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La vittoria della Lega

di Tommaso Costo

Canto IV

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 2.03.15 9:04

Invocazione a Dio perché faccia da musa al poeta (1-3)

1Or chi mi porgerà tanto favore
da sollevar de la mia Musa il canto
talché non sia al soggetto inferiore,
in cui del secol nostro è il pregio e ’l vanto,
e in cui si tratterà del gran valore
che ’l popolo di Cristo illustrò tanto
contra i superbi Sciti, i quai, col danno,
perpetuo scorno riportato n’hanno?

2Non però dunque fia Marte o Bellona,
né la madre d’Amor, Venere bella,
ma quell’alto Rettor che toglie e dona
la luce al sole e ’l moto ad ogni stella
esser solo potrà sicura e buona
guida di quest’errante navicella,
sì come per sua grazia sono stati
gli empi nemici nostri superati.

3A Lui dunque mi volgo e chieggio aita
con l’umil suon de le mie basse rime,
ch’Ei potrà far mia lingua tanto ardita
qual già la fe’ in contar le cose prime,
che tratterà del superato Scita
e di chi vincitor le spoglie opime
ne riportò, con infinita gloria;
sì che là torno, ov’io lasciai l’istoria.

L’angelo caccia la discordia, il consiglio avalla il parere di Doria, che propone di ingaggiare battaglia (4-17)

4Di sdegno e di furor l’Angel s’accende,
e ’l bel volto divin mostra vermiglio,
che ben l’inganno chiar tosto comprende,
che i nostri cavalier vede a consiglio;
vede la fera ch’a turbarli attende,
onde per trarli fuor di tal periglio
contra costei, c’ha sì maligno il nome,
va sdegnato e la prende per le chiome.

5Per terra la strascina, onde sovente
la batte or con la mano, ora col piede,
dicendole: «Ah, malvagia e fraudolente,
chi tant’autorità dunque ti diede
di venir ad offender questa gente?».
Piang’ella e con gran voce perdon chiede
al gran nunzio di Dio, perch’era stata
quivi da un falso spirito menata.

6Né però quel di lacerarla resta
e le soggiunge al fin: «Va’ in tua malora
ad abitar fra quei che ’n giuoco e ’n festa
col putrid’ozio fan sempre dimora;
e tien per poca penitenza questa
c’hai del tuo gran fallir ricevut’ora,
ché se mai più ti fai qui ritrovare,
te ne farò in eterno ricordare».

7E, cacciatala via con gran furore,
se n’andò poi tra’ nostri cavalieri,
e con raggio divin destò nel core
al Colonna e al Venier novi pensieri;
talch’essi spinti da quel santo ardore
si dimostràr conformi ne’ pareri,
cioè che far nel modo si dovea
che ’l valoroso Doria detto avea.

8Onde al gran capitano il Colonnese
voltosi allor, da l’angelo inspirato,
disse: «Per farvi, alto signor, palese
quel che v’abbiam quasi fin or celato,
e per finire omai tante contese,
sappiate che fra noi determinato
s’è, poiché giunti in questo loco siamo,
ch’ad incontrar nostri nemici andiamo.

9E perché molti son che per consiglio
vi dan ch’a dietro ritornar dobbiate,
acciocché tant’armata a gran periglio
più oltre seguitando non ponghiate,
io non poco di ciò mi meraviglio,
né credo già che voi far ciò vogliate,
ché troppo gran vergogna ne sarebbe
e segno in noi d’infedeltà parrebbe.

10S’a dietro or ritorniam così vilmente,
come costor dan per consiglio a voi,
che fia detto, signor, poi fra la gente
per fin che ’l mondo durerà di noi?
Dirassi ch’un’armata sì potente,
con tanti illustri battezzati eroi
per tema de’ nimici si risolse
schivar l’incontro et a fuggir si volse.

11Deh, non fate, per Dio, che s’abbandoni
questa sì degna e gloriosa impresa,
u’ tanti cavalier, tanti baroni
han per seguirvi in man la spada presa
e son non per fuggir come poltroni,
ma per cacciare altrui con grave offesa,
benché saria, per così vil ritorno,
tutto di noi, con scusa lor, lo scorno.

12Dunque d’aver sì poca speme in Dio
ch’aiuti i servi suoi mostrar vogliamo?
Sa pur ciascun che ’l santo Padre Pio
prega che con vittoria in là torniamo,
però vada il terror tutto in oblio
che del Trace furor già dimostriamo;
sgombrisi la viltà dai cori nostri
e ciascun pien di nov’ardir si mostri.

13E voi, signor, recatevi a memoria
le cose eccelse che fe’ vostro padre,
al cui valor fu propria ogni vittoria,
qual riportò da mille vinte squadre,
e finalmente s’aguagliò di gloria
a chi fe’ Roma imperiosa madre,
ché pien d’alto desio comprenderete
ch’a pareggiarlo in sulla via già sète.

14E s’a chi tutto può piace ch’abbiate
questa vittoria, com’io credo e spero,
chi vieterà ch’in mar non v’acquistiate
quant’è da l’Indo al Tago un largo impero?
E tal vittoria potrà far ch’andiate
fra i duci al mondo più famosi altero,
poiché sarà maggior questa battaglia
di quella che fe’ Cesare in Tessaglia.

15Sì che, signor, dat’ordine, che presto
si debbia fuor di questo porto uscire,
ond’a ciascun guerrier sia manifesto
che s’armi il petto de l’usato ardire,
poiché fia tal tra i fatti d’arme questo
che in ogni secol se n’avrà che dire.
Sia pur propizio a noi quel Re supremo,
ne la cui gran bontà sperar dovemo».

16Poi che ’l Colonna ebbe così parlato,
essendo tre di questa opinione,
fu dal gran capitan determinato
vietar d’ogni intervallo la cagione;
e parve di tal sorte infervorato
che, senz’altro aspettar di spedizione,
fe’ tosto ordine espresso ai naviganti,
avendo alto desio di gir più avanti.

