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Il Foresto

di Gabriello Chiabrera

Canto III

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 25.06.15 20:15

Con sì fervido cor, con sì frementeDio ordina che Attila sia battuto da Foresto e quindi di risanarlo (1-36)
rabbia nel petto s’attendea che l’alba
crocadobbata aprisse varco in cielo,
mettendo in corso l’immortal Piroo,
5ma su per l’alto de’ l’Olimpo eccelso
eteree cime, onde il Rettor supremo
scote la terra e dà la legge a l’onde
e pur col cenno fa tremar gli abissi,
altro si stabiliva alto decreto;
10e questo fu che ne la mente eterna
fermò de l’universo il gran Monarca:
fare Atila dolente e di sue colpe
esporre al guardo uman giusta vendetta.
Però dinanzi a lampeggiante trono
15di splendore infinito ove ei s’asside,
fe’ di Pietro venir l’alma diletta,
indi, sciogliendo de l’eterea voce
l’immenso suon, divinamente ei disse:
«Venuta è l’ora che ’l signor degli Unni
20saldo dispregitor di mia pietate
con la giustizia si corregga. Ho scelto
per leale ministro a dargli morte
Foresto, illustre regnator d’Ateste,
nipote d’avi che in seguir virtute
25diedero a lui ben manifesto essempio,
et egli è tal che sforzerà ben forte
a gloria procacciar figli e nipoti,
ma di presente non bastante a l’arme
tra fasce e piaghe ha per albergo il letto.
30Tu movi, e porta a lui salute e forza
da reggere armi». Più non giunse, e tacque
la sempre invitta et eternal possanza.
Allor per tutto il cielo arse di lampi
nova chiarezza, e le falangi eccelse
35de l’essercito eterno alzaro note
cantando del gran Dio le glorie immense.
Ma lascia Pietro de’ supremi campiPietro scende in terra, dopo una sosta nel paradiso terrestre e risana Foresto (37-108)
la non per orS | hora da misurarsi ampiezza,
e prende il volo suo verso Oriente
40nel basso mondo; ei rassembrava stella
che d’oro striscia per seren notturno.
Né si posò che nel mirabil orto
onde mal saggio discacciossi Adamo
dentro non fosse; ivi per aria lieta
45che non sa d’Aquilon soffrire oltraggio,
sorgono piante a cui non lascia aprile
unqua di frodi vedovarsi i rami,
e s’allegrava tutto il suol de’ fiori
quanti ne soglia disiar lo sguardo
50per suo conforto; infra cotanti un solo
ne colse Pietro, et era il fior cotanto
pur di tre foglie: una verdeggia, l’altra
era qual pura neve, e qual piropo
splendea la terza sfavillando in ostro.
55Così fornito se ne vien del cielo
l’alto messaggio là ’ve giace infermo
il campion destinato a la grande opra.
Correa la notte e del camino oscuro
era sul mezzo, e gli animanti in terra
60tutti godeano in disiato sonno;
ma non Foresto chiudea gli occhi e posa
dava nel petto a’ gravi suoi pensieri,
anzi spiaceva a se medesmo, e caldi
traea sospir quando ascoltava il suono
65de le trombe a la guerra eccitatrici,
dicendo seco: – Sen andranno a terra
queste onorate mura, e ch’io tirassi
colpo di spada per le sue difese
sul punto estremo non sarà memoria?
70sì fatto onor per così bella impresa
illustrerammi? e per sì fatto assalto
tra sommi duci volerà mio nome? -.
Così dicendo ora il sinistro et ora
il lato destro rivolgea tra’ lini,
75tutto cruccioso di non cinger spada,
et ecco entrar del Regnator superno
il messaggier ne la rinchiusa stanza,
difondendovi dentro un mar di lampi.
Vinto Foresto con le man fa schermo
80al subito ferir del troppo lume,
ma Pietro fa volar suono celeste
formando note umanamente e disse:
«Foresto, io scendo da le altezze eccelse
del Paradiso; l’immortal possanza
85del sempre invitto Correttor del mondo
mi manda a te, dammi l’orecchio e credi:
in questa notte ha da condursi a morte
Atila scelerato; or tu disponti
a troncar con tua man l’indegna vita,
90opra che fia possente a porre in corso
l’alme ben nate et acquistar corone.
E, veggio, va forte fra gli altier nipoti
farsene specchio tal che presso al Lambro
spegnerà re non men feroce et empio;
95de gli altri tacerò: fama non vana
alto ne canterà di tempo in tempo».
