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La vittoria della Lega

di Tommaso Costo

Canto I

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 2.03.15 8:49

Proemio (1-3)

1L’arme, il valor, le memorabil prove,
l’ire, gli sdegni e l’altr’opre di Marte
fatte da’ nostri contra Turchi dove
la bell’Acaia da l’Ionio parte
il mar Egeo, nobil disio mi move
cantando a por, con somma lode, in carte,
poich’in successo tal chiaro si mostra
la gloria e lo splendor de l’età nostra.

2Superno Re del Ciel, tu che possedi
il fonte ond’ogni grazia a noi discende
e quindi tal virtute a l’uom concedi,
che spesso a te con l’intelletto ascende,
porgimi quella forza qual tu vedi
mancarmi al peso che la mente prende,
acciocch’io faccia a chi averà diletto
d’udirmi empir di meraviglia il petto.

3E voi, nel cui sembiante oggi si scorge
de l’interno valor sì chiaro lume,
ch’a gli occhi altrui quasi visibil porge
la somma e ’l pregio d’ogni gran costume,
mentre il gran cor da l’alte cure sorge,
s’a quanto in me l’incolto stil presume
concederete, o Scipio, il favor vostro,
l’arme vi canterò del secol nostro.

Solimano conquista Cipro, Venezia e il Papa organizzano una lega (4-12)

4Nel tempo che benigno il Ciel ne diede
quel gran Pastor, che fu Pio Quinto detto,
sendo lo scettro ne l’eccelsa sede
del regno ispan dal gran Filippo retto,
là tra la gente ch’in Gesù non crede,
seguendo l’empio stil di Macometto,
quel potente Selim regnava, il quale,
per far danno ad altrui, tentò ’l suo male.

5Tal fu l’ardir di questo can superbo,
che dand’omai terror quasi per tutto,
credeasi con pensier crudo et acerbo
in breve ogn’altro imperio aver distrutto,
e ’l popolo fedele al divin Verbo
in miseria condur, con pianto e lutto.
Ma Dio, ch’i servi suoi non abbandona,
aspre percosse a quest’iniquo dona.

6Volse romper costui con folle ardire
a’ veneziani eroi l’antica fede,
ché mosso da tirannico desire
null’obligo il premea, nulla mercede,
né avend’ottima scusa onde venire
con lor potesse a questo alfin si diede
quell’empia occasion, che Cimbro tolse
quando al gran dittator dar morte volse.

7Però ch’avezzo a più d’una richiesta,
di che spesso da lor fu contentato,
si mosse a dimandar cosa inonesta,
parendoli che ’l don da lor negato
a lui faria la nemicizia onesta.
Chiese dunque il bel regno consacrato
a l’amorosa dea, ma molto strano
ciò parve al gran Senato veneziano,

8talché cercò con tutte le sue posse
d’opporsi al tirannesco, empio appetito;
però quel fiero barbaro si mosse
e tosto fe’ un essercito infinito,
per far di sangue in Cipro terre rosse
e quello aver per forza o per partito.
Né molto ste’, poich’in quel regno scese
l’infido stuol che quasi tutto ’l prese.

9Al Pontefice allor tosto ricorso
l’offeso Venezian, ché ’l soccorresse,
il re quello essortò ch’alto soccorso
seco agli amici suoi porger volesse,
acciocché uniti per lor opra il morso
a sì sfrenata bestia si mettesse.
Il cattolico re grato si rese
a quanto il buon Pastor di Dio ’l richiese.

10Sì che mandò parecchi armati legni
sotto la potestà del Doria dove
fur molti cavalier di laude degni
per dimostrar del lor valor gran prove
e romper del nemico i rei disegni,
o far l’intento suo volger altrove.
Onde il santo Pontefice il bastone
diede al Colonna, e fello suo campione.

11Grande speranza di vittoria diede
quest’apparecchio al popolo di Cristo,
talché ciascun quas’infallibil fede
rendea d’un grande e glorioso acquisto.
Però, quando al desio la ragion cede,
non è da uman giudizio il ver previsto:
folle è chi spera vincer facilmente
contra nimico a par di lui potente.

12Or essendosi al fin quindi partita
questa schiera real di legni armati,
tosto si fu con naval pompa unita
co’ Veneziani; e quivi congregati
(ch’una somma facean quasi infinita)
si posero in camin deliberati
agli inimici far, con grave offesa,
abbandonar l’incominciata impresa.

