
sì largo campo di inimica gente.

8Dunque le destre a la vittoria usate
crescan l’essempio del primier valore,
e meco per giustizia e per pietate
d’alta vendetta fate vago il core».
Così dicendo infra le schiere armate
sprona di tutta forza il corridore,
qual feroce leon ch’a la pianura
vegna digiuno a ritrovar pastura.

9L’essercito dei Goti e i cavallieri
ch’impetuoso a guerreggiar venìa,
visto l’orror di quei sembianti altieri
stette presago di sua sorte ria;
fe’ come per selvatici sentieri
lo sprovveduto peregrin fra via,
che giunto a fiume rapido e spumoso
rompe il viaggio e si riman pensoso.

10Non così tiensi da temenza a freno
né dal gran corso il cavallier s’arresta;
sen vien come talor da ciel sereno
di procellosi venti alta tempesta,
sparge ella su pe ’l mar, su pe ’l terreno
le selve c’ha divelte a la foresta,
e seco tragge i mansueti armenti
ch’eran tra i paschi a le belle erbe intenti.

11O muse, voi che giù di Lete al fondo
gite involando ogni memoria ascosa,
ditemi chi fu il primo o chi ’l secondo
a far l’altiera spada sanguinosa,
Anzi ciascun fu il giovine Gismondo,
ma la morte a costui non fu noiosa,
che disperato e con crudel consiglio
volle offerirsi a l’ultimo periglio.

12Egli leggiadro in su l’età fiorita
già combattendo in grave assalto e fiero
ebbe sovra esso ’l viso empia ferita
onde fu spento ogni splendor primiero,
però sdegnoso de l’acerba vita
venne contra ’l ferir del cavalliero,
et ei co ’l brando l’ha percosso a pena
che gli sbalza la testa in su l’arena.

13Poi da la vita il fier Montan disgiunge
sì fieramente ne la gola il coglie,
e Canduccio nel cor sì dentro aggiunge
che dal nodo vital l’anima scioglie.
E lor fra tanto da la patria lunge
straniera riva sanguinosi accoglie,
ch’a le consorti pur quel giorno istesso
il bramato ritorno avean promesso.

14Indi contra duo duci il corso sprona,
ch’avean già per ferirlo il ferro stretto:
di loro il primo correggea Cremona,
e muor ferito d’una punta il petto,
era duca il secondo di Verona,
e ’l percote Vitellio su l’elmetto,
e sì gliel parte e ’l fronte gli divide
che senza colpo rinovar l’ancide.

15L’anima esce con pianti e con sospiri
dal corpo che sì poco avea goduto,
e lascia in longhe lacrime e ’n martiri
là su ’l Benaco il genitor canuto;
egli da l’arme i giovenil disiri
non ha con prieghi raffrenar potuto,
ora l’oro e lo stato ch’ei possiede
lascerà, sfortunato, a strano erede.

16Come leon che dopo longo spazio
entro gli armenti a la campagna corse,
tosto fa longo e sanguinoso strazio
su quegli infermi che non han soccorso,
indi, quantunque ripasciuto e sazio,
non però i duri graffi e ’l morso,
così fère Vitellio e ’n simil guisa
ei non s’appaga de la gente uccisa.

17E mentre per sua destra in su quel prato
in fuga tanti e tanti a morte vanno,
vede fra molti cavallieri armato
starsi in battaglia il barbaro tiranno.-
«Ecco» egli grida «a l’or, ecco l’ingrato
che tiene Italia in così longo affanno,
ma già venuta è la staggione io spero
ch’ei dia la pena de l’ingiusto impero.

18Or fia che ’l regno,» egli diceva «or fia
che ’l rege estinto eternamente cada».
Così dicendo a lui ferir s’invia
et a meglio impiagar stringe la spada.
Mirando come orribile ei venìa,
schiera di cavallier taglia la strada,
che con poca speranza al gran furore
vedeva opporsi il barbaro signore.

19Questi sì chiari d’amorosa fede
fuste, o Galeso, o giovinetto Oreste,
e voi germani Archita e Palamede
che dal re novo novi onori aveste.
Qual cacciator che ruinar già vede
il cinghial da l’altissime foreste,
se ’n corre al varco ove spumoso ei passa
e quivi il ferro e le dure aste abbassa,

20cotal quei cavallier se ’n vengon pronti
là ’ve l’altiera destra era conversa.
Ma come a l’or che da nevosi monti
rapidissimo ’l fiume si riversa,
seco tira correndo argini e ponti,
capanne, armenti e ciò che s’attraversa,
così Vitellio in su la terra stende
ogni guerrier ch’al suo furor contende.

