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Babilonia distrutta

di Scipione Errico

Canto II

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 2.05.15 9:12

ARGOMENTO
Bessana è cruda amata e odiata amante.

Alone accetta una tregua di tre giorni con scambio di prigionieri (1-21)

1Ma la tema, i successi e la ragione
a gl’infedeli il cieco ardir togliea,
e venir de le spade al paragone
co’ guerrieri di Cristo ognun temea.
E già per più vicina aspra tenzone
machine in punto il capitan mettea,
e minacciava a più terribil guerra
la nemica del Ciel superba terra,

2quando veglio barone al sommo duce,
ambasciator de la Città venìa.
Porta amico il sembiante, in cui riluce
saggia modestia e nobil cortesia.
Sol di sue poche genti egli conduce
canuta ed onorata compagnia.
Securo il mena entro lo stuol nemico
de le genti la legge e l’uso antico.

3Giuns’egli, e chiese: «Il parlar dassi a noi
col capitan, ch’a queste squadre impera»,
disse, e fu ammesso, ove tra grandi eroi
l’alto duce de’ duci alor cint’era.
Ei riverillo umilemente, e poi
con inchini onorò l’invitta schiera.
Indi grave e modesto il guardo fisse
vèr l’intrepido Alone e così disse:

4«O de l’Asia terror, nume d’onori,
di famosi guerrier famoso duce,
scarsi per fregi tuoi sono gli allori,
scarse le palme che Soria produce.
L’Oriente per te di novi albori
e s’adorna per te di nova luce,
o novo sol, che le tue insegne altiere
porti dal mar de gli Indi a l’onde Ibere.

5Godano pur da la tua invitta mano
tante provincie in pochi dì sommesse,
però che il culto del Motor sovrano
introdotto hai, guerrier pietoso, in esse.
O se giammai con l’opre esser cristiano
mostrar potuto il mio Signore avesse,
che per lo merto anch’ei guerra sì pia
de la Croce campion seguito avria.

6Opre, signor, ti narro al volgo ascose,
opre ascose ben sì ma però vere;
testimoni mi sian le luminose,
che non lice ingannar, superne sfere:
come farsi Cristiano alfin dispose,
vinto il mio re da le gran cose altiere,
ch’opra in onor d’Iddio la fida gente
da sovrana virtù spinta sovente.

7Il miracol tremendo udito hai forse,
che poco fa tra queste piagge avvenne,
quando al nome di Cristo un monte sorse
ed a un loco prescritto a posar venne,
quando amaro pensiero a tanti morse
il cor, che farsi molle al fin convenne.
Allor franser del petto il saldo gelo
del mio signor la vera fede, e ’l zelo.

8Ma perché l’alma altrui dal sentier vero
col desio di regnar troppo travìa,
e spesso aviene a chi sostien l’impero,
ch’a sudditi soggetto in parte sia,
al suo regno celar fece pensiero
del saggio animo suo la voglia pia,
però c’avea per molti segni visto
non poter imperare e servir Cristo.

9Onde accorto il mio re per tal rispetto
poco sforzo al tuo campo or ha mostrato,
né già fatto l’avria, s’alcun sospetto
non si fosse in Babel per ciò recato.
Ma l’apparecchio a tal bisogno eletto,
come prima pensossi, ora è mancato,
e ’l popol mesto, e ’l mio Signor Mustace
chiedon per la mia bocca e lega e pace.

10Pace egli vuole, e vuole ancor ch’altiero
tu gl’imponghi lasciar quell’empio rito,
e che sia il divin culto e ’l tron di Piero
onorato da tutti e custodito.
Così parrà che fuor del suo pensiero
sol per necessità sia ciò seguito,
così egli poi ti seguirà potente
a l’altre imprese tue con armi e gente.

11Ma s’altro cerchi, e sono i pensier tuoi
farti con questo zel signor del mondo
e s’un trono reale alzar ti vuoi,
mostrando por quel di Macone al fondo,
nessun fia mai che in opra tal t’annoi,
segui pur lieto guerregiar fecondo,
che tosto fia che in Asia provi e senti
vaghi intrichi impensati e strani eventi.