I legni cristiani sono fermati da un temporale (13-19)

13Ma perché l’uom propone e Dio dispone
(dice il proverbio), il fatto non successe.
Tolse lor la bramata occasione
l’eterna Providenzia, che commesse
ad un Angel de’ suoi che dissensione
tra ’l fier Nettuno et Eolo ivi mettesse.
Tosto di Dio l’alto voler fu fatto,
onde il già queto mar turbossi affatto.

14Pon gara Eolo tra’ venti e quelli spinge
a dar assalti impetuosi e fieri
al regno di Nettuno, onde il costringe
a porre il freno a’ suoi marin destrieri;
e mentre ’l mar quivi d’intorno cinge,
caccia fra l’onde i suoi seguaci altieri,
ma rinforzando più l’ira de’ venti,
porge a’ nostri guerrier mille spaventi.

15Tanto che molti e molti giorni stero
così dal tempo, anzi da Dio, ’nterditti.
Oh quanto travagliava nel pensiero
questa contrarietà gli animi invitti!,
ché, bramando del Turco iniquo e fiero
l’alto orgoglio abbassar, quivi trafitti
si sentian dal dolor l’anima e ’l core,
non potendo adoprare il lor valore.

16Ma consumata essendo omai la gente
per aver troppo dimorato in mare,
non parve a’ saggi più conveniente
l’andarsi co’ nimici ad incontrare
essendo quell’armata assai potente,
onde deliberàr di ritornare
a’ nostri liti; e però ben parea
ch’altro di lor prefisso il Cielo avea.

17Ebber le genti al fin molto che dire,
poi che questo gran fatto fu veduto
con sì diverso effetto riuscire
da quel ch’avean con sicurtà creduto.
Molti però con fanciullesco ardire
dicean che i nostri non avean voluto,
con sì degna occasion, tentar la sorte
per vil timor di quasi certa morte.

18Ma ’l giudicar del volgo ignaro e vile
la sua propria sciocchezza al fin condanna.
Egli è pur ver ch’un animo gentile
(se ’l poco mio giudizio non m’inganna)
esser dèe sempre di contrario stile
a quel ch’in biasimare altrui s’affanna,
ché mal discerner l’uom può quelle cose
ch’al poco saper nostro son sì ascose.

19Ché s’a’ nostri guerrier non fu concesso
il dimostrar quell’anno il lor valore,
si vede ch’avea loro il Ciel promesso
una felicità molto maggiore.
Ei si conosce pur per fatto espresso
che fu voler de l’immortal Signore
ch’al fin tra tutti lor si concludesse
ch’aspettar meglior tempo si dovesse.

Dio favorisce la nascita di una più ampia Lega, il capitano eletto è Giovanni d’Austria (20-37)

20E però dunque in guerra si richiede
non pur valor ma gran giudizio ancora.
Questo al gran Fabio alta vittoria diede
contra chi vinto avea fino a quell’ora,
e venia carco de le tolte prede
a chi biasmato avea l’altrui dimora;
e s’avesse Sanson giudizio avuto
farsi padron del mondo avria potuto.

21Or poiché per voler del sommo Dio
non fece alcun profitto il cristianesmo,
il nostro almo Pastor ch’avea desio
di sublimar l’imperio del battesmo
e dar (mal grado del nimico rio)
la vera luce al cieco paganesmo,
pregava sempre la bontà infinita
ch’al suo popol fedel porgesse aita,

22e desse a lui di por grazia e potere
fra i potenti suoi fidi, amore e pace,
e quelli far conformi al suo volere,
ch’era di raffrenar lo Scita audace;
il qual omai d’abbatter le bandiere
credea di nostra fé santa e verace,
sì che con l’alto suo divin soccorso,
faria arrestar quest’empio a mezzo il corso.

23I giusti preghi del suo buon Pastore
il sommo Re benignamente accolse
e tosto accese di sì fatto ardore
i battezzati eroi, che ciascun volse
mostrar a tanta impresa il suo valore;
del che con gran ragion molto si dolse
il popol infedel, che tanto gode
quanto che sia fra noi discordia egli ode.

24Tal grazia dunque il Ciel nel Papa infuse,
per far con beneficio segnalato
di noi le forze altrui restar deluse;
ché quel felice accordo sì bramato
da tutto ’l Cristianesmo egli conchiuse
tra sé col re di Spagna e ’l gran Senato,
a cui ruppe per cambio di mercede
il superbo Selim l’antica fede.

