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America

di Agazio Di Somma

Canto II

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 15.05.15 11:10

Nottetempo Colombo fa innalzare un accampamento fortificato (1-8)

1Ma il duce ispan non posa e non depone
de l’impresa magnanima la cura;
varie fatiche col pensar dispone,
provido, in sé tutta la notte oscura:
al sovrano ingegnier del campo impone
che mentre la stagion del sonno dura
si fabrichi il gran vallo in forte sito
d’alti ripari di trincere munito.

2Ei prima co ʼl pensier su ʼl lido estrano
ch’osservato già avea, l’opra disegna,
poi, rammentando al suo fedele il piano,
le piagge e i posti imaginati insegna,
e in un che l’accompagni una gran mano
d’animosi guerrieri anco l’assegna,
che li disponga ne le vie nemiche
per fide guardie de l’altrui fatiche.

3Questi va per la notte e impiega a l’opre
le rozze man de’ fabri e guastatori,
e sotto il bruno ciel che li ricopre
alzar ponno sicuri i lor lavori.
Ma pria che giunga il dì che ʼl mondo scopre
il re pagano anch’esso usa i favori
de la notte onde cava il vallo e ʼl forma
con alte fosse e d’ampio cerchio in forma.

4Già de l’alba nascente a i primi raggi
l’ombre notturne divenian più rare,
i lieti augelli da gli opachi faggi
predicevano il dì cantando a gare,
e gli albori del sol vaghi messaggi
ferivan già d’un bel purpureo il mare
quando de l’uno e l’altro campo opposti
comparver gli alti padiglion disposti.

5Come al cader d’un teso vel si mostra
peregrina cittade in regia scena,
e varie imagin d’alte torri in mostra
offre e di sacri tempi adorna e piena,
così d’alzate tende in doppia chiostra
gli alberghi apparver su l’erbosa arena,
e presentàr quasi che in faccia al giorno
più d’un teatro d’improviso adorno.

6Il vallo de’ cristian da un lato ha un monte
la cui costa ne vien cerchiata in parte;
steril campagna li soggiace a fronte
per dove calan l’altre tende sparte,
ma quanto il sito avien ch’a’ piani smonte
più di grossi ripar munito è d’arte;
li rimbomba da tergo e con gran mondo
d’acque l’affida l’ocean profondo.

7A fianco al monte il lido in fuor si sporge
con due braccia di sponde in curva luna,
nel cui mezzo un gran sen di mar si scorge
che in calma rincrespandosi s’aduna.
Verso l’estreme corna altera sorge
doppia rupe di scogli orrida e bruna,
e presso è un’isoletta incontra posta
che guarda il porto, a’ venti e a l’onde opposta.

8Mugge indarno d’intorno il rauco flutto
spezzato in salse spume a i rozzi sassi.
In sì placido d’onde ampio ridutto
l’armata de’ cristian raccolta stassi,
et ondeggiando lievemente il tutto
ingombra, e or par che s’alzi, or che s’abbassi,
e le mobili scafe appo le coste
de’ maggior suoi legni ha già disposte.

Rassegna delle forze cristiane a partire dalla disposizione delle tende (9-36,4)

9Senza indugio frapor le squadre ibere
lascian le poppe e le maritime onde.
Al disbarco, al fervor di tante schiere
ch’occupan pronte le bramate sponde,
freme ampiamente il mar con le riviere
d’un aspro mormorio che si confonde,
e ʼl capitano in compartita foggia
del campo in varie region l’alloggia.

10Di’ tu, Calliope, in che guerriera forma
divise il saggio eroe gli alloggiamenti,
in che sparsi quartieri e con che norma
dispose a terra l’accampate genti,
tu de le schiere tutte a pien m’informa
e m’inspira a narrarle alteri accenti,
onde ne sorga al suon fama immortale
ch’a le postere età dispieghi l’ale.

11Vòta piazza si trova in mezzo al vallo
ch’egual si spiega largamente intorno,
d’alquanti padiglion fregiati a giallo
il suo estremo giron si scorge adorno,
e in disparte da lor breve intervallo
de la tenda maggior s’alza il soggiorno,
ch’in ricca maestà come gran reggia
di guerra sovra tutte altre campeggia.

