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La vittoria della Lega

di Tommaso Costo

Canto III

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 2.03.15 8:55

Plutone convoca il concilio infernale, sprona i suoi in vista della battaglia (1-6)

1Benché ’l cantar l’arme e ’l furor di Marte
sia sol fatica da più dotta cetra,
colui ch’eterno in Ciel regna e comparte
sue grazie a noi, né di giovar si spetra,
spero ch’a me farà pur tanta parte
di quel favor ch’ogni fedele impetra
da lui, ch’io canterò l’orribil caso
ond’è stupido il mondo già rimaso.

2Non crederò che mai per tempo alcuno
più memorabil guerra si facesse,
al cui preparamento il gran Nettuno
turbato il mar tutto in rivolta messe.
Liete bramano in Ciel Venere e Giuno
eterno male a chi lor regni oppresse,
e ne l’Inferno natone bisbiglio
il fier Pluton fa ragunar consiglio.

3Vuol ch’in pensar ciascun là giù s’occupi
l’alta cagion che gli ha in rivolta messi:
per tutte quell’alpestre, orride rupi
manda, veloci, mille nunzi e messi.
Senti latrar là cani, urlar qui lupi,
di qua tori mughir, di là con spessi
fischi strisciar fieri serpenti, e ’nsieme
quant’altre orribil voci il mondo teme.

4Tai furo a congregar l’empio consiglio
del gran tartareo re le trombe udite.
Per tutto va l’orribile bisbiglio,
vengon di qua e di là schiere infinite.
Cresce il tumulto e l’ultimo periglio
par che minacci a la città di Dite.
Quai sien le forme, i volti e i lor sembianti
niun di pensar, non che di dir, si vanti.

5Nel centro de l’Inferno, ov’ha ’l suo trono
Pluton, s’unisce la dannata setta.
Mira egli intorno e ’n voce poi di tuono:
«O spiriti (dice), o mia brigata eletta,
l’alta cagione ond’io con voi qui sono
già è nota a tutti; io quel che non diletta
lascio e sol vi rimembro il gran desio
di far a l’uom quel che non puossi a Dio.

6Ei ci privò del Cielo e ne fe’ degno
l’uom, ch’indegno già n’era. Or noi cerchiamo
di volger questo nostro antico sdegno
contra quest’uom, qual sempre fatto abbiamo.
Guerra è nel mondo: or cresca ’l nostro regno.
Ciò si procuri e ciò comando e bramo».
Qui tacque e tutti, con orrendo aspetto,
concorsero in lodar quant’avea detto.

Maometto descrive a Plutone l’armata ottomana (7-22)

7Ma sì com’era a tutti loro ascosa
d’un movimento tal l’alta cagione,
giudicàr che niun di questa cosa
potea renderne lor piena ragione
più che quell’alma afflitta e dolorosa
del perfido Macon, la qual Plutone
fe’ che dinanzi a lui tosto venisse
e, giunta, a lei parlando così disse:

8«È nata oggi fra noi gran meraviglia
(vedi l’Inferno andar tutto sozzopra),
ch’è fama qui ch’in arme si scompiglia
tutto quel mondo che ne sta di sopra.
Però ciascun de’ saggi mi consiglia
ch’io me ne ’nformi e che, di quanto adopra
là su la gente, sola tu sei quella
che dar me ne potrai certa novella.

9Perché sì come la turchesca gente
sempre il tuo nome a’ suoi bisogni invoca,
mi par che tu dovresti facilmente
saper s’anch’ella in arme si convoca,
ch’essendo il Turco al mondo sì potente
fors’il nemico a guerra egli provòca».
Poi ch’al suo dir l’infernal re fin pose,
l’alma dolente a lui così rispose:

10«Sappi, alto re, che quel potente Scita,
ch’è teco possessor di tanti Stati,
ha ragunato quasi un’infinita
somma di legni e di guerrieri armati,
la qual dev’affrontar quella ch’unita
s’è presso Mongibel de’ battezzati,
nel maggior porto de la terra dove
la bella figlia tu involasti a Giove.

11Del cui potente sforzo è generale
un gran Bascià, per nome Alì chiamato,
il qual fu, per giudizio universale
degno di sì gran pondo riputato.
Ei d’ogni capitan, d’ogni corsale,
tolto dal suo signor l’alto commiato,
passar di Negroponte i legni al lito
fece, e formò l’essercito infinito.

12Col qual si pose in via poi con intento
d’andar quel de’ nemici ad incontrare,
e nel passar che fe’ diede spavento
a quante terre lor son per quel mare.
Posene molte a sacco ch’ardimento
ebbon pur di voler seco pugnare.
Quest’ho intes’io da spirti che di poco
ha condotti Caronte in questo loco.

13Egli non pur la forte Budoa prese,
che quasi inespugnabil si tenea,
ma subito Dulcigno si gli rese,
perché dov’apparia tremar facea,
e Antivari da lui non si difese,
che di fortezza a l’altre non cedea;
così Butroto e Soponzo e Bastia
venner con altri luoghi in sua balia.