25E ben parea ch’a lieto fin guidasse
tal Lega un santo e fortunato auspizio,
poiché per quattro mezzi si contrasse
ch’uomini fur di gran bontà e giudizio;
e che sia ver che ’l Ciel così ordinasse,
si vide poi quanto fu lor propizio.
Quivi il Pacecco cardinal fu eletto
e ’l regio ambasciator, Zunica detto.

26Zunica d’ogni laude e d’onor degno,
la cui bontà e giustizia il gran re mosse
a darli per giovarne in questo regno
il fren che troppo cupido altri scosse:
fusse al suo merto in me pari l’ingegno,
ch’a lodarlo porrei tutte mie posse!
Dunqu’egli e quel prelato di valore
fur per lo Re dinanzi al gran Pastore.

27Dov’anco il gran Senato veneziano
avea de’ suoi duo cavalier mandati,
l’uno il Soranzo e l’altro il Soriano,
Giovanni quel, questo Michel chiamati.
Così conchiusa l’union per mano
fu di costor fra i tre gran collegati
ne la città ch’ebbe del mondo impero,
dinanzi al santo successor di Piero.

28E congiuraro i tre predetti insieme
con infallibil fede di volere
contra ’l furor del barbaresco seme
volger ogni lor forza, ogni potere,
vivendo il buon Pastor con certa speme
del già perduto imperio riavere
e al suo gregge acquistar nove pendici,
pria col favor di Dio, poi de gli amici.

29A la cui degna impresa indi cercaro
di far un capitan conveniente,
dovendo questo glorioso e chiaro
render il secol nostro eternamente.
Di commune voler dunque crearo
del sangue d’Austria un giovan’eccellente,
in cui è quell’ardir, senno e valore
che fu nel chiaro suo gran genitore.

30A pena di costui nel regio volto
apparir si vedea l’aurato vello,
ch’ei spinto dal desio ch’avea già molto
di parer d’un gran re degno fratello,
contra un popol s’armò, ch’iniquo e stolto
s’era a l’ispano re fatto ribello,
e, vincitore, a quel diè tanti danni
che fe’ sonar per tutto Austria e Giovanni.

31Figliuol di quel gran Carlo fu costui,
che di gloria avanzò col suo valore
quant’altri dopo Augusto infino a lui
regnando acquisto fèr d’alto splendore.
Giuns’egli al fin de la sua vita il cui
splendido e glorioso successore,
sotto ’l gran peso di tante corone
ci rappresenta un novo Salomone.

32Par che produrre al Ciel piaciuto sia
di questo chiaro, eccelso, inclito seme
eroi degni d’eterna monarchia,
dando lor col valor l’influsso insieme,
acciò ch’in danno de la setta ria,
che de l’eterno mal non cura o teme,
di casa d’Austria il nome alto e reale
sia sempre glorioso et immortale.

33Ecco al suo pregio, a la sua gloria e vanto
aggiunto un chiaro lume, anzi un gran sole,
per cui lo scettro, la corona e ’l manto
di così eccelsa e gloriosa prole
l’alto dominio avran tosto di quanto
contiene in sé quest’universa mole.
Così sarà con sua vergogna e danno
frenato il troppo audace, empio Ottomanno.

34Questo fèr dunque general campione
di nostra fé, non senza alto consenso,
per fargli il capo ornar di più corone,
secondo merta il suo valor immenso.
E mi sovien del saggio Scipione,
quando a le qualità di costui penso,
che proconsol in Spagna dal Senato
roman fu de l’istessa età mandato.

35Fecer di lui luogotenente poi
il capitan del gran Vicario, il quale
d’alto valore agli antichi avi suoi
in ogni parte si dimostra eguale,
che s’acquistàr tra’ più famosi eroi
che stati sien giamai nom’immortale.
Costui però ch’ebbe sì nobil pondo
dal gran Pastor fu capitan secondo.

36Fatto l’accordo al fin tanto solenne,
con patti e con capitoli, di quanto
fra lor con giusta causa si convenne
intorno a quest’effetto unico e santo,
scriver non si potria per mille penne
la festa e pompa che si fe’ d’un tanto
desiderato giorno in ogni parte,
ove più grazie Dio porge e comparte.

37Oh quanto era in Italia desiato
di quel giovane altier l’audace aspetto,
il cui gran nome era a ciascun sì grato,
s’a ricordarlo dea sommo diletto,
sendo di tutto ’l popol battezzato,
per commune voler, campione eletto,
di cui sì fatta speme già vivea
che felici successi promettea.