17Dunque con tal determinato intento,
bramosi di battaglia, in alto mare
si vider tutt’i legni in un momento
per ire a far l’Echinadi più chiare.
Ma vadan essi con propizio vento,
mentre di raccontar tempo mi pare
qual fu de’ Turchi l’arroganza e quanto,
nel consiglio che fèr, superbo il vanto.

Alì arringa il suo consiglio con superbia (18-28)

18Non fu il consiglio lor come fu quello
che i nostri fèr, ma di superbia pieno,
quasi certi d’aver, con gran macello
del sangue altrui, l’alta vittoria in seno.
Quivi lo scelerato, empio ribello
di nostra fé dicea passare almeno
fin ne l’Italia a far di quella acquisto,
e ’l sacro Imperio dissolar di Cristo.

19Nessun di lor quiv’il suo voto dea
ch’abbandonar l’impresa si dovesse,
anz’il desio nel cor di tutti ardea
che ’l paragon de l’arme si facesse,
perché ciascun di lor si persuadea
che già in lor man questa vittoria stesse;
il che tanto il Bascià s’imaginava,
che d’opre a lui impossibil si vantava.

20Ne l’ampia poppa del maggior suo legno,
quasi di gran palagio in loggia ei siede.
Purpureo, d’or, gemmato abito e degno
di gran soldan l’orna dal collo al piede;
aurata verga ha ne le mani, segno
che l’imperio del mare a lui si cede;
candida e d’oro e di rubin contesta
opra li forma un gran turbante in testa.

21Su pomposi tappeti, ove il lavoro
del più ricco metallo è ’l minor pregio,
gli altri barbari eroi siedono in coro
dinanzi a lui, quas’in cospetto regio.
Tutti applaudono a lui, nessun di loro
vuol lasciar di parer guerrier egregio
e se contrario spirto in alcun sorge
o ’l cela o che ’l disprezzan gli altri scorge.

22Non ragion, ma superbia ha qui ’l suo seggio,
non sia chi di dar volta or formi verbo;
conosce alcuno il meglio e loda il peggio,
mirando il volto del Bascià superbo.
– Che, dunque, – fra sé dice – oppor io deggio
al comune parer quel ch’io sol serbo? -.
Scorge il Bascià lor bellicose voglie,
onde la lingua in queste note scioglie:

23«Valorosi compagni e guerrier nostri,
sovr’a quanti mai fur lieti e felici,
s’avien che ’l Ciel propizio a noi si mostri
nel fin qual si ved’or contra i nemici;
so che l’alto valor de’ cori vostri
farà chiari di sé quest’infelici,
a cui con mille pene aspre et amare
vedrem di sangue far vermiglio il mare.

24E si sa pur s’è grande e s’è potente
la nostr’armata, con la qual io spero
ch’oltre agli ultimi liti d’Occidente
faremo spander d’Ottoman l’Impero;
e i battezzati son sì fuor di mente
che d’incontrarne pur fanno pensiero,
per esser con vergogna vinti e presi
et aprirne la strada ai lor paesi.

25Che certezza di ciò miglior volete
che posta in mar la lor armata avendo,
per dar più facilmente ne la rete
e maggior preda a noi condur volendo,
n’han fatto general, come sapete,
un giovanetto che novizio essendo
in guerra senza star troppo in contesa
ne darà per timor vinta l’impresa?

26Send’egli poi di sangue alto e reale,
fratel del possessor del regno ispano,
datoli questa gran rotta navale,
ond’ei vivo rimanga in nostra mano,
or giudicate voi s’un dono tale
fia grato al gran figliuol di Solimano,
oltre a la preda, che sarà infinita,
quella che più la gente a l’arme incita.

27Signori, allor, sarem di tutto ’l mare:
il Cattaro e Corfù non ardiranno
con la nostra potenza contrastare,
né più tanto di noi si vanteranno,
onde potremo vincitori andare
fin in Venezia e farvi maggior danno
ch’a Cipro non si fece; e così poi
chi la Sicilia guarderà da noi?».

28Con queste et altre simili parole
dato il superbo Alì maggior conforto
a’ suoi, che si pascean di ciance e fole,
deliberò d’uscir fuor di quel porto.
Ma per dir questo, pria narrar si vole
quanto di Dio fece il gran messo accorto,
a cui quel Re, ch’a tutto provedea,
molt’Angeli dal Ciel mandato avea.

All’alba le due flotte si schierano, i musulmani sono disordinati al contrario dei cristiani (29-47)

29D’alcun de’ quali ei si serviva quando
volea dal re de’ venti, in men d’un’ora
alcun di quei feroci al suo comando
con seco aver, com’avea fatto allora;
che tosto i Turchi castigar bramando,
per fargli uscir di quel gran porto fuora,
quiv’il freddo Aquilon fatto venire
lasciollo in lor favor libero gire.

30Ond’essi, spinti dal propizio vento,
lieti dal porto cominciaro a uscire;
quindi si partìr tutti, con intento
di gir le nimic’arme ad assalire.
Or questi arditi e quei senza spavento
venendo si scoprìr ne l’apparire
del sole un giorno allor chiaro e solenne
che del mese d’ottobre ai sette venne.

31Quando sì fu la nostr’armata accorta,
de la nemica assai discosta l’era,
ch’essendosi mandata a far la scorta
una galea ben rinforzata e fiera,
l’uom che perciò su l’albero si porta
quella scoprì, che venìa tanto altera;
e fatto segno il general commesse
che ciascun tosto in arme si mettesse.

32Parve al suon di quest’ordine in un tratto
il centro de l’Inferno quivi aprirsi,
né credo un tal furor si sia mai fatto
in quella valle ove i giganti unìrsi.
A tòr l’arme ciascun si mosse ratto,
onde infiniti strepiti sentìrsi:
chi lancia, chi archibugio e chi s’allaccia
l’elmo, chi ha ’l brando e chi lo scudo imbraccia.

33Oh quanti allor s’impallidìr nel volto,
quanti di morte sùbiti terrori
corser ai petti tra lo stuolo folto,
preda facendo d’infiniti cori!
Oh che parea a veder, nel gran raccolto
di tanti legni, uscir per tutto fuori
al suon che tutti a la battaglia invita
gente di ferro e di valor vestita!

