Proemio e dedicatoria (1-3)
1La cortesia d’un animo gentile,
ancorché nata d’eccessivo amore,
s’avien che cada in un soggetto vile
rimane oppressa e priva di valore,
ma ben appar magnanima e virile
locata in generoso e nobil core,
ch’ivi produce effetti così degni
da stancar per lodarli mille ingegni.
2La vostra è, signor mio, ben senza pari,
et ha di gloria e di splendore ornato
l’Orsina prole a par de i grandi e chiari
gesti di tanti eroi che ʼl Ciel l’ha dato,
ond’io, che fra i più degni e più preclari
ammiro voi, d’ogni bontà dotato,
vo’ perché sempre al cor l’abbiate impresso
di cortesia narrarvi un bel successo,
3nel qual l’altrui giovar comprenderete
quanto risulti al giovator in bene,
e s’a le labra or v’è sì nobil sete
saravvi anco nel cor e ne le vene,
così di quel desio tutto arderete
di che a nobil persona arder conviene:
or dirò di Leone e di Ruggiero
ch’arser di tal desio quanto già fèro.
Riassunto della vicenda di Ruggero e Leone narrata nell’Orlando furioso (4-11)
4Spinto Ruggier da gelosia già s’era
mosso per dare al buon Leon la morte,
e mostrò sì questa sua voglia fiera
che se no ʼl fe’ fu di Leon gran sorte;
uccise ben de’ suoi sì grossa schiera
che li fece veder quant’era forte,
il magnanimo greco a le gran prove
di lui stupì, sì che fu poi suo Giove.
5Ché da l’oscuro carcer dove il mise
la zia crudel, ma con ragion, lo trasse,
ch’era dover che se Ruggier le uccise
il figlio ella dar morte a lui bramasse;
ma il generoso greco, in cui già fisse
eran le voglie che Ruggier campasse,
malgrado di Teodora e de i custodi
la notte il liberò da ceppi e nodi.
6Né conoscendol per Ruggier l’elesse
campion ne la battaglia ch’ei dovea
con Bradamante far, con cui dovesse
durar quel dì ch’ella proposto avea.
Il fatto in somma in modo tal successe
che Ruggier con colei per chi egli ardea
pugnò, e la vinse, ma per altri, e poi
tentò dar senza lei fine a’ dì suoi.
7L’obligo in che ʼl tenea la cortesia
del gran Leon gli avea fatto far quello
che chi è punto amator mai non faria:
quest’era del suo cor l’aspro flagello.
Privarsi l’uom di quel che più desia
e darlo in preda altrui, quest’è un coltello
che passa l’alma et ha sì strane tempre
che non uccide per uccider sempre.
8Ha pugnato Ruggier, perduto evinto,
vinto ha per altri et ha per sé perduto,
fu egli il vincitore et egli è ʼl vinto,
né men l’afflige il vinto che ʼl perduto;
vint’ha colei che ʼl cor li tiene avvinto,
ma ʼl vincer l’ha di lei già sposseduto,
e che sia ʼl perder de le cose amate
dical chi ʼl sa, ditelo voi ch’amate.
9Or si vede Ruggier da iniqua sorte
condotto in passo dubbio e periglioso,
e stima assai per minor mal la morte
che ʼl viver sempre afflitto e doloroso.
L’essersi privo de la sua consorte
per darla in preda ad un novello sposo
gli par più insopportabile dispetto
che d’un ferro crudel passarsi il petto.
10Ne l’animo patir no ʼl può, né vole
più vita aver poi ch’a se stesso ha tolta
l’alma sua diva, il suo bene, il suo sole.
Nel padiglion s’aggira e si rivolta,
or quinci or quindi e sol di sé si dole,
tiene in gravi pensier l’alma sepolta
e cedendo a la rabbia et a lo sdegno
si chiama di mortal supplizio degno.
11Sol di se stesso e non d’altri si lagna
e sé chiama cagion del proprio male,
piange e sospira, e di lacrime bagna
le guance e ʼl petto, e tal doglia l’assale
ch’a pena tien che ʼl volto non si fragna
o si ferisca d’un colpo mortale,
ma per celar in sé l’aspro tormento
rimove il cor da sì crudel intento.
Ruggero si ritira nel bosco con il proposito di morire e si congeda dal proprio cavallo (12-23)
12Mentre quivi Ruggier sì addolorato
si trova, e di morir pur si dispone,
sella il destrier, sendosi tutto armato,
e lascia occultamente il padiglione.
Cavalca al buio, e va qual disperato
per adempir sì cruda intenzione.
Contento in parte mor, poi che s’avede
che non è stato mancator di fede.
13Con tal pensier l’ampia campagna sgombra
passa, per boschi e selve spaventose,
ov’è la notte e ʼl dì perpetua l’ombra,
nidi di fere e belve mostruose,
e mentre il core appassionato ingombra
de’ gravi aspri pensier che si pose,
a l’apparir del novo giorno e punto
si trova ad un gran bosco sovragiunto.
14Questo d’ogn’altro più intricato e folto
luogo li par conveniente assai
per quanto a far di se medesmo ha tolto,
ch’è di por fine a’ suoi dolenti guai,
et in se stesso ha sì grand’odio volto
ch’in modo li vorria finir che mai
nessun l’udisse, e stando per entrare
nel bosco vuol prima ʼl destrier lasciare.
15E con parole colme di pietade
ragiona a lui com’ad un caro amico
dicendoli: «Destrier, che di bontade
eccedi non pur quel che ʼn luogo aprico
co’ piè quel fonte fe’, ch’ad ogni etade
illustre fia, come fu al tempo antico,
ma quei quattro corsier ch’intorno intorno
varcando il ciel ne menan seco il giorno,
16poi che mi trovo in sì dolente stato
e vommi approssimando a l’ora estrema
che questo corpo afflitto abbandonato
fia da lo spirto, che nel petto trema,
prendi pur, buon destrier, prendi commiato,
mentre l’aspro martir l’alma mi scema,
più per la breve tua da me partita
che per vedermi al fin de la mia vita.
17Duolmi il pensar che di selvagge piante
t’andrai pascendo e d’altri cibi strani,
qual fera abiterai ne’ boschi errante
non come dianzi in luoghi alti e sovrani,
e non avrai la bella Bradamante
che t’ornava e nudria con le sue mani,
ma in questi luoghi sozzi, oscuri e lai
sol compagnia di crude belve avrai.
18In quante gran battaglie m’hai servito
e di quante m’hai fatto aver l’onore!
A quant’altri destrieri hai tu partito
l’audace fronte col tuo gran valore!
