Proemio sulla bontà dei cavalieri moderni e in particolare su Scipione Pignatello (1-10)
1Se così dato al secol nostro Omero
o ’l gran Vergilio avesse il Cielo come
gli ha dato questo illustre cavaliero,
di cui già tanto è glorioso il nome,
si potrebbe di quel tener più altero
nel qual si sentì Troia arder le chiome,
o pur di quel ch’a maggior gloria ascese
e dal figliuol d’Anchise origin prese.
2E se quel primo secolo si vanta
d’un Ercol, d’un Ulisse e d’un Achille,
per le cui man quell’onorata pianta
del gran sangue troian n’andò a faville;
e se ’l secondo ornar di gloria tanta
non pur un uom d’alto valor, ma mille,
non senza cavalieri è ’l secol nostro,
de’ quai si glorierebbe ogn’alto inchiostro.
3Non abbiam or sì fatti cavalieri
de la stirpe Colonna e de l’Orsina,
che possono aguagliarsi a quei primieri
e a tanti che fèr Roma alta regina?
V’è ’l conte Santafior, ch’oggi a’ più altieri
per valor e per fama s’avicina;
v’è ’l principe d’Urbin, v’è quel di Parma,
ciascun de’ quai per quest’impresa s’arma.
4Or che dir si potria del gran Pescara,
se morte invidiosa di sua gloria
stata del viver suo pur troppo avara
non fusse, onde ’l privò di tal vittoria?
Ma suo mal grado e del gran tempo chiara
sarà sempre di lui l’alta memoria.
Lieto a sì degna impresa egli s’accinse,
ma nel corso vital morte l’estinse.
5Fu ’l suo morir cagion che de’ germani
duo posàr l’arme e abbandonàr l’impresa,
che forse il mondo avria da le lor mani
vedut’opera uscir non mai più intesa.
De’ magnanimi gesti alti e sovrani
d’ognun di lor già n’è la fama ascesa
al cielo e voi, signor, chiaro il sapete,
ch’emolo già d’ogni grand’uomo sète.
6Né vi dirò sendo a voi note quante
sien le gran parti del magnanim’Orso,
che sotto il chiaro nome di Ferrante
rallenta e stringe a’ Gravinesi il morso;
e il suo valor, le sue virtù son tante,
ch’io credo al nascer suo fu a gran concorso
ogn’influsso miglior, pianeta e fato
per farlo tra’ più degni il più laudato.
7Chi de’ duo gran fratelli or potrà dire
quanto e qual d’ogni laude il merto sia?
Ciascun d’essi ha valor, senno et ardire,
pien di bontà, pien d’alta cortesia:
l’un di religion, l’altro ha desire
di Marte e di Minerva, il che in me cria
spesso stupor d’ogni altra virtù vostra,
ornamento e splendor de l’età nostra.
8Età ch’è sol d’ignobil fausto piena,
e senza quel ch’ornò l’altre di prima;
età da ogni virtù tanto aliena,
ché ciò che merta biasmo in lei si stima.
Ma per mostrarle il Ciel parte serena
di sé le ha dato voi perch’oggi viva
un ch’agli Augusti e a’ Mecenati eguale
desti in ciascun desio di farsi tale.
9Dato, signor, le ha voi, voi ch’a più belli
che fusser mai togliete il pregio e ’l vanto;
voi gentil, voi cortese e voi tra quelli
ch’ammira il mondo già mirabil tanto,
che ben la stirpe può de’ Pignatelli
sol d’aver voi girsen altera quanto
altra che sia, ché i vostri merti tali
son ch’avanzan la stima de’ mortali.
10Lascio ora il don del chiaro sangue egregio
che ’l Ciel vi fece e misurando vegno
de l’altre doti illustri il ricco fregio,
l’animo invitto, l’elevato ingegno,
la gran bontà, il valor, l’eccelso pregio
del generoso cor, che vi fa degno
d’eterna lode e ’n somma ogn’altra parte
è in voi da dar materia a mille carte.
Il viaggio di don Giovanni prosegue lungo la Toscana e il Lazio (11-29)
11Ma se le parti in voi cinte di gloria,
magnanimo signor, sono infinite,
piacciavi ch’io ritorni a la mia istoria
e quel ch’io dir non so, basti ch’io addite.