12Questa piazza in due vie larghe e maestre
di croce in foggia s’attraversa e fende,
l’una sale del monte al fianco alpestre
e prona in giuso al basso pian discende,
l’altra da le maremme al suol campestre
parte per mezzo le sublimi tende,
e tutte in forma di gran linee al fine
del vallo a terminar vanno al confine.

13Qui fermossi il gran duce e a l’aure alzato
del regale stendardo il vel s’espose,
qui per il pian de la gran piazza armato
de le sue guardie il fido stuol si pose,
e qui de la sua tenda a tergo e a lato
la squadra di ventura egli dispose.
Tra questi è il fier Ridolfo, il gran figliastro
del buon conte che scettro ha di Nicastro.

14Vi è il chiaro Aquin, del cui gran sangue e nome
gloria s’accresce e numero a’ celesti,
questi d’alta pietade ardente oh come
sembra ch’in pro di nostra fé s’appresti?
V’è Stanislao, cui sotto bionde chiome
canuto nel mistier d’arme diresti,
sì ne le guerre è scaltro e pro di mano
e non men che guerrier par capitano.

15Tra’ celebri è Vestan, quel sì famoso
che poi per tanti immensi mari a tondo
circondò l’ampia terra e glorioso
figurò nel suo scudo il corso mondo;
Giberto, che col crin sparso e vezzoso
spira ardir e minacce, e Gualdo il biondo,
uom che l’umanità co’ vinti ha pronta
non men che l’ira in chi l’offende e l’onta.

16E ben al suo lione, onde si fregia
nobilmente il suo scudo, egli è simile,
che ʼl magnanimo sdegno usar dispregia
con chi cedendo gli si atterra umile.
V’è Gherardo, che trae da la Norvegia
sua stirpe, onde la stima anco gentile,
folle, ch’egli è quasi ch’ancor vil plebe
in Norvegia non nasca a franger glebe.

Qui mancano quattro stanze nelle quali si dà conto d’alcuni personaggi principali
nel poema

21Son fra scelti guerrier di forze e d’arte
pur conti Uberto il bruno, Ardenio il saggio,
Fernando di Castiglia, Ugo e Lisuarte,
il lusitan d’indomito coraggio,
e duo forti fratei, germi di Marte,
Anselmo il vago e Andronico il selvaggio:
fur questi esposti in fasce in aspre selve
a l’arbitrio del fato e de le belve,

22ma ritrovolli errando in caccia a sorte
il duca d’Alva, onde governo dienne
a un fido vecchio, che ʼn sua regia corte
le prime acerbe età cura ne tenne.
Essi gli odi e l’insidie invide scorte
de’ conservi, magnanimo lor venne
sdegno di cotal vita e in miglior modi
cercàr pompe fra l’arme e chiare lodi.

23Ma chi narrar potria schiera cotanta,
non che i pregi lodar di quello e questo?
Ben de la sparsa fama il suon qui canta
sovra gli altri Cosmondo e ʼl bello Ernesto
ciò che l’età favoleggiando vanta
di Teseo e Peritoo, che l’un fu presto
a seguir l’altro al sotterraneo impero
del cieco mondo: in questi il tutto è vero.

24Ernesto di desio di veder arse
degli Antipodi occulti il basso mondo,
e dal suo caro per non scompagnarse
volle seguirlo il suo fedel Cosmondo,
e abbandonàr concordi a vele sparse
de l’ispano emispero il ciel giocondo.
Di questi avventurieri, in cui confida
ei, che tutti ha in governo, ei stesso è guida.

25A fronte al sommo padiglion regale
Americo alloggiò quel gran toscano
da cui riserba ancor nome immortale
quell’emisper di là da l’oceano,
tanto al bell’Arno per destin fatale
avea concesso il ciel d’onor sovrano
che da un suo figlio a celebre memoria
devean prender i mondi e nome e gloria.

26Questi nel ragionar, ne la sembianza
e negli atti magnanimo e prudente
del maggior capitano in lontananza
sostiene la vece, e prence è de la gente,
ma tien secondo onor ne l’adunanza
de l’oste quando è il sommo eroe presente.
Con questi che de l’arme a pien sa l’arte
saggio il Colombo ogni pensier comparte.

