Ma per l’orride imprese al fin condotteTisifone torna agli inferi, decide di intervenire il demone Asmodeo (1-59)
Tesifone empia raddoppiò l’orgoglio
e, fatta vaga di spiegar suoi vanti,
tra’ mostri inferni ella ne va veloce
5a le d’Averno penosissime ombre.
Colà superba in vista alza la fronte
e trasvolando con tartarei gridi
faceva alto sonar gli antri infocati,
dicea le frodi onde ella spense i giorni
10di quello eccelso regnator, dicea
le fiere angoscie de la triste Elvira,
onde ella cadde; il general cordoglio
ove è rimasa la cittate oppressa
non tacque punto: «Omai le mura aperte
15per cui tanto sudossi, oggimai l’aste
andran de gli Unni a guerreggiar sul Tebro,
colà faransi i venerati altari
stanza di belve e quello eccelso et alto
monte del Vatican darà tributo
20di folte spiche a’ vincitori aratri».
Tal per l’Erebo tetro alteramente
pur bestemmiando ridicea suoi pregi,
e l’inferne falangi unqua non stanche
faceano udir l’abominevol nome
25con somme lodi. Allor infra quei mostri
uno ve n’ebbe che svegliò l’ingegno,
e cercò gloria in danneggiar la terra
presso a perir senza il real governo,
et in profondo affanno omai sepolta.
30Questo solea ne l’infernal baratro
Asmodeo dirsi, et era sempre intento
ad affinar de la lussuria l’arte.
Sono opera di lui quanto d’amaro
vedesi sofferir da’ petti amanti
35di tormento e di pena; ei mosse e seco,
sé lusingando, egli dicea per via:
«Se Tesifone nostra ornar le tempie
brama di lauri gloriosi e chiede
in riva d’Acheronte alzar trofeo
40non brama a torto, egli è ben degno, et io
amo ch’a bello oprar si dia mercede,
perché la spero, e non è forse giusto
che fioriscano in me salde speranze?
starà forte Aquilea se scossi Troia?
45Oh a me ver che Simoenta e Xanto
corser di sangue? et il Sigeo non scorse
il figliol di Peleo serrarsi in tomba?
Sparta già diede al mondo occhi sì chiari
che per atre di me posero in fiamma
50de l’Asia i regni; io di cotanti rai
feci sul Nilo fiammeggiare un volto
ch’orbo ne venne il gran campion di Roma,
onde Egitto ne pianse, e chiuso in nembi
d’alto cordoglio sospirò Tarpea;
55né questo giorno apparirà men forte
la mia possanza». Sì parlando ei giunse
a la città mal fortunata, e quivi
con pronto ingegno essaminò le strade
da porla in polve, e ritrovolle in breve.
60Or discendendo dal Permesso ombrosoAsmodeo sotto mentite spoglie porta in dono ad Ernesto un monile della principessa Agave (60-158)
cantane, Euterpe, e l’una e l’altra guancia
di fresche rose colorita, o Clio.
Era d’Elvira e di Menapo figlia
la giovinetta principessa Agàve,
65di cotanta beltà ch’almi guerrieri
per lei gioiosi distruggeansi il fiamma.
Uno era Adrasto, del signor che regna
intra’ fieri Schiavoni unico erede,
chiaro per lo splendor de’ bei sembianti,
70chiaro per l’opre del gentil costume,
chiaro non men per la franchezza in armi,
quinci sovranamente al re fu caro,
e caro insieme a la reina Elvira;
e se godean de la bramata pace
75de l’inclita fanciulla il facean sposo.
In tale stato egli lattava il core
e nudriva il desire e cotal volta
faceva atti d’amor per la speranza,
e tempo fu ch’egli mandolle in dono
80alto regalo, incatenate gemme,
perle di Gange e di Perù piropi,
quinci pendea scolpito in piastra d’oro
il navigar de l’agenorea figlia
sul toro ingannator, vedeansi l’acque
85scherzar gioconde e su per l’alto l’aure,
e vezzeggiando il trasformato amante
dar baci al piè de la beltà rapita.
