A l’illustrissimo e generosissimo signor mio e padrone osservandissimo il signor don Scipione Pignatello, marchese di Lauro
Suole chi dedica un’opera, illustrissimo signore, o sua o d’altri, lodarla et incarirla con qualche onesto modo o più o meno secondo la qualità di quella, accioché da quel personaggio a chi s’indrizza sia volentieri accettata. S’ella è istoria, si loda il frutto che si cava da la lezione di lei per la varietà de le cose di che tratta; e s’egli è poema (tacendo d’altre opere), si loda l’ingegno, il giudizio e lo stil de l’autore. Io, dunque, largo campo averei di fare il medesimo, se come quest’opera de l’uno e de l’altro partecipa fusse in sé stessa di quella perfezione, che a l’alto merito di Vostra Signoria Illustrissima si converrebbe.
Ma, perché da quell’affezione spinto, con la quale, se più potessi più le darei, questo picciolo dono le presento, in vece di magnificare le mie fatiche solamente la supplicherò che si degni d’accettarlo, a fin che, con l’ale del suo favore sollevandosi da la propria bassezza, possa a qualche grado ascendere e mantenervisi. Né ardirò con fragil legno d’entrare ne l’ampio pelago de le lodi di Vostra Signoria Illustrissima, perché, a pena spiccatomi dal lito, vi rimarrei dentro sommerso.
Basterà bene ch’egli si vegga ch’io drizzo il mio parlare a don Scipione Pignatello Marchese di Lauro, conosciuto da tutti, amato e già ammirato da tutti; quello che, in così giovenile età, procede di forte, che con lo splendor del sangue par che non pure abbia ereditato e la maturità del giudizio e la prontezza de l’ingegno e la felicità de la memoria e la grandezza de l’animo del suo gran padre; ma che voglia farsi emolo de le virtù e de la gloria de’ signori zii.
E, sicom’è vero che quanto ho detto si trova in Vostra Signoria Illustrissima, così prego i Cieli che v’aggiungano con la lunga vita la buona fortuna de l’avo, accioché tanto più goda e si glorii il mondo d’aver un così complito e sì rar’uomo. E, perché il merito di Vostra Signoria Illustrissima è grande e ’l dono ch’io son per farle è piccolissimo, a tanto difetto supplirà l’animo del donatore in verso di lei infinitamente affezionato. A quello, dunque, e non ad altro mirando, Vostra Signoria Illustrissima degnisi di ricevere in protezione quest’operina, accioch’ell’abbia qualche corso di vita, ch’io, tra tanto desiderando a la sua persona ogni felicità, fo fine.
In Napoli, il dì primo di luglio del 1582.