21Trabocca Palamede e poi disteso
seco calpesta il corridore Archita,
e di due punte, ambe mortali, offeso
Oreste in su l’arcion perde la vita.
Fère nel fianco a l’ultimo Galeso
e l’anima glien va per la ferita,
indi al tiranno egli dirizza il volto
ma da le turbe il più vederlo è tolto.

22- Ah, così (dice) se ne va lontano
questo signor che ne l’Italia regna?
e sì disprezza la real sua mano,
che sol si fida ne la fuga indegna?
Or voi cadete a sanguinar il piano
fin che ’l re vostro a liberarvi vegna -.
Così fra sé dicendo orribilmente
volge la spada infra la bassa gente.

23Poco di qua, poco di là dimora,
ma in ogni parte folgorando ei sprona,
qual fiamma per le selve in picciol’ora
s’ivi entro Borea od Aquilon risuona,
l’antiche piante rapida divora
e ’n nulla parte il fiero ardir perdona,
tale ei disperde in su quei campi e strugge
la gente rea che sbigottita fugge.

24Non più rivolge a la battaglia i volti
né più tien fermi a le percosse i petti
ma, tutti sparti gli ordini e disciolti,
guerrier non v’ha che l’inimico aspetti,
e son nel sangue orribilmente involti
i ricchi usberghi e gl’indorati elmetti,
e gli ori e i fregi de le spoglie altiere
e le trombe e i tamburi e le bandiere.

25Già pei campi funesti e sanguinosi
vedeansi a selle vòte i corridori
errar come dolenti e disiosi
di ritrovar gli antichi lor signori,
ma quei, ne l’arme e ne la strage ascosi,
o si giacciono estinti o fra dolori,
e porgeranno a l’empie fere morti
il piacer che doveano a le consorti.

26Così parte cadea, parte fuggiva
la gente oppressa da la vil paura,
e fuggendo ne vien sopra la riva
là ’ve ’l fiume se ’n va per la pianura,
né qui del rischio si dimostra schiva
sperando in acqua via miglior ventura,
sì che ristretti in su la verde sponda
ciascun chi qua, chi là salta ne l’onda.

27Così di cima ’l fosso hanno per uso
s’erra ’l villan su per la riva ombrosa
saltar le rane gracidando in giuso
e tuffarsi ne l’acqua paludosa,
e già di tanto popolo rinchiuso
rivolge il fiume l’onda strepitosa,
e seco l’armi e i cavallier ne mena
giù travolti ne i gorghi e ne l’arena.

28Vitellio da gli estinti un’asta afferra
e ne caccia sommersi e ne distrugge,
e dentro ’l fiume fa novella guerra
a la sembianza di leon che rugge.
Di lor chi guazza e chi s’approda a terra,
chi di là sorto ivi s’appiatta o fugge.
E ’n mezzo l’acque e su per ambo i lidi
altro non suona che lamenti e gridi.

29Qual ne gli antri e ne l’alga si ritira
il pesce sparso pe ’l gran suol marino
s’a salto a salto incontra sé rimira
venirne il velocissimo delfino,
tal quella turba si fuggia da l’ira
e dal furor del cavallier latino,
et ei co ’l sangue d’infinita gente
faceva rosseggiar l’aspro torrente,

Una freccia uccide il cavallo di Vitellio, Narsete prega per la sua salvezza (30-44,5)

30In questa Aminta al bon arcier Fileno
rapido s’appresenta, indi favella:
«Or chi tien l’arco» egli diceva «a freno?
ove son le certissime quadrella?
Tu, con cui posto ogni valor vien meno,
che strali aventi in questa gente e ’n quella,
così lasci posar l’arco e la corda
e del rischio de’ toi non ti ricorda?

31Deh, prega il Ciel che su la gente estinta
di far consenta a lo tuo stral vendetta,
e ’n quel ladron che di sua man l’ha vinta
adopra l’arco e la miglior saetta».
Così dice l’un, l’altro risponde: «Aminta
soccorso indarno da mio stral s’aspetta,
che su ’l dosso a colui come di vetro
e si rintuzza e si ritorna indietro.