12Che, se il dritto rimiri, e non t’abbaglia
De le vittorie tue l’alto splendore;
non fia che guerra suscitar ti caglia
contro gli amici per incerto onore;
né porre in rischio de l’altrui battaglia
quella fama immortal c’ha il tuo valore,
ove cangia fortuna a l’improviso,
quando men si paventa, i gesti e ’l viso.

13Perché se il mio signor con arme in mano
render volesse la città secura,
troveresti per certo, o capitano,
l’impresa alquanto faticosa e dura,
ché se l’Arabo, il Turco, e l’Africano
chiamar volesse in pro di queste mura,
ov’è il trono maggior de la fé loro,
risparmio non farian di vita e d’oro.

14Ma non cred’io, ch’ambizioso affetto
fu de le guerre tue prima cagione,
ché sempre in core invitto e nobil petto,
quasi in seggio real sta la ragione.
Ma stimo io sol c’hai ne la mente eletto
l’empio trono atterrar del fier Macone,
non turbar di Babel la regia antica,
a te sì cara, a te sì fida amica.

15Sallo il mondo, il sai tu, ben sallo ancora
il bel Filindo tuo s’io dico il vero,
che vide ben quando fe’ qui dimora,
mille segni vèr lui d’amor sincero.
Oh s’uniti sareste, oh come fora
per seguir tuo pietoso alto pensiero!
Vinta l’Asia sarebbe, e s’apriria
a l’imperio di Cristo un’ampia via.

16Però che giunti in un sì fermo e dritto
pegno di santo amor, di pura fede,
qual potenza maggior col vostro invitto
valor, giammai possa giostrar si crede?
Tutta ben tremeria l’Asia e l’Egitto,
e tremeria di Saladin l’erede,
né turbarian con riti lor profani
la città di Sion gli empi Pagani.

17Or se questo, signor t’aggrada e piace,
l’arme con securtà sospender puoi,
almen perch’ognun facci in questa pace
pietosi uffici a i cari estinti suoi.
La sua figlia Bessana il re Mustace,
tu darai per ostaggio alcun de’ tuoi;
ma il bel Filindo il mio Signor molt’ama,
e se ’l concedi tu vederlo brama».

18Tace il messo, e tra’ duci un suon si sente
come tra boschi se lieve aura spira.
Alone in tanto ne la dubia mente
mille incerti pensier commove e gira:
molto gode egli udir che destramente
l’amico da Macon l’alma ritira;
poi de’ barbari teme i falsi inganni,
onde sorgono ognor perigli e danni.

19Risponde alfin: «Se palesar la pia
voglia volea, che nel cor serba, e tace,
mandar doveva il signor vostro pria
del venir nostro a ragionar di pace.
Or che noi siam di questa guerra in via,
ed in man nostra la vittoria giace,
giusto non parmi che con tardar troppo
sorga a l’impresa inaspettato intoppo.

20Ma se pace per quei, che il fato rio
ha nel suo grembo amaramente absorti
mi dimandate voi, vorrei ben io
darl’anco a i vivi non che torla a i morti.
Vada pur in Babelle il fratel mio,
e la figlia Bessana a noi si porti,
e in pochi dì, se al signor vostro piace,
trattar potrassi e stabilir la pace».

21Disse, e ’l garzon, che per virtù d’Amore,
presente allor, fu per ostaggio eletto.
Crede a pena il suo bene, e ’l picciol core
è incapace magion del gran diletto.
Stabilironsi i patti, ed in poc’ore
ebbe la tregua di tre giorni effetto.
In Babelle andò questi, e quasi lampo
venne Bessana bella e accese il campo.

Bessana è mandata al campo cristiano: si innamora di Alone e al contempo adesca molti guerrieri con vezzi femminili (22-86)

22Venne Bessana, e tra l’armate genti
vaga spiegò la sua beltà pomposa;
come tra spine rigide e pungenti
mostra il nobil color purpurea rosa.
Ognun l’ammira, ognun tien gli occhi intenti
a la sembianza placida, e vezzosa.
Ognun v’accorre, e angusta è a lei la strada
per la turba d’amanti ovunque vada.

23Ella, ch’avea tra dolci inganni suoi
empio disegno nel pensier diviso;
scaltra drizzossi, ove tra grandi eroi
sen stava Alone in real sede assiso.
Giunse, né così bel da i lidi eoi
Febo n’appar, sì come a l’improviso
trasse costei con gli natii splendori
l’avide viste, e con le viste i cori.