14Tanto che, carco d’infinita preda,
ridotto al fin s’è nel corinzio seno,
e quivi aspetta fin che venir veda
l’essercito cristian per porgli il freno.
Però, signor, non ti pensar ch’io creda
che ’l suo valor debbia venir mai meno
e sì com’è infinito, così spero
ch’acquisterà di tutto ’l mar l’impero;

15ché se bene i Cristiani hanno l’aiuto
di quell’alto Rettor de gli elementi,
che certo più d’ogni altro io lo reputo,
non manca però speme a’ tuoi credenti
se vizi han quei fra lor via più ch’avuto
abbiano mai ne’ tempi antecedenti.
Chi sa dunque che Dio per castigarli
non voglia in preda del nemico darli?

16Oltre che quest’armata è sì potente
che i Turchi non ne fèr la simil mai.
Pensa che ne stupisce ogni vivente
e certo buon successo ne vedrai.
Ell’ha infinita e valorosa gente,
ch’ai nemici darà gli ultimi guai.
Non so però se quelli di venire
contra sì gran potenza avranno ardire.

17Quivi è ’l Bascià ch’è general di terra,
dico quel Pertaù sì nominato,
uom valoroso e molto esperto in guerra
ch’a molte imprese memorande è stato,
per lo valor del qual molti sotterra
giti ne son del popol battezzato.
Evv’il figliuol del nostro Barbarossa,
che in mar fu già di tant’ardire e possa.

18V’è con suo figlio quel pien di valore
Scirocco viceré di Scanderia,
di Negroponte il gran governatore
Meemetto, e quel di Tripoli in Soria.
V’è Mustafà di tutti pagatore,
Peregiagà che regge in Romania
Napoli, ancor Sadarbeì ci viene,
ch’oggi il governo tien di Mitilene.

19Caragialì v’è, capo di pirati,
e Caracoza, il qual tien la Velona.
Molti vi son di quei che battezzati
già furo e servon or la tua corona,
sono da gli altri detti rinegati
come ribelli de la legge buona.
Di questi è capo Aluccialì del quale
trema da lungi ogni cristian corsale.

20Et altri assai ch’io non ti so narrare,
come mi fu da quegli spiriti detto:
uomini valorosi e in terra e ’n mare,
di che col tempo si vedrà l’effetto,
e forsi mal per quei, s’ad incontrare
si vengon colmi d’ira e di dispetto,
sì ch’io per questo spero che saranno
vinti color con gran vergogna e danno».

21Pien di mentita e falsa adulazione
l’empio Macon sì fatto aviso diede
al tenebroso dio, per la cagione
ond’al supplizio eterno oggi si vede.
Ma non pago di ciò si tien Plutone,
che strettamente a dimandar li riede
se sa predirgli in così gran conflitto
chi sarà ’l perditore e che l’invitto.

22«Questo saper da me, signor, non puoi
(rispose Macometto), né giamai
da nissun altro che nei regni tuoi
sia qui dannato intender lo potrai,
perché tal predir sa che no ’l fa poi
che Dio lo manda a questi eterni guai.
Tienti de’ saggi tuoi dunque al giudizio,
ch’io me ne torno al mio crudel supplizio».

Su consiglio di Eaco, Plutone manda a chiedere a Giove un vaticinio sull’imminente battaglia, ma gli è negato (23-27)

23Ciò detto si partì l’alma dolente
et al luogo tornò de le sue pene
e parland’Eaco disse: «O re potente,
se Giove il sesto ciel regge e sostiene
e come tra quei Numi il più eccellente
nel maggior trono egli lo scettro tiene,
tutti dovrebbe di ragion sapere
i secreti de’ cieli e lor volere.

24Mandali dunque un’ambasciata presto
pregandol ch’adempisca il tuo desire,
ch’ei ti trarrà (ch’è tuo fratel) di questo
dubbio importante, né potrà mentire;
e se ti cal ch’in breve manifesto
gli sia l’animo tuo mandagli a dire
per la tua bella sposa, oggi ch’è ’l giorno
ch’ir deve in Cielo al solito soggiorno».

25Piacque a Pluton questo consiglio tanto
che tosto d’esseguirlo si dispose:
chiamò la dea triforme et a lei quanto
dovea per lui chieder a Giove impose.
Fec’ella l’imbasciata al Nume santo,
il quale al suo fratel tosto rispose
per mezzo di Mercurio, a cui parlando,
«Ascolta» disse «or quanto ti comando:

26va’ veloce a trovar quel mio fratello
che tien lo scettro de l’abisso in mano,
e da mia parte gli dirai che quello
ch’ei brama di saper lo brama in vano;
perché sta di Colui sotto ’l suggello
che sede ne gli eccelsi alto e sovrano,
a la cui volontà non è piaciuto
che questo fin sia da nessun saputo.

27E guarda a non scoprirli tal segreto
non perché cosa di gran pondo sia,
ma sol è la cagione ond’io te ’l vieto
per non far la sua mente afflitta e ria,
come certo averrà quando il decreto
de l’eterno Motor noto li fia:
che de’ seguaci suoi l’armata tutta
debb’esser da’ Cristiani arsa e distrutta».