Ben mi sovien del valoroso Doria
fra le persone di gran pregio unite,
ch’io dissi a tanta impresa, ma le prove
di lui mi serbo a raccontarvi altrove.
12Or tutti eran color pronti a seguire
quel capitan cui non fu pari al mondo,
che per frenar de’ Turchi il troppo ardire,
avea preso del mar quel nobil pondo;
e dissi ch’era in punto di partire
da la città ch’albergo sì giocondo
gli diè, sì ch’ordinar fe’ prestamente
quant’era al suo camin conveniente.
13Quivi tre sue galee la Signoria
diè ’n protezione al principe Farnese,
e con tre di Savoia ne venìa
quello d’Urbino; i quai per far palese
l’animo invitto e l’alta gagliardia
di spontaneo voler l’armi avean prese.
In somma, poi che fur tutte le cose
in punto, il generale in mar si pose.
14Già s’ascondeva il sol ne l’Occidente
quando l’altere vele si spiegaro
da’ nostri legni, i quai vers’Oriente
con favorevol vento s’inviaro
per ritrovarsi a la città potente
che gli antichi Cumani edificaro,
portando quel gran duce a cui sereno
si mostrò il cielo e ’l mar di pace pieno.
15Or mentre volge il suo camino altrove,
volendo da que’ mari allontanarsi,
passa la foce di Bisagno dove
le vaghe ninfe dal suo fondo alzàrsi,
indi con voci inusitate e nove
cantando al suo passar liete mostràrsi.
Poi mentre quel bel fiume a dietro lassa,
Capodimonte e Portofino passa.
16Passa il bel golfo di Rapallo, ornato
di superbi edifici, a lato al quale
quel nobile castello è situato,
a cui null’altro è di ricchezz’eguale:
fu da famiglie nobili illustrato,
però che s’acquistàr nome immortale;
e passa il loco ove il Labonia ha letto,
Labonia che Lavagna oggi vien detto.
17Talché con prosper vento navigando,
sgombra tanto di mare a l’aria bruna,
che mentre l’alba si venìa appressando,
giunse nel porto de l’antica Luna;
e quivi si fermò l’armata quando
in ciel non si vedea più stella alcuna
et appariva al mondo lo splendore
del gran pianeta che distingue l’ore.
18In questo porto un tempio consacrato
fu anticamente a l’amorosa dea,
onde fu Porto Venere chiamato,
se ben l’antica Luni a lato avea.
Quivi da don Giovanni fu lasciato
con tal ordine il Doria, che dovea
sei navi caricar di fanteria
tedesca che per terra vi venìa.
19Dovea dipoi, voltando le bandiere,
a Porto Vadi co’ suoi legni andare
nel lito di Ponente, per dovere
colà gente spagnuola anco imbarcare.
Quindi il gran capitan, dopo l’avere
quest’ordinato al Doria, senza stare
punto in dimora le triremi tolse
che li restaro e al suo camin si volse.
20Lasciasi a dietro la Liguria e pieno
d’alta letizia va mirando quanto
di paese toscan bagna il Tirreno:
vede il fiume Lavenza e lungi alquanto
il Friggido e la Cervia in picciol seno;
indi la rocca di Motroni a canto
a l’acque di Versiglia, ov’un castello
vedes’in cima molto forte e bello.
21Vede nel fin di molti luoghi privi
di fama il fiume Serchio, e ’l loco donde
l’Osari sorge paludoso e quivi
nel mar con breve corso si nasconde.
La foce poi del re de’ toschi rivi
scorge tra due fiorite e verdi sponde,
ov’al passar ch’ei fe’, tra lauri e mirti,
voci s’udìr di sovrumani spirti.
22Passa dopo Arno il porto di Livorno,
e quindi il luogo dov’è Pisa vede,
che cinta ancor di grosse mura intorno
mezza disfatta in un gran piano sede.
Appresso l’isoletta che dal giorno
in cui gran rotta e memorabil diede
la genovese a la pisan’armata
fu di Malora l’isola chiamata.
23Vede poi il sito ove pomposamente
fu già l’antica Popolonia in piede,
città disfatta e fu molto potente,
di che l’alte rovine oggi fan fede.
Quivi artificio vario et eccellente
ne le spezzate pietre anco si vede,
con cui fan segno i marmi lavorati
de’ superbi edifici in quella stati.