24Fu di tutti quei lumi il bel sereno
unica meta, anzi gradita benda.
Di strai d’Amor d’ardori il tutto è pieno
né v’è come da questi uom si difenda.
Giace trafitto ogni più forte seno,
cor si freddo non è che non s’accenda,
anzi par quello albergo a l’ampio foco
che balena il bel viso angusto loco.

25Or tu m’aita, e grata a i nostri carmi
da Parnaso discendi Erato intanto,
e in pro del pigro stil vogli dittarmi
i vezzi, ond’hai tra il sacro coro il vanto.
Facciam misto gentil d’amore ed armi,
e si rimiri nel guerriero canto,
di dolci scherzi e di lusinghe pieno
l’amorosa Ciprigna a Marte in seno.

26L’aria non mai, non vide egual bellezza
ne i vari climi suoi la terrea mole,
in cui natura ad emolarsi avezza
strinse varie beltà disperse e sole,
e di mille vaghezze una vaghezza,
e figurò di mille stelle un sole,
e di tutti gli ardori in se ristretti
una fiamma formò di tutti i petti.

27Veggionsi in onde d’or sue chiome errare
su l’ampia fronte inanellate e sciolte:
de la Parca gentil fila ben care,
c’hanno le vite de gli amanti avvolte.
Son bei soli d’Amor, ma troppo avare
stansi l’amate luci in sé raccolte;
soli ch’usano trar con loro ardori,
quasi atomi volanti, in alto i cori.

28Soli cui son le guancie in quel bel viso
ciel di vaga beltà, vermiglie aurore,
le guancie ove imperando in trono assiso
con porpora real risiede Amore.
Par la bocca gentil nido del riso,
fonte d’ambrosia, anzi prigion del core,
mantice vago, onde per via gemmata
esce al foco de l’alme aura odorata.

29Mostra il petto le mamme, ove formaro
entro le nevi lor fucina i cori.
Ma il bel candor più tumidetto e caro
vieta l’invida veste apparir fuori;
s’apre tra mamma, e mamma angusto e raro
vezzosetto sentier di vivi avori,
e per calle sì vago Amore il duce
a l’ascose beltà l’alme conduce.

30Ivi s’interna il bel pensiero ardente,
e tra le brine si nutrisce e vive,
e trascorre e si spazia avidamente
per le lattee contrade al guardo prive.
Indi su ’l foglio de la vaga mente
mille rare beltà finge e descrive,
ed avviva ed appaga, e rende accensi
con imagini dolci i frali sensi.

31Ne tremàr, s’ammutìr, cupido il viso
volser tutte le schiere al vago aspetto.
Parve ogni guardo a contemplarla fiso
da magica virtù vinto ed astretto.
A quel raggio celeste, ed improviso
d’amorose faville arse ogni petto,
e diè, pien di dolcezza e di stupore,
a la dea di beltà vittima il core.

32Sol tu, duce sovran, che idea perfetta
di più degna bellezza impressa t’hai,
da i dardi che da un ciglio Amor saetta,
schermo gentil con la ragion ti fai.
De la vana beltà che i sensi alletta
sono al tuo guardo tenebrosi i rai,
splendendo in te con luce eterna ed alma
il gran sol di giustizia in mezzo a l’alma.

33Ma tu, donzella, nel guerrier sovrano
fisa tenevi l’inarcate ciglia,
e la beltà del grande eroe cristiano
spiavi con diletto e meraviglia.
Ti fea d’incerte voglie un seme strano,
e fredda e calda, e pallida e vermiglia,
quasi pugnando entro il suo dubio core
l’onore, il gelo e l’amoroso ardore.

34Ma nacque e crebbe e vinse a l’improviso
d’amor ne l’alma il disusato affetto,
e da la fiamma, che vibrava il viso
fieramente avampar sentissi il petto.
Così restò quell’ardir suo conquiso
da quel ch’essa fingea preso e soggetto.
ed a gran lodi con sue frodi accinta
venne e vide l’altiera e restò vinta.

35Sorse dal seggio suo per farle onore
Alone, e l’aggradì con voci grate;
ma, per risposta, con fatal tremore
indistinte parole ella ha formate.
L’alta beltà del variar colore
contemplan gli altri in su le guancie amate,
e apprende qual cristal de l’alma imago
ogni cara mutanza il desir vago.