Ne deduce che l’esito sarà sfavorevole ai musulmani: incita i suoi demoni a turbare il mare e a disturbare i cristiani (28-38)

28Andò di Giove il messaggiero alato
con tal risposta a l’infernal Plutone,
di cui l’animo altier restò turbato
e fu di non sinistra opinione.
Pensò che questo li venìa negato
non senza importantissima cagione,
onde s’imaginò infallibilmente
la futura rovina di sua gente.

29E tanto in questa opinion si pose
per la risposta datali da Giove
che spinse le tre Furie spaventose,
per cui l’Inferno a gran furor si move,
e tormentò quell’alme dolorose
con varie pene inusitate e nove;
e se non era il buon consiglio ch’ebbe
l’infernal centro subissato avrebbe.

30Si stean quei miserabili sommersi
ne le voraci fiamme e sopportando
tormenti crudelissimi e diversi:
parea ’l timor porre il gran duolo in bando
nel veder gli atti orribili e perversi
da l’ira di Pluton formati; quando
i suoi gran saggi se gli approssimaro
e con parole accorte l’acquetaro.

31Dissegli Radamanto: «Or perché vuoi,
potentissimo re, turbar tua pace?
Perché t’affligi e ti tormenti poi
ch’esser potrebbe il tuo pensier fallace?
Anzi se del morir d’assai de’ tuoi
credenti il creder tuo fusse verace
non ne dovresti aver punto d’affanno
che l’util sarà pur maggior del danno.

32Or poniam caso che i potenti Sciti
abbiano ad esser superati e vinti
e ch’in battaglia tal quas’infiniti
ne restino di lor morti et estinti:
che danno n’avrai tu, ch’anzi arricchiti
vedrai gli eterni tuoi gran laberinti
d’infinit’alme, oltre ch’il loro stato
non rimarrà per questo dissolato?

33Però comanda presto al tuo Caronte
ch’acconci e spalmi quell’antica barca
che solca le trist’onde d’Acheronte,
per cui la gente nel tuo regno varca;
e ti so dir che suderagli il fronte
quella spingendo di gran preda carca,
a che ’l trifauce can mandar si vuole,
poi che sì fiero dimostrar si suole».

34Al fin del ragionar di Radamanto,
benché paresse di tant’ira acceso,
si placa il regnator di Stige tanto
che sta com’uom ch’è con ragion ripreso:
tien gli occhi bassi e pensa di far quanto
ha dal prudente consigliero inteso.
Chiamò dunque Caronte e li commesse
che ’l gran battello apparecchiar dovesse,

35dicendogli: «Ora il tempo s’avicina
ch’a prender t’averai molta fatica,
però che dèe succeder gran ruina
fra gente cristiana e nostr’amica,
ma temo che l’armata sarracina
vinta e distrutta fia da la nemica,
onde verrà del tuo Acheronte al lito
d’alme dolenti un numero infinito».

36Ciò detto al suo terribil barcaiuolo,
fe’ Cerbero chiamar; giunto, li disse
ch’in quell’istante con un grosso stuolo
de’ suoi fieri ministri si partisse
e preso altero in vèr l’Acaia il volo
su per quei liti ad accamparsi gisse,
quivi aspettando fin che ’l tempo veda
in cui si possa caricar di preda.

37Poi disse a tutti: «Già che dubitiamo
che la peggior sarà de’ miei credenti,
contra i nemici vo’ che ci adopriamo
con mille fraudi, inganni e tradimenti;
e volger lor per contra (se possiamo)
l’ira del mar con l’empito de’ venti,
come fe’ Giuno ai legni di colui
che campò dal furor de’ Greci sui».

38Tutti con grand’applauso confermaro
il voto di Pluton maligno e fiero,
e d’esseguirlo si determinaro,
com’al suo loco raccontarvi spero,
che più e più volte in danno s’adopraro
de’ nostri, ma fu vano il lor pensiero.
Per ora torno a dir dov’io lasciai
del gran Giovanni, essendo tempo omai.

Il poeta dà conto dell’esercito cristiano (39-54)

39In quel gran porto congregata s’era
tutta la somma de gli armati legni,
che dovean sotto sua real bandiera
gir a frenar gli altrui non giusti sdegni,
onde potesse vincitrice altera
l’Aquila andar di novi imperi e regni
e dopo il Paganesmo aver distrutto
far la Croce adorar di Dio per tutto.

40Ne l’armata real v’eran ottanta
buone galee superbamente armate;
ventitré grosse navi e da settanta
tra bergantini o sien fuste e fragate;
e tutte carche di tal gente e tanta
che da’ Cristiani ne l’età passate
non credo mai ch’essercito navale
maggior di questo si facesse o tale.

41Tredici senza la real galea
erano quelle de l’ispano regno:
il gran Comendator quattro n’avea,
quattro l’Andrada, uom di pronto ingegno,
e tante il Bicche, talché rimanea
l’Acosta capitan d’un solo legno,
poi col marchese e col Cardona v’era
di trenta e diece l’una e l’altra schiera.