34Sopra d’un picciol legno allor salito
il duce de’ fedeli altero andava,
parlando sì ch’ogn’animo avvilito
al gran fatto di Marte accelerava,
et essortando ogni guerrier ch’ardito
si dimostrasse, a tutti ricordava
che Dio lor porgerebbe il suo favore,
dovendosi combatter per su’amore.

35Giv’ogni legno poi mirando intorno
per fargli il devut’ordine tenere,
essendo giunto il terminato giorno
da doversi sfogar le voglie fiere.
Et or dal destro, or dal sinistro corno,
perch’eran compartit’in quattro schiere,
passando sì bell’ordine tenea
ch’a l’arme ogn’alto cor via più accendea.

36E, come v’accennai, la nostr’armata
divisa in quattro schiere altera gìa,
la maggior de le quali era guidata
da lui ch’avea ’l Colonna in compagnia;
et era in mezzo a l’altre collocata,
che da man destra a par seco venìa
quella che ’l Doria degnamente il pondo
n’aveva, a cui ’l Cardona era secondo.

37Guidava quella del sinistro lato
il valoroso Barbarico, al quale
s’era il buon Canaletto accompagnato,
sendo ’l Venier ne lo squadron reale
et al Marchese il carico fu dato
di retroguardia, acciocch’in luogo tale
nel far de la battaglia attento stesse
e là soccorso u’ bisognava desse.

38Indi nel resto ordine tal poi v’era
che certo migliorar non si potea,
però ch’ogni campion ne la sua schiera
varie eran tutte le galee ch’avea;
ciascuna de le quali una bandiera
portando come quel, si conducea
sotto sua insegna e con tal modo presto
tutta l’armata si poneva in sesto.

39Un gagliardetto del color del cielo
portava il general, per dinotare
che tolta quest’impresa avea per zelo
di far l’eterno Verbo dominare
e contra chi la legge del Vangelo
cerca d’offender vincitor pugnare;
un simil ne portava ogni galea,
che ne la schiera sua si contenea.

40Spiegava in verde una gran fiamma il Doria,
che come pien di singolar valore
deva speranza a’ suoi di gran vittoria
et a’ nemici il solito terrore,
ch’ ancor treman di lui, per la memoria
del suo tanto famoso antecessore.
Seguia dipoi d’altro colore adorno
il Barbarico dal sinistro corno.

41Una bandiera gialla egli portava,
che dal calcese alteramente uscia,
e a guisa d’un bel raggio si calava
tal che giungea per fin su la corsia;
con che a’ nimici chiar significava
che li farebbe de la lor pazzia
e del soverchio dimostrato ardire
tosto con danno e disonor pentire.

42E finalmente quella del Marchese
er’una bianca e picciola bandiera,
sì come a tutti al fin sarà palese
l’alto candor de la fé giusta e vera:
la fé che c’insegnò colui che scese
dal Cielo e ’n Ciel tornò, come Dio ch’era.
La schiera in somma che costui reggea
trenta galee di varie sorti avea.

43Cinquantaquattro il Doria e poco meno
ne conducea di tante il Barbarico.
Tutto poi ’l rimanente era nel seno
ov’esser suol più di battaglia intrico.
Ciascun di questi tre, per porgli il freno,
portava in grave danno del nimico
due galeazze, che facean frontiera
dinanzi alteramente a la sua schiera.

44Da l’altra parte l’infinit’armata
del Trace altier veloce ne venìa,
per poco altrui stimar disordinata
più che nel modo, che si convenia.
Ella di varie e gran bandiere ornata
mostrava ne l’andar gran vigoria
e con tamburi e trombe e ciaramelle
salir facea ’l romor fin a le stelle.

45Come la nostra, anch’ella compartita
era in più schiere, ma non osservava
quell’ordine, anzi tutta disunita,
vincitrice d’allor si riputava
et ogni schiera de la gente Scita
la maggior de le nostre anco avanzava,
nel cui mezzo venìa con la reale
il grand’Alì Bascià, lor Generale.

46Venian con lui ne la maggiore schiera
molti de’ lor famosi cavalieri.
Fra gli altri il general di terra v’era,
che sotto il lor signor è de’ primieri;
seguiva il destro corno la bandiera
di duo campioni valorosi e fieri,
dico di Negroponte il possessore
e quel di Scanderia pien di valore.

47E col sinistro corno venìa quello
che fattosi di Turchi caro amico
com’uomo iniquo e de la fé ribello,
e del sangue cristian crudel nimico,
però bramando farne aspro macello,
spinto da l’ira del serpente antico,
con questa grossa schiera ne venìa
verso i nostri guerrier con vigoria.

Don Giovanni prende gli ultimi accorgimenti, prega Dio e incoraggia i suoi (48-64)

48In tanto il gran confallonier di Cristo
pien di spirto fatal fra’ suoi parea.
Egli avisand’ognun che ben provisto
stesse de l’arme ch’adoprar dovea
certo ’l rendea del glorioso acquisto
che già lor preparato il Cielo avea;
onde li rispondean, con lieto volto,
che desio di battaglia era in lor molto.

49Mentr’egli, armato da la gola a’ piedi
sostien la spada al poderoso fianco,
l’istesso Marte formidabil vedi;
si mostra ogni suo moto animo franco,
miral nel volto, poi ch’Apollo il credi,
sott’aureo crin, porporeggiante in bianco,
ma tal non quando Amor ferillo e ’l vinse
quand’egli sì l’orribil’angue estinse.

50Vuol senza pompa in abito guerriero
destar desio ne’ suoi di guerra ardente.
Imita il macedon, giovane fiero,
contra il pomposo Dario e la sua gente.
Col volto insieme placido e severo
conforta, essorta e fa che riverente
ciascun si mostri e pien d’ardire: oh grande
forza che d’uom nobil facondia spande!

51Fe’ poi ch’ogni privato capitano
con l’occasion dar libertà potesse
ai condennati al remo e l’arme in mano
a chi parea più coraggioso desse,
ch’ei se quel dì l’essercito cristiano
piacev’al Ciel ch’invitto rimanesse
promettea lor da l’aspro giogo trarli
e veramente liberi lasciarli.