32Io non so se ’l ricopre e se ’l diffende
nova tempra de l’armi onde si veste,
o pur se per salvarlo or qui discende
celatamente alcun favor celeste.
io l’armi onde da presso si contende
ho disprezzate, e m’ho fidato in queste,
e con queste pugnando ebbi speranza
far qualche prova de la mia possanza.

33Ma venuto fallace è ’l mio pensiero
e tutto indarno la faretra io vòto,
che sempre lascia il duro usbergo intiero
se ben con ogni forza il ripercoto,
e l’altra notte ne l’assalto fiero
più volte tesi e tesi sempre a vòto,
et in costui furono i colpi frali;
che maledetti sian l’arco e gli strali!

34Ma se da questo assalto io fo ritorno
e vaglio a riveder gli alloggiamenti,
possa lasciar con longa pena e scorno
la testa qui fra le nimiche genti
se non mi levo ogni quadrel d’intorno
e se no ’l rompo in su le fiamme ardenti,
e seco l’arco in su ’l medesmo ardore,
sì poco hanno di forza e di valore».

35Sì dice il sagittario disdegnoso.
Aminta lusingando il riconsola,
dice: «O compagno, o cavallier famoso,
vadane a’ venti la crudel parola;
se pur la tempra e se l’aiuto ascoso
fa che fallace ogni quadrel se ’n vola,
e che piaga non fai su l’inimico,
pensa di saettar come ti dico.

36Or che ne l’acqua lo trasporta l’ita
e quella rabbia che gli bolle in core,
lascia la dura sua persona e tira
un quadrello di morte al corridore.
Vedi tu come sorge e come gira
l’onda per la gran gente che vi more;
s’entro con l’armi egli vi va disteso
vorrò veder come sarà diffeso».

37A questi detti tra le man riprende
l’orrido corno il disdegnoso arciero,
e nel turcasso che dal tergo pende
scieglie lo stral più venenoso e fiero,
e ’l dirizza su l’arco e mentre il tende
guarda solo la fronte del destriero,
e quando con la manca il ferro tocca
e ’l petto con la corda egli discocca,

38lo stral volando al corridor perviene,
e stridendo la fronte gli trapassa.
Ei per lo gran dolor che ne sostiene
ora la testa, ora le groppe abbassa;
Vitellio alquanto in su gli arcion si tiene
ma sentendol morir tosto gli lassa
e pria che ne ’l trabocchi sottosopra
salta nel fiume e con le man s’adopra.

39Quivi molta armatura e molto arnese,
molti cavalli e molte membra spente
in gran confusione avean sospese
le basse arene di quel gran torrente,
sì che almen sorto da le spesse offese
potea schermirsi de l’iniqua gente,
ma non senza periglio o senza affanno,
ché l’onde al petto con furor gli vanno.

40Come alto fremito giocondo
adopra i pali e i sassi a far percossa
rustica turba se caduto in fondo
mira il fier lupo de l’oscura fossa,
sì da la ripa con gridar profondo
la gente vinta a saettar fu mossa,
e tosto in su le sponde e ’n mezzo a l’acque
nova battaglia e novo assalto nacque.

41Narsete, che mirò da i gran steccati
per longo spazio quella turba avversa
su la riva del fiume e ’n mezzo i prati
fuggir davanti al cavallier dispersa,
or sentendo quei gridi disusati
e lei vedendo a guerreggiar conversa
grave pensier gli ripercote il petto
grave timor del cavallier diletto.

42«Deh com’or si rallegra,» egli dicea
«deh come in arme se ne va superba
la turba infida che pur or cadea
tingendo il fiume di suo sangue e l’erba.
Forse di piaga insidiosa e rea,
lasso, è caduta la tua vita acerba,
o bon Vitellio, in su quei duri lidi,
che lieti al ciel sì se ne vanno i gridi?

43Ma sia falso il timor che m’indovino
e sia buggiardo il così rio pensiero,
e tu, Signor, del tuo favor divino
soccorri d’alto il tuo guerriero altiero,
diffendi Roma, il popolo latino,
diffendi il sacro tuo devoto Impero».
Sì con ambe le palme al ciel levate
dicea pieno di fede e di pietate.