E quanti cavalier su ʼl verde lito
e spinti e calpestati hai con furore!
Et or piaciuto è al Ciel ch’io t’abbandoni
et a morte crudel mia vita doni.
19Ahi che mirando te soffrir non posso
l’aspro dolor nel rimembrar di quella
che per mio amor già mille volte in dosso
t’ha posto di sua man la ricca sella,
quella dal cui volto divin fu mosso
ad avventarmi al cor l’empie quadrella
l’arcier che di ferir non è mai sazio
per fare i cor albergo d’ogni strazio.
20Dogliomi molto ancor ch’a te non sia
tanta grazia dal Ciel data che solo
sapessi intender l’aspra pena mia,
ché meco a par ne sentiresti duolo,
e con atti dolenti ancor potria
la tua terribil voce alzar tal volo
che rimbombando queste folte selve
movria forse a pietà le crude belve».
21Non potea quasi il cavalier dolente
patir d’abbandonar quel buon destriero,
ma ʼl desio di morir tanto potente
fu nel suo cor via più ostinato e fiero
ch’al fin la volontà tutta consente
e si dà in preda a quel primo pensiero,
così, poi che lasciarlo e morir vole,
gli soggiunge quest’ultime parole:
22«Ohimè, che duol c’ho di dover lasciarti
per mio fato crudel, per mio destino!,
ma più m’è grave il veder qui restarti
ov’è fra sterpi e sassi aspro il camino.
Dovrei del ben servir rimunerarti
né m’è concesso, o buon destrier Frontino.
Or lascia il tuo signor morir qui ʼn pena
e vanne pur dove ʼl destin ti mena».
23Così dicendo per quell’aspro calle
libero e sciolto con sospir lo lassa.
Volta il destriero al suo signor le spalle
e ciò che tocca nel fuggir fracassa.
Sgombra via ʼl bosco, e ʼn un’ombrosa valle
lungi ʼl dritto sentier con furor passa,
e sembra tuon che fulminando scenda
con empito dal cielo e i monti fenda.
Ricordandosi di episodi di amori infelici, Ruggero si commisera (24-51)
24Quiv’il miser Ruggier, lasciato avendo
Frontin, poi ch’è disposto di morire
va per la selva gli occhi rivolgendo
e cerca ove i suoi giorni abbia a finire.
Un loco ascoso vuol, che così essendo
potrà l’intento suo meglio adempire,
perché già posto in animo s’avea
di morir più a l’occulto che potea.
25Così poi dove più gran calca vede
di spine e di virgulti ivi si caccia,
si getta in terra e quivi a pianger riede,
con ira percotendosi la faccia,
e tanto al duolo et a la rabbia cede
che d’aspra morte spesso si minaccia:
«Chi dev’io castigar, sol che me stesso
s’io sol (dicea) tutt’ho l’error commesso?
26Doler io mi vorrei, né però veggio
di cui debba dolermi giustamente,
poiché la colpa è mia che ben m’aveggio
d’aver, miser, peccato e gravemente.
Tradito ho me medesmo e, quel ch’è peggio,
sono stato cagion non solamente
del proprio mal ma de l’altrui ancora:
quest’è che più pensandovi m’accora.
27Se sol per me la bella Bradamante
si trova in tanti affanni, in tanti guai,
quella che sempre nel mio amor costante
stat’è dal dì ch’in lei m’innamorai,
s’io era il primo e suo più caro amante
ch’altr’uomo più che me non amò mai,
è questo dunque il merto ch’io le ho reso,
che per altri ho con lei battaglia preso?
28Che dirà di me perfido et ingrato
quando le fia di me l’errore espresso
a dir ch’io sia per l’altrui bene stato
ministro del suo male e del mio stesso?
Ragion è ben ch’io dal mio gran peccato
in odio a lei sia vivo e morto messo.
Oh se nel carcer mi giungea la morte,
lieta e per me più che felice sorte!
29Ohimè che doglia, oh che mortal ferita!
Poscia che del mio bene io mi son privo,
privar mi vo’ d’esta dolente vita
che meglio assai starò morto che vivo,
e qui lo spirto l’ultima partita
farà dal corpo stano e semivivo:
l’un sarà ne l’Inferno condennato,
l’altrui qui da le fere divorato».
30Si lamentava sì soavemente
Ruggier ch’avrebbe fatto di pietade
spezzar i sassi e divenir clemente
ogni animal pien di ferocitade.
Fa ingiuria al volto l’empia man sovente
e nel crudo pensier talor gli cade
di far l’aura vital dal petto uscire,
indi il dolor così lo ʼnvita a dire:
31«Privo mi trovo dell’anima mia,
privo del ben ch’io sol aveva in terra
se privo son di Bradamante mia,
anima e core e mio sol bene in terra,
ma non devo più dir ch’ella sia mia,
né però devo star più vivo in terra
se m’ha fortuna ria spinto a levarla
per battaglia a me stesso e d’altri farla.
32Piacesse al Ciel che lei da qual si voglia
uomo a me tolta fusse stata, come
fu Angelica ad Orlando, il qual di doglia
macchiò ʼl suo saggio e glorioso nome,
e disprezzando ogni sua ricca spoglia
rabuffate mostrò le nobil chiome,
la robusta e fatal persona ignuda
e fe’ sembianza spaventosa e cruda.
33O come temerariamente tolta
fu Doralice al figlio d’Ulieno
che se fra esso e ʼl predator poi molta
discordia ne successe e odio e veleno,
l’animo mio contr’una schiera folta
d’armati cavalier non verria meno,
né mi sgomenterei di vendicarmi
s’io avessi a fronte l’inventor de l’armi.
34MA s’io me ne son privo, ahi miser, senza
togliermel’altri, di chi deo lagnarmi?
Se chi ha peccato merta penitenza,
io vo’ con le mie man la morte darmi.
Questa di me fia l’ultima sentenza,
scrivasi poi su tronchi o ʼn carte o in marmi
tutto ʼl successo, onde si vegga quale
sia stata la cagion d’ogni mio male.
35Più infelice di me non fu Zerbino
bench’aspramente i giorni suoi finisse,
anzi ebbe assai di me miglior destino
ne gli affanni d’amor mentre che visse,
se da le man del falso biscaglino
salvò Isabella e ʼn libertà la mise,
indi dal luogo ladroneccio e strano
tratta fu poi dal senator romano.
36Et ei per colpa altrui menato a morte
a tempo il conte vi fu sopragiunto
come sua stella o sua benigna sorte
volse per darli due vite in un sol punto.