24E veloce seguendo il suo camino
passa a la vista di Portoferrato;
passa il Baratto e vede ivi Piombino,
l’Elba, il Giglio e Planosa a l’altro lato;
di là la Troia incontr’a cui Scarlino
castel si scorge, e Castiglion bagnato
dal lago April; poi volto a destra mano
i Corsi e i Sardi in mar vede lontano.
25Vede ov’in mare sbocca il fium’Ombrone,
e Grosseto, città vicino a quello.
Passando il porto poi di Telamone,
scaricò molta artiglieria il castello
e salutollo in luogo di padrone.
Così fe’ la fortezza d’Orbetello
e i luoghi l’uno ad Ercole sacrato
e l’altro al primo martire beato.
26Fra i quali un promontorio altero sorge,
che si fa da l’argento nominare,
su la cui cima di lontano scorge
quanto in reliquie d’Anfidonia appare.
Poi vede ove sboccando il Pescia porge
il solito tributo a l’ampio mare
e quindi al Cornia il suo camin seguendo
va tutta la Maremma discorrendo.
27Uscito ch’è de la Maremma fuora,
passa il Fiore e poi l’Osa e quindi lieto
vede seguendo la città ch’ancora
ritien l’antico nome di Corneto,
com’ebbe allor che fu più nobil d’ora.
Passa Civita Vecchia e di Cereto
il fiume, e fuor del bel sito toscano
giunge al gran Tebro, ov’è Porto Romano.
28Ved’indi le reliquie de le mura
de l’antic’Anzio, presso a cui circonda
il Tebro la città ch’in gran pianura
fece Anco Marzio a la sua destra sponda.
Passa Nettuno, indi Lavinio e Astura
e vede il monte, abitazion gioconda
già de la maga Circe, onde n’avenne
che ’l nome di Circello il luogo ottenne.
29Lasciasi a dietro Ponza e Terracina
e giunto al golfo di Gaeta vede
questa città ch’a lato a la marina
quel nome tien, che ’l pio troian le diede.
Quando vide l’armata esser vicina,
quel bel castel, ch’a nissun altro cede,
per far quanto dovea col suo signore
lo salutò con infinito onore.
A Gaeta viene accolto con grandi feste (30-59)
30Ma poiché siam qui giunti mi conviene
narrar l’alto apparecchio che si fea
ne la città che del bel regno tiene
lo scettro ove smontar costui dovea;
costui ch’apportator di certa spene
tolto a l’Italia ogni terrore avea,
poiché di lui s’ebbe la nova vera
che già a Gaeta appropinquato s’era.
31Vedeasi tutto ’l popol sollevato,
segno di gaudio universal mostrando,
che quel gran duce tanto desiato
già si venìa veloce approssimando.
Nel porto dunque un ponte preparato
li fu de la cui pompa direm quando
termine al suo camin quivi porremo
e la felice entrata narreremo.
32Tanto ciascun di veder lui bramava
che già per tutto l’infinita gente,
le piazze empiendo, d’altro non parlava
che de l’esser di lui tanto eccellente;
e con letizia general mostrava
che ne l’alta di Dio invisibil mente
già per suo mezzo al popolo di Cristo
era concesso un glorioso acquisto.
33Molti del regno e cavalier privati
e gran signori a la città tornaro,
i quai le terre loro, i loro Stati
sol per vederlo e fargli onor lasciaro.
Né pochi in tal città non mai più stati
da varie parti allor vi s’adunaro,
tal ch’era questo giovane aspettato
quasi com’uom da Dio qua giù mandato.
34Quivi la ricca stanza preparata
dal Granvela gli fu, gran cardinale
ch’allor reggea quel regno, e tutt’ornata
d’un apparecchio splendido e reale,
sì ch’era la città pronta e parata
per onorar questo gran duce, il quale,
seguendo sempre il suo camin veloce,
passat’avea del Gariglian la foce.
35Passa poi il monte Massico e la rocca
che vien detta da noi di Mondragone.
Ved’indi i luoghi ove il Volturno sbocca
e col suo lago in mare il Clanio pone.
Poi vede ove per chiuder l’empia bocca
agli emoli abitar volle Scipione
appresso Cuma, e ’l loco ove già stea
dentr’una gran caverna la Cumea.
36Lasciasi quello a dietro e quasi a volo
passa il gran promontorio di Miseno,
e quivi Baia, Averno e poi Pozzuolo
vede di mar tranquillo in un bel seno.