52Ciò fatto, con le man congiunte al petto,
divotamente inginocchion si pose,
e con gli occhi rivolti al somm’oggetto
queste parole puntualmente espose:
– Alto Signor, nel cui divin cospetto
sì manifeste son tutte le cose,
poich’in te sol confido, in te sol credo,
soccorso a te, come tuo servo, chiedo.

53Poiché, Signor, de la tua santa fede
mi spinse il zelo a prender quest’impresa,
sol per frenar l’empio furor che lede
il tuo gregge, il tuo popol, la tua Chiesa,
anzi annullar quel santo nome crede
che ne lasciasti e farti ogn’altra offesa,
piaccia a la tua potenza, ch’è infinita,
di dare a’ tuoi servi fedeli aita.

54Tu ben, Signor, comprendi chiaro in quanto
periglio il popol tuo sarebbe tutto,
se ’l Trace si potesse oggi dar vanto
d’averne quest’essercito distrutto,
tal saria, credo, lo spavento e tanto
del Cristianesmo, ch’in perpetuo lutto
s’occuperebbe; onde, con biasmo eterno,
i Turchi ne farian ogn’empio scherno.

55Non piaccia dunque a la tua gran clemenza
in questo sacro e segnalato giorno
agli avversari dar tanta potenza,
che rompan noi con vituperio e scorno;
deh, non soffrir che resti il popol senza
lume di fé, di tanta gloria adorno,
e quel ch’ognor ti riverisce e onora
oggi mandato sia tutto in malora.

56Concedimi, Signor, questa vittoria,
ancorch’io sia di tanta grazia indegno,
la qual non chiedo per disio di gloria,
né per acquisto far di qualche regno,
ma punir bramo chi si vanta e gloria
di poter annullar quell’alto segno,
sul qual tu, morte acerba sopportando,
ponesti fine al nostro eterno bando.

57E se ti piace ch’io rimanga privo
de lo spirto vital nel dì presente,
fammi almen tanto rimaner qui vivo
ch’io vegga aver vittoria a la tua gente,
che così poi dal corpo semivivo
si partirà quest’alma lietamente,
che sai ch’altro non brama che vedere
vincer e trionfar le tue bandiere -.

58Poi ch’ebbe orato il Capitano accorto,
portando in man l’effigie di colui
che pende in croce insanguinato e morto,
con che ne liberò dai regni bui,
gìa dando a questo e a quel tanto conforto,
avendo tutti orato come lui,
che dai lor cori ogni viltà sgombrava
e di battaglia sol tutt’infiammava,

59dicendo: «O valorosi guerrier nostri,
oggi è quel dì che per Costui dovete
far prova de l’ardir de’ cori vostri,
perché col suo favor vittoria avrete.
Oggi per voi convien che si dimostri
che per difender la ragion qui sète.
Ecco ch’abbiamo il nostro Dio con noi,
che fu sempre aiutor de’ servi suoi.

60E certo si potran chiamar beati
color ch’oggi faran di morte acquisto,
però ch’in Ciel tra quei fian collocati
che le sant’orme seguitàr di Cristo,
per cui con varie pene tormentati
fur da seguaci rei de l’angel tristo
et a l’incontro quei, che vita avranno,
d’una vittoria tal trionferanno».

61Così fea ’l Doria e così ’l Barbarico
ai soldati ciascun de la sua schiera.
Ma che dirò del barbaro nemico
e de la gente sua superba e fiera?
Del gran Bascià capo de’ Traci, dico,
che, accorto che si fu quanto e qual era
l’essercito fedel, s’alterò molto
e per timor s’impallidì nel volto.

62E pien d’un’apparente divozione
alzò con le man giunte gli occhi al Cielo,
come se quivi stesse il suo Macone,
quel supplicando, con ardente zelo,
ch’a Dio notificasse la cagione
che ’l cor gli empì di timoroso gelo,
credendo certo d’impetrar l’aiuto
di quello Dio da lui non conosciuto.

63Pregava il suo Macon, ch’è tra’ dannati,
che i suoi seguaci a Dio raccomandasse,
acciocch’in tal successo a’ battezzati
nimici lor nissun favor prestasse;
e fin che tutti quei vinti e fugati
fusser dal Trace stuolo, ei non mancasse
di procurar per lui questa vittoria,
ch’aggiungerebb’ai Turchi eterna gloria.

64Orato ch’ebbe, a confortar si volse
la gente che di lui via più temea
e parlò sì che dai lor cori sciolse
il laccio del timor, che gli opprimea,
ricordando a ciascun che se si tolse
impresa tal nessun dover volea
ch’or si lasciasse e vergognosamente
mostrar di gran viltà segno evidente.

Si viene a battaglia, domina la confusione (65-85)

65E finalmente l’una e l’altr’armata,
deposto ogni timore, ogni sospetto,
a tiro s’appressò di cannonata,
per dar principio al sanguinoso effetto.
Or qui di Marte l’ira dispietata
convien che mostri il furibondo aspetto.
Dia voce Clio, porgimi Apollo aita,
quell’al mio suon, tu fa mia lingua ardita.

66Cinge le Corzulare un ampio giro
di mar c’ha Etolia a l’Orsa e Acarnania,
l’isola a destra che toccò l’Epiro;
v’ha Itaca e con lei Cefalonia
vèr Ponente e Libecchio poste in giro,
quindi al Tornesso, quasi a mezza via,
e Zacinto vers’Ostro e ’l rimanente
l’ingombra il lito acaico da Oriente.

67Or qual saprebbe mai dotto pennello
pinger spettacol con mirabil arte?
O con rara invenzion qual saria quello
sublime ingegno atto a spiegarlo in carte?
Che fusse né sì vago, né sì bello
come lo fèr da l’una e l’altra parte
le due armate ch’ivi avean d’intorno
coperto il mare, in quel tremendo giorno.