36Così vinta d’Amor tutta obliossi
costei del vago dir l’antica usanza,
e pochi detti, che dal cor son mossi,
dubia non ha di proferir baldanza.
Al fin prese commiato ed inviossi
dove eletta è per lei solinga stanza,
e sola tra desir vari e pugnanti
chiama in consulta i suoi pensieri erranti.

37Ma già fatta la tregua, escon frequenti
il pagano, e ’l fedel di pietà spinti,
e dansi aita in ricercar dolenti
tra la strage confusa i cari estinti.
Alzano i gridi e doppiano i lamenti
d’infelice cordoglio il viso tinti,
mentre nel rivoltar l’ancise squadre
altri il figlio ritrova ed altri il padre.

38Altri vede il nepote, altri il germano
lacero e guasto entro il nemico sangue.
Altri conosce il caro amico, e in vano
su quel sospira, e semivivo langue.
A l’esercito i suoi porta il cristiano,
e ’l pagano in Babel la turba esangue;
e sodisfanno a la pietà fra tanto
con quello estremo onor di tomba e pianto.

39Giacea tra gli altri de’ viventi fuora
Sichilda bella in su ’l nemico anciso.
Par che torva minacci e morda ancora
del nemico Albiazzar l’orrido viso.
Morta dal ferro ella non fu, ma allora
quando fu il corpo suo dal duol conquiso,
calca di genti e di destrier sovr’essa
rapida corse e ne rimase oppressa.

40E ben orribilmente il ventre e ’l petto,
e tutto il corpo ha lacero e disfatto,
e ne la stragge altrui guasto ed infetto
tutta ha perduta la sembianza affatto.
Ma del volto amoroso il vago aspetto,
mezzo a tanto furor, rimase intatto;
forse potenza allor Morte non ebbe
contra tanta bellezza, o pur l’increbbe.

41La portano a le tende i fidi amici,
avendo alto dolor de le sue pene,
e s’apprestan a far pietosi uffici,
come a donna real farsi conviene.
La bella estinta in mezzo a gli infelici
compagni il forte Alone a veder viene,
e del dolente e lagrimoso stuolo
tristo accompagna la mestizia e ’l duolo.

42Su le spoglie nemiche alto trofeo
fec’ei de la guerrera inalzar l’armi,
e formar, come allor far si poteo,
tomba onorata di pregiati marmi.
Sovra il tumulo poscia intagliar feo
questi in breve sentenza astretti carmi:
Giacciono qui con l’immortal valore
l’amorosa onestade e ʼl casto amore.

43Così cura de’ morti e grato e mesto
quinci il fedel avea, quindi il pagano,
ripensando nel caso aspro e funesto
la fragiltà del cieco ardire umano.
Ma la parte maggior del campo in questo
erra confusa in desir cieco e vano,
e di Bessana bella ammira intento
ogni detto, ogni sguardo ed ogni accento.

44Da l’altra parte l’amorosa maga
strano incendio nel cor nutre ed asconde,
e copre con l’acerba ardente piaga
mille cure nel sen gravi e profonde.
In lei caldo velen serpeggia e vaga,
che per tutto si sparge e si diffonde,
nato, né sa in che guisa, ignoto affetto
cresciuto vede ed avamparle il petto.

45Del magnanimo eroe pensando ammira
il sangue, la beltà, l’opre e ’l valore.
Pensa ed invidia e si distrugge in ira,
dubia de la rivale in tanto amore.
Vuole, poscia si pente e poi delira,
e più s’accende il forsennato core.
Fatta intrepida al fin, tra sé risolve
aprirsi strada, e a l’arti sue si volve.

46Pensa, per non morir tacita amando,
scriver le pene, onde il suo cor si duole,
e la ferita al feritor mostrando
pria del sangue versar l’inchiostro vuole
Carta e penna al fin prese e andò formando
con la candida man queste parole:
«Quella salute, ch’ella aver desia
al fortissimo Alon, Bessana invia.

47Principe, al cui valor nulla è vietato,
ed altissime imprese e pensi e puoi,
e tiri e forzi ogni pianeta e fato
co l’invitta tua spada a i voler tuoi,
se con somma tua gloria hai trionfato
de’ Battri e Persi, e de’ gran regni eoi,
vogli accettar col tuo cortese stile
novo e fido servaggio, ancor che vile.