Mostrasi quel paese al gran figliuolo
di Carlo tutto d’allegrezza pieno:
fa Nisida e fa Procida gran festa,
né d’onorarlo Pitecusa resta.
37Ma pria che passi Enaria di lei scorge
nel grave sasso il fulminato busto
del gran Tifeo, ch’al ciel le spalle porge,
da cui divide il capo un seno angusto.
Sul capo la fortezza altera sorge
che l’aere fa di mille lampi adusto.
Sa ben quant’Isca al mondo è celebrata,
Ischia, ch’ancor fu Inarime chiamata.
38Ne’ flegrei campi, trascorrendo altrove,
quel monte vede che di zolfo è tinto;
e l’ora essendo che ’l figliuol di Giove
tornava in ciel di chiari raggi cinto,
trapassa il vago Pausilippo dove
da la bellezza de la spiaggia vinto
fermossi e visitò quel tempio santo
da’ naviganti venerato tanto.
39Fu questa la vigilia di quel giorno
che ’l martire Lorenzo in Cielo ascese,
quando nel sen di Pausilippo adorno
fermossi don Giovanni e ’n terra scese.
Ma ben tosto in galea fece ritorno,
il che fu poco a la città palese,
di cui tutta la gente concorrea
dove la bell’entrata far dovea.
40Onde a finire il ponte spedimento
(che poco ci volea) tosto fu dato,
cui deano archi e colonne alt’ornamento,
sendone tutto intorno circondato
non senza gran lavor d’oro e d’argento,
e ’l ciel d’un ricco drappo era addobato
giallo e vermiglio, il qual così diviso
dea de l’insegna de la terra aviso.
41Quivi il gran molo era di palchi pieno,
da star la gente per vederlo entrare.
Or poi che ’l ponte fu compito a pieno,
di sorte ch’a ciascun dea da mirare,
era per tutto il ciel chiaro e sereno
e a pena si movean l’onde del mare.
Col suo gran capitan l’armata sciolse
da piaggia e ’n verso Napoli si volse.
42Oh in che gioia e stupor vien poi ch’è giunto
a poter rimirar l’alta cittade!
Quel sen guarda di mar sì ben congiunto
e del paese ammira la beltade,
ch’essendo allor ne la stagion ch’a punto
hann’erbe, han frutti, han fior quelle contrade
parea proprio a veder quella rivera
l’albergo d’un’eterna primavera.
43Colà negreggia il pin fronzuto e saldo,
qual piramide qui sorge il cipresso.
Sembra l’erbosa terra un bel smiraldo
di più color, di vari fregi impresso.
Fan gli arbori e le viti al maggior caldo
grat’ombra e l’aura, che vi soffia spesso,
movendo et erbe e fiori e rami e fronde
empie, a pari del mar, la terra d’onde.
44Vi cantan sempre gli augelletti gai,
perch’iv’il sempre temperato cielo
quel felice terren non lede mai
né con calor, né con soverchio gelo.
Zefiro tempra al sol gli estivi rai
e ’l sol rompe del verno ogn’atro velo.
Del tutto egli ha notizia e via più crede
per quanto pien di meraviglia or vede.
45Mira dapoi, non senza alto diletto,
di vaghi colli una superba sponda
col promontorio di Minerva detto,
che col Miseno un ampio sen circonda,
e l’isola di Capri ha dirimpetto,
luogo che d’ogni grazia eterno abbonda,
e tra fioriti monti e valli amene
Sorrento, Massa e Vico in sé contiene.
46Vede l’antica Stabie e vede a lato
del gran Visuvio le due Torri al lito
che di feconde valli circondato
fa che ciascun di lui resti invaghito.
Vede poi tanto d’edifici ornato
quel superbo di mar gran circuito,
che tal paese in somma benedice
e chiamalo d’ogni altro più felice.
47Lontan dal porto era non molto quando
prima lo salutò quel gran castello,
per lui infinita artiglieria sparando;
et ei fe’ poi l’alta risposta a quello,
dov’un gran cerchio le galee formando
spettacolo facean sì vago e bello
che, declinando il sol ne l’Occidente,
intrattenea con gran piacer la gente.