Giovanni saluta Filippo, che gli enumera i capitani che avrà al seguito (38-62)

38A l’ultimo di là partir dovendo,
volle chieder al re l’alta licenza
e nobil compagnia di molti avendo
andò dinanzi a la regal presenza;
ove, splendidamente giunto essendo,
fe’ con umil sembiante riverenza,
e poi congedo chiese, con bel dire
già ch’era in punto di dover partire.

39Porsegli il re la man cortesemente
e fello in pie’ drizzar; poscia li disse
che lasciando ogni dubbio alteramente
a sì onorata e degna impresa gisse,
il cui bramato fin l’eterna mente
al suo fatal valor forsi prescrisse;
e che sì come andava in benefizio
di nostra fé Dio li saria propizio.

40Ricordandogli ancor che si dovesse
clemente dimostrar, com’ei solea,
pur che vera giustizia mantenesse,
se grazia conseguir da Dio volea.
E ch’egli, ancor che di sua età sapesse
il senno e la prudenza, li dicea
queste parole con quel vero amore
che fa chi ha ’l ben del suo fratello a core.

41Poi li soggiunse ch’ei si confidava
tanto in Dio prima e poi ’n quella brigata
di illustri cavalier, che seco andava
a sì nobile impresa e sì laudata;
ch’egli altro senza dubbio non sperava
che felici successi di sua andata,
essendo in quelli ogni laudabil parte,
senno, ingegno, valore, industria et arte.

42Talché mostrogli i cavalier che seco
dovean andar, poiché gli avea presenti,
e disseli: «Fratello, ecco che teco
verran tutti quest’uomini prudenti,
per lo valor de’ quai nova t’arreco
che i tuoi nemici rimarran perdenti,
onde tu vincitore alto e sovrano
di gloria avanzerai Tito e Traiano.

43Con teco il gran Comendatore avrai,
magnanimo, prudente e valoroso,
del cui saper, del cui valor potrai
sempre avvalerti in caso periglioso,
ecco qui ’l Doria, per cui tu sarai
de gli avversari tuoi vittorioso,
ch’al suon del chiaro suo tremendo nome
spesso s’arriccian l’africane chiome.

44Che nato essendo egli d’un padre il quale
fu capitan di gran valor ornato,
essi dapoi sotto ’l destin fatale
di quel famoso principe allevato
quel che col suo valor gloria immortale
al nostro et al suo seme av’acquistato:
meraviglia non è dunque ch’in lui
sia ’l gran valor de’ genitori sui.

45Però farai che sempre teco sia,
sendo in tal profession molto perfetto,
uom valoroso e pien di gagliardia,
come col tempo ne vedrai l’effetto.
Ancor verranno a farti compagnia
altri illustri guerrier, ch’al tuo cospetto
(se pur contrario il Ciel lor non si rende)
faran col brando in man prove stupende.

46Fra quai di Santa Croce è ’l buon Marchese,
il Cordova, il Cardona e Gil Andrada,
con altri assai, ch’a tutte le difese
teco saranno ad adoprar la spada,
sì che ai nimici tuoi, con gravi offese,
malgrado lor ti faran dar la strada,
e tu acquistando così gran vittoria
ornerai il nome tuo d’eterna gloria.

47Il che mancar non ti potrà, se ancora
consideriamo gli uomini eccellenti
ch’avrai d’Italia, il cui gran nome onora
quel Colonnese chiar tra i più fulgenti,
quel pien d’alto valor, del qual né ora
vive né visse a’ tempi antecedenti
né cavalier né Capitan migliore;
né taccio del cugin l’alto valore.

48Questi duo gran guerrier teco saranno,
ch’è Marc’Antonio l’un, l’altr’è Pompeo,
i quai lor chiara stirpe illustrat’hanno
più che de’ lor passati alcun non feo.
Teco anche il Cornia e ’l Santafior verranno,
uomini ch’ Anibal, Santippo, Anteo
et altri tai per l’Africa non foro
quai per l’Italia sono e saran loro.

49Ma tra la schiera più fulgente e chiara,
scorger potrai l’imperioso aspetto
del gran Marchese invitto di Pescara,
per me in Sicilia al gran governo eletto.
L’alto valor, l’inusitata e rara
prudenza infusa nel suo ardente petto,
potran libero quel farti d’offesa
e questa vincitor d’ogn’alt’impresa.

50Dunque la destra, il senno e quel gran core,
ch’aprir, guidaro e vinser mille schiere,
faran, dinanzi a te, senza valore
stolti i nemici e vinti rimanere,
se tu seguendo l’orme e ’l suo splendore
ti lascerai guidar dal suo parere:
ché quant’ei possa, quanto sappia e vaglia
s’è già veduto in più d’una battaglia.