68Dov’anco il gran Nettunno avea condotta
una gran somma di que’ suoi seguaci
ad aspettar la sanguinosa rotta
ch’esser dovea fra Cristiani e Traci,
per far in quella l’infinita frotta
sbramar de’ mostri suoi fieri e voraci.
Così d’intorno que’ bei liti ameni
di spiriti infernai tutti eran pieni,

69ch’avea Pluton col fiero can mandati
per far gran preda poi di miser’alme;
e pien’eran le nubbe di beati
spirti che preparate avean le palme
a quei che dovean esser collocati
ne le stanze del Ciel felici et alme.
Ma udite ciò che fe’ l’Angel Michele
quivi in favor del popolo fedele.

70Ei fe’ quel vento subito restare,
ch’era spirando a’ barbari sì grato,
e sol diede a Favonio in preda il mare,
che parea dianzi contra i nostri irato,
talché in gran calma il fe’ tutto cangiare;
e così fu l’orribil segno dato
da incominciarsi la più dispietata
battaglia che sia mai nel mondo stata.

71Quando vicine fur le due potenti
armate sì che scaricar con danno
le palle si potean di quei tormenti
che ’l centro de la terra tremar fanno,
lo scoppio ingiurioso agli elementi
giunse fremendo ne l’eccelso scanno,
e con terribil suon diè chiaro aviso
del fiero scontro a tutto il Paradiso.

72Parea tutta di foco l’aria accesa
per tant’artiglieria che scaricaro
quivi le galeazze, con offesa
tal de’ nemici che gli spaventaro;
ond’a tanto furore altra difesa
che di schivarle quei non procuraro,
che qual grandine suole in chiusa valle
tal sopra i legni lor piovean le palle.

73E l’infinite scaglie, che da quelli
facean salire al ciel velocemente,
schiere parean là su di vari augelli
quinci e quindi volar piacevolmente;
tanto che molti spirti a Dio ribelli,
lasciando i corpi dolorosamente,
in questo primo assalto orrendo e fiero,
a darsi in preda altrui principio diero.

74Cercàr dunque i nemici di schivarle,
e con galee da paragon provarsi,
sperando assai più deboli trovarle
e vincer senza troppo affaticarsi.
Or mossi con pensier di superarle,
le due real insiem prim’azzuffàrsi,
e con empito tal l’altre dipoi
che ’l mar restasse incontr’a’ flussi suoi.

75Col Barbarìco e col Canale a fronte
venner quei duo campion dal destro lato;
Scirocco i’ dico, e quel di Negroponte,
guerrier ciascun di gran valor dotato.
Or da’ gridi si viene a l’arme e a l’onte,
or s’incomincia il fatto dispietato:
s’odon tamburi e ciaramelle e trombe
e par che ’l ciel, la terra e ’l mar rimbombe.

76Ma del tremendo suon, del gran furore
che da l’artiglieria subito nacque,
credo che Marte in ciel n’ebbe terrore,
tremò la terra e si turbaron l’acque.
Quiv’il gran fumo a l’aere lo splendore
tolse del sol, ma com’a l’Angel piacque
che sol Favonio spirar dolce fea,
poco a’ nostri guerrier gli occhi offendea.

77S’udia ’l fracasso e d’arbori e d’antenne
per tutto ove ferian gli orrendi tuoni;
indi per l’aria, com’avesser penne,
vedevansi volar grossi tronconi;
e vermiglio di sangue il mar divenne
con morte di soldati e di baroni,
talché cader con miserabil lutto
i corpi morti si vedean per tutto.

78L’archibugiate, le saette e i sassi
piovean su le galee con tal tempesta
ch’infiniti facean di vita cassi,
qual nel petto ferendo e qual in testa,
nulla giovando a chi riparo fassi
d’elmo o di scudo e che di ferro vesta;
spezzan le pietre gli elmi, e palle e strali
foran gli scudi e l’arme e son mortali.

79Qui tronchi e capi e busti e gambe e braccia,
là nuotan corpi interi, e morti e vivi;
giace il fedel con l’infedel, s’abbraccia
questo con quel, d’altro soccorso privi.
Fra ’l morto e quel che spira altri procaccia
far preda e qui gli estinti e i semivivi,
qui le minacce e i gridi e i pianti e i lai
spettacol fan non visto o inteso mai.

80Sorge tra tanto un nembo folto e nero,
che par che l’aere e tutto ’l mondo occupi;
nasce da mille scoppi un tuon sì fiero
che par che ne l’abisso il ciel dirupi.
Gli urli che dan di morte indizio vero
fann’un suon di molt’acque in luoghi cupi,
né mai con tanto strepito e ruina
s’udì Vulcan ne l’infernal fucina.

81Mille in un tratto fulminosi lampi
rendono l’aria men torbida e scura:
par senza sol che l’universo avampi,
mentre l’accesa polve ardendo dura.
Segue indi il suon ch’alcun non vuol che scampi,
ma l’alma ovunque passa a ciascun fura,
che d’infinite fulminate palle
sol una non ve n’è che ’l colpo falle.

82Dura la fiera e spaventosa zuffa
sotto quell’aere nubbiloso e tetro,
nel qual con troppo ardir mentre s’azzuffa
spezzali più d’un legno a par del vetro.
Quivi nel mar più d’un guerrier si tuffa,
né può ritrovar scampo innanzi o ’ndietro,
anzi per tutto è sì crudel l’intrico
ch’ucciso è questo e quel dal proprio amico.

83Già d’un confuso caos l’aspetto rende
la grave, spessa e tenebrosa massa.
Col foco l’acqua estrania pugna prende,
mentre ne l’acqua il foco ardente passa.
Col sol l’empia caligine contende,
ch’ella s’inalza e quel via più l’abbassa.
In somma, il grave e ’l lieve e ’l caldo e ’l gielo
stan fra tenebre e luce, in fosco velo.

84È tale il dubbioso, aspro conflitto
ch’in ogni parte uccision minaccia;
quivi ciascun guerrier, dal duol trafitto,
non sa né può saper quel che si faccia;
e pur convien ferir, torto o diritto,
vadas’il colpo ove Fortuna il caccia,
né può l’ardita man far altro effetto,
privo ch’è l’occhio uman del proprio oggetto.