In somma il suo morir, bench’aspro e forte,
paresse il mezzo a quell’estremo giunto,
pur di dolcezza insetimabil pieno
li fu morendo a la sua diva in seno.
37Il che a me non avien, ch’anzi son certo
d’esser fatto di lei veri nemico,
poi ch’io l’ho data ad altri; oh che bel merto
reso ad un caro e singolare amico!
E se ʼn loco selvaggio, aspro e diserto
convien ch’io mora, dove ʼl cor nodrico
d’affanni e di sospir, lungi da lei
che dolcezza sarà ne’ dolor miei?
38Fusse quel tempo almen che ʼl Ciel per segno
di pietà verso i disperati amanti
chi trasformava in fior, chi ʼn pietra o ʼn legno,
mosso da’ prieghi lor, da i loro pianti,
che ʼl bel Narciso e Ciparisso a sdegno
non avrian forse ch’io, meschin tra quanti
Amor seguiro, il più infelice avessi
loco ove star sempre con lor potessi.
39Voi sacri lauri e mirti che solete
con gloria ornar chi poetando scrive,
voi testimoni del mio fin sarete
ch’essempio fia d’ognun ch’in amor vive,
e voi frassini e querce esser potrete
di pietà tanto al mio lamento prive
che dovend’io con voi qui restar sempre
vostra durezza alquanto non si stempre?
40O seguaci d’Amor, vaghi augelletti,
mentr’io con doglia qui piangendo grido
ornate di pietà que’ bei concetti
che fan dolce armonia nel caro nido.
Indi ciascun per pianger meco affretti
il volo, e poi che per amor m’uccido,
finiti che saran mie lunghi pianti,
significate il caso a gli altri amanti.
41Tu rosignuol, che sì soavemente
per ermi boschi e folte selve vai
piangendo, e con pietà ciascun sovente
del tuo caso infelice accorto fai,
vienten a me, d’ogn’altro più dolente,
e ʼnsieme piangeremo i nostri guai,
non senza l’infelice tua compagna
che del suo fallo ancor qua e là si lagna.
42E così ʼl nostro pianto sarà tale
che ʼl Ciel moverà forse a compassione,
che com’a voi mi darà penne et ale
ond’io fuggirò sempre le persone,
o forma mi darà d’altro animale
sia di lupo, sia d’orso o di leone,
e starò in questi boschi, o s’altro aviene
mi trarrò l’alma et uscirò di pene.
43E voi, maligne e dispietate fere
di cui fia cibo questo corpo afflitto,
farete almen del sangue rimanere
tinto il terren, quasi marmoreo scritto,
che ʼn rimembranza poi di me cadere
faccia dal duol, chi ʼl mirerà, trafitto,
ch’esser non potrà tale un cor umano
che no ʼl mova a pietà caso sì strano.
44Oh quante potrei render grazie al Cielo
se tu, terra, gran madre de’ mortali,
poi ch’io morto sarò sotto il tuo velo
raccor potessi queste membra frali,
che di tanta pietà l’ardente zelo
ch’al cor mi poser gli amorosi strali
mi potrà, credo, far morendo degno
benché ʼl mio fallo abbia passato il segno.
45Dico ben or che piena di dolcezza
la morte fu di quel garzon gentile
quel ch’ingannato da la gran fierezza
de l’anima d’ogn’altro più virile
di non poter fruir l’alma bellezza
de la sua Tisbe, tenne in tutto a vile
il vivere e s’uccise, ond’ella poi
finì come lui seco i giorni suoi.
46Oh con quanta pietà poi sepoltura
si diede a l’uno e a l’altro corpo insieme,
oh dolce ancorché trista lor ventura
poiché raccolse le reliquie estreme!
S’Amor congiunse l’alme, Morte oscura
congiunse i corpi oltr’ogni loro speme,
talché s’ebbero in vita aspro diletto
morte in dolce union diè lor ricetto.
47Più dolce non fia dunque la mia morte
s’io mi veggio morir nimico a quella
ch’amar mi solea tanto? Ahi cruda sorte
è ben dover ch’ora mi sia ribella
s’io me l’ho tolta essendo mia consorte,
cagion non so di qual nemica stella,
nemica del mio bene; e però privo
di quel meglio starò morto che vivo.
48Se gran lamenti lagrimosi sparsi
fur per la morte di que’ cari amanti
che ʼn vita più ch’ogn’altra cos amàrsi,
e fur sepolti co’ paterni pianti,
io, che pur lungo tempo amai et arsi,
et or, miser, la morte ho qui davanti,
che sepoltura mi saran le fere,
chi farò per pietà di me dolere?
49E poi ch’altri non veggio esser presente
a la mia morte, né ch’oda il mio pianto,
tu ch’abiti ne’ boschi, Eco dolente,
per la cagion ch’or me tormenta tanto
come già ʼl Cielo al tuo languir clemente
si dimostrò, fa tu per me altrettanto,
e le parole mie, l’aspre mie doglie
scrivi su per li tronchi e per le foglie,
50acciò che testimonio alfin tu rendi
de la mia morte dolorosa e trista,
poiché i lamenti solitari intendi
et accompagni il suon di chi s’attrista,
da che ciascun, come tu chiar comprendi,
veggia che premio per amar s’acquista,
essempio qual fu il tuo, né sia ʼl mio stato,
che muoio per amor qui disperato.
51Giovani amanti, voi ch’Amor seguite,
voi che donaste a duo begli occhi il core,
s’avete pur di voi pietà fuggite,
per vostro ben, l’orme e ʼl sentier d’Amore.
Piene d’aspro velen mille ferite
s’acquistano a seguir sì reo signore,
Amor è solo una prigione oscura
ch’ogni riposo e libertà vi fura».
Bradamante parimenti si lamenta e si propone di morire (52-65)
52Queste e molt’altre simili parole
dicea piangendo il misero Ruggiero.
Tenevasi d’ogn’altro sotto il sole
più sventurato amante e cavaliero.
Ecco sovente l’uom come si duole
né sa di che, ingannato dal pensiero:
nimico a Bradamante ei si tenea,
et ella a lui pensando si struggea.
53Pensava a lui, ma non ch’ei fusse quello
con cui la pugna il dì passato tolse.
Amor dunque chiamando iniquo e fello
e ʼl suo fato crudel, che così volse,
con ira il viso delicato e bello
e ʼl bianco petto a lacerar si volse,
dicendo: «Ove sei gito, Ruggier mio?
Hai tu forse il mio amor posto il oblio?
54Seiti al tutto, Ruggier, dimenticato
de la tau cara e fida Bradamante,
ch’oggi si trova nel peggiore stato
in che mai fosse sventurata amante?