51Non è punto di lui di minor pregio
quel suo cugin, quel valoroso duce,
in cui l’alto splendor del sangue regio
(gloria del nome d’Aragon) riluce.
Costui, ch’è per valor non meno egregio
che per gran nobiltà, spesso m’induce
a creder che per lui non grave pondo
saria l’acquisto far d’un novo mondo.

52Talch’ei fora per te soggetto degno;
ma ’l suo valor convien ch’adopri altrove:
de’ ribellanti Cimbri al nostro regno
l’audazia è quella che da te ’l rimove,
ché per placar di lor l’ingiusto sdegno,
forza è che là più d’un campion si trove.
Ma se ’l Duca non vien, l’aiuto avrai
di tre gran cavalier, che tu li sai.

53Dico quei tre che del gran Vasto nati,
rappresentan di lui la propria imago:
son di gran cor, di gran valor dotati
e d’aspetto reale, altero e vago,
talché de’ gesti lor di gloria ornati
l’alto sembiante ognun rende presago.
Vedrai dunque a ciascun di sua persona
far più di quel che la sua fama suona.

54De le vele maggior, dei maggior legni
don Cesar solo avrà l’alto governo;
gli altri non men d’ogni gran carco degni,
sol per disio verran di nom’eterno.
Ambi han raro valor, han rari ingegni:
così ti sia propizio il Re superno,
com’è di don Giovanni e di don Carlo
e de gli altri assai più, ch’io non ne parlo.

55Venezia ti darà gran Capitani,
ornati e di prudenza e di coraggio,
contra ’l furor di quei popoli strani
ch’al tiranno infedel rendon omaggio,
co’ quai braman venir tosto a le mani,
per vendicarsi del patito oltraggio.
Il Barbarìco avrai, che tanto vale,
e ’l Veniero e ’l Quirino e ’l buon Canale.

56E d’altri assai preclari uomini ornati
d’alto valor degna brigata avrai,
simili a tutti quei ch’io ho nominati,
come in fatto veder chiaro potrai.
Però, che debbian esser superati
da te i nemici tuoi, qual dubbio n’hai?
Sì che, fratel, va’ lieto et animoso,
ch’io spero che sarai vittorioso».

57Parlato ch’ebbe il re, con riverenza
pien di letizia il suo campion rispose
che rendea grazie a sua real clemenza
che l’avertiva di sì nobil cose;
e che viveva in lui ferma credenza,
per le persone tanto valorose,
ch’eran per dargli a quest’impresa aita,
che ’l fren si ponerebbe al fiero Scita;

58e ch’ei sì come a tal impresa andava
per amor di colui che patì ’n croce,
la cui fede essaltar tanto bramava
quanto il barbar furor l’afflige e noce,
così ne l’alta sua bontà sperava
confonder il nemico empio e feroce,
e che però, senza temerne punto,
andava lieto a sì onorato assunto.

59Diedegli il re lo scettro e quella spada
ch’a così fatto Capitan conviene.
Poscia li dice ch’in buon ora vada,
ch’alta speranza di sua andata tiene.
Oh quanto un general sì degno aggrada
a ciascun cavalier che seco viene!
Viene in Italia, accioch’ivi la Chiesa
il confallon gli dia di tal impresa.

60Lasciar ancor di ricordar non volse
a quei baroni il re quivi adunati,
che s’impresa d’onor giamai si tolse,
fusse ne’ tempi nostri o ne’ passati,
onde istorico illustre ne raccolse
fatti d’eterna e d’alta lode ornati,
questa ch’al lor valor si preparava
di pregio tutte l’altre superava.

61E che però s’avean disio di gloria,
potean qui dimostrar l’altero core,
ch’eternamente resteria memoria
de’ nomi lor, con immortale onore,
perché sperava ch’ogni gran vittoria
certo acquisto saria del lor valore;
oltra che chi combatte per la fede
non li manca di Dio l’alta mercede.

62Da quei gran cavalier, con lieto volto,
grazie al re fur più ch’infinite rese
e disser che vivean con desir molto
di gir a questa et a mill’altre imprese,
ché per zelo d’onor l’arme avean tolto;
e perché tutti avean le voglie accese
di sempremai Sua Maestà servire,
eran disposti il suo campion seguire.

I legni veneziani e pontifici giungono a Messina (63-69)

63Con queste et altre cerimonie assai
la nobil compagnia tolse commiato,
però che ’l tempo s’appressava omai
di giunger al gran fatto desiato.
Partiti dunque tutti allegri e gai,
seguendo un capitan tanto aspettato,
dovean per terra a Barcellon’andare,
per doversi dapoi quiv’imbarcare.