85In sì confusa pugna orrenda e fiera
con periglio d’ognun si stette molto,
finche l’aria lasciò men fosca e nera
lo sparso fumo, allor sì grave e folto,
talché la valorosa gente altera,
avendo alto vigor subito tolto,
con doppio ardir, da l’una e l’altra parte,
l’orribil fatto rinovò di Marte.

Intorno alle due reali si scatena una zuffa furibonda, Alì ne esce sconfitto e ucciso (86-102)

86Oh ch’aspra pugna, oh che crudel battaglia
vedeasi far tra le due gran reali!
Chi qua e chi là com’un leon si scaglia,
chi con lo schioppo e chi con arco e strali,
che parer fan di cera e piastre e maglia,
donando colpi orribili e mortali.
Ma tal battaglia incrudelir parea
sì come ogni real soccorso avea.

87Di queste la turchesca era guardata
da sett’altre galee de le migliori
che si trovasser ne la loro armata,
talch’eran sempre in numero maggiori,
da quattro sole essendo accompagnata
la nostra non però de le peggiori:
la Veneziana e quella del Pastore,
l’altr’eran due del gran Comendatore.

88Ma poi quella di Napoli vi corse,
che va per l’onde più che stral veloce,
e valorosamente anch’ella porse
aiuto a’ nostri in quella pugna atroce,
in cui l’eccelse e rare cose occorse
altro a narrarle che la debil voce
de la mia Musa ci vorrebbe poi
ch’ivi fu ’l pregio d’infiniti eroi.

89Vi si vedea quell’alto capitano,
vestito di fin arme e rilucenti,
col forte scudo in braccio e ’l brando in mano
che facea gli altri di battaglia ardenti.
Così la gloria e lo splendor romano
i Colonna e l’Orsin, chiari e fulgenti,
se ’l colmo del valor quel dì mostraro
i Traci il san, che i brandi lor provaro.

90Con la sua capitana il buon Veniero,
e con quell’altre il gran Comendatore
steano a l’assalto che i nimici diero
con gran vantaggio a la galea maggiore;
e questo i Turchi astutamente il fèro,
però che se riparo al lor furore
quivi non era, vinta la reale
sarebbe il fatto andato per noi male.

91E in tanta quantità gente abbondava
su la real tracense, che per questa
cagion l’aspra battaglia rinovava
con vario, orribil suon, furia e tempesta.
Ma che dirò de la trireme brava
di Malta ch’ivi a molte facea testa,
da nobil mossa e generoso sdegno,
talché vinse e domò via più d’un legno?

92Da bellicosi cavalier guidata,
questa in battaglia alto desio la spinse:
si mosse e fe’ di lei ben degna entrata,
che tosto due galee nimiche vinse.
Poi, la terza assaltando, ella assaltata
fu da una grossa squadra che la cinse,
guidata da colui del qual diremo
quando a’ fatti del Doria e suoi verremo.

93Qui fu de’ cavalier lo strazio orrendo,
qui d’alme al Ciel salì lucida schiera,
quasi fiamma ch’a l’umido cedendo
si spicca e a sua ragion vola leggiera.
Qui fatto il Balio d’Alemagna avendo
e ’l conte di Briatico aspra e fiera
strage de’ Traci, gloriosa morte
diè lor quel che lor tolse iniqua sorte.

94Vi si salvò ferito il Giustiniano,
Giulio Caraffa et altri, ove fu degno
Mastril di laude, cavalier nolano,
che, preso, tolse agli inimici un legno.
Or del valor d’un bel drappel sovrano,
che ’l Ciel fece restarvi, a dir vi vegno,
per vindicar, con gli altri estinti a gara,
il gentil Lelio da la Tolfa e l’Ara.

95Fur questi il gran GonzagaS | Conzaga, il gran Pompeo,
i duo restati conti, il buon Venato
e quei duo da la Marra, onde poteo
tenersi il Trace allor mal capitato,
a cui non tanto infesto Briareo,
credo, saria con mille braccia stato.
Ma pur convien ch’un Cardine vi moia,
du’Orsi et un Francesco di Savoia.

96Oh come ben dal Principe Farnese,
da quel d’Urbin, dal valoroso Conte
di Santafior fur le galee difese
da tutte le nemiche ingiurie et onte!
Questi a’ nemici, con eterne offese,
fecero a dietro rivoltar la fronte,
sì che ciascun di lor grossa trincea
di corpi morti a’ piè fatto s’avea.

97Quivi anco s’adopràr, con gran valore,
l’Andrada e quel di Cordov’amb’ispani,
Ettore e Romagasso e monsignore
Legnì, famosi e degni capitani;
e fuvvi un cavalier di non minore
e grado e qualità fra i più sovrani,
Pirro Malvezzi, io dico, il qual onora
non pur Bologna sua, ma Italia ancora.

98Di quattro mi sovien, che ciascun vale
quant’altro nominato in tal vittoria:
duo Paoli, l’un de’ quai detto è ’l Casale,
l’altro lo Sforza, evvi il secondo Doria;
Pagan vi dico, e quel Marcello, al quale,
giovane ardito, il Ciel promette gloria.
Che potea dunque far l’audace Scita
contra ’l valor di gente sì fiorita?

99Qui Pertaù, d’ogni lor mal presago,
fugge e ’l suo legno prende il buon Veniero,
ma sembra Caracoza orribil drago,
per cui morto riman più d’un guerriero.
Muor Gian Battista Benedetti, vago
di gloria e di vendetta, ma quel fiero,
tosto da un legno del Negroni giunto,
venne a battaglia e vi restò defunto.

100Il cui superbo spirto a tempo fuora
del corpo si trovò, per seguir quello
del grand’Alì che, quasi a l’istess’ora,
fece il medesmo nel crudel macello,
non altrove che là, seguito ancora,
dov’il memorandissimo duello
fecer le due maggior trirem’insieme,
del qual l’offeso Trace ancora teme.

101Quivi la zuffa orrenda e spaventosa,
che di corpi e di sangue il mar coperse,
fe’ sì che da vil uom la valorosa
persona del Bascià morte sofferse,
a cui troncò la mano ingiuriosa
il capo, e quello al fedel duce offerse,
il qual con ira gli occhi indietro volse
e di lui e del caso assai si dolse.