Deh, s’in chiusa prigion non sei legato,
soccorri chi ad amarti è sì costante.
Per Dio, Ruggier, deh non far più dimora
se pur non vuoi ch’io disperata mora.
55Com’è possibil, se non sei sotterra,
come non crede la speranza mia,
che cosa di che già tutta la terra
ha udito il grido a te celata sia?
Creder no ʼl posso, ond’in continua guerra
sta la mia mente travagliata e ria,
né potrei, me dolente, imaginarmi
come aresti mai cor d’abbandonarmi.
56Se per incanto non sei più costretto,
com’eri già ne l’isola d’Alcina,
ove finta beltà, falso diletto
ti fean non più curar di me meschina,
e se qual Dido o qual Lucrezia il petto
non vuoi ch’io m’apra, onde di tal rovina
sii tu cagion, vien tosto a darmi aita
prima ch’io doni al cor l’aspra ferita.
57Ma spendo, ahi lassa, in van queste parole;
io son qual fragil legno abbandonato,
privo di tutto ciò con ch’egli suole
difendersi dal mar quand’è adirato.
Or chi m’aiuterà? qual ragion vuole
ch’io speri aver giamai tranquillo stato?
Meglio è dunque ch’io mora, se ʼl morire
potrà solo por fine al mio martire.
58Ruggier, quant’ho per te fatiche sparse,
e pur mi fuggi come tua rubella?
Sempre il mio miser cor del tuo amor arse,
né ti fu, credo, accetto, ahi sorte fella.
Per te mostrai quanto per uom mostrarse
valor mai puote, e tu qual feminella
mi disprezzasti, né pietà giamai
mostrasti aver di me, né de’ miei guai.
59Io per te tutta mi consumo ed ardo,
per te languisco e mille volte moro,
mercé di cui non l’impiombato dardo
te punse, quando me colse quel de l’oro.
Da che mirai de’ tuoi begli occhi il guardo,
vissuta sempre sono in tal martoro,
e ʼl pensar di te sol mi rode e lima
né tu superbo del mio amor fai stima.
60Ahi che la troppo a me contraria sorte
fallace ha fatto il nobil mio pensiero,
perch’io stimando che niun sì forte
cavalier fusse come te, Ruggiero,
preposi che nessun per sua consorte
mai non m’avria se non quel cavaliero
che star meco di forze a par potesse
acciò che ʼl premio a te sol rimanesse.
61Al mondo altr’uom che te non stimav’io,
te cavalier tremendo e singolare,
credo però ch’or voglia il giusto Dio
tal punizione a mia arroganza dare
se, come credo, a te son già in oblio
poi che non hai pietà del mio penare,
e vinta è stata la persona mia
da chi creduto mai non si saria.
62Ma se siamo di par stati ne l’armi
senza nessun vantaggio o differenza,
con qual ragion debb’io vinta chiamarmi?
Ho pur, come’egli, fatto resistenza.
io vo’ con le mie man la morte darmi
più tosto ch’aspettar questa sentenza,
più cara avrò senza Ruggier la morte
che la vita e d’un altro esser consorte.
63E morendo son certa ch’a l’Inferno
andrò, dove non è più redenzione
se tosto a pietà mosso il Re superno
non vieta (Egli che può) l’empia cagione,
ché, vinta l’alma dal dolor interno,
verrà condotta a tal disperazione.
Oh lieta sorte, oh fin più che beato
morir l’amante in grazia de l’amato!
64Sol una cosa tempra il mio dolore
e mi conforta nel dover morire,
il pensar che mai donna al suo amatore
fedel non si poteo più di me dire,
che sì m’arde la fiamma del suo amore
ch’or mi convien li giorni miei finire,
benché morendo in questo cor ferito
il nome di Ruggier porto scolpito.
65Ben sempre maledir deo l’ora e ʼl punto
e ʼl dì che con Amor presi amistade,
l’arco e lo stral con che m’ebbe il cor punto
per sottopormi a tanta crudeltade,
e quel sagace sguardo ch’in me giunto
m’ha così priva di mia libertade,
e maledir debb’anco la mia sorte
poi c’ha serbato tanto a darmi morte».
Marfisa contesta la decisione di Carlo di dare Bradamante a Leone, si stabilisce che ogni pretendente dovrà battere Ruggero per ottenerla (66-80)
66Così dicea con singulti e sospiri
fra sé l’addolorata Bradamante,
pensando sol d’aver tanti martiri
sofferto in van per lo suo caro amante.
Ell’avea al suo Ruggier tutti i desiri
volti, e fu sempre nel suo amor costante,
et or priva di lui si vede affatto
e le convien d’un altro esser per patto.
67Tutta la notte anco in lamenti spese
maledicendo lo stato d’Amore.
Oh quante volte in man la spada prese
spinta dal duol per trapassarsi il core,
ma da sì crudo intento alfin difese
il bianco petto quel giusto timore
che cedendo a la rabbia un error tale
non mandi l’alma al sempiterno male.
68E sì come gran tempo innanzi il cielo
l’avea predestinata ad esser moglie
di chi languisce or pien d’ardente zelo
per lei, così s’oppose a le sue voglie,
e poi che Febo dal notturno velo
scoprì la terra e le sue verdi spoglie
per dar effetto a ciò ch’avea permesso
fece accader quant’udirete appresso.
69Quella donzella di valor tremendo,
di volto e di fattezze alme e leggiadre,
ch’amò Ruggier gran tempo non sapendo
che nati eran d’un padre e d’una madre,
e ne le fasce da lo strazio orrendo
che fèr di Risa l’africane squadre
campati, un tempo sconosciuti andaro,
nel qual con vano amor sempre s’amaro,
70ma poscia che lo spirto di Merlino
nel bosco chiarì l’alto lor lignaggio,
dov’una tomba di bel marmo fino
le reliquie chiudea di quell’uom saggio,
quell’ardente desio, che fu vicino
a fare a l’onor lor perpetuo oltraggio,
s’estinse, ma ne l’uno e l’altro peto
di santo amor s’accese un vivo affetto;
71or conosciuto per fratel Ruggiero
Marfisa, e fatt’accorta del suo errore,
s’avea con Bradamante e crudo e fiero
l’animo, e le portava odio e rancore.
Fatto dolce e benigno il suo pensiero
quel grand’odio cangiò tutto in amore,
e sempr’ebbe disio d’allora innanti
che sposi fusser quei duo cari amanti.