64Tra tanto a ricordar per mille messi
a’ suoi colleghi il gran Pastor mandava
che non tanto per lui quanto per essi,
questa fatal vittoria si sperava;
e ch’in punto però si fusser messi
quanto potean più tosto gli essortava,
acciocché ’l tempo non si prolungasse
tal che sì degna impresa si lasciasse.

65Indi al Colonna con fervor commesse
che tosto di sgombrar quelle riviere
con quanti legni avea si disponesse,
forniti pria di quanto avean mestiere;
e che solcando il mar si congiungesse
con le potenti veneziane schiere,
per aspettar insieme il gran campione
a cui ’l re diede il general bastone.

66Però che anco il Senato veneziano,
gran numero di legni avendo armato,
per quelli elegger volse un Capitano
ch’uom fusse illustre e di valor ornato.
Onde il baston di tanto pondo in mano
a Sebastian Venier tosto fu dato,
che ’l giudicar d’ogni gran carco degno,
essend’uom valoroso e d’alto ingegno.

67Appresso, general proveditore
Agostin Barbarìco elesser, come
uom di non men giudizio e di valore
e che bramava immortalarsi il nome,
acciocché sol chi potea farsi onore
avesse il peso di sì degne some.
Seguiron poi quest’uomini sovrani
infinit’altri nobil Veneziani.

68E così essendo in ordine il Veniero
con più di cento ben armati legni,
solcando l’Adrian veloce e fiero,
si drizzò verso i sicigliani regni.
Scorre il Leon per le sals’onde altiero,
col core armato di focosi sdegni,
volendo pria con l’Aquila accoppiarsi,
poi del sangue de’ barbari sbramarsi.

69Tanto che si congiunsero a Messina
il Colonna e ’l Venier, per aspettare
quivi la bell’armata ponentina,
col duce che gli avea tutti a guidare:
quel che per sola volontà divina
con felice viaggio passò il mare
per abbassar, poi che tant’alto aspira,
del superbo Ottoman l’orgoglio e l’ira.

Le galee spagnole si mettono per mare a Barcellona, costeggiano l’Italia e a Genova ricevono una calorosa accoglienza (70-102)

70Essendo dunque a Barcellona giunto
con quei gran cavalier per imbarcarsi,
quei ch’a sì glorioso e degno assunto
venian con gran disio di segnalarsi;
e poi che le galee fur tutte in punto,
ch’anticiparo il tempo a prepararsi,
essendo il mar tranquillo e ’l tempo chiaro,
tutti con somma festa s’imbarcaro.

71Con seco ancor questo gran duce avea
duo principi boemi, i quai per mare
condurre infino a Genova dovea,
ove non molto avean da dimorare,
ma per terra ai paesi ove tenea
l’imperio il padre lor doveano andare.
Al fin si pone in via la bell’armata,
da tant’uomini illustri accompagnata.

72Salpato i ferri e sciolto da le sponde,
spiegan le vele al vento i buon nocchieri.
Fan percotendo i remi fremer l’onde,
l’onde mostran fra lor mille sentieri;
la spuma il tutto poi copre e confonde
e obediscono al freno i legni altieri,
sì che portati da la spinta tela
il lito in breve agli occhi lor si cela.

73Datisi dunque in preda al grato vento
e con veloce corso navigando,
sgombran tanto paese in un momento,
de l’iberico mar l’onde solcando;
che mentre il Duca, al bel viaggio intento
e da lui posta ogn’altra cura in bando,
passa la Spagna e costeggiando viene
quanto il gallico lito in mar contiene.

74Indi con prosper vento il camin piglia
vèr là dove farassi la gran massa,
et ecco ch’a la vista di Marsiglia,
nobil città, non molto lungi passa.
Quella dipoi, non senza meraviglia,
intorno rimirando a dietro lassa,
e veloce scorrendo appresso vede
Tolon ch’a lato ad un gran porto sede.

75Va que’ bei luoghi rimirando senza
sentir travaglio alcun che dia ’l camino,
e loda la bellezza e l’eccellenza
che diede a quel paese il buon destino.
Dapoi giunto al bel lito di Provenza
vede la forte Nizza e là vicino,
tra spessi e vaghi monti, il luogo donde
il Varo porge al mar le veloci onde.