42Le cui galee dei regni d’ambedue
avean gran cavalieri e gran baroni;
l’invitto Doria ha poi l’undici sue,
quattro n’ha il Lomellin, tante il Negroni;
ha ’l Mari et ha ’l Grimaldi ognun le due
e l’una il Sauli di che son padroni;
e sonvi del Senato genovese
le tre ch’ottenne il principe Farnese.

43De le vintitré navi generale
fu eletto un valoroso cavaliero
di quella stirpe illustre, per la quale
andar poteo l’invitto Carlo altiero.
Questi del sangue d’Avalo ch’eguale
si mostra in ogni parte a chi primiero
di Cesare illustrò l’altero nome,
degno ha valor di mille chiare some.

44Oltre a’ predetti, avea la regia armata
quest’altri cavalier d’illustre nome:
il conte Santafior, dal qual guidata
era la gente italiana, come
persona in molte guerre essercitata,
ne le quai sempre ebb’onorate some;
e possedea del campo il magistrato
quel tanto da la Cornia celebrato.

45Erav’il Cerbellon, che sovrastava
a’ magistrati de l’artiglieria;
l’ispan Moncada e ’l Figheroa guidava
ciascun di questi molta fanteria.
Il Padiglia e l’Enricche, l’un menava
il terzo, che da Napoli venìa,
l’altro quel di Sicilia e dopo questi
altri v’eran ch’a udirli a noia aresti.

46V’er’anco d’Alemanni uno squadrone,
con duo gran colonnelli esperti in guerra;
l’uno Alberico il conte di Lodrone,
l’altro quel d’Arco, detto Vinciguerra;
et eran tre migliaia di persone
ch’avean condotte da la lor gran terra,
come tutti disposti il re servire
e grati in tal impresa a Dio morire.

47Quivi il principe Feltrio et il Farnese,
da molti cavalieri accompagnati,
venian bramosi di mill’altre imprese,
con quattrocento eletti e buon soldati,
che bellicosi e fieri a proprie spese
condotti ambi gli avean dai loro stati.
V’era il Giordan Orsin, con similmente
da ducentocinquanta di sua gente.

48Molti gran cavalier napolitani
seguiro ancor del re l’alto fratello:
vi fur tre conti nobili e sovrani,
il Viccari, il Briatico e ’l Torello,
e da la Marra duo cugin germani,
col cavalier Carrafa e vi fu quello,
d’alta famiglia e generosa e chiara,
don Pompeo di Lanoia e Diego d’Ara.

49Un da la Tolfa, Lelio nominato,
duo Carafeschi, un Giulio et un Ferrante,
et eravi Francesco Anton Venato,
con altri assai degni ch’altr’uom ne cante,
uom più facondo e d’alto stil dotato,
sì de le lodi lor come di quante
sien’altre o nominate o da nominarsi
persone illustri a tanta impresa armarsi.

50Dov’anco oltre a’ predetti si trovaro
quel Romagasso già sì buon corsale,
il gran Gonzaga Ottavio, uom prode e chiaro,
duo Paoli, Sforza l’un, l’altro il Casale;
Pirro Malvezzi, Pagan Doria a paro
d’ogn’altro, e quel Marcel, che non men vale;
ancor Ettore Spinola vi venne,
con quei tre legni che ’l Farnese ottenne.

51La schiera eravi poi del gran Pastore,
che in diciotto galee si terminava;
veniavi il suo campion d’alto valore,
che ’l fren de le sue dodici guidava.
Poi di Legnì quel franco monsignore,
tre di Savoia e tre ne comandava
di Malta il Giustinian, tutt’egualmente
carche di valorosa e nobil gente.

52Qui don Francesco un cavalier venìa
del duce savoian parente stretto,
ch’a l’alta nobiltà la gagliardia
del corpo fea corrispondente effetto;
duo nobil’Orsi ancor di compagnia,
Orazio l’un, l’altro Vergilio detto;
e con molt’altri un Gian Battista poi,
onor di Nola e de’ Mastrilli suoi.

53Ma vediam pur l’essercito che fèro
i Veneziani e ’l gran preparamento:
seguian con diece navi il buon Veniero,
sei galeazze sotto ’l Duodo e cento
e ventitré galee, ch’al Turco fiero
tolser l’ardire e disturbàr l’intento;
menavane sei altre il Canaletto,
guerrier antico e marinar perfetto.

54Quivi erano infiniti Veneziani
de’ più onorati e nobil cittadini,
Soranzi, Landi, Balbi e Giustiniani
e Capelli e Cornari e Contarini;
ve n’eran Pasqualighi e Loredani,
Molin, Malpieri, Barbari e Quirini,
con altri assai di nobil sangue nati,
che per non fastidirvi abbiam lasciati.

Don Giovanni sistema la logistica e prende il mare (55-59)

55In somm’avea tutta la nostr’armata
quarantamila eletti e buon guerrieri,
per far una battaglia non più stata,
per cui tanti vi gian gran cavalieri.
Sendosi finalmente apparecchiata
e fornita di quanto avea mestieri,
il general con gli altri si risolse
e d’entrar in camin partito tolse.