48Si rallegràr le ninfe di Sebeto
a l’apparir del giovan’eccellente,
per cui ciascun alzando il volto lieto
fe’ un canto risonar sì dolcemente
che fatto avrebbe Cerber mansueto
e lieta ogn’alma di là giù dolente;
e dir parean felicemente in carmi
d’un tanto capitan le glorie e l’armi.
49Il qual, giunta nel porto la reale
e al ponte alteramente approssimata,
non trasse il piè da le marine scale
che tant’artiglieria fu scaricata
che s’udì in ciel, tremò la terra, e male
si potea scorger l’aria affumicata,
ch’ivi il fumo facea come tal volta
fa in parti acquose oscura nebbia e folta.
50Entrò con pompa e con onor solenne,
come a sua qualità si convenia,
e quivi incontra il cardinal gli venne
con infinita e nobil compagnia.
Avanti a la gran rocca indi pervenne,
la qual di novo tant’artiglieria
sparò ch’al suon tremendo fuor de l’onde
l’arene uscìr del mar via più profonde.
51Il simil fe’ quel bel castel che siede
in su la cima del propinquo monte,
il qual maisempre verdeggiar si vede
e sorge altier del gran Visuvio a fronte.
Al fin la stanza il Cardinal gli diede
con gli ornamenti e le ricchezze conte,
sì che con ricco e splendido apparato
conveniente a lui fu ricettato.
52Il quarto dì, che fu solenne e santo,
si volle dimostrar per la cittade,
dov’uscendo il gran popol d’ogni canto
correva ad occupar per lui le strade;
e ciascun di mirar gioiva tanto
la grazia del suo volto e la beltade
che per tutte le parti ov’egli andava
veloce a seguitarlo il piè affrettava.
53Parea quel dì tutta con seco avere
di quel bel regno l’alta baronia.
Oh com’ei giubilava di vedere
seguirsi da sì degna compagnia!
Egli sopr’un bellissimo destriere
coperto di velluto ne venìa,
il quale a passi lenti andar parea
superbo de la soma che ’l premea.
54Ciascun l’onora et a ciascun cortese
egli si mostra con vermiglie gote.
Eragli a lato il principe Farnese,
figliuol del Duca Ottavio e suo nipote,
perché ’l padre di lui per moglie prese
una figlia di Carlo, la cui dote,
secondo Paolo Terzo si compiacque,
fu in parte l’alta stirpe ond’ella nacque.
55A lato dunque il giovanetto zio
al nipote venìa, maggior d’etate,
accompagnato sì che non poss’io
in versi dir di tanta nobilitate,
ché in tal materia l’intelletto mio
dimostrerebbe inutil brevitate,
poich’in gran somma vi sarian compresi
e duchi e conti e principi e marchesi.
56Talch’a voler compitamente dire
qual fu l’onor ch’in tal cittad’egli ebbe,
non si potria con brevità finire,
e cosa tediosa alfin sarebbe.
Dunque per tal difficultà fuggire
concluderò che far non si potrebbe
festa maggior con maggior fausto e segno
d’amor al proprio re da sì gran regno.
57Andò poi ’l sesto dì col cardinale
nel tempio a quella vergine sacrato
ch’in abito vivendo monacale
l’orme seguì del santo vulnerato;
e quivi quel vessillo trionfale
il Granvela gli diè, ch’avea mandato
l’alto Pastore acciocché degnamente
si desse a un capitan sì preminente.
58Dipinta eravi su l’alta figura
che fu de le nostr’alme eterno pegno,
dico quel Dio ch’assunta la natura
de l’uom patì, com’uom, per noi sul legno;
indi con l’alma sì eccellente e pura
scese là giù nel tenebroso regno
a trarne quegli antichi impregionati
per fargli eternamente in Ciel beati.
59Di ciascun di quei tre splendea l’insegna
sotto sì rara e gloriosa imago,
quei tre che tolta impresa avean sì degna
contra l’orientale orribil drago:
nel mezzo il Papa, a destra era chi regna
là ’ve scorre l’Ibero e ’l ricco Tago,
e da sinistra quel leon sovrano
di cui si gloria il popol veneziano.
L’armata giunge a Messina (60-68)
60Preso con gran solennitade avendo
questo sacro stendardo il nostro duce,
non volle più tardar, prossimo essendo
l’autunno, che fortune aspre conduce.
Partir dunque da Napoli volendo
per gir a por questa vittoria in luce,
fe’ tosto le triremi apparecchiare,
ch’a Trinacria dovea seco menare.