102Poi disse a l’uccisor, che quasi divo
di ciò teneasi: «E qual ragion, soldato,
ti mosse a darmi morto quel che vivo
potevi e con tuo pro darmi più grato?
Or sia tuo premio il vanto d’aver privo
di vita un general già superato».
Così sdegnoso si ritrasse in parte
a dar compito fine al fiero Marte.

Barbarigo muore valorosamente (103-114)

103In questo mezzo, orribilmente s’era
incominciata nel sinistro corno
una battaglia tant’orrenda e fiera,
che ’l mar tremava a molte miglia intorno.
Quivi azzuffata l’una e l’altra schiera,
parea la notte aver cacciato il giorno
e sol ne la gran zuffa aspra e crudele
gran tumulti s’udian, gridi e querele.

104Quivi tra l’acqua e ’l foco a l’aere oscuro,
con frezze e schioppi l’adirate genti
seguiano il fatto dispietato e duro,
tutti a la morte de’ nimici intenti.
Oh quanti infelicissimi ne furo
arsi e distrutti da le fiamme ardenti!
E quanti in mar fra tante gran ruine
fecer non meno miserabil fine!

105Ma mentre a dir de gli altri io m’affatico,
deh, dove lascio e l’animo e ’l valore
che fèr quel dì ammirando il Barbarìco
con immortal di lui gloria e splendore?
Quivi uom non è del popolo nimico
ch’avanti a lui non s’empia di terrore
e mentre or quinci or quindi egli s’estende
qual legno affonda e qual abbatte o prende.

106Ma ’l numero di quelli è così grande
ch’ei, trascorrendo arditamente innanzi,
si trova cinto da tutte le bande,
né lascia però d’esser qual fu dianzi;
foco da gli occhi per grand’ira spande
e sembra un fier cinghial, quando dinanzi
si vede i cacciatori e con tal ira
si move che spaventa chiunque il mira.

107Vedendo alfin tanto furor venire,
a Dio si raccomanda e, come quello
che per suo amor non cura di morire
per man di quello stuol maligno e fello,
ogni lor legno corre ad investire,
facendone di molti un gran flagello,
disposto non morir, ché ’l morir suo
costar caro non faccia a più di duo.

108Tien dunque in man la vincitrice spada
e mentre i suoi conforta e gl’altri uccide,
ecco Fortuna, che non vuol ch’ei vada
mostrando più ’l valor che chiar si vide,
aprir quell’arme al suo morir la strada
con che diè morte a Nesso il grand’Alcide,
quando rapirsi, pien di sdegno e d’ira,
vide lontan la bella Deianira.

109Ne gli occhi al cavalier l’empia saetta
fece vibrando la mortal ferita,
ond’ei benché la forza abbia interdetta,
quasi di Sceva con la voglia ardita,
tenta pur far del suo morir vendetta
e spinge i suoi contra la gente scita,
dicendo: «Non vi turbi oggi ’l mio male,
ma ciascun mostri quanto puote e vale».

110E mentre ch’egli esprimer volea quello
che li dettava pur l’animo invitto,
dal sangue che sembrava un fiumicello
con interno dolor gli era interditto;
pur ricordar si sforza, a questo e a quello,
la fé, l’onor, la patria et il profitto,
ma essendo ’l fin de la sua vita giunto,
alfin rimase il cavalier defunto.

111S’agli altri il suo morir dispiacque molto
pensar se ’l può ciascun, senza ch’io’l dica;
e così ’l carco di tal zuffa tolto
il buon Canal, che molto s’affatica,
poi c’ha di più galee fatt’un raccolto,
affronta altier la gran schiera nemica
e contra ’l sangue di quell’empia setta,
ben fe’ del caro amico alta vendetta.

112Ma a far più illustre tal vendetta giunse
spinto Scirocco fier dal suo destino,
ch’un legno nel conflitto il sovragiunse,
guidato dal valor d’un Contarino,
dal qual tosto ch’al suo quel si congiunse,
vinto si vide, ma volendo infino
al fin mostrar quanto valor gli resta,
tronca li fu dal vincitor la testa.

113Spirti cui varia sorte già commise
a quei duo corpi così illustri al mondo,
e ’nsieme qui guerra naval divise,
or ch’è misero l’un, l’altr’è giocondo,
goda là su chi al ver si sottomise,
e pianga chi ’l negò giù nel profondo.
Tu cavalier, tu so martir di Cristo
fatt’hai del Ciel, quel de l’Inferno acquisto.

114Morto Scirocco, un libican serpente
par ne la zuffa quel di Negroponte,
ma molto più divien di rabbia ardente,
mostrando accesa di furor la fronte,
quando al perder de’ suoi drizza la mente.
Ma tempo omai mi par ch’io vi racconte
del valoroso Doria le gran prove,
contra cui ’l fiero Aluccialì si move.

Grandi gesta di Doria (115-127)

115Ei, che ’l corno reggea del destro lato
che la parte di mar dovea ingombrare,
giunte che fur le schiere al destinato
loco, com’uom che non ha pari in mare
considerò lo spazio ch’assegnato
gli era e ch’agli altri egli dovea lasciare,
poi si tirò quanto li parve in fuora;
il che far volse l’avversario ancora.

116Or qui tutto ’l valor, l’industria e l’arte,
ch’usar si possa in simile battaglia,
da l’una si vedrà e da l’altra parte;
e quanto di lor duo ciascun ne vaglia;
cose degne non men da porre in carte
di quelle che successero in Farsaglia;
scontràrsi a punto questi duo per fare
a qual di lor via più valesse in mare.

117L’un per rinchiuder l’altro la via prende
e fanno a chi meglior si può tenere;
ciascuno il vento aver propizio intende,
voltan le poppe là ’ve quel più fère;
e l’un di superar l’altro pretende,
formand’un ampio cerchio le due schiere;
battono i remi i legni d’arme cinti,
da furiosa concorrenza spinti.

118Come du’accorti capitani in terra,
giunt’in campagna per giornata fare,
per mostrarsi ciascun mastro di guerra,
pria cerca il luogo che miglior li pare;
poi quivi la sua gente unisce e serra,
per poter meglio vincitor restare,
così pieni costor d’alto coraggio
studian l’un l’altro in mar torsi vantaggio.