76Quivi con grand’onor fu salutato,
tosto ch’apparve, il principe del mare,
che ’l bel castel sul colle edificato
facea d’artiglierie l’aria tonare;
il simil fe’ la rocca, ov’onorato
fu già d’Ercole il tempio; indi gli appare
Torbia, città che non lontana giace
dal mar, già patria d’Elvio Pertinace.

77Lasciasi a dietro Vintimiglia, dove
in parte l’onde il fiume Rotta porge;
Mont’Appio vede rimirando altrove,
appresso il qual l’alto Apennino sorge;
e tuttavia per que’ bei liti nove
terre e città, ville e castella scorge.
Andoria, Tabbia e la città, poi, vede
a cui nome e splendor Procolo diede.

78Ma dove lascio Oneglia e suo contorno,
ampia feconda e dilettevol valle,
u’ primavera far sempre soggiorno
pare e ch’al verno vi sia chiuso il calle?
Nacquevi quel che, d’alta fama adorno,
fe’ ad ogni gran corsal voltar le spalle,
talché scorrer del mare ogni rivera
vincitrice poteo l’Aquila altera.

79Mentre par che superba innanzi voli
quest’armata real d’alto valore,
passa Finario e la città di Noli,
quella che disprezzò del suo Pastore
i giusti prieghi, ond’ella e i suoi figliuoli
patìr la pena del suo lungo errore.
E passa la città che fu Sabata
già detta, et or Savona è nominata.

80Questa, con infinita artiglieria
che scaricò, li rese quell’onore
ch’ad un principe tal si convenia,
mostrando il suo presidio, il suo valore;
segu’egli lieto e vede tuttavia
novi edifici far simil furore,
essendo tutt’intenti ad onorarlo,
come già fèro al glorioso Carlo.

81Parea quella riviera un Mongibello
ai fumicosi e spessi lampi e tuoni,
però ch’ogni città, rocca e castello
facea sentir lo scoppio de’ cannoni
per segno che passava il gran fratello
del cattolico re co’ suoi baroni,
quasi de’ Turchi per eterna offesa
da Dio mandato a così illustre impresa.

82Or che dirò de la città onorata,
l’antico fondator di cui fu Giano,
ch’a l’apparir de la reale armata
corse il gran terremoto assai lontano,
per l’infinita artiglieria sparata
quivi in onor d’un tanto capitano?
Tremaro i liti e l’acque al cielo alzàrsi
e l’onde di Bisagno intorbidàrsi.

83Con grande aspettazion di quel paese
s’appressò dunque la real galea
al ponte in cui già Carlo Quinto scese,
essendo l’ora omai che s’ascondea
Febo tra gli alti monti, onde palese
nel ciel la prima stella si rendea,
de la qual gran città, con turba molta,
era la nobiltà sul mole accolta.

84Di velluto vermiglio e giallo ornato
era quel ponte tutt’intorno e ’l piano
d’un drappo similmente colorato,
dove smontò quest’alto Capitano,
bench’aspettò che pria fusse smontato
l’uno e l’altro figliuol di Massimiano:
così vols’ei, ch’è più benigno e giusto,
che non fu il tanto celebrato Augusto.

85Quivi tutti i signori eran col duce,
ché per ricever lui steano aspettando,
dinanzi a’ quai vien un ch’in mano adduce
un risplendente e prezioso brando,
col qual significato s’introduce
d’una retta giustizia il segno, or quando
scese sul ponte scaricar fu udita
in terra e ’n mare artiglieria infinita.

86E finalmente con pompa solenne
nel palazzo del Doria fu raccolto.
Quivi come al suo merto si convenne
l’onor ch’ei ricevé certo fu molto,
ove da luoghi assai lontani venne
gente infinita a rimirare il volto,
la maestate e la real presenza
d’un giovane sì ornato d’eccellenza.

87Molti signori ancor quivi adunàrsi
per seguitarlo armati a quest’impresa,
da nobil zelo spinti di trovarsi
con le nimiche forze a gran contesa,
come desiderosi d’acquistarsi
fama che resti eternamente illesa,
onde a l’Italia rinovata sia,
per opra lor, l’antica gagliardia.

88Vi fur tra gli altri i duo sì generosi
principi, quel di Parma e quel d’Urbino,
seguiti da parecchi valorosi
soldati e cavalier del lor domino.
Vi furo ancor quei tre non men famosi,
il Cornia, il Santafiore e Paol’Orsino:
di questi il senno, l’animo e ’l valore
e del nome roman gloria e splendore.