Con sì fatto guerrier facea contesa
d’amore in campo, e per le regie nozze
90de l’alma Agàve sospirava Ernesto,
prencipe di Trevigi; in lui virtude
e ben fondata nobiltà splendea,
e sfavillava de l’età sul fiero.
Questo tenor di cose al fiero mostro
95tosto fu noto, et ei svegliò suo spirto
a porre in opra non piacevol froda,
compose a sé d’intorno aeree membra
uscite omai di gioventute, et ara
d’alcuna crespa il volto e vela i crini,
100e dentro a foschi manti egli s’involve;
fassi Frontea, de la fanciulla Agàve
nudrice un tempo, e così fatto apparve
là dove Ernesto in solitaria stanza
guerniasi d’arme; egli il saluta e dice:
105«Ernesto, già tu sai che fui d’Agàve
nutrice, ora di me, ch’a te ne vegno
inviata da lei, mentre fur vivi
i genitori ella celò sue voglie,
né volle far contrasto a’ suoi desiri,
110or che vive in balia di se medesma
offre la sua beltate a la tua fede
per fartisi consorte. Or quando e dove
fa di mestiero, adoprerai l’ingegno
di cavalliero e d’amatore; intanto
115tu di questo monil cingiti l’oro
al collo intorno, ella il ti manda et ama
spesso mirar che tu ne vada adorno».
Nel così dire egli porgea l’arnese
onde era stato liberale Adrasto
120vèr la beltà d’Agòve; in qual maniera
città steccata da nemiche squadre
langue in mesto digiun, ma se le giunge
soccorso amico apre le labbra al riso,
ciascuno apprende a ralegrar sembianza,
125e su la fronte serenar la speme,
tale in quel punto fe’ vedersi Ernesto.
Ridean sue labbra e sfavillava il guardo
e su le guancie non so che di lieto
subito apparve. Ei cento volte e cento
130baciò le gemme e ribaciolle; al fine
fe’ dal petto volar queste parole:
«O immensa beltà, ch’altro men sai
salvo che ’l servo tuo render felice
immensamente, a tuo favor sian pronti
135sempre di tutto il Ciel tutti i favori,
et io trabocchi de gli abissi in fondo
s’unqua mi pentirò d’esserti servo.
o bella fronte, o belle ciglia, o specchi
d’ogni altiera bellezza, infra’ mortali
140 andrete voi di diligenza essempio
et io di fede». Ei così disse; il mostro
prende commiato, et indi move i passi,
e non gli move indarno; Adrasto trova
e per tal modo gli ragiona: «Adrasto,
145mentre da genitor si resse Agàve
ebber le vele tue vento secondo,
or non è calma, io veggo molto, Ernesto
andar brioso, e mi ritorna in mente
che usanza feminil non è fermezza
150serbare amando». Così detto ei tacque,
ma fiamma e gielo in un balen trascorse
a l’amante guerrier per ogni vena,
e di vari color si tinse il volto,
fiammeggiante lo sguardo, e dentro al petto
155fremea per ira e, di se stesso tolto,
motto far non potea. Quinci d’Averno
lo scelerato messaggier diparte,
e trasvolava a le sue frodi intento.
Per cotal modo corse il giorno e chiusoAdrasto vede il monile indosso a Ernesto e lo uccide per gelosia (159-246)
160si stette Febo dentro il mar d’Atlante,
ma come l’alba seminò sue rose
il poco avanzo dei miglior guerrieri
e quelle teste più canute andaro
verso il palagio a raunarsi, et ivi
165cercare appoggio al ruinoso impero.
Per quel camino raffrontossi Adrasto
con esso Ernesto; Ernesto iva pomposo
in spoglie d’oro, e gli splendea sul petto
il d’Agàve monil tanto pregiato,
170et ei, fattone altier, movea giocondo.
Come lo scorse Adrasto immantenente
ficcagli il guardo addosso e bieco il guata,
ma rimirando poi l’oro e le gemme
onde a la bella Agàve ei fece dono
175splendere al collo del rivale intorno,
vassene in foco d’ira, oscura il ciglio,
dibatte i denti e duramente freme,
così gridando: «Onde cotesto hai tratto
real tesoro? e come indegnamente
180te ne arricchisci?». A le parole acerbe
meravigliando diè risposta Ernesto:
«Portolo perché voglio, e l’ebbi in dono
da tal che la mia fé ne fece degna».