27Dietro a sua militar magion illustre
sparsa in minori padiglion s’accolse
la gente che l’Etruria e ʼl Ren palustre
de l’italico giel tralasciar volse.
Per fame di ricchezze in prima industre
vèr l’ibero ocean le vele sciolse,
ma poi, data a le guerre, alzò gli ingegni
a generoso amor di glorie e regni.

28Da presso al destro lor fianco alloggiaro
l’accorte genti ch’Oderico il grande
guida, e del pian l’amenità lasciaro
che fra il Sarno e ʼl Volturno ampia si spande,
et adunàrsi in cave tende a paro
dal lor confin de le sinistre bande
quei de’ liguri colli, e li conduce
Bartolo il buon fratel del sommo duce.

29Non molto lunge al padiglion sovrano
in due squadre i magnanimi cavalli
ne’ tesi alberghi di battaglia il piano
del gran campo ingombràr per vari calli.
Freme avampando ivi de l’aria il vano
a l’ardor de’ nitriti e de’ metalli,
e i chiomati destrier veggonsi trarsi
per le pendenti briglie erranti e sparsi.

30Son quattrocento i cavalier pregiati
tutti di ferreo usbergo e d’elmo adorni,
parte in Grecia la Magna e al freddo Crati
de le lor prime età menaro i giorni,
e parte ebber da presso a l’onde nati
del biondo Tago i patri lor soggiorni:
a questi è scorta Alonso, a quei Verardo,
l’uno e l’altro et intrepido e gagliardo.

31Per la costa inegual del curvo monte
occupò luogo il già canuto Archida,
uom che più volte guerreggiando a fronte
stè ne la Persia incontro a turba infida.
Qui de le genti sì leggiadre e pronte
che bebber l’onde del Duero è guida,
del Duer che sonoro infra gran balze
si frange d’ogni verde ignude e scalze.

32Quivi ancor prese campo il torvo Armando
d’Almeria il conte, di sì vaste membra
e di petto sì altier che minacciando
ombre por di spavento al ciel rassembra,
quasi che in ogni suo sermon vantando
d’esser ramo sovran narra e rimembra
di quel grande Annibal, di quel gran fiero
terror d’Italia e del Romano Impero.

33Ei capo è de lo stuol bruno in sembiante
che godette del dì l’aure serene
su ʼl fosco Occaso ove l’immenso Atlante
de la mole del ciel gli assi sostiene.
Ne l’umil falda poco indi distante,
ove il monte col piè preme l’arene,
Roderico albergò la plebe amica,
che tratta avea già da Numanzia antica,

34da quella alta Numanzia, un tempo augusta,
che per lunga stagion l’arme latine
respinse invitta, e ne l’età vetusta
fu serva a la gran Roma a pena al fine,
or giace ignota e bassa terra angusta,
povero avanzo d’orride ruine,
tanto più che furor di re tiranni
tacita domar può vecchiezza d’anni.

35Ma in tutto in grembo a l’arida pianura
il perfido Roldan pose sua squadra,
che qual losco è di cor, la guatatura
ha da l’irsute ciglia e torva ed atra.
Di varie nazion l’iniquo ha in cura
commista schiera ingiuriosa e ladra,
parte ne tolse a’ monti di Biscaglia,
parte di quei che domi hanno in battaglia.

36Così disposto il campo e così accolta
erasi al lido ogni cristiana schiera,
e su le tende a l’aure lievi sciolta
ventilando ondeggiava ogni bandiera,
ma poiché l’alba ebbe dal mondo toltaErnando torna al campo e riceve le infelici nuove di Elvida: si cruccia (36,5-49,4)
la caligin de l’ombra umida e nera,
lasciò Ernando la selva in cui rimaso
era ne l’oscurar del rosso Occaso.

37De l’atra notte il gran silenzio cheto
tutto passato avea fra mille cure
or concependo ne l’orror secreto
di quel bosco stranier fredde paure,
or volgendo fra sé mesto, inquieto
forte il tenor di tante sue sventure
che corse avea dal dì ch’al mar crudele
d’Esperia aperse le ventose vele,

38ma rimembrando l’una e l’altra stella
de la sua donna, ogni dolor affrena.
Gli pareva il furor d’ogni procella
per quei bei rai tranquillità serena,
e per lei radolcia di qual più fella
e ria fortuna ogni sofferta pena,
con sì vari pensier vegghia e non posa
quanto è lo spazio de la notte ombrosa.