48Parlerò? tacerò? tre volte il core
mosse la lingua a dir sua pena atroce,
tre tacqui e nel mio subito rossore
apparve impressa ogni mia muta voce.
Timida troppo, al fin mi disse Amore:
scrivi e palesa il mal, che l’alma noce,
e sia l’interno e desioso affetto,
che scritt’hai nel sembiante in carte letto.

49Leggi questa, se leggonsi le note
de’ nemici talor non che di amanti.
Letta, che nocerà? Pure esser puote
strada leggiadra a maggior glorie e vanti.
Misera quando pria l’eterne rote
tua celeste beltà m’offriro innanti,
altamente provaro in un baleno
gioie l’occhio, ardor l’alma e piaghe il seno.

50Amo, e taccio dolente, e posa e loco
il cor non ha, che in cieco ardor s’aggira,
e ben strugger mi sento a poco a poco,
quasi d’aride legna accesa pira.
Foco vibra il mio guardo, e fiamma, e foco
l’egra mia bocca sospirando spira.
Ma se tarda è l’aita al cor che langue,
verserà tosto non sospir ma sangue.

51Ma qual forte magia? qual fato, o stella
palesò contra me valor cotanto?
Lassa, d’un guardo sol virtù fu quella,
fu de’ bei detti un amoroso incanto.
Ardo e la fiamma è sì gradita e bella
che ottien d’ogn’altro incendio il pregio e ’l vanto,
che destar non si può ne l’altrui core
da insolita beltà solito ardore.

52Ohimè, che pare al tuo non scorsi aspetto
né portamento sì leggiadro e vago.
Testimonio verace è questo petto,
in cui s’incise la tua bella imago.
Folgorava il bel crin sotto l’elmetto,
scintillava il bel guardo errante, e vago,
e le guancie e la bocca al bel rossore
lite facean per giudicarla Amore.

53Ma su ’l corpo gentil d’acciar lucente
eran le vesti e luminose e grevi:
forse il duro rigor de la tua mente
con le dure arme palesar volevi.
Così tutto d’intorno aureo e splendente
sole amoroso a gli occhi miei parevi:
l’alma s’abbacinò tra mille e mille
pungenti raggi e lucide faville.

54Ma che? vago e gentil ch’il crederia?
Sembri Amore al sembiante e Marte a l’opre,
e de le nevi la beltà natia
mille incendi di guerra asconde e copre.
Così, giunta al valor la leggiadria,
e d’alme e corpi vincitor ti scopre,
e così sembri a noi vaga pantera,
che in un si mostra alletratrice e fiera.

55Onde d’alloro e mirto illustre ed alma
corona amico il Ciel ti pose in sorte,
dando a te le lor armi e la lor palma
duo gran numi potenti Amore e Morte
Dolce conforti col bel viso ogn’alma,
ma tremenda è al ferir la destra forte,
e da te grato e fier con modo eguale
a un punto vien la medicina e ’l male.

56Ma s’a l’opre di Marte il Ciel t’ha eletto,
mercé del tuo infinito alto valore,
lode fia non minore esser pur detto
in ascosa tenzon guerrier d’Amore.
Lega faranno entro il tuo regio petto
duo gran numi potenti Amore e Onore:
e proverai più degni e più vivaci
ed imprese e trionfi e guerre e paci.

57Guerre ove verserà gioia e dolcezza,
in vece d’atro sangue ogni ferita,
ove il languire e la prigion s’apprezza,
e per dolce morir s’odia la vita.
Ma che più mi dilungo? ogn’alma è avvezza
al vivo ardor d’una beltà gradita,
e s’un nobile amor non t’apre e spetra,
duro ben sei via più che ghiaccio o petra.

58Ma se per mia sventura estrano amore
t’adescò, t’infiammò la mente e ’l petto,
sì che spreggi colei che dentro il core
ha l’alta tua bellezza idolo eletto,
impresa avrai per superar maggiore,
e proverai con onta e con dispetto
ciò che far contra te sarà bastante
donna reale ed inimica e amante».