61E tanto di partirsi desiava
che finalmente essendos’imbarcato
quando tranquillo il mar si dimostrava
così ’l soffrì poco dipoi turbato,
che mentre indi partir non lo lasciava
stea su quel legno in mar come se stato
ne la città con suo riposo et agio
fusse in un sontuoso e gran palagio.
62Ma poich’al Re de l’universo piacque
darli sicuro e buon passaggio in mare,
tosto ch’ei vide racquetate l’acque
fe’ senza dimorar ne l’alto entrare.
E così ’l dianzi orribil vento tacque
e mostrò il mar l’onde tranquille e chiare,
onde il nostro campion lieto e contento
seguiva il suo camin con prosper vento.
63Lasciò ’l marchese a tal che spedizione
a molte cose necessarie desse,
com’eran vittovaglia e munizione,
e s’affrettasse quanto più potesse,
accioch’impresa tal per vil cagione
vòta d’effetto al fin non rimanesse,
e l’armata turchesca di venire
quasi fin in Sicilia avesse ardire.
64Died’ordine il marchese a quelle cose
che comandate il generale avea:
biscotto et acqua e pane e vino pose
a complimento sopra ogni galea,
oltre che cinque navi alte e pompose,
ch’a Messina condurre egli dovea,
fur tutte caricate in compagnia
di molta vittovaglia e fanteria.
65Tra tanto per unir con l’altre schiere
la sua giuns’ivi il Doria e vi ste’ poco,
non li parendo tempo da dovere
star un momento a bada in nessun loco,
oltre ch’allor conobbe di potere
sicuro andar perch’era il mar in gioco.
Fe’ tosto vela dunque e ’l camin prese,
dovendo visitare altro paese.
66E già per l’alto mar velocemente
per avanzar di tempo avea mandato
quelle sei navi carche de la gente
che nel porto di Vadi avea ’mbarcato.
Ma torniamo a colui che degnamente,
sendo nel porto di Messina entrato,
da la città fu ricevuto sopra
un ricco ponte e di bellissim’opra.
67E s’a l’entrar del porto grand’onore
gli fèr l’altre città dov’ei pervenne,
di tutti gli altri fu molto maggiore
quel che nel sen del gran Peloro ottenne,
ch’udito non fu mai tanto fragore
d’artiglierie come quel giorno avenne
quando quivi apparì con la sua schiera
di quel gran duce la trireme altera.
68Qual fusse il suono orribile e tremendo,
signor, l’alta cagion considerate,
che ’l bramato campion quivi apparendo
ne l’union di tre potenti armate.
Tal fu il tremoto, che lo scoppio orrendo
de l’infinite machine sparate
da tanti legni in quel gran porto mosse,
che ’l ciel, non che la terra e ’l mar, si scosse.
Vulcano, spaventato dal rimbombo dei cannoni, scende ad avvertire Nettuno: il dio del mare chiede un vaticinio a Proteo e avvisa Tritone di prepararsi per razziare i legni che affonderanno in battaglia (69-94)
69S’udì l’alto rimbombo assai lontano,
tremàr tutte l’Eolie e Mongibello,
e sbigottito il gran fabro Vulcano
con grave scossa abbandonò ’l martello,
ma pur d’un tanto caso orrendo e strano
del gran Giove avisar volle il fratello:
partissi dunque pien d’ammirazione
e corse in fretta a ritrovar Plutone.
70Di dar simile aviso al suo gran Sire
mancar l’accorto Nereo anco non volse
e fatt’un gran delfin tosto venire,
per veloce corsier quello si tolse;
verso l’ampio ocean dipoi, per gire
al re de le sals’onde, il camin volse.
Per l’acque egli sen va con maggior fretta
ch’ir per l’aria non suol strale o saetta.
71Al fin nel vasto sen dov’è la reggia
del potente rettor del mar perviene;
giunge al ricco palagio, in cui lampeggia
l’infinito tesor ch’in sé contiene:
ivi splende il diamante, ivi fiammeggia
il piropo, il giacinto, ivi ritiene,
fra le perle, fra l’ambra e fra ’l corallo
l’inferior loco il più nobil metallo.
72Ma scherzando l’artefice prudente
con più che natural giudizio et arte,
volse anco ch’in lavor tanto eccellente
ciò che produce il mar v’avesse parte.