«Non è ciò ver,» soggiunse Adrasto «il porti
185perché ne fosti ladro». A l’ora entrambo
sfodrano i brandi, e già ne va per l’alto
feroce il suon dei ripercossi acciari,
e l’aria s’empie di faville, quale
se per bella giovenca in prato erboso
190agitati d’amor dansi battaglia
tori corna puntati, alto muggito
spandono a l’aura, e con la fronte bassa
non mai son stanchi a rinfrescare assalti;
mirasi intanto lacerati i fianchi
195d’ampie ferite e di ben calda vena,
sangue abbondante riversar gozzaio:
non con minor possanza e minor ira
provano quei guerrier di trarsi a morte
con spessi colpi. Ora nel petto et ora
200nel ventre, ora nei fianchi ora ne la fronte
erano intente a ritrovare entrata
del nobil sangue l’assetate spade,
ma sempre indarno, così fatta è l’arte
ch’aveano entrambo nel mestier de l’armi.
205Al fin sì come fulmine cremente
ch’aventa Giove adunator de’ nembi,
scagliossi Adrasto et allungò la spada
quanto mai più potea verso il nemico;
trovogli il braccio destro et ivi squarcia
210i nervi e frange l’ossa, indi la tragge
e fortemente gliel’immerge in petto.
Subito cade in su la piaga e lunge
fece d’intorno risonare il piano;
ivi gemendo intra singhiozzi fugge
215l’alma pronta a volar per le ferite,
et ei vien freddo con mortal negrezza.
Il vincitor volge le spalle e riede,
pieno di rabbia, a’ suoi riposti alberghi,
et ivi pensa a l’infedele Agàve,
220profondamente arso di sdegno, e seco
quasi saldando sue ragioni ei dice:
– Spento è l’infame, e del suo sciocco ardire
data ha la pena; or quelle carni indegne
giacciansi sposte per convito ai cani.
225Ma qual di te prendo vendetta, Agàve?
O de l’arso mio cor sola regina,
or fra chi regnerai se tu non regni
come sovrana fra le donne ingrate?
O occhi ove d’amor tante faville
230splendere io vidi, e voi, gentil sembianti,
chi l’arte vi insegnò di tanti inganni,
di tante frodi? -, e sì dicendo ei batte
la trista fronte con la destra e pensa,
fisso col guardo in terra. Indi si scote,
235e col piè batte il pavimento e grida:
«Cingi la spada, Adrasto, esci dal regno,
e vieni pronto ad incontrar percosse;
vieni, che poscia tradimento et onte
non mancheranti. Ah crudel gente, ah nome,
240femina nata a l’onde inferne, scenda
fulmine che l’involva, atra tempesta
le spenga e le sommerga»; indi s’emenda
e dice: «Adunque lascerassi Agàve?
ella si lasci de’ nemici in preda?
245E de’ nemici in preda: eternamente
sarà ciò pena de’ suoi vili amori».
Sì dice, e vèr le mura il piede affretta,Adrasto esce dalla città e si unisce alle forze di Attila (246-364)
giunge a la porta, e chi guardava i varchi
a lui ben noto trapassar consente.
250Egli sen esce e per diritto calle
stampa i vestigi verso i ricchi alberghi
del re degli Unni; per ventura il vide
e ravvisollo Absirto, om di gran pregio
e, molto innanzi, a l’ungaro tiranno
255costui, feroce maneggiando l’armi
su la muraglia in sanguinoso assalto,
rimase prigionier; Menapo allora
molto gli si mostrò di cor gentile,
e con atti cortesi ebbelo seco.
260Allora Adrasto lo si fece amico,
però da lui non fu sì tosto scorto
che prontamente gli si move incontra,
e con un oh di maraviglia chiede
donde e perché, e nel così dir l’abbraccia.
265Poi dolcemente lo riguarda in viso,
posto il termine usato a le accoglienze.
Risponde Adrasto al cavalliero: «Io parto
da la cittate infino a qui difesa
per me contra ragion; vegno bramoso
270di dar le mie fatiche al signor vostro,
però condurmi al suo real cospetto
sia di te cura». Qui tacque egli; Absirto
per man lo prende, e se ne vanno intrambo
dove il duce sovran facea dimora.