39Tosto che ʼl dì con immaturi albori
di nova luce in Oriente sorse,
Ernando, che ʼl sentier fra i radi orrori
del matino e de’ rami alquanto scorse,
da i boscarecci ispidi intrighi fuori
ad incontrar l’aurora i passi torse,
ma di più bella aurora, ond’egli è vago,
ha nel pensier l’innamorata imago.

40Pronto e furtivo va per l’aria mista
d’ombre e di rai, né torbida né chiara,
là dove spera ne l’amata vista
conforto aver d’ogni fatica amara,
né il miser sa qual sorte ivi più trista
nuovo stato d’affanni a lui prepara.
Come spesso qua giù gli egri mortali
onde attendono ben raccoglion mali!

41Poi che giunse a le navi e ʼl bel sembiante
non trovò di sua donna e ʼl tutto intese
come ella abbandonando il mar sonante
per sua cagione a l’erme piaggie scese,
e come prigioniera un stuol vagante
di barbari ladron quivi la prese,
ei di furie, di doglie il cor trafitto
freme oltremodo in ascoltando afflitto.

42Qual nomade lion che da perigli
de l’altrui caccie a la scoscesa cova
torna del patrio monte, e i rozzi figli
ne la caverna lor natia non trova,
aspro le gonfie labbia arma gli artigli
e non scorgendo in chi vendette mova
contra le selve alpestri orribil gira
gli occhi, scote le come e mugge d’ira,

43così di duol misto a disdegno acerbo
avampando il guerrier geme feroce,
e poiché alquanto in mesti atti superbo
tacque, prorompe in suon d’amara voce:
«A qual altra sciagura io mi riserbo?
a quali strazi di destino atroce?
O fortunati quei che per man forte
ne la campagna ostil caddero a morte!

44Perché su i monti de la strage anch’io
là non rimasi da tant’arme estinto?
Quanto infelice men del vincer mio
fu il perder di colui che, da me vinto,
giace ne l’erma selva in mezzo al rio
del proprio sangue riversato e tinto:
di che perdita mi è, di che memoria
sempre infausta mi fia quella vittoria!

45Il fato, il mio furor mi trasse al bosco
di quel barbaro vil seguendo il corso,
che se a le navi col primo aer fosco
facea ritorno, ciò non fora occorso.
Ah perché almeno in quell’orror sì losco
poi non fui pasto d’aspra tigre o d’orso?
questi i trofei ne son, queste le spoglie
che ne riporto, i propri danni e doglie?

46Misera Elvida, in che diverso stato
dal tuo natale t’ha fortuna addotta?
Ma più che cruda avversità di fato
a sì dure miserie io t’ho ridotta:
io per cotanti mari a questo lato
t’ho di terre sì inospite condotta,
per me d’Europa tu, di tuoi palagi
lasciasti il cielo e le grandezze e gli agi.

47Or per me ti sei esposta a notte oscura,
a strania region d’oste proterva,
e per me, come volle empia sventura,
di barbari ladron sei fatta serva,
ma non morrai già tal se in me natura
quest’anima angosciosa un dì più serva,
se non m’uccide il duolo, e m’è gradita
per questo sol questa odiosa vita.

48Verrò dovunque sei, le morti, i ferri
audace incontrerò, mi faran strada
a l’indegna prigione ove ti serri
gli urti del petto ancor non che la spada,
e s’è prefisso in Ciel ch’altri m’atterri
a pronta morte intrepido si cada;
vivo me, non fia ver che mai cativa
di catene servili Elvida viva».

49Con queste voci il forsennato ondeggia
e di crucio d’affanni arde e sospira,
e volgendo fra sé quel che far deggia
vari tumulti di pensieri aggira.
Ma da la stigia e sotterranea reggiaIl demone Gibor vede lo stato delle cose e decide di intervenire: va a infestare l’animo di Roldano (49,5-58)
uscendo allor l’empio Gibor rimira
de la terra a sì incogniti confini
giunti d’Europa i fortunati lini.

50Forte ne rugge in sé di doglia acerba,
e l’arse luci stralunò di sdegno.
Questi è spirto d’Inferno e ancor riserba
de l’antica alterigia il petto pregno
di quando emuli a Dio sede superba
ambìr ne lo stellato artico regno,
onde con gli altri fulminati e vinto
cadde d’abisso al baratro sospinto.