Le gemme un fregio fan ricco e lucente,
ch’ornando forma e l’un da l’altro parte
ovali e quadri in cui opre non vili
figuran nicchi, porpore e conchili.
73Ha il gran palagio in quattro ampie facciate
quattr’alte porte, sotto a quattro immensi
quadri, ne’ quai, da dotta man formate,
quattro imagini fur con vari sensi.
Un angue ha l’una a’ piè, qual con turbate
luci mirando or par ch’ardisca, or pensi
al periglioso assalto e quel con mille
moti da gli occhi fuor mandi faville.
74Questa il moto del mar mostra e ’l periglio,
l’altra il suo aspetto trasparente e grato,
fisando lieta in un bel vetro il ciglio,
mentre un’ancora tien dal destro lato,
ch’è la speranza di ciascun naviglio
di giunger salvo al porto desiato;
regge la terza imagine una barca
di gran tesor, di ricche merci carca.
75Dinota questa l’utile e ’l guadagno
ch’aver si suol dal navigabil mare,
ma tien la quarta un calice di stagno
pieno d’assenzio e d’altre cose amare:
convien che tutto ’l bea, ma con grifagno
volto lo guarda, il che vuol dinotare
ch’è amaro il mare e ch’ei ti toglie a un tratto
quanto in molt’anni t’avrà d’util fatto.
76Tutto è poi pieno il resto de le mura
d’un mirabil grottesco, il cui lavoro
avanza in eccellenza ogni pittura,
tal varie bucce il fan, con gemme et oro.
Quivi tra l’onde ai prati, a la verdura,
che del Mastro sovran tutt’opre foro,
cantan mille sirene et a quel canto
ballan di ninfe mille schiere in tanto.
77Son lieti colli e dilettevol valli
nel gran palagio et antri e prati e selve;
là guizzan pesci in liquidi cristalli
e qui vagando van marine belve,
ove i fior perle e gli arbor son coralli,
né avien ch’astuzia d’uom mai vi s’inselve
a turbar la lor pace, a farvi prede,
come farsi sovente altrove vede.
78Lascio le ricche et infinite stanze
c’han per albergo il gran Nettuno e Teti,
ove i Tritoni e le Nereide in danze
vivendo i dì menan tranquilli e lieti,
e vengo a la gran sala, u’ le sembianze
di tutt’i fiumi son che ’l mare acqueti.
Sol nel quadripartito, altero trono
i quattro principai scolpiti sono.
79Gli altri Eurota, Permesso, Alfeo, Cefiso,
Xanto, Ebro, Acheloo, Ermo, Peneo, Ladone,
Giordan, Battro, Indo, Idaspe, Tanai, Liso,
Termodonte, Meandro, Ismen, Strimone,
Coaspe, Ordesso, Istro, Pattolo, Anfriso,
Rodano, Ren, Varo, Arno, Rubicone,
Ibero, Tago, Po, Tesin, Metauro,
Sebeto, Liri, Aufido, Tebro et Isauro.
80Di questi e d’altri assai vedeansi tutti
notati i nomi a la gran sala intorno,
ove i messaggi lor sono introdutti
co’ perpetui tributi e notte e giorno.
Or qui l’imperador de’ salsi flutti
siede in un seggio assai sublime e adorno;
qui Nereo di lui giunto a la presenza
parlò dopo aver fatto riverenza
81e disse ch’a trovarlo era venuto
per voler seco i termini osservare
a che ogn’amico è di ragion tenuto.
L’avisa dunque, com’a re del mare,
ch’un essercito già s’è convenuto
presso Sicilia a cui non fu mai pare,
del quale è degnamente capitano
l’alto fratel del regnator ispano.
82Per la qual cosa in somma ei giudicava
che qualche gran battaglia s’ordinasse,
e però Sua Corona supplicava
che d’un tanto apparecchio s’informasse.
Tra tanto fermamente egli sperava
che ’l Ciel per lor gran preda apparecchiasse.
Lieto il gran dio del mar di tal novella,
diè molte grazie al portator di quella.
83Del saggio Proteo poi l’alto parere
chieder volendo in ciò se ’l fe’ venire,
ché le future cose antivedere
sapea non pur de le passate dire,
e, giunto, incontra se lo fe’ sedere;
poi tosto li chiarì ch’avea desire
d’intender chiaramente (se potea)
quant’ordinato il Ciel quell’anno avea,
84e che non conoscendo egli persona
più di lui saggia in quanto dominava,
s’era pur confidato in quella buona
et antica amistà ch’in lor regnava.