72Però da quel si mosse ella vedendo
corromper quella fé che Bradamante
e ʼl buon Ruggier s’avean già data, essendo
stato egli sempremai suo caro amante,
il che così turbarsi ora dovendo,
poiché quindi Ruggier tanto distante
si trova, in sua difesa oppor si vuole
perché di molto ciò le pesa e duole.
73Dinanzi a Carlo et a l’alta presenza
de’ suoi baroni, con l’usato ardire
Marfisa s’appresenta e, riverenza
fatta, incomincia alteramente a dire
che molto si dolea de al sentenza
ch’ingiustamente allor dovea seguire
di torsi Bradamante al suo Ruggiero
e darla novamente a uno straniero.
74Levarla a quel che sempre stato l’era
fedele amante e servo affezionato,
quel che per lei più d’un’armata schiera
aprendo avea sommo valor mostrato,
e poi perché sua sposa unica e vera
diveniss’ella, ei s’era battezzato,
sarebbe un’ingiustizia e villani
grande al fratel se cosa tal seguia.
75E più che Bradamante istessa avea
fattogli in sua presenza gran promesse
con patti e fede, il che a ciascun volea
provare a lei, se ciò negar volesse,
ond’ella toglier altri non potea
secondo il rito de le leggi stesse,
da potersi poi dir bene sposata
sendosi con Ruggier confederata.
76A quel pronto parlar de la donzella
Marfis’ardita, il re quasi turbato
dinanzi a sé fe’ comparir la bella
figlia d’Amo, c’ha ʼl cor sì addolorato
per chiarirsi di quel che la sorella
del buon Ruggier quivi ha di lei parlato.
Tien ella gli occhi bassi, e quasi avisa
tacendo ch’abbia il ver detto Marfisa.
77Il cui parlar, benché paresse strano,
e ʼl cospetto regal molto turbasse,
piacque a Rinaldo e al senator romano,
ch’avean gran voglia ch’a Ruggier restasse,
e l’intento d’Amo riuscisse vano,
il qual volea ch’al greco si sposasse.
Trovasi a tal contrasto Amon presente
et avampa di rabbia e d’ira ardente.
78Cresce la lite, perché molti vanno
in favor di Marfisa e contr’Amone,
et ei «Che faccian pur» dice «se sanno
che mai Marfisa non avrà ragione,
e che sia questo un così ordito inganno
per impedir sua giusta intenzione,
ma che giamai non però detto fia
che seguito a lor modo il fatto sia».
79Lascio, ché saria lungo a raccontare,
questo contrasto, e più noios’a udire.
Per tutta Francia s’ebbe s divulgare
non pur diede a Parigi assai che dire;
chi ʼn favor di Ruggier s’ode parlare
e chi ʼl greco et Amon vuol favorire,
ma questi pochi son, quegli infiniti
per Ruggier quei, per Amon questi uniti.
80L’imperador non sa chi dica il vero,
che ragione a chi l’ha vorrebbe darla.
Marfisa disse alfin: «Poi ch’a Ruggiero
si dèe tòr Bradamante e altrui sposarla,
su ʼl campo chi la vuol da cavaliero
debbia a Ruggier con l’arme guadagnarla,
ma dandogli la morte, con ciò sia
ch’ei vivendo altri toglier non potria».
Leone si dà a cercare il suo campione per difendere la proprio ragione, Melissa glielo fa trovare (81-88)
81Questo fa Carlo intender a Leone,
perché provegga tosto a sua difesa.
Il greco eroe cercar fa ʼl suo campione,
quel che tolta in suo nome avea l’impresa;
per lui la bella figlia aver d’Amone
spera e la palma d’ogni gran contesa,
e che resti Ruggier con danno e scorno
vinto dal cavalier del leocorno
82(non sapendo però che, disperato,
gito è nel bosco et è vicino a morte),
che non ardisce senz’averlo a lato
di comparir per nova lite in corte.
Ei sa che da Ruggier fia superato,
ch’è ne l’arme di lui molto più forte,
Si duol poiché non vede il dì secondo
il cavalier che tenea raro al mondo.
83Con diligenza poi per ogni parte
che li cade in pensier lo fa cercare,
né li bastando ciò da’ suoi si parte,
sperandol egli stesso ritrovare,
ma vi fu ben chi con più studio et arte
per lui ʼl trovò, ch’in vano affaticare
si potev’egli e i suoi e quei di Carlo:
sola Melissa seppe ritrovarlo.
84Costei con tanto ardor desiderava
che Bradamante con Ruggier s’unisse
in matrimonio, quanto ella gli amava
più ch’altra cosa e gli amò mentre visse,
talché spesso per lor l’arte adoprava
con che già tante volte sottomisse
mille spirti a sua voglia, e allor per sorte
conobb’esser Ruggier vicino a morte.
85E come per tal mezzo ancor sapea
ciò ch’era di Ruggier successo a pieno,
tost’un di quei che comandar solea
converte in forma d’un bel palafreno,
e resol poi trattabil che parea
uso a la sella et a gli sproni e al freno,
vi monta su, galoppa, e ʼl camin tiene
sì ch’a scontrar col gran Leon si viene.
86Indi lo prega e supplica umilmente
che si mov’a pietà d’un cavaliero
che non è al mondo un più di lui valente,
et essi dato in preda a un rio pensiero,
perch’entro un bosco misero e dolente
s’è già condotto a tal che di leggiero,
se tosto non li dà qualcuno aita,
sarà per rimaner privo di vita.
87«È» li dice «gentil, cortese e bello,
di gran virtù, di chiari gesti ornato,
né vi crediate, alto signor, che quello
sia da nessun ne l’arme superato.
Dogliomi che ʼl destin maligno e fello
per voler egli altrui rendersi grato
l’abbia condotto a questo, e però vui
grato e cortese or vi mostrate a lui».
88Subito cade ne l’angusta mente
che ʼl cavalier che costei dice sia
quel c’ha fatto cercar per molta gente
e ch’egli ancora è per cercarlo in via.
Segue Melissa poi velocemente,
ché di veder tal cavalier desia,
fa diversi pensier, sempre sperando
che questo sia quel ch’egli va cercando.
Leone gli offre di aiutarlo, Ruggiero gli svela la propria identità (89-106)
89Giunser al bosco brevemente dove
era Ruggier al fin de la sua vita,
sì afflitto è ʼl cavalier che non si move
né mostra più quella persona ardita
che fe’ già tante memorabil prove,
anzi è l’alma per far da lui partita,
e sì l’opprime l’aspra passione
che né Melissa sente né Leone.