56Ma perché a questo fatto orribil tanto
in servizio dovean di Cristo andare,
per ricever il corpo di lui santo
pria volser conto di lor colpe dare,
quasi offerendo in sacrificio quanto
a gloria del suo nome eran per fare,
sperando pur col suo divin favore
seguir l’impresa e riportarne onore.

57Or poich’entrato in mar fu per dovere
questo prudente capitan partire,
fe’ con gran diligenza rivedere
tutte le cose dedite al servire,
ma volle di persona egli vedere
la vittovaglia, essendo atta a marcire,
talché fe’ quanto d’imperfetto vide
levare, e di miglior tosto provide.

58Fe’ poscia un general comandamento,
ch’ancorché grand’ingiuria ricevesse
quivi uom non fusse di tant’ardimento
che per punto d’onor l’arme prendesse,
ma che frenando l’adirato intento
a querelarsi a lui gir ne dovesse,
ch’egli la pena a quel tosto darebbe
che ’l mal commesso meritato avrebbe.

59Con sì bel modo et ordinato dunque
si discostò dal porto di Messina.
Fe’ poi spiegar le vele che, quantunque
la ventosa stagion fusse vicina,
tacito e queto il mar si stea com’unque
voluto non avesse alta ruina
tentar, come poi fe’, bench’a Dio piacque
che non fèr danno alcun l’adirat’acque.

Plutone invia un demone travestito da angelo da Eolo, a richiedere una tempesta che spaventi i cristiani e li faccia desistere (60-67)

60Perché la gran malizia e falsitate
de l’infernal Pluton, che d’impedire
le nostre forze avea gran volontate,
fe’ de’ ministri suoi tost’un venire.
Quel, giunto, disse: «O re, che comandate?».
Et ei: «Che prestamente a convertire
t’abbi (rispose) in forma d’un di quelli
che stan d’intorno a Dio beati e belli.

61Poi con veloce corso ten’andrai
ne la region d’Eolia, che ’l Tirreno
bagna e circonda, ov’Eolo troverai
ch’a fieri venti allarga e stringe il freno,
a cui da parte mia non parlerai,
ma con un volto trasparente e pieno
di maestà com’Angelo di Dio
diraigli da sua parte il voler mio.

62Come per farli noto il suo volere
da l’alto Re del Ciel sei là mandato,
et è ch’allor quando vedrà potere
col più fiero de’ suoi vento arrabbiato
percota il mar, sì ch’a l’armate schiere
turbi il camin del popol battezzato».
Fe’ lo spirto di sé com’avea detto
Pluton, poi si partì dal suo cospetto.

63Et ecco un alto volo in aria prende,
in forma d’un bell’Angel convertito;
dapoi nel mar presso l’Italia scende,
che parea allor del Paradiso uscito;
va dritto a la città dov’Eolo attende
al governo de’ venti, e giunto al lito
vede la gran caverna ove li tiene,
verso la qual per ritrovarlo viene.

64Austri, Aquiloni, Borei et Equi intorno
cingon quei luoghi e spesso a gara fanno,
risonanti tempeste e notte e giorno
menando sempre con ruina e danno;
e porteriansi la città e ’l contorno
ne l’aria se non fosse il fren ch’essi hanno,
perch’Eolo tien come lor rege il nodo
con che li fa spirar tutti a suo modo.

65Giunse lo spirto alfin dinanzi a lui
con quella falsa trasparenza e disse:
«Mi manda a te, per messaggier, Colui
che i venti a dominar te sol prefisse,
diede a Nettuno il mar nei regni bui
chiuse Plutone sì che non mai n’uscisse
et Ei regna ab eterno là su dove
i cieli a suo voler governa e move.

66E però da sua parte ti comando,
poich’a te son tutti suggetti i venti,
ch’ad un di lor (sia pur feroce) quando
ti parrà tempo idoneo il fren rallenti,
acciocché orribilmente il mar vessando
l’essercito fedel turbi e spaventi,
a fin che di lasciar costretto sia
l’impresa per la qual s’è posto in via».

67Eolo ch’un Angel vero a l’apparenza
lo stima gli risponde: «Sarà fatto
l’alto voler de la sua gran potenza».
L’aspra caverna poi tutt’in un tratto
percote con lo scettro, e ’n sua presenza
Garbin di furor pien fa venir ratto,
a cui comanda ch’a turbar il mare
debbia in quell’ora, ch’era tempo, andare.

Eolo manda Garbino, la flotta cristiana ripara presso la Fossa di San Giovanni, il capitano prega Dio (68-72)

68Ciò detto a pena al furioso vento
ebb’Eolo a volontà de l’angel finto,
che ’l mar, dianzi sì queto, in un momento
fu di strani color da l’ira tinto:
si gonfia e muge sì che di spavento
ciascun ch’è in esso riman preso e vinto
e con diversi e spaventevol gridi
manda l’irate e spumos’onde ai lidi.