119E van sì presti a farsi grati al vento,
com’abbia quello a farne un vincitore
ch’in su veloce corridor più lento
corre chi al pallio bram’aver l’onore.
Ma se son duo convien ch’al fin contento
rimanga l’uno e l’altro perditore:
così l’un di costor convien che sia
più tardo ad ottener quanto desia.

120Al barbaro convien mutar parere,
per ritentar fortuna di vittoria,
quand’ei dunque s’accorge non potere
nel corso pareggiar l’invitto Doria,
e che può facilmente omai vedere
ch’in van per questa via sperar può gloria.
Lascia il disegno ch’avea tolto gire
e pensa di voler quiv’investire.

121Con tutto ’l suo squadron dunque si mosse
e venne a dar dove pensato avea,
e quivi con tant’impeto percosse
la parte ch’a l’incontro rimanea
che di sangue cristian fe’ l’onde rosse,
e disertò via più d’una galea.
Ma ’l Doria tosto ch’al nimicoS | aimico vede
por ne la tesa rete incauto il piede,

122non con tal furia e tal tempesta il tuono
casca dal ciel per flagellar la terra,
né ad edificio alcun dando perdono
piccoli e grandi, uomini e donne atterra,
qual ei veloce con terribil suono
sopra li corse e, giunto, il cinge e serra;
così da tante bande poi l’assale,
che gli è cagione d’infinito male.

123Trovossi ove ’l nimico assediata
tenea di Malta la galea più altera
e quell’avea già così maltrattata,
che quasi vivo cavalier non v’era;
e l’averebbe ancor tutt’abbruciata,
ma tolt’al fin la principal bandiera
di quella abbandonolla per timore
ch’a dosso li venìa tanto furore.

124Ma poiché circondato esser si vede,
qual feroce orso da gran calca stretto,
perché d’aver la peggio ancor non crede,
mostra a ciascun l’infuriato aspetto,
e guai a chi li pon dinanzi il piede;
ma ’l Doria in questo come più perfetto
guerrier sì ben lo stringe e lo percote,
che ’l barbaro superbo in van si scote.

125E bench’assai minor de la nimica
vegga la schiera sua, con tutto questo
animoso l’assalta e non s’intrica,
ma quinci e quindi va veloce e presto.
Già si conosce aver Fortuna amica,
però prudente ovunque manifesto
bisogno averne fra’ suoi legni scorge,
là il corso accelerando, aiuto porge.

126Oh come i Traci allor si sgomentaro,
ché chiari fur ch’era costui quel Doria
tanto da lor temuto, e ’ncominciaro
a desiar salute e non vittoria,
né in lor vivea pensier di far riparo,
ma privi parean tutti di memoria,
né l’esser ferocissimo giovava
al dispietato can che li guidava.

127Però molto più ’l Doria invigorito
tra lor si caccia e fa di quelle prove
che ne riman ciascun de’ suoi stupito
e fa gli altri tremar, per cui si move.
Già trema il Trace altier, ch’a mal partito
si vede, onde vorria trovarsi altrove,
ch’ovunque la galea di quel s’estende
questa a’ nimici affonda e quella prende.

I musulmani sono rotti, il sole scende e la battaglia termina (128-135)

128Tanto che più di sette ne rimesse,
già vincitor di così gran battaglia.
Ma che pensate che quel dì facesse
Marco Quirin tra quella vil canaglia?
Parea che l’ale il suo bel legno avesse,
fra lor sembrando il foco tra la paglia,
e giva dando or qua, or là tal guasto
che larga strada avea senza contrasto.

129Né a dietro rimanea quel di Cardona,
volto de’ Turchi a l’ultima ruina;
tal la Grimalda e la galea Negrona,
quella del Sauli e tal la Lomellina;
così quella di Mari; or di persona
tutti costor con arte e disciplina
combattendo ne fèr sì gran fracasso
ch’era il trace furor già spento e casso.

130Quando del corno suo sì mal condotto
s’avide Aluccialì, quello lasciando,
ch’era già mezzo sbaragliato e rotto,
corse a l’altre battaglie biastemando,
ma poi ch’in ogni parte andar di sotto
i Turchi vide, di vittoria alzando
le grida i nostri al Ciel subitamente
fe’ vela e si partì verso ponente,

131ch’essendo il General morto e sconfitto,
s’era già resa la real galea.
Mort’era anco Scirocco e dal conflitto
fuggito Pertaù, talché potea
il nostro duce riputars’invitto;
il qual reso le grazie che dovea
a Dio molte galee seco raccolse,
con che le schiere altrui soccorrer volse.

132E fur con altre assai quelle che dianzi
l’avean sì ben soccorso combattendo.
Se n’andò dunque al destro corno innanzi,
quivi tumulti orribili sentendo,
vedev’il Doria, a cui nessun dinanzi
resiste, dimostrar valor tremendo;
ma ben più spaventati al suo apparire
chi qua e chi là procaccia di fuggire.

133Ciò fatto ne la destra, a l’altra schiera
si volse, e fu per gli inimici tale
ch’ogni trireme lor fatta leggiera
sol intenta a fuggir spiegava l’ale.
Talché di sì gran rotta il fin giunt’era,
con segnalata lor vergogna e male,
e vincitori i nostri combattenti
tutti a predar già si vedeano intenti.

134Fu superato e vinto finalmente
l’essercito de’ Turchi, onde a fuggire
ciascun si dea; però difficilmente
dal circondato sen potean uscire.
N’uscìr certe galee, ch’in vèr Ponente
fèr vela, e quelle postisi a seguire
il generale, il Doria et il marchese,
parte in terre ne dier, le quai fur prese.

135L’altre fuggìr, che i nostri non curàrsi
più di seguirle, essendo giunta l’ora
ch ’l sole era propinquo a riposarsi
e già la notte uscia per tutto fuora.
Tornati dunque indietro, ritiràrsi
in un gran porto ad aspettar l’aurora
e così poi che ’l gran furor de l’armi
udito avete anch’io vo’ qui posarmi.