90Via più che mai piangendo si dolea,
or maledia se stesso or la sua sorte,
e giacendo guancial fatto s’avea
del novo scudo, e ʼl pianto era sì forte
che quivi un rio di lacrime correa,
e del troppo tardar spesso la morte
crudel chiamava, essendo disperato
così senza mangiar tre giorni stato.
91E si dolea non già del suo morire,
ma di morir nemico a la sua diva,
poiché l’avea con temerario ardire
d’ogni contento e d’ogni arbitrio priva.
Però si duol, però si vuol finire,
e ʼl pianto in lui più cresce e più s’avviva,
rimenand’un parlar sì afflitto e lasso
da far per gran pietà spezzar un sasso.
92Ben conosce Leone a le parole
l’amoroso tormento di Ruggiero,
ma non gli è noto ancor per chi si dole,
né cadutoli mai saria in pensiero,
no ʼl conoscendo per Ruggier, che vole
sol per colei morir ch’ei suo guerriero
gli acquistò dianzi; onde per quelli il tiene
ch’ei cerca, e quivi per trovarlo viene.
93Perciò che tutto armato ancora essendo
dal capo a’ piedi, e de la spada cinto,
a lo scudo lo vien riconoscendo
per quel bianco animal che v’è dipinto.
Dunque ascoltatol buono spazio avendo,
da una gentil pietà commosso e spinto
scavalca, e si gli accosta a faccia a faccia,
poi salutandol con amor l’abbraccia.
94Meraviglioso e sgomentato resta
Ruggiero a l’apparenza di Leone,
e teme ch’a turbar non venga questa
quasi su ʼl fin sua cruda intenzione,
ch’è di dover morir, s’è cosa onesta
che mora chi è d’altrui morir cagione.
Ma Leon, come quel che pensa sente
del suo male, il conforta dolcemente.
95Chiedegli la cagion del suo dolore
usando un parlar dolce il più che puote:
«Arder per gran pietà mi sento il core
(dice) mirando le tue meste gote
e queste membra, in cui tanto valore
solea albergar ch’or di virtù son vòte,
e gran vergogna parmi e gran peccato
ch’un tal uomo dal duol sia superato.
96Ben mi duol molto che ʼl tuo cor si sia
non so in che caso, o cavalier gentile,
sì confidato de la mente mia,
la qual non è per mai mostrarsi vile,
ma in farti qualsivoglia cortesia
sempre pronta, magnanima e virile;
dunque non mi celar punto se m’ami
la cagion per la qual di morir brami.
97Deh se tu m’hai per quell’amico vero
ch’io mi ti tengo, e che se punto vale
per te la mia persona, oprarmi spero
in dar qualche rimedio al tuo gran male.
non negar di chiarirmi il tuo pensiero,
se pur del proprio danno or non ti cale,
che qualsivoglia cosa che giovare
possa al tuo mal non lascerò di fare».
98Ruggier, da’ prieghi de l’amico vinto,
cortese come suol risponder vole,
ma tanto sembra il suo vigore estinto
ch’a pena esprimer può queste parole:
«Poiché, signor, il naturale istinto
ch’in te di cortesia risplender suole
mi sforza a palesarti il dolor mio,
voglio anco che tu sappi chi son io.
99Forse che quando ciò saputo avrai
tanto quant’or fraternamente m’ami
come mortal nemico m’odierai,
e ti dispiacerà quel ch’or tu brami.
L’ingiusto Amor m’ha posto in tanti guai,
et è cagion che i miei vitali stami
sien, come chiar comprendi, per troncarsi,
ahi che lunga stagion donn’amando arsi.
100Sappi ch’io son Ruggier, che Bradamante
amat’ho sempre più che la mia vita,
et ella ancor non men di me costante
stat’è ad amarmi, et or l’abbiam finita.
Io sarò essempio tal d’ogn’altro amante,
poiché quest’alma si sarà partita
dal corpo già distrutto, e la cagione
di tutto questo mal fu il duca Amone,
101poscia che ʼl matrimonio turbar vole
che tra la figlia e me far si dovea,
poscia ch’ei fu che ʼl santo nodo sciolse
de la fé che tra noi si mantenea,
onde sì gravemente me ne dolse
che, spinto da l’ardor che mi struggea,
un dì mi partii sol da questa corte
disposto di venirti a dar la morte.
102Ma come piacque a Dio, che tanto male
non volle comportar di te, signore,
il fatto riuscì di modo tale
ch’io ti restai perpetuo servitore,
e m’obligò la tua bontà reale
sì ch’allor ti donai l’anima e ʼl core;
l’alta tua cortesia degna d’alloro
tutto mi cinse di catene d’oro.
103Poi mi pregasti ch’io per te prendessi
di Bradamante l’amoroso assunto,
non conoscendo me, che da gli stessi
strali di que’ begli occhi avea ʼl cor punto.
Io col mio proprio ben battaglia elessi
per dimostrarti quant’amor congiunto
s’era fra noi, che s’odio ti portai
tutto poi nel tuo amor mi trasformai.
104Vintami Bradamante, a te l’ho data,
abbila in pace, che ʼl tuo ben m’è caro,
e a questa vita al mondo sventurata
non ti curar, signor, di dar riparo,
lascia pur gir quest’alma disperata
al suo camin, seguendo il pianto amaro:
vedi ch’io son per render il tributo
di quest’ossa a la terra già devuto.
105Poiché di lei la mia persona è priva
contentati, signor, ch’io qui mi mora,
perché tant’è possibil mai ch’io viva
senza la bella Bradamante un’ora
quanto senza quest’alma semiviva
potrei tra i vivi far lunga dimora.
E così morend’io più giusta cosa
sarà che Bradamante sia tua sposa,
106ché com’oggi osservar tra noi si suole,
toglier altri non può send’io vivente,
poi ch’ella sa, se pur negar no ʼl vuole,
ch’a me dato ha la fé primieramente,
et osservato abbiam quelle parole
che fan d’un cor duo sposi e d’una mente.
Mi piace ben che moglie d’un uom vile
non sarà ma di te, baron gentile».
Leone per cortesia cede Bradamante a Ruggiero (107-117)
107Oh quanto pien di meraviglia resta
Leon, ch’intende esser costui Ruggiero!
Oh che gran novità che li par questa!
Stassi com’uom confuso in gran pensiero,
tien pieno di stupor bassa la testa,
e con fisi occhi ascolta il cavaliero;
la mente ha sì di meraviglia piena
che par che creder se lo possa a pena.