59Così scriss’ella, e con un messo fido
mandar la lettra al capitan procura.
Ma il cieco ardore e ’l folle amore e infido
quelle note legendo egli non cura,
ma perch’Amor, pur come antico è ’l grido,
penetra ogn’alm’ancor ch’alpestr’e dura,
non dispera l’amante, e in mille modi
di legarlo a suo modo ha inganni e frodi.

60E perché coi rivali entro quel petto
destar fiamme amorose avien che speri,
ed ascondendo nel suo gran concetto
contra il campo cristiano empi pensieri,
colà s’indrizza ove con grato aspetto
fa benigne accoglienze a i suoi guerrieri,
né de’ sospir, né de gli sguardi è schiva,
e le fiamme aggradendo il foco avviva.

61E cortese dimostra a i vaghi amanti
grata la fronte, quasi un ciel sereno;
ed invita a venir mill’alme erranti,
quasi in placido porto, al suo bel seno:
E i tesori d’Amor sì vari e tanti,
onde il suo corpo, onde il suo spirto è pieno
sparge, versa e comparte in dolce foggia,
quasi Giove converso in aurea pioggia.

62E scaltra e destra, come il tempo mira,
così l’aspetto ha di cangiare aviso:
or onesti or lascivi i lumi gira,
or l’alterezza ed or adopra il riso;
amorosa mutanza, ove s’ammira
sempre nova bellezza entro quel viso.
Sempre per quei bei gesti adopra Amore
novi strai, novi lacci e novo ardore.

63Volge talor con incomposto aspetto
dolci i bei lumi, e non curanti e schivi;
ma per forza d’Amor con più diletto
incolta la beltà vien che s’avvivi.
Fa con fasto vezzoso il crin negletto
ventilando vagar co i fiati estivi.
e con gradita e leggiadretta froda,
mentre scioglie quei lacci i cori annoda.

64Ma s’industre tal volta ella si mira
far co i pregi de l’arte il viso adorno,
e i bei gesti compone e grave gira
con reale alterezza il guardo intorno,
l’aria la riverisce il ciel l’ammira
lume s’aggiunge co i bei lumi al giorno
Febo stupisce, ed invaghito vuole,
farsi novo Elitropio a sì bel sole.

65Or pur come d’Amor non sappia molto,
cortese volge e sempliciotto il guardo;
or sagace si finge e gira il volto
con gentil accortezza e bel risguardo.
Or modesta, e pudica in sé raccolto
l’aspetto inchina vergognoso e tardo,
ed or lieta e vezzosa a l’improviso
dolce mostra le guancie e forma un riso.

66Ed apre e manifesta i bei tesori
di vive perle e di rubini ardenti,
e sgorga e versa in quel momento a i cori
tempesta di dolcezza e di contenti.
Mandan lampi i begli occhi, ed escon fuori
da un bel varco di gemme amati venti
sì ch’altamente in tal maniera inonda
il gran mar del diletto e l’alma affonda.

67Stassi a gesto sì bel fermo e conquiso
stanco ogni guardo e a contemplar attende,
come di duo bei lumi in quel bel riso
la scherzante palpebra il foco accende.
Ride la bella, e con accorto aviso
ridendo il riso addoppia, e ben comprende
la sagace d’Amor leggiadra maga
che la bocca ridente appar più vaga.

68Così reti e quadrella ognor mutava
qual bella cacciatrice in prender cori,
che s’un laccio tal ora alcun schivava,
un altro il fea poi d’ogni scampo fuori.
Chi fea schermo al bel riso, e poi provava
per la dolce onestà potenti ardori;
chi fugge questa, e poi tra cari vezzi
giamai non fia che libertade apprezzi.

69Quasi accesa farfalla, altri s’aggira
al vago lume de’ begli occhi intorno.
Per quel dolce candor altri sospira,
che move a gli alabastri invidia e scorno.
Altri i placidi accenti, ed altri ammira
gli aurei giri natii del capo adorno,
ed altri con la mente e gode e tocca
le rose or de le guancie or de la bocca.

70Alcun timido e lasso a pena puote
a quel Sol di beltà volger l’aspetto.
Tace il meschino, e su l’esangui gote
mostra il cenere freddo e ’l foco al petto
Sol apre co i sospiri e con le note
del sembiante loquace il caldo affetto,
e di pensier l’ascosa fiamma pasce,
che in se medesma si consuma e nasce