44Né quei sospir, né quelle voci ardenti
per lo tuo scampo e per la tua diffesa,
o bon Vitellio, se n’andaro a’ venti,
ma su nel Ciel fu la preghiera intesa.
Mentre l’inique e scellerate gentiVitellio riesce a uscire dal fiume nonostante i Goti abbiano gettato dei tronchi (41,5-50)
oprano l’arme in disugual contesa
Orisgonte durissimo e feroce
vago di sua vendetta alza la voce:

45«O gente fedelissima compagna,»
ei gli gridava «or chi mi porge aiuto?
Quei cotanto feroce or che si bagna
senza periglio il vi vo dar perduto.
Lasciate l’armi, il saettar rimagna,
venite appresso al cavallier canuto.
Questi elmi, questi abeti alti e frondosi
de la sua morte ne saran gioiosi».

46Così dicendo fra le stanche braccia
un di quegli olmi infellonito ei serra,
ma molti cavallier seguon la traccia
sì che si svelle e si dibatte in terra.
Tosto Orisgonte in mezzo l’onde il caccia
per far al gran guerrier l’ultima guerra:
il tronco largo il fiume si distende
e violento e rapido discende.

47Il cavallier da quel gran tronco istesso
avisa di lontan l’arti maligne,
e consigliato, com’egli è dappresso,
ripone l’armi e con le man si strigne.
Così da pietre e da saette oppresso
pur co ’l tronco a la riva si sospigne.
la gente a pena in su l’asciutto ’l vede
ch’in nova fuga ella rivolge il piede.

48In su la riva è pervenuto a pena
che ’l sanguinoso brando in man ritoglie,
e tra quei fuggitivi in cerchio il mena,
né ferro scampa ove ferendo ei coglie.
A chi trapassa il fianco, a chi la schiena,
a chi la piaga, a chi la vita toglie,
e su la già dispersa in strana guisa
trabocca a terra nova gente uccisa.

49Giugne ferendo al giovine Peloro
e lo trabbocca da l’arcion ferito.
Questi cresciuto infra ’l paese moro,
di color negro a negro era vestito,
e di gran gioie preziose e d’oro
aveva un negro corridor guernito,
il qual tra molti a longa prova elletto
era sopra ogni cosa a lui diletto.

50Lascia quel brun che dibattendo more,
e si lancia Vitellio in su gli arcioni,
et a l’oscuro e ricco corridore
allenta il freno e fa sentir gli sproni.
Vassene in su quel pian con quel furore
che da’ ciel vengon le saette e i tuoni,
e spegner vòl gli sfortunati avanzi
de l’empia turba che gli fugge inanzi.

Irene si suicida di fronte a Settimio gettandosi dal colle (51-56)

51Infra lo stuol de la dispersa gente
che dietro il cavallier si rimanea,
un fu Settimio misero e dolente
per la fanciulla ingannatrice e rea.
Egli cercando le sue squadre spente
or qua la vista et ora là volgea
tanto che de la donna egli s’accorse
et a lei mesto e rapido se ’n corse.

52Come con la sembianza disdegnosa
a sé mira venir quell’infelice,
ella rivolge a terra vergognosa
la vista, che di lui già fu beatrice,
et indi con la guancia rugiadosa
di vive perle alza la voce e dice:
«Taci, o Settimio, le querele e l’onte
ch’io leggo in su gli occhi e ’n su la fronte.

53Son colà giù fra voi chiari e palesi,
ben sai, gli errori e tutti i miei peccati,
ma colà giù fra voi non sono intesi
gli argomenti de i cor inamorati.
Irene v’ha di grave colpa offesi
e v’ha contra la fede abbandonati,
ma non si pensa poi con quanto ardore
a queste colpe la tirasse Amore.

54Se ciò non valmi, or che sarebbe assai
a pienamente disfogar vostre ire?
vorreste voi che d’angosciosi guai
mi languissi tra pena e tra martire?
Or su, godete, ecco adempiuto omai
et appagato a pien vostro disire,
pena non è così crudele e ria
che posta co ’l mio duol gioco non sia.

55Io del mio re nimica e del suo regno
nulla da voi posso sperar mercede,
e nel mio novo amor presa a disdegno
ho disperato il fin de la mia fede,
e sì grave è ’l martir ch’io ne sostegno
che mi costringe a far come si vede».
Così dicendo d’alto si sospinse
e dentro ’l fiume sua bellezza estinse.

56Avegna che dal fresco tradimento
tutto di sdegno gli avampasse il core,
pur de’ begli occhi e del bel viso spento
fu traffitto Sereno dal dolore,
e longo spazio co ’l pensiero intento
stette su ’l corso de l’antico amore.
Al fin da l’onda ria fa dipartita
gridando: «O vita mia, dove sei gita?».