108Ma ben poi di Ruggier la cortesia
loda, che senza paragon li pare,
non vuol che simil mai stata né sia,
la chiama sola al mondo e singolare;
e tal stima Ruggier ch’egli desia
d’aver l’alte sue parti uniche e rare,
e benché somma cortesia gli usasse
pur quella di Ruggier li par che passe.
109Non già l’odia Leon poiché gli ha detto
esser Ruggier, né scema anco l’amore,
anzi di novo e dolce amor nel petto
sente per lui tosto infiammarsi il core.
L’aspra sua passion si prende a petto
tanto che seco sente ugual dolore,
et ha di pietà l’alma e ʼl cor trafitto
vedendol quivi così lasso e afflitto,
110e diceli: «Fratel, dunque ti credi
ch’or che conosco che Ruggier tu sei
io t’abbia in odio? e qual segno ne vedi,
ch’anzi mi duol de’ tuoi affanni rei?
E quando m’impedistì il dì ch’io diedi
a’ Bulgari l’assalto, i desir miei,
con tanta uccision della mia gente,
io ti lodai per cavalier valente.
111Non già contra di te fui d’odio acceso,
ma per amico ti desiderai,
e s’io ʼl tuo nome avessi allor inteso,
come celato insino a qui me l’hai,
le medesime laudi t’avrei reso
tanto del tuo valor m’innamorai,
e se fu quel da me già poco amato
or m’è via più che la mia vita grato.
112E similmente ancor quando ti trassi
da l’oscura prigion di Teodora
sapendo il nome, ancor ch’io ʼl disamassi,
fatto il medesmo avrei ch’io feci allora.
Deh se ti par che cortesia t’usassi
dei pur pensar quel che ti deo far ora,
ch’obligo grande averti io mi reputo
acciò ch’ingrato io non sia mai tenuto.
113E s’io ciò fatto volentier avria
conoscendoti allor com’al presente,
deh perch’ora, Ruggier, non vuoi ch’io sia
tanto in amarti e più che mai fervente?
Perché da me sperar più cortesia
non dei, s’ora conosco espressamente
ch’a me celando il tuo dolor interno
tu m’hai legato d’un obligo eterno?
114Qual cortesia maggior potrebb’usarsi
come del proprio ben privar se stesso
per volontariamente di ciò farsi
grato a l’amico? E tu, Ruggier, sei desso.
Li tuoi lamenti lagrimosi sparti,
l’acerbo tuo duol mi fanno espresso
che quanto ben t’avea donato Amore
per darlo a me te n’hai privato il core.
115O ingrato ch’io sarei s’io consentissi,
come creder ti fa l’aspra passione,
che qui con tanta pena tu morissi
per me, caduto in tal disperazione.
E colei che per moglie mi prefissi,
s’ella conviene a te con più ragione,
che morend’ora tu restasse mia
guardimi Dio che ciò mai detto sia».
116Non si potrebbon mai narrar l’offerte
fatte a Ruggeir dal generoso greco,
tanto sua cortesia li par che merte
quant’ha d’onor sì degna parte seco.
Ogni sua propria lode in lui converte
e dice: «Il pregio d’ogni gloria è teco,
a te cedan pur quanti celebrati
al mondo mai fur per cortesi e grati».
117Sì dolcemente dunque il persuade
a moversi da sì crudel intento
che raffrena Ruggier la volontade
e riman d’ubidirlo assai contento.
Ringrazia molto la sua gran bontade
che ʼl cerca liberar da tal tormento,
or duplicatamente gli è obligato
poiché due volte gli ha la vita dato.
Insieme tornano a corte, Leone narra la vera vicenda e tutti ne gioiscono: alla fine anche Amone, padre di Bradamante, acconsente alle nozze (118-144)
118Or poiché tra Leone e ʼl buon Ruggiero
fu ʼl dolce ragionar quasi finito,
ebbe Melissa il mesto cavaliero
di vivande e buon cin tosto fornito.
Ancor quivi comparve il suo destriero
Frontin, credo quest’altri avendo udito;
da gli scudieri di Leon fu preso
tosto e sellato, et a Ruggier poi reso.
119Su ʼl qual salito con gran pena, alquanto
vigor ripreso, quindi discostàrsi,
e a passo a passo caminàr poi tanto
che giunti a una badia quivi fermàrsi,
ove quel dì con l’altro e tutto quanto
il terzo ster, per fin ch’a ristorarsi
venne Ruggier de lo smarrito ardire
con che avea fato mille schiere aprire.
120Dal limitato cibo il corpo prende
l’umor, che poi tutto in sostanza volto
con natural misura et arte il rende
a quelle parti onde il digiun l’ha tolto.
Rinforza i nervi, empie le vene, accende
calor nel petto, onde s’aviva il volto,
così gli spirti ne l’umana scorza
porgon ristretti la smarrita forza.
121Poiché Ruggier non più quel gran dolore
sente che ʼl tenea dianzi disperato,
or c’ha letizia non sperata al core
che poco prim’avea sì appassionato,
or c’ha nel volto il solito colore
e divenuto è nel primiero stato,
egli, il greco e Melissa si scostaro
quindi e ʼn verso Parigi s’inviaro.
122Entrò ne la città sì ascosamente
Ruggier che mai non lo conobbe alcuno,
poi con Leon comparve il dì seguente
dinanzi a Carlo, tal ch’egli quell’uno
il qual con Bradamante arditamente
ste’ un dì a battaglia il giudicava ognuno,
perché vestito di quell’arme ancora
s’appresentò di ch’era adorno allora.
123Portò lo scudo ancor, com’ordinato
avean fra lor con l’arma imperiale.
Seco Leon, di ricchi drappi ornato,
venìa senz’arme e in abito regale,
e magnificamente accompagnato,
giunto fe’ riverenza a Carlo, il quale
da saggio, da cortese e gran signore
s’era levato in piè per fargli onore.
124E, tuttavia Ruggier per man temendo,
ch’era da tutti rimirato intorno,
disse: «Quest’è quel cavalier tremendo
che da l’ora che ʼl sol rinova il giorno
fin che ne l’Occidente rivolgendo
gli accesi rai fa ʼl solito ritorno
stat’è col brando in man sempre costante
a battaglia di par con Bradamante.
125Per legitima dunque e vera sposa
conviensi ella a costui con gran ragione,
ch’oltre ch’aver la donna valorosa
dèe per la prima e principal cagione,
l’ama poi più che qualsivoglia cosa,
et è d’alto valor gran paragone
fra lor. Dunque, però che gli appartiene,
il cavalier per la donzella viene».
126Stupefatto riman Carlo e sua gente
di quanto ha quivi il gran Leon parlato,
perché ciascun credea che veramente
a l’amorosa impresa ei fusse stato.