Qui tacque, et indi col mirabil fiore
toccò le piaghe et elle venner sane,
e del corpo guerrier le nobil membra
100doppiaro forza: più veloce il piede,
il polso de la man via più gagliardo,
e per le vene via più ferve il sangue,
onde in guisa cotal Pietro ragiona:
«De la bramata giovenil fortezza
105io te lascio gioioso; or vesti i panni
e vesti l’armi, io riporrotti in mezzo
de gli steccati ove riposa l’unno».
Qui acque, et indi al cavallier s’invola.
Ratto Foresto de le vesti usateForesto è portato nell’accampamento unno da Pietro, fa strage immensa di Unni (109-279)
110adorna il busto rinfrancato e cinge
brando temprato su maestra incude
con lungo studio, et adornò non manco
la fronte giovenil d’elmo lucente,
che ricco incendio di piropi ardenti
115d’ogni intorno versar non è mai stanco.
Al fine imbraccia di ben saldo acciaro
ben forte scudo, in cui di perle spiega
gangetico tesor candide piume
l’aquila estense. Quando armato il mira
120Pietro nel porta infra le regie tende
ove posava il regnator de gli Unni.
Notte correva intanto, e più che ’l mezzo
omai fornito avea di sua carriera,
e mirarsi facean l’eteree piaggie
125popolate di lumi, onde per l’ombra
potea gioirsi di chiarezza in terra;
e Pietro disse al bon Foresto: «Il campo
in che provarsi dèe la tua virtute
hai qui presente, tu rinfranca il core,
130e se qui splenderai la nobil vita
fia ben spesa», e così detto ei sparve.
Il cavallier pien di pensier volgea
l’animo forte a cominciar l’assalto,
né molto dimorò: schiera d’armati
135moveva intorno a visitar le guardie
di quei ripari et incontrossi in lui.
Dorielo il duce alza la voce e grida:
«Donde si vien? donde si va? chi siete?
Rendimi il nome». Il cavallier celeste
140s’aventò crudo e gli squarciò la strozza,
e quei sgozzato traboccò sul piano.
Come talora a l’apparir d’Arturo
fulmine ardente che scoscende i nembi
lampeggia e tuona in un momento e fère,
145cotal Foresto mise man al brando,
spinse la destra e lacerò quell’Unno
in un sol punto, e come quercia in monte
ove scherniva il minacciar degli Austri,
subito casca fulminata e lunge
150fa co’ rami sonar le rive ombrose
cotal sen venne quel barone a terra,
e l’aureo scudo e la corazza e l’elmo
alto sonaro. Meraviglia immensa
quinci sorprese i cavallier seguaci,
155ma fier Foresto sollevò la spada
inverso il capo d’Agricalte e fende
giù per la fronte e per lo collo in guisa
che sopra il destro e sul sinistro fianco
si rovesciava la partita testa,
160ma le midolle del cervello sparse
corsero a terra; le ginocchia ei piega
e dà col petto in sul terren là dove
sonno d’InfernoS | di ferno eternamente il prese.
Non per questo cessò l’inclita destra;
165Nearco affronta: era d’orribil belve
non mai pago uccisor, ben grave d’anni,
ma cruda e venda si godea vecchiezza;
vestiva in vece di ferrato usbergo
orride sete di cinghiale alpestre,
170in rimirar da spaventarsi arnese,
ma non paventa del campione estense
l’alto coraggio, che tra costa e costa
vibra ferita, e duramente estinse
quelle freschezze del polmon ventoso.
175Ei diede alquanti crolli, indi col tergo
la terra impresse, e scolorito in viso
con narici affilate alzò singhiozzo
e dir volea, ma de la vita il filo
Atropo gli recise. Oltre sen passa
180Foresto, e taglia a Rimedon la destra,
e fa caderne l’arrotata scure
onde egli promettea colpi di pregio
villanamente, e poi di novo immerge
ne l’anguinaglia il sanguinoso acciaro.
185Rimedon casca et il guerrier calpesta
le lorde membra; indi atterrava Ofelte:
questi, fidando in se medesmo, note
faceva udir di barbaresco orgoglio
al vincitor ben già da presso, et egli
190profondandogli in petto orribil punta
tutto il fegato scempia, onde di sangue
sgorgò fuor di quello antro, et il superbo
rimase desiata esca di corbi.
Allor comincia ad ingombrar viltate
195l’anima forte di quei duci, et alto
ciascun gridava: «A l’armi!, entro i ripari
sono i nemici; a l’arme, a l’arme, a l’arme».
Al gran rimbombo che per l’aria vola
mosse la squadra de le regie guardie;
200era duce Nearco, ei giva altiero
per anni freschi e per guerrier sembianti,
e tutto involto di purpuree spoglie
portava in cima del cimier con arte
scolpito il monte de le fiamme etnee.