69Giunt’era al capo de le Campanelle
la nostr’armata quando il vento fiero
tra l’onde si cacciò, soffiando in quelle
di modo che turbò ciascun nocchiero;
né vi fu alcuno usato a gran procelle,
ch’allor non si alterasse nel pensiero
sì orribil l’african vento si mosse
e ’l mar (come Pluton volea) percosse.

70Fa con gran fretta rivoltar le vele
ai nostri legni e ’n dietro li rispinge.
Vede il gran capitan l’ira crudele
del vento ch’a dar volta lo costringe,
però come di Dio campion fedele
a lui si volge e ’nsiem le palme stringe,
porgendoli devoti e giusti prieghi
che ’l suo divin soccorso non li nieghi.

71Al fin voltando in dietro ritornaro
salvi ad un luogo che la Fossa è detto
di San Giovanni, e quivi si fermaro,
perfin che ’l tempo variasse effetto.
A che duo giorni e più vi dimoraro
e tuttavia dal vento era interdetto
il lor camin, per cui divotamente
si fean preghiere a Dio da nostra gente.

72Ma più de gli altri il general volgea
sovente gli occhi al cielo e Dio pregava
ch’ei racquetasse il mar, se li piacea,
frenando il fiero vento che ’l turbava,
che poich’a tal impresa andar dovea,
dov’egli sol in lui si confidava,
tanto del suo favor li concedesse
ch’al desiato fin giunger potesse.

Dio manda Michele a sedare la tempesta (73-84)

73Non volle il Re celeste al suo fedele
campion mancar del suo divin soccorso,
e fatto a sé venir l’angel Michele,
qua giù ’l mandò, con invisibil corso,
acciocché l’irat’Africo crudele
trovato li ponesse altero il morso;
e che dipoi così frenato seco
lo menasse in Eolia al cavo speco.

74E giunto al re de’ venti comandasse
ch’a quel non desse più tal libertade
senz’altro suo voler; poi li narrasse
l’infernal fraude e lor rea volontade,
e ch’Africo rinchiuso, alfin lasciasse
Zefiro gir con gran velocitade,
acciò che i nostri legni favorisse
e ’l duce lieto il suo camin seguisse.

75E che, ciò fatto, dovess’esser guida
de’ suoi servi fedeli, infino al giorno
che si dovea, con dolorose strida,
fiaccar del Turco il più potente corno,
acciocché la grandezza in cui si fida
veggia alfin declinar con grave scorno.
Veloce dunque in via l’Angel si pose,
per adempir quanto ’l Signor gl’impose.

76Parve a l’uscir del messaggier beato
aprirsi il ciel con non più vista luce:
lucid’apparve al popol battezzato,
già segno di vittoria al suo gran duce,
ma quasi prodigioso orribil iato
a chi ’l barbar essercito conduce.
Tal si mostrò, volgendo il tergo a quello
e ’l volto a questo, luminoso e bello.

77Così dunque dal ciel veloce scende,
armato sol d’un crocefisso d’oro,
e, trovato Libecchio, il ferma e prende,
dicendo: «Perché vai contra coloro
de’ quai l’eterno Dio tal cura prende,
c’ha la gloria del Ciel promessa loro?».
Ciò detto, da sé prende una catena
d’argento con la qual legato il mena.

78Giunto in Eolia, dove residenza
fa il possessor de gli adirati venti,
tal del nunzio di Dio fu l’apparenza
che li fe’ divenir tutti clementi.
Cadd’Eolo sbigottito in sua presenza,
ond’affatto parean confusi e spenti,
ma fattolo drizzar perché l’udisse
l’Angelo, a lui parlando, così disse:

79«Perché la gran malizia del nimico
che regna ne le tenebre fu quella
che per far danno al popol nostr’amico
ti mosse con la mente al Ciel ribella,
in darti quel supplizio non m’intrico
ch’a te per l’opra (in ver tropp’empia e fella)
si converria, talmente a Dio dispiacque
quand’Africo a turbar mandasti l’acque;

80sì come quel che pria venne a parlarti
un Angel fu de l’infernale schiera,
ch’in quella forma, sol per inclinarti
a far quanto volean, cangiato s’era.
E però da qui innanzi dei guardarti
di più adempir lor voglia iniqua e fiera.
Dunque Africo rinchiudi, ma venire
non lo lasciar s’io non te ’l mando a dire.

81E perch’esser potresti facilmente
di novo com’allor fusti ingannato
un segno ti vo’ dar, tanto eccellente,
che ti terrà contr’ogn’inganno armato:
et è di non mostrarti obediente
a qualunque Angel ti sarà mandato,
se in man non porterà questo gioiello»,
e mostrò l’aurea croce con l’agnello.

82Poi li soggiunse: «Or fa meco venire
ponente Circio, e lascia a me ’l pensiero,
che ’l corso in modo li farò seguire,
ché se veloce fia non sarà fiero».
Qui l’alto messaggier finio di dire,
ond’Eolo riverente al cavaliero
di Dio rispose: «Il tuo voler sia fatto»,
e per farlo esseguir si mosse ratto.