Mossa Marfisa, essendo ivi presente,
né conoscendo il cavalier armato
a battaglia s’oppone per Ruggiero
contra chi ʼn Bradamante fa pensiero.
127E parea ch’ella allor finir dovesse
l’alta question senz’ordine di Carlo,
e far ingiuria al cavalier volesse
con tal furor si mosse ad incontrarlo.
or non parve a Leon che più si stesse,
per finir tanta lite, a palesarlo,
e così l’elmo trattogli di testa
quivi cagion fu d’infinita festa.
128Come tra noi sovente avenir suole
mentre che ʼl ciel d’un bel seren risplende
che da improvisa nube ascoso il sole
a gli occhi nostri e ʼl lume d’or non rende
pallidi i fior, le rose e le viole
si stan, che di novo i raggi estende,
allor ridono i prati e l’erbe e i fiori
invaghiscono il ciel di più colori,
129tal in corte di Carlo avenne quando
trasse il greco gentil l’elmo a Ruggiero,
essendovi presente il conte Orlando
e Rinaldo e Dudone et Oliviero,
et altri assai, che stavano aspettando
di consocer chi fusse il cavaliero,
e, conosciutol, quei turbati volti
ch’avean si fur tutt’in letizia volti.
130Perché ciascun di lor desiderava
che di lui fusse Bradamante sposa,
ma sì come Ruggier non si trovava
non era più speranza in questa cosa.
Or, poiché, quando men vi si pensava,
per Bradamante far sempre gioiosa
Ruggier si presentò, chi dir potrebbe
l’accoglienze e l’onore che da tutti ebbe?
131Non può gli abbracci saziar Marfisa,
lieta che ʼl vede fuor d’ogni periglio,
l’abbraccia e bacia il magno Carlo a guisa
di padre verso amato unico figlio
(che non men caro il cavalier di Risa
gli è, come buon campion del sacro giglio),
così Orlando e Rinaldo et Oliviero
e Dudon vanno ad abbracciar Ruggiero.
132Il re Sobrin non dietro a gli altri resta
chi di qua, chi di là con gran baldanza
l’onora, se n’allegra e ne fa festa,
sol ne senton dolor quei di Maganza,
quell’empia, falsa e scelerata gesta,
fonte d’inganni nel regno di Franza,
quella che poi, come solea, cagione
fu de la morte del gentil barone.
133Or poiché si diè fine a l’abbracciare
e ch’in tutto il romor si fu quetato,
Leon, ch’avea molt’arte nel parlare,
lo strano di Ruggier caso passato
di punto in punto cominciò a narrare,
e l’stremo valor che dimostrato
col brando in man contra sua gente avea
mentr’ei l’assedio a’ Bulgari tenea.
134E come ne le man di Teodora
pervenne avendo in tal battaglia ucciso
un suo figliuolo, al quel ei vide allora
il petto che gli avea Ruggier diviso.
Poi come di prigion lo trasse fuora
malgrado di chi ʼn quella l’avea miso,
e li fece ogn’ossequio et ogni onore,
innamorato del suo gran valore.
135Ancor com’egli per venir essendo
ad acquistar con l’arme Bradamante
died’a lui tal impresa, non sapendo
che fusse il suo Ruggier sì caro amante.
Il qual, rendergli il merito volendo,
la maggior cortesia gli usò di quante
fur mai, che ʼl proprio ben con l’arme tolse
a se stesso et a lui donar lo volse.
136E come per non esser conosciuto
volle d’altr’arme comparir vestito.
Poi, l’onor de la pugna avendo avuto,
il dare a la donzella altro marito
che propriamente d’un coltello acuto
gli parve che li fusse il cor ferito,
partissi al buio con intento poi
di finir in un bosco i giorni suoi.
137Ove già privo d’ogni forza e lena
tanto il trovaro afflitto e consumato
che parlar non potea senza gran pena
essendovi digiun tre giorni stato,
e con la mente di dolor sì piena
ch’era per morir tosto disperato,
e ch’in somma li par che stata sia
maggior d’ogn’altra la sua cortesia.
138Fu parlando Leon sì grazioso
che lagrimar fe’ chi lo stav’a udire,
narrando il caso strano e periglioso
nel qual Ruggier due volte ebb’a morire,
e poi, perché volea ch’ei fusse sposo
di Bradamante, tanto seppe die
con dolci prieghi a l’ostinato Amone
che ʼl trasse di sì fatta ostinazione.
139 E fe’ ch’a domandar perdono andasse
del gran torto a Ruggier che gli avea fatto,
e volentier per gener l’accettasse
sendo a pieno Ruggier già satisfatto.
Volse anco che d’Amon si contentasse
la moglie in ogni convenzione e patto,
acciò che si facesser con maggiore
gaudio le nozze, col devuto onore.
140Lieta Beatrice de la parentezza
rimase, poich’eletto re vedea
da’ Bulgari Ruggier, per la prodezza
ch’in lor favor quel dì mostrato avea,
quando assediata quella lor fortezza
e per terra e per mar Leon tenea.
Or ecco confermatasi la cosa
che Bradamante di Ruggier sia sposa.
141La qual, poiché la nova ebbe di questo
e due e tre volte (che creder no ʼl vole),
fatane certa al fin, s’avea ʼl cor mesto
fec’ella come far la rosa suole,
che smarrisce il color non così presto
da i raggi è tocca del cocente sole,
ma poich’appar la rugiadosa stella
fresca ritorna e colorita e bella.
142Rinchiusa essendo in camera dolente
stata l’afflitta Bradamante molto,
l’amorosa passion pianger sovente
fella, et impallidille il fresco volto,
ma lieta e bella poi divien che sente
il novo caso che le ha ʼl cor disciolto
da la tema e dal duol, perché l’aviene
quel che già lungi avea d’ogni sua spene.
143Sente che ʼl suo Ruggier non pure ha vita
ma che venuto a prenderla per sposa,
sente che già tra’ suoi s’è stabilita
la parentela già sì dubbiosa;
ora spera menar felice vita,
or sempre viverà lieta e gioiosa,
le pare or che Ruggier suo sposo fia
non restarle a bramar cosa che sia.
144Quivi per tal congiunzion gran festa
tutta Mongrana fa con Chiaramonte,
perché sarà principio d’alta gesta
e d’illustre e gran sangue eterno fonte,
sarà di Francia gloria manifesta
et a l’Italia un chiaro sole in fronte,
ceppo d’eccelsi eroi, fulgenti e tali
che fur, sono e saran sempre immortali.