89Tutti da quel buon principe costoro
fur ricevuti assai cortesemente,
il qual mostrò che la venuta loro
gli fea più riscaldar l’animo ardente,
con che sperava il popol turco e moro
per lor virtù far rimaner perdente.
Da tutti quei baroni a sì cortese
parlar gli fur grazie infinite rese.

90Ma pria che mi si tolga di memoria,
voglio (s’io posso) raccontarvi in breve
il gran convito che li fece il Doria,
di cui tacer la Musa mia non deve,
sì come per antica e ver’istoria,
porge a chi legge meraviglia greve
quel celebrato ch’al romano invitto
fe’ la regina splendida d’Egitto.

91Fu in quel palazzo dunque assai pomposo
ch’a lato a la cittade il Doria tiene,
questo convito sì meraviglioso
che di cantarne gran disio mi viene.
Quiv’il mangiar e ’l ber non era ascoso
a persona che fusse, com’aviene
ne’ conviti reali, anzi n’avea
ciaschedun che vi gìa quant’ei volea.

92Le ricche stanze del palagio ornate
eran di drappi di finissim’oro.
Quivi dunque le mense preparate
splendidamente da donzelle foro;
e le superbe travi eran parate
da varie coltre di sottil lavoro;
e si scorgea ne’ vacui de le mura
quadri di nobilissima pittura.

93Di tutta la città nel gran convito
fur cento le più belle e nobil donne,
ciascuna de le quai con infinito
oro et argento avea superbe gonne;
e in mezzo eran d’un ampio circuìto
di preziose e lucide colonne,
ond’era quasi l’edificio retto,
teatro superbissimo e perfetto.

94A quella mensa cetere, arpe e lire
formavano con canti un’armonia
che tutti fea quei principi stupire
e ’l resto de la nobil compagnia.
Ma come pienamente potrò dire
la gran diversità ch’ivi venìa
de’ cibi preziosi e delicati
e de’ soavi vini e variati?

95Cagione ancor fu di stupor maggiore
quel che si fe’ per artificio quivi,
ché quasi con insolito splendore,
vedeano il sol, poi ne restavon privi;
e vi venian con alternato odore
piogge e rugiade e grandine com’ivi
fusser per comandar stati presenti
celesti numi a’ cieli, a’ nubbe e a’ venti.

96In così vago e dilettevol gioco,
ove cose accadean rare in natura,
pareva a’ convitati esser nel loco
ove dopo l’aver l’eterna cura
creato cielo e terra, acqua, aere e foco,
creò ’l prim’uom d’alma innocente e pura,
e di quel luogo sacro, almo e giocondo
diede a la sua innocenza il nobil pondo.

97In somma quel magnifico convito
non pur da chi lo vide fu ammirato,
ma da tutti color da’ quali udito
fu ’l superbo di lui grand’apparato.
Or poi ch’in ogni parte fu finito,
(che durò molto) assai ringraziato
fu pria da don Giovanni il Doria e poi
da gli altri cavalier, seguaci suoi.

98Mostrargli il Doria la città poi volse,
per darli più materia di diletto.
Ond’ei per cavalcar seco si tolse
quei suoi nepoti di reale aspetto
e perché di lontan quivi s’accolse
gente infinita, non ad altr’effetto
ch’a rimirar lor volti e lor persone,
il tutto era tumulto e confusione.

99Venìa tutta con lor la nobiltade
di quella gran città, pomposamente,
al cui passar tutt’erano le strade
fiorite e tappezzate riccamente.
Ciascuno a contemplar la maestade
nei volti giovenili alza la mente
e piene le fenestre son di belle
e nobil donne e di gentil donzelle.

100Fatta fu in somma gran dimostrazione
verso costor dal popol genovese.
Ma diciam pur del nostro gran campione,
ch’essendo per partir da quel paese
fece ordine che senza dilazione
con tutti i legni suoi quindi il marchese
per Napoli partisse, onde là giunto
quant’era di mestier ponesse in punto.

101Ancor poi che si fur molto abbracciati
quei figli ambi del gran Massimigliano
con quel di Carlo, essendo apparecchiati
per un viaggio far tanto lontano,
molt’onoratamente accompagnati
drizzaro il lor camin verso Milano,
per andarsene poi quindi a’ paesi
ove al lor padre son gli omaggi resi.

102E così l’alto capitan del mare,
disposto essendo di voler partire,
fece le cose tosto apparecchiare
ch’a tal viaggio li potean servire.
Ma perché luogo e tempo omai mi pare
da porre il freno al corso del mio dire,
quanto da don Giovanni fu esseguito
ne l’altro canto ad ascoltar v’invito.