Però quanto di Marte e di Bellona
qua giù ’l furor de l’arme preparava
a lui chiedea, come per somma grazia,
ch’in ciò faria sua voglia in tutto sazia.
85Non come già solea Proteo cangiossi
da l’esser suo, ma subito rispose:
«Sappi, o gran re, ch’antiveder non puossi
il fin da noi di tanto occulte cose.
Ben ti dirò per qual effetto mossi
costor si sono e chi tal lite pose
e che tra gente barbara e fedele
farassi una battaglia aspra e crudele.
86Perché quel superbissim’Ottomanno
che regge il grand’Imperio d’Oriente,
è origine e cagion di tutto ’l danno
che tosto occorrerà di molta gente.
Acces’egli tal guerra il passat’anno,
come quel che si tien solo potente,
perciò che a romper non mirò la fede
a la città ch’in sul mar d’Adria siede.
87Il popol de la quale, essendo molto
ricco e potente, a far l’alta difesa
con ogni sua possanza essi già volto
e a vendicarsi ancor di tal offesa.
Ma per aver così gran peso tolto
è ricorso a l’aiuto de la Chiesa
e del gran re di Spagna, ond’hanno insieme
fatt’un’armata che null’altra teme.
88S’è la turchesca ancor nel mar ridutta
là donde Acheloo a te ’l tributo invia;
questa si presuppon di prender tutta
quell’altra o di mandarla a mala via.
Or io non so qual de le due distrutta
certo sarà, non vorrei dir bugia:
è ver ch’una di lor sarà infelice
e l’altra gloriosa e vincitrice.
89E si farà questo naval conflitto
nel mar Ionio appresso al loco detto,
nel qual sarà gran popolo sconfitto
per così fiero e spaventoso effetto;
e sembrerà quel regnator d’Egitto
con tanta gente, per suo gran difetto,
sommerso nel mar Rosso a mirar quivi
i legni, il sangue e i corpi morti e i vivi».
90Sì caro al dio del mar fu questo aviso
che molto satisfatto se ne tenne
e rese grazie con sereno viso
al prudentissim’uom, che a dar gliel venne.
Poi, come possessor d’un indiviso
regno ch’ei governò sempre e mantenne,
chiamar fece Tritone, a cui commesse
che ’l suo gran popol convocar dovesse.
91E diegli potestà che comandasse,
dal Borea a l’Austro e dal mar Indo al Moro,
ch’a seguitarlo ognun s’apparecchiasse
al certo acquisto d’un fatal tesoro,
ma con prestezza tal ch’ei non lasciasse
di ciò esseguir per mancamento loro,
ché se mai preda fèr di gran valore,
questa saria di tutte la maggiore.
92Presto il suo carro apparecchiò Tritone,
da duo marin destrier tirato in fretta.
Passa l’oceano e del settentrïone
scorre veloce il mar più che saetta;
tutto lo gira e con breve sermone
intender fa l’alta ambasciata detta,
che de l’orribil suon de la sua tromba
dovunque passa il mar trema e rimbomba.
93Egli s’udì dal mare in cui s’asconde
il sol per fino a quel dove rinasce,
discorrendo quei liti e quelle sponde
che sol di gelo il freddo Borea pasce,
fin là sotto quel ciel turbato donde
vien l’umid’Austro, senza che vi lasce
quanti pelaghi toccan liti e mari
soffiando Austro, Aquilone e i lor contrari.
94Ecco già in ogni parte sollevarsi
la mostruosa turba di Nettuno,
ch’un subito disio di presentarsi
a tanta occasion nacque a ciascuno,
sperando di gran preda caricarsi
senz’aver dubbio di periglio alcuno;
e così tant’in breve ne passaro
ch’il re de le sals’onde spaventaro.
Congedo (95)
95Ma fin qui basti l’aver detto quanto
fece il potente imperator del mare,
e dando fin (ch’omai conviensi) al canto
farem la stanca cetra riposare,
mentre nel regno de l’eterno pianto
si fa l’alto consiglio convocare.
Per me dunque invocate Apollo ch’io
seguirò col suo aiuto il cantar mio.