83Né toccat’ebbe con lo scettro a pena
lo speco, che n’uscì Favonio fuora.
L’angel beato il prende e l’incatena;
indi si parte e senz’altra dimora
per l’aria a suo voler dietro se ’l mena,
e giunt’ov’era il mar turbato allora
gli allarga tanto il fren, quant’a lui pare
che possa a’ nostri giovamento fare.

84Le nubbe il vento con furor percote,
quindi le scaccia e rende il ciel sereno.
Quietossi il mar sì che con dolci note
tutto parea d’eterna pace pieno.
A questo il duca nostro alza divote
le luci al Ciel, c’ha pien di gioia il seno
or che vede adempito il suo disio,
e immortal grazie riferisce a Dio.

Plutone invia la Discordia, che turba il consiglio dei cristiani (85-110)

85Tanto che posta in ordine l’armata
spiegò le vele al vento ogni nocchiero,
ché non più avendo il mar l’onda turbata
rendea libero a lei l’ampio sentiero.
Ma che dovea temer, s’era guidata
da quell’alto di Dio gran messaggiero?
E forte navigando non fermossi
fin che nel porto di Corfù trovossi.

86Ma che dirò del cavalier tremendo
che ’l nobil carco de le navi avea?
Ch’avanti a tutti gli altri andato essendo,
gli ebb’a sortir com’al famoso Enea,
che l’ira di Giunon contraria avendo,
la qual ognor contra ’l suo seme ardea,
nel mar da’ venti di furore armati
gli furo i legni rotti e fracassati.

87Non è però che ’l simile avenisse
al nostro cavalier d’Avalo poi
che non vi fu alcun legno il qual patisse
in quel gran temporal fra tutti i suoi,
ma volle Dio che ’l tempo l’impedisse
tanto per dar questa vittoria a noi,
poscia che l’impedì fin a quel giorno
che i vincitori già facean ritorno.

88Fu da l’eterna mente antiveduto,
credo, che s’egli a quel gran fatto gìa
con le navi ch’avea, certo temuto
di far battaglia l’avversario avria,
del che tutto quell’utile perduto
che n’ebbe il Cristianesmo si saria.
Sue grazie dunque in modo Dio dispensa
talor ch’uman giudizio non vi pensa.

89Ma torniamo a colui ch’è sempre stato
d’ogni fraude inventor, d’ogni malizia,
dico del re infernal che, ritornato
quel ch’ei mandò, s’empì di gran tristizia,
poi che l’Angel di Dio gli avea turbato
quel falso intento suo pien di nequizia;
e fe’ certo argomento che sua gente
esser vinta dovea miseramente.

90E come sempremai fu suo costume
cominciò nov’inganni a preparare,
che l’empio et ostinato ancor presume
contra l’eterna potestà pugnare.
Cred’egli far sua gente senza lume
di verità superba dominare,
e di Gesù depor l’ottimo impero;
ma farà Dio fallace il suo pensiero.

91Vid’ei dunque la nostr’altera armata,
ch’a quella di sua gente s’appressava
e ch’era con tant’ordine guidata
ch’a sicura vittoria ell’aspirava;
nel che la sua turchesca superata
sarebbe, onde la rabbia il tormentava,
e non sapendo altro partito tòrre
cercò fra i nostri alta discordia porre.

92Il che tentò ne l’ultimo consiglio
(ma tutto in van) che tra di lor poi fèro,
perché l’Angel di Dio da tal periglio
li venne a trar, come contarvi spero.
Però che l’animoso altero figlio
di Carlo, poi che più e più giorni stero
nel detto luogo, andar più avanti volse,
a che solo con seco il Doria tolse.

93Questi duo soli dunque in compagnia
di sessanta galee s’incaminaro
vèr le Moline e quasi a mezza via
in un veloce legno s’incontraro.
Quest’era una fragata che venìa
da Gil Andrada, il qual colà mandaro
a prender lingua, onde per via di quella
de la nimic’armata ebber novella.

94Tosto al Colonna il generale scrisse,
poi ch’a Corfù si ritrovava ancora,
ch’a tutta sua possanza si spedisse
ad uscir tosto di quel porto fuora;
dov’essendo il Venier, quello avertisse
quanto importava il perder tempo un’ora,
ché l’armata nemica erasi tutta
nel gran porto di Lepanto ridutta.

95Tal che a la Gominizza tutte quante
le nostre squadre in breve s’adunaro,
nel cui gran porto avrian più ch’altrettante
schiere di loro avuto ampio riparo.
D’acqua e di legna è poi molto abbondante
il loco onde tre dì vi dimoraro,
ne’ quai parere il mar turbato fea
l’alto Michel che di lor cura avea.

96Limitav’egli il tempo, come quello
ch’avea determinato il giorno quando,
per far del sangue trazio aspro macello,
vibrar in quel dovea l’orribil brando,
a confusion del re superbo e fello
ch’ebbe co’ suoi dal Cielo eterno bando;
per far restar dunque i credenti sopra
giva col tempo misurando l’opra.