51Or per comando di Pluton venìa
fuora a i campi del dì candidi e chiari
per riveder ne l’empia idolatria
de l’antiche maremme i loro altari.
Tra volume di nubi atre sen gìa
sospeso a volo su gli azzurri mari,
e funestava il ciel di notte rea
ove se stesso e ʼl negro orror traea.

52Parve il nembo arrossir di lampi ardenti
e frangersi improviso in crudo tuono
quando i globi degli occhi atri e lucenti
torse, e muggì con spaventevol suono;
poi fremé mormorando in questi accenti:
«Dunque il mondo di Borea è angusto trono
al Rettor de le stelle, e l’oceano
par corta meta al culto suo cristiano?

53E vi è chi di spiegarlo oltre presume
dove sepolto il sol nasce sotterra?
Fin qui di pari col celeste nume
serva tenuta abbiam noi l’ampia terra,
che s’ei de l’Aquilon scettro si assume
e quanto là da i mari lor si serra,
noi pur ritratti in questo altro empispero
retto del mondo australe abbiam l’impero.

54Qui, come là per lui, per noi fumanti
ardon l’are di vittime ripiene,
e chi piegare osò le vele erranti
de’ nostri regni a le riposte arene?
non basta aver scorso i confini avanti
onde a turbar nostre region si viene,
l’isole aver già depredate et arse
che in grembo a l’ocean giaciono sparse?

55Non basta quivi aver tra fiamme orrende
co i nostri tempi gli idoli distrutto?
fin qui, sì lunge, la sua audacia stende
nostre provincie ad infestar ridutto?
e che? l’ardir d’un uom mortal pretende
scacciarne omai da l’universo tutto,
quasi ch’io solo di fiaccar non baste
l’orgoglio altrui d’ambizion sì vaste?

56Farò ben io». Ciò detto, in aria impresso
quel denso nuvol negregiante lassa,
e vèr la terra da quell’aer spesso
su le caliginose ali s’abbassa,
d’Austro in sembianza, ove il cristian si è messo
scende fra l’oste et invisibil passa,
trova il crudo Roldan che mesto e cheto
gran cose aggira torbido, inquieto.

57Costui, d’ambizion tumido e fiero,
de l’italico eroe seguì l’imprese,
ma poi tumulti cittadini altero
tra via più volte fra le squadre accese;
or che con l’arme a nuovo mondo intero
vede le glorie del gran duce stese,
gonfio non meno il cor che l’atre labbia
si rode nel pensier d’invida rabbia.

58Mille risveglia in sé d’odi e paure
cagioni ascoste e nutrimenti d’ira,
e ʼl rio mostro infernal fra le sue cure
de le furie il velen mesce e l’inspira,
e varie di furor larve e figure
dentro la mente fervida raggira,
ond’ei fuor di se stesso et ebro e folle
con tronchi mormorii prorompe e bolle.

Roldano raggiunge la tenda di Orana dove una giovane compagnia si sta intrattenendo in sollazzi, e li incita alla rivolta contro Colombo (59-78,4)

59Ma già prono nel mar tuffava il giorno
Febo, infiammando il curvo ciel di lume,
e la notte sorgea spiegando intorno
l’ombre de l’ampie sue stellate piume,
e folta allegra torma in un soggiorno
si raccogliea, sì come avean costume,
dove traggon le prime ore moleste
rumoreggiando fra notturne feste.

60D’Orana è il padiglion ove si aduna
squadra di fresca gioventute ardita,
costei, cui già rapì morte importuna
il primo amore in su l’età fiorita,
eletto aveasi in mesta gonna e bruna
di menar casta e scompagnata vita,
ma fral donna a natura invan contrasta,
e incontra amore a lungo andar chi basta?

61Dapoi che di Liguria il gran campione
in pugna le marine isole prese
di Cuba al verde pian la rea stagione
trasse aspettando il più benigno mese,
essa, ch’indi è natia, d’un bel garzone
di Madrid vagheggiata allor s’accese;
da così peregrino e nobil loco
la destinava Amore il suo bel foco.

62Ei di lanugin molle adombra a pena
le bianche gote, e Ansaldo altrui l’appella,
robusto, da’ begli occhi ardir balena
e da la fronte minacciosa e bella,
ma vibra non so che luce serena
fra l’ardire, e ʼl bel crin torce in anella,
e con un fasto suo pien d’alterezza
leggiadro alletta ancor mentre disprezza.