205Venìa saltando e fier sì come toro
se per bella giovenca in valle ombrosa
scalpita co’ piè l’erba, e fa col corno
e col mugghiar brava disfida a l’aure;
da l’altra parte se ne vien l’estense
210come leon quando le ciglia aggrotta,
e con la coda smisurata i fianchi
aspro flagella, e che ruggendo ei tuona,
allor rimbomba la caucasea selva
e sul periglio di pasciuti armenti
215stan tremando i bifolchi. Or chi bastante
fora a narrar le minacciate piaghe,
il suon de’ brandi, il fiammeggiar de l’armi?
e de nobili cor l’alto disdegno
sparso per gli occhi? Il feritor primero
220fu la barbara destra, ei lancia un’asta
non men di tosco che di ferro armata;
ei sforzò le sue forze, il dardo fende
l’aria ronzando e ne lo scudo averso
strada s’aperse, ma non giunse al petto
225ove era vaga di ferir la punta.
Nearco sfodra di forbito acciaro
gran scimitarra, e destinava piaga
verso la tempia del nemico; ei schermo
fassi pur con la spada, indi percote
230l’elmo per modo tal che d’ogni intorno
l’Etna de l’oro seminò faville.
Sangue non corse già, ma sotto il colpo
tentenna e mal si sostenea Nearco;
non lascia il brando riposar Foresto,
235ma spinse l’armi entro il belico, e dietro
va furioso e lacerò le reni;
tale in duo fonti di bollente sangue
atrocemente innebriò la spada.
Casco Nearco e sul serrar de gli occhi
240oblio nol prese da’ paterni alberghi,
mal fortunato, ivi lasciò partendo
carissima beltà d’inclita sposa
et in suo grembo ammammelato infante
che mai non vedrà più. Scorse cascarlo
245Sinolfo, possessor d’ampio tesoro,
e per questa cagione al re diletto,
vide cascarlo, et avampogli il viso
e per entro le vene incendio d’ira
e fra suoi mise un alto grido: «O pèra!
250E chi di noi più mostrerà la fronte
non vendicato al re? tanto dispregio
oggi, tanta viltate? i cor codardi
serbinsi a’ corbi et al digiun de’ cani,
et io primiero». Ei così grida, e scaglia
255il dardo, e cento secondaro: alcuni
forte fèro sonar l’aurea celata,
altri graffiaro del gemmato manto
i ricchi fregi, e chi percosse l’oro
e lo splendor del ben temprato scudo,
260ivi oltraggiando del reale augello
l’invitte piume. A tanti gridi, a tanti
colpi et a tante de l’orribil Alarte
acerbe furie, tenne saldo il piede
l’alto guerrier, né sa cangiar sembiante,
265qual, s’armando talor rozza falange
i montanari cacciator sen vanno
giocondi a guerreggiar porco silvestre,
egli tra canne paludose e giunchi,
suo forte albergo, se ne sta ben franco,
270e guarda bieco e per soverchio d’ira
gli occhi rivolge rosseggianti, e mostra
pronte a ferir le formidabil zanne,
ma, disperato, al fin s’avventa et apre
i chiusi varchi, e frange spiedi e sventra
275veltri e molossi, et ogni incontro abbatte
e de l’opposta gioventù fa scempio
miseramente: a tal sembianza in campo
trattava l’armi l’immortal Foresto.
Per fama intanto e per messaggi inteso
280Atila aveva il non temuto assaltoAttila viene con lui a duello e muore, e i barbari sono messi in fuga (280-382)
e la fredda paura onde eran piene
tutte le squadre: di stupor s’ingombra
come ciò fosse, e travagliato in vista
appella i duci, e ciò ch’oprar si deggia
285non è ben certo; a la per fine ei pensa
di prova far quanto potesse in guerra
la maestate et il reale aspetto,
dunque la spada al manco lato appende
e di fidato morion ricopre
290e le tempie e la testa, e scudo imbraccia,
armi dorate, armi gemmate, et ivi
ei risplendea sì come in ciel sereno
il temuto fulgor del Can celeste.
Sì fatto esce di tenda e l’orme affretta
295e colerica fiamma ardegli in petto,
ch’ei mena smanie e seco parla e nota
non pò formar: «Se fra stellanti chiostri
o ne l’oscuro de le tombe inferne
alcuno è che governi e regga il corso
300de la speranza e de l’uman spavento,
costui senta mie voci, e porga aiuto
in questo punto a disfogar miei sdegni.
E s’alcuno non è che regga il mondo
nulla non me ne cal: potrà mia destra
305fulminare e tonar sopra i nemici
per se medesma». In guisa tal sen corre
gorgogliando bestemmie entro a la strozza,
e già nel ciel verso le porte eoe
a gran passi venìa quasi gigante
310il sol portando l’alma luce al mondo,
et Atila girando il guardo intorno
potea specchiarsi ne la fuga indegna
de gli smagati popoli; ciascuno
lunge da sé gittava archi e faretre,
315aste e brocchier son disprezzati, ognuno
discaricarsi de l’armi, e sol si spera
nel veloce volar del piè codardo.