97Or poich’in quel gran porto fu ridutta
l’oste sacrata il general commesse
ch’in ordinanza di battaglia tutta,
per dar superba mostra, si mettesse
e farne a pien la nova gente instrutta:
però ciascun quiv’il suo loco avesse.
Fu dunque posto ogni riparo in piede
ch’in simile battaglia si richiede.

98E fatto questo tutti quanti armati,
ch’allor l’aspra battaglia incominciare
parean voler, si fe’ quivi a’ soldati
scaramucciando molte salve fare.
In somma ivi tre giorni essendo stati,
ne’ quai gran calma era già nata in mare,
quindi alfin si risolsero d’uscire
et a le Corzulare isole gire.

99Già fiammeggiava il sol ne l’Oriente
quando lo stuol naval, ne l’alto entrato,
le Paxe a destra man verso ponente
si lascia e ’l seno Ambrazio al manco lato.
Passa il Leucate capo, e ’l dì seguente
giunge al gran porto di Guiscardo a lato
a la Cefalonia quivi a l’entrare
ov’Itaca da lei divide il mare.

100In questo porto si diè fondo, il quale
non molto lungi è da l’Etolie sponde,
là ’ve fu poi la gran rotta navale
che fe’ di sangue uman vermiglie l’onde.
Qui si fermàr, qui fèro il generale
consiglio o d’ire o di tornarsen, onde
colui che si movea sempre in lor danno
avea già preparato un novo inganno.

101Vedendo ei far consiglio a’ nostri eroi,
mandò quel proprio spirto che trovasse
la Discordia crudel, con la qual poi
fra la gente di Cristo se n’andasse,
e, quivi giunta, gli stromenti suoi
nel consiglio di quei tanto adoprasse
che facendo i lor sensi discordanti
non trovasser la via d’andar più avanti.

102Fe’ in un momento il fiero spirto quanto
volse colui ch’è d’ogni mal cagione,
perché quell’empia fera è orribil tanto
ch’in ogni luogo e tempo s’interpone;
e vedend’occupato l’Angel santo
in comandare a’ venti, dissensione
fu tosto a por fra i nostri cavalieri,
empiendo i cori lor di più pareri.

103Come tra lor l’empia Discordia giunse,
volendo il gran consiglio incominciarsi,
quivi talmente il cor di ciascun punse
che stean senza poter punto accordarsi.
E tanta di nov’esca al foco aggiunse
che fe’ i lor petti inceneriti et arsi,
talché ciascun con varia opinione
porgea materia sol di confusione.

104Chi d’ire a por l’assedioS | essedio proponea
tosto a’ nemici in quel gran sen di mare,
e chi al dar de l’assalto il voto dea
ai duo castei colà posti a l’entrare;
convenevol ad altri non parea
di dover tant’armata arrificare,
talché se questi avessero potuto
ch’a dietro si tornasse avrian voluto.

105È ver che ’l generale, al Doria volto,
li dimandò qual fusse il suo parere,
dicendo: «Già che in voi mi fido molto,
com’uom d’alto valor, d’alto sapere
et avendo il parer de gli altri tolto,
che mi sia noto il vostro egli è dovere,
e Dio che tutto sa ci metta in core
d’esseguir quel che fia per noi ’l migliore».

106«Cert’io mi dolgo, alto signor, vedendo
(rispose il Doria) in tal confusione
ciascun di noi per questo fatto, essendo
error quanto intervallo vi si pone.
Io benché gli altri nel parlar comprendo
da me diversi assai d’opinione
di quel poco ch’io so, per ubbidirvi,
non mancherò di volentier servirvi.

107Propone alcun d’alto giudizio ornato
che ’l nimico rinchiuso ad assalire
si vada, il che via più considerato
può in nostro grave danno riuscire,
perch’egli, giunti noi, fortificato
in quel sicuro porto, al nostro ardire
farà difesa tal ch’alfin saremo
costretti in qua tornar, se pur potremo.

108E così tempo perduto ancor sarebbe
chi ad espugnar que’ duo castelli andasse,
ma vituperio eterno n’averrebbe
a tutti noi se ’ndietro si tornasse,
ché sol per viltà nostra al fin parrebbe
che questa grand’impresa si lasciasse,
e tanto i Turchi prenderian vigore
che non avrian di noi mai più timore.

109Ma perché là rinchiusi veramente
non molto essi staran, com’alcun crede,
avendo armata a par di noi potente,
anzi che ’n quantità la nostra eccede,
a me par d’incontrarli alteramente,
poich’a l’altrui nostro valor non cede:
ché se stiam noi l’assaltoS | essalto ad aspettare
avremo a ripararci assai che fare».

110Quantunque al generale e ad altri ancora
l’alto parer del Doria assai piacesse,
s’adoprò tanto la Discordia allora
che fe’ che senza effetto rimanesse;
e ne seguia gran mal, se a l’istess’ora
soccorsi Michel’angel non gli avesse,
come narrar ne l’altro cant’io bramo,
ch’al fin di questo pervenuti siamo.