63Ella, se mai le luci umili e chine
solleva, un raggio di beltà lampeggia;
d’un’ambra fosca ha l’intrecciato crine
che non è di biondo oro e d’or biondeggia,
e se il volto non ha di rose e brine
d’un piacevol pallor dolce biancheggia,
sì che ardor vicendevole ambedui
tosto accese, lui d’ella e lei di lui.

64Mentre il campo cristiano ivi fe’ stanza
quanto è del ghiaccio la stagione integra,
ne la magion di lei dolce adunanza
si cominciò di gioventute allegra,
così gli accorti amanti ebber speranza
di ricoprir la mente accesa et egra,
ma in van si cela amor: spesso nel viso
lor refulge dagli occhi o d’un bel riso.

65Poi che la primavera il bel mattino
de l’anno e i giorni più tranquilli aperse,
e domando il lor fremito marino
l’onde più miti e più cerulee fèrse,
e apparecchiarsi a nuovo altro camino
ella d’Europa l’alte vele scerse,
chi può dire in che queruli lamenti
spesso si dolse de’ medesmi venti?

66Prima che del suo ben restar lontana
le patrie rive abbandonar risolse,
e con lui dipartì fra l’oste ispana
quando del lembo da’ suoi lidi sciolse.
Or che arrivato a region sì strana
de le navi europee lo stuol si accolse,
ne la tenda di lei con l’aria nera
Roldan si addusse fra compagna schiera.

67Ei ne la mente d’empie cure involta
ha di vari ardimenti inculti abbozzi,
e pensa, spinto il fier d’audacia stolta,
come col sovran duce emulo cozzi;
poi che vide gran turba ivi raccolta,
così prorompe, gli altri detti mozzi:
«Dopo tanto vagar per tumid’onde
ne siam condotti a sì raminghe sponde?

68Qui che farem, noi che campati a sorte
ne siam da l’arme e da’ marini sdegni?
dobbiamo offrirne a volontaria morte
perch’un nocchiero di Liguria regni?
Quante schiere di noi restino absorte
vi è noto in qua fin da gli erculei segni,
quanti fin ora giacciono insepolti
a lidi ignoti o nel suo sangue involti.

69Queste fur le provincie e furo i vasti
regni ond’han fatto fortunati acquisti,
che scherzo son d’instabil flutto e pasti
di fameliche belve orridi e tristi?
Noi da le pugne ostil, dal mar rimasti
salvi e dal ver con tanto rischio avvisti
dovrem spandere il sangue a nostro danno
per stabilir qui reggia a rio tiranno?

70Ciò ch’è sparso finor ch’al regno ibero
si aggiungan queste region remote,
che si guerreggi qui perché l’impero
si distenda di Cristo in genti ignote
son fole, che né faccia han più di vero
o tanto quanto il volgo ingannar puote
che si conquisti un mondo a re discosto
per spazi immensi d’ocean fraposto.

71E se fosse in altrui pietosa cura
di propagar la fede in stranie terre,
perché non inalzar qui patrie mura,
né consumar l’oste cristiana in guerre?
a chi di voi l’empia sua mente è oscura?
che cerca onde i guerrier di Spagna atterre?
con nostra strage il pio la santa fede
fabricar pensa o la regal sua sede?

72Ne i sommi gradi di battaglia posti
signoreggian d’Italia i suoi più amici,
noi sol de l’armi a i primi rischi esposti
n’andiam, caterve ignobili, infelici,
e s’a le palme et al morir disposti
trionfo riportiam mai de’ nemici
le piaghe, i danni rei de le vittorie
son nostri, e lor gli alti trofei, le glorie.

73O cieli, o corsi mari, o erme rive
immensi testimon de’ nostri torti,
dunque lasciammo noi nostre native
sponde per trarci a rei naufragi e morti?
e in noi, miseri avanzi, altra non vive
speme che di destin più crudi e forti,
né per altra mercé sotto il comando
d’un barbaro traemo i dì pugnando?