275Il ritrovaro: ei di corazza acciaro
vestiva ardente per i piropi et oro,
e dal sinistro fianco aurea gli pende
fulgida scimitarra; il petto e ’l tergo
tutto s’involve di purpureo manto,
280manto cui distingueano, alme a mirarsi,
gemme, tesor de l’eritree maremme.
Tal passeggiava entro a’ guerrier più scelti,
con esso lor trattando opre di Alarte.
Absirto inchino gli s’appressa e mostra
285il campion strano, e dà di lui contezza;
Atila il chiama, e ben l’accoglie e parla
vèr lui cortese in cotal guisa: «Ho caro
voi meco aver campion di tanto pregio
per onorarvi, e s’avverrà ch’io deggia
290operando mostrarlo, io sarò pronto».
Allora il cavalier con alterezza,
non senza riverenza a parlar prese:
«Alto signor, da gran ragion commosso
mi feci difensor di queste mura
295a voi nemiche, e da ragion non meno
per oltraggi sofferti oggi ne vegno
a dare assalto e traboccarle in terra
per te non meno, e non ragiono a vòto:
Menapo re da subitano assalto
300fu percosso da morte, et indi Elvira
chiuse gli occhi per doglie in sonno eterno;
il figlio successor puossi dir bimbo
sì scarso è d’anni, e che governi il regno
testa non è di riverirsi degna;
305la greggia popolar, vinta, accasciata,
poco non fa se con le donne afflitte
prega gli altari; i duci, uno hai davanti,
Ernesto dianzi per mia man traffitto
versò l’alma col sangue, e più non vive.
310Non negherò che ci riman Foresto,
illustre per fulgor di nobili avi
onde discende, e per tesor possente,
grande in asta vibrar, grande per senno
e per trionfi e per vittorie grande,
315ma, carco di ferite, or si condanna
star sotto coltre e riposar tra piume.
Dunque qual cor paventa? e chi consiglia
posar, sommo signor, la tua possanza?
ché non si spande ogni bandiera al vento?
320ché non squilla ogni tromba? Io non ti scorgo
con mortal risco a rinovare assalti.
Vi conduco a gioir d’una vittoria
che vi si dona in dono». In tal maniera
parlava Adrasto et, inchinato, ei tacque.
325Rispose il re: «Tempo è da porre indugio
e tempo è d’affrettar: se di sventura
de l’inimico a guerreggiar ne chiama,
corriamo a l’armi. Come dunque sorga
la bella aurora e ne rimeni il giorno,
330ciascun s’accinga al generale assalto.
Di tutto ciò prendi pensiero, Absirto,
con pronto studio, e non soffrir che scemi
di tuo valore e di tua fede il pregio
chiaro cotanto». Ei più non disse, e tacque
335la maestà de l’ungaro tiranno.
Incontanente i cavallier partiro
e fece Absirto trasvolar palese
il decreto reale infra le squadre,
e co’ duci minor tosto dispiega
340tutto il tenor de la battaglia, e loro
cresce coraggio ad incontrar la morte
con forti detti, e se ne va veloce
la fama intorno, e dibattendo l’ali
grida ch’a l’apparir del bel matino
345darassi assalto, e la cittate in preda
rimarrassi al valor dei più guerrieri.
Quinci le turbe intalentate a guerra
danno bando al riposo: altri racconcia
archi mal testi, altri saette arrota,
350chi brandi terge, chi cimieri impenna,
chi prova il ferro de’ dorati usberghi
se sia possente a delegiare i colpi
quando più crudo adirerassi Alarte.
Qual se talor d’autunno alma stagione,
355Bassarco liberal de l’aureo mosto
vòl che si calchi in ben cerchiati tini
i grappoli acinosi, ognun s’adopra,
omini e donne in affilar coltelli,
in tesser vimi, in risaldar graticci,
360ogni cosa è bigonci, ogni lavoro
è rivedere e racconciare arnesi
de la bramata da ciascun vendemmia,
tale era quivi rimirar le turbe
intente a rafinar le spoglie e l’armi.