America
di Agazio Di Somma
Editi nel 1624 a Roma per i tipi di Bartolomeo Zannetti, i due canti dell’America sono passati alla storia della letteratura più per la lettera di prefazione dell’autore che per il loro nucleonarrativo vero e proprio. Nella lettera a Fabrizio Ricci, datata 5 settembre 1623, il ritorno di Marino in Italia veniva salutato come l’apertura di una nuova età dell’oro della cultura pontificia, di cui il napoletano avrebbe dovuto essere l’alfiere grazie al proprio poema, superiore a detta di Di Somma alla Gerusalemme liberata. Questa scomoda affermazione scatenò le prime nubi della tempesta sull’Adone di lì a esplodere, suscitando le rimostranze di Girolamo Preti, il quale, citato in causa come auctoritas nel giudizio sui due poemi, prese le distanze non solo dallo sprovveduto Di Somma ma anche da Marino, a testimonianza di come la fortuna del napoletano stava per mutare radicalmente rispetto alle felici attese del ritorno da Parigi.
Al di là di questo apparato introduttivo, sta un testo che non è indegno di interesse. Nei due canti sopravvissuti (di un’edizione in cinque canti, del 1623 e sempre stampata a Roma, dà nota Belloni, ad indicem: qualora non fosse un errore del compilatore – di questa stampa ampliata non si ha traccia -, si tratterebbe di una preziosa aggiunta), si narra dell’arrivo e dello sbarco di Colombo presso le coste dello Yucatan, e di una prima battaglia con i locali. Nonostante il riconoscimento di Marino il modello che compare in filigrana è quello del poema tassiano, che diventa per Di Somma una miniera da cui ricavare episodi, figure e stilemi. Come molti dei coevi esperimenti di epica americana, era destinato a rimanere incompiuto: di una sua prosecuzione da parte dell’autore, complice forse anche la stroncatura di Tassoni nella sua lettera di prefazione all’Oceano, non si ha notizia.
Bibliografia
- L. Geri, La «materia del mondo nuovo» nella poesia epica italiana. Da Lorenzo Gambara a Girolamo Bartolommei (1581-1650), in Epica e oceano, a cura di R. Gigliucci, in «Studi (e testi) italiani», 34 (2014), pp. 29-61 : 47-48
Opera e sinossi
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- Canto I per vedere le sinossi clicca su Opera e sinossi
- Colombo giunge in vista della terra (1–9). Discorso d’incitamento di Colombo, che invita i suoi ad essere intrepidi (10–14). Alcuni indigeni, fuggiti da altre isole, portano notizia dell’arrivo degli europei: il sovrano Attabila si reca dai propri idoli e ne ottiene infausta profezia (15–26). Attabila raccoglie un esercito e lo schiera sulla spiaggia (27–39,4). Accompagnati da uno stormo di Angeli i cristiani sbarcano, e rompono la prima fila nemica grazie ai cannoni (39,5–49,4). Accorrono le squadre di riserva e Idalcane e Oronte compiono grandi imprese (49,5–55). Oronta si arresta prima di uccidere un cristiano, Ormeno, il quale in realtà è suo figlio (56–66). Colombo, sceso a terra, prega Dio che li assista (67–72,2). La vittoria inclina ai cristiani, Ernando per inseguire un nemico si addentra nel bosco, Attabila copre la ritirata dei suoi (72,3–82). Cala la notte e la battaglia si interrompe, Ernando non ritrova la strada del campo: la sua amata Elvida se ne duole e si prefigge di morire a fianco all’amato (83–96). Elvida tenta una sortita notturna ma è sorpresa da una squadra di ladroni indigeni che sta rovistando il campo, ed è rapita (97–102).
- Canto II per vedere le sinossi clicca su Opera e sinossi
- Nottetempo Colombo fa innalzare un accampamento fortificato (1–8). Rassegna delle forze cristiane a partire dalla disposizione delle tende (9–36,4). Ernando torna al campo e riceve le infelici nuove di Elvida: si cruccia (36,5–49,4). Il demone Gibor vede lo stato delle cose e decide di intervenire: va a infestare l’animo di Roldano (49,5–58). Roldano raggiunge la tenda di Orana dove una giovane compagnia si sta intrattenendo in sollazzi, e li incita alla rivolta contro Colombo (59–78,4). Orana cerca invano di trattenere Ansaldo (78,5–85).