74Perché in disparte non ritrarci almeno
da tante omai sofferte aspre fatiche,
e cercar posa in sì stranier terreno
per l’estrema vecchiezza in mura amiche?
Ma noi, quanto la verde età vien meno,
più con l’arme irritiam terre inimiche:
che speriam, folli, al patrio mondo un giorno
per cotanto ocean di far ritorno?

75Non ne sovvien de’ tempestosi orgogli
de’ pelaghi e degl’Austri onde a gran pena
scarse reliquie da gli aversi scogli
abbiam ricovro in mal secura arena?
Ma se nessun di voi v’è che s’invogli
meco d’esiger la devuta pena
da chi n’espose a tanti strazi infido
e che ne trasse dal materno nido,

76chi ne vieta a tirannide sì fiera
sottrarne, torci a sì affannosa vita?
Su su, che ʼl Cielo è ch’a mia lingua impera
e con mie voci a libertà v’invita».
Mentre ei freme, del foco ha di Megera
la superba sembianza inorridita,
e ʼl rio demon ne l’altrui petto interno
semina fiamme di furor d’Inferno.

77Detto ciò, mosse impetuoso e in una
la turba dietro a lui va sparsa e stolta;
come in sublime e curvo sen s’aduna
fiume ch’in sé volubile si volta,
se dopo più d’un volgimento alcuna
onda rompe e ruina in giù disciolta,
al precipizio liquido spumanti
corron lubriche l’altre acque sonanti,

78così poi che si spinse inanzi solo
Roldano minaccevole e veloce
l’adunanza si sciolse a stuolo a stuolo,
mormorando d’un fremito feroce.
Ma in questo Orana d’improviso duoloOrana cerca invano di trattenere Ansaldo (78,5-85)
percossa il cor di quel tumulto atroce
dogliosa in atti e sbigottita in faccia
Ansaldo almeno raffrenar procaccia.

79Nel lembo il prende del pieghevol manto
e «Dove gir vuoi da quei folli scorto»
con gl’occhi dice omai pregni di pianto
«fra l’insane lor mischie ad esser morto?
che manca a te, donde stimar per tanto
deggia da’ tuoi cristian fartesi torto,
giungerti a’ ribellanti e ʼl giusto impero
sdegnar de’ tuoi, del tuo gran duce ibero?

80Se ʼl giogo a me di servitù par lieve
sol ch’io teco venir possa compagna;
perché il dominio a te medesmo è greve
del tuo sovrano condottier di Spagna?
non rimembri ove gir da te si deve?
o in quali spiaggie io senza te rimagna?
misera, a cui preda mi lasci in mano
di quella oste che tu fuggi lontano?

81Qui come io resto a’ tuoi rival per gioco
de l’amor mio, de la tua instabil fede?
e tu senza consiglio o molto o poco
verso le terre ostili hai volto il piede?
che speri? là fra qualche ameno loco
trovar traslata la tua patria sede?
e se pur secondar l’altrui follie
ti cale, a che non aspettar il die?

82Per fuggir me fra tanti rischi d’armi
t’esponi, e di fortuna a notte oscura?
tanto dunque il desio d’abbandonarmi
t’è caro che di te non hai pur cura?
te stesso e ʼl viver tuo più non risparmi,
sì preziosa t’è la mia sventura?».
Così piangea con lacrime sì belle
che n’avean scorno le notturne stelle.

83Ma il fier garzon, cui già per ogni vena
corso è il tosco infernal, breve ripiglia:
«Queste importune lacrime raffrena,
e rischiara, per Dio, le meste ciglia.
Giusto desio di libertà mi mena
a seguir chi magnanimo consiglia,
tu qui riman, né spiaccia apparecchiarti
al servaggio comun già di sottrarti.

84Quando fia che ʼl richieda ora opportuna
vivi lieta; di te fia mio pensiero».
Qui, troncando il suo dir, per l’aria bruna
e disciolto da lei vassen leggiero.
Ella, che preparava omai più d’una
lamentevol risposta al cavaliero,
resta attonita alquanto e indarno al vento
dà sospirosa e trista il van lamento.

85Indarno a sé il richiama, e già la mente
presaga l’è di fortunosi danni.
Or chi narrar potria di lei dolente
quai fur poi le querele e quai gli affanni?
Spesso udivasi il Ciel, che n’è innocente,
accusar ch’a miserie la condanni,
e con voci da lacrime interrotte
lamentarsi con l’ombre de la notte.