Tanta viltate riguardar non valse
il re superbo, che doppiando l’ira
320non tonasse dal cor minaccie et onte
verso i dispersi: «O di guerrieri a nome
chiamati a torto, a gran ragion le spade,
a gran ragion da voi scacciate l’aste,
che son zappe et aratri i vostri arnesi;
325ite a le stalle et al grugnir de’ porci,
per cui nasceste! Oh s’io ritorno al regno
s’io vi ritorno … », sì dicendo ei spande
vampe da gli occhi e fa crocciare i denti
per lo disdegno e per la rabbia. Intanto,
330o carco di trofei ramo di Alarte,
astro d’Italia e per la via del cielo
illustre scorta de gli estensi eroi,
vibravi il brando fulminoso e tronche
sbranavi membra non mai stanco, et ampie
335versando sangue funestavi i campi,
e, come avvien che divenendo sazia
di specchiarsi nel sol volgesi a terra
aquila altiera e tra belle erbe e giunchi
vede stagnarsi un pelaghetto, quivi
340lieta con largo piè voga per l’onde
l’oca cianciera e vezzeggiando pompa
fanno del lungo collo i gru dipinti,
e nel cristallo van tergando l’ali
i cigni cari d’Amatunta al nume,
345ma, vago di ghermir, scendendo a piombo
l’augel di Giove col vigor del rostro
sparnazza gl’infelici, allor per l’aura
volano penne dissipate e l’onda
del piccoletto mar torna sanguigna,
350tale era quivi a rimirar fra l’armi
il Gedeon de la magion d’Ateste.
Quinci in mirar la miserabil strage
tanto di rabbia in petto Atila colse
che forsennava; ei mise l’ali al piede
355per tosto guerreggiar l’aspro nemico.
Mosse, ma lasso lui, che di sua vita
l’estremo fil gomitolava Cloto!
Tosto ch’ei fu da presso alza la destra
col ferro micidial verso la fronte
360tanto odiata, e fa volar in scheggie
l’oro de l’elmo, ma rimase esposto
il destro fianco a l’inimico, et egli
sospinge de l’acciar l’aspra acutenza,
e spezza l’osso e trova il core et apre
365fiume di sangue che la sabbia innonda.
Casca il tiranno e fa sonar l’arena
con la percossa; ei scosse poco il piede,
che gielo il doma et un negror coperse
eternamente la real palpebra.
370Allor Foresto sollevò dal petto
la nobil voce, e fece udir tal grido:
«Chiunque sprezza del Monarca eterno
la data legge e prende a schernoS | schermo il Cielo,
qui fermi il guardo». Rassembrò quel grido
375strepito d’ocean s’unqua s’adira
il tridentier da le cerulee chiome.
Quinci barbaro cor non più ramenta
che sia battaglia, e dileguò veloce
per la campagna da temenza oppresso.
380Quivi cinta di nembi errava intornoAletto e Megera raccolgono le spoglie del re (383-393)
la sempre vaga d’ogni mal Megera,
e seco Aletto, a cui diceva: «Or quando
pur doveano venir tante sventure?
Porta di qui lontano il signor morto,
385che fu servo di noi: vergogna immensa
fora farsi veder vivanda a’ cani
il mai sempreS | mar sempre devoto a’ stigi numi;
et io procurerò ch’abbiano scampo
l’afflitto avanzo de le turbe». Entrambo
390chiuser le labbra e si metteano a l’opra.
Ma, venuta a suo fin l’eccelsa impresa,Foresto è accolto festosamente e ringrazia Dio (394-405)
piega Foresto le ginocchia e rende
fervide grazie al Correttor del mondo,
indi si volge a la città; ben folte
395di gente ne venian fiumare allegre
vero il liberator, tuono di gridi
«Este!» portaria su per l’alto, et «Este»
pronte qua giù rispondean le valli,
«Este» per tutto risonava et «Este».
400Così racolto nei difesi alberghi
con la bella arte de l’amabil pace
de le battaglie ristoraro i danni.
Fin qui dicea lungo l’aonia rivaCongedo del narratore (406-416)
la bella Euterpe de le cetera mica,
405et io de’ lauri per le scorze eterne
le care note ad ora ad or scriveva.
Tu vero successor de’ tuoi grandi avi,
Francesco, in seggio riponevi Astrea,
e di Cerere i campi avea in cura
410per alloggiarvi Pace, amabil dea.
O lor felici e fortunati loro
che sotto il nume tuo, novo Saturno,
godono in questa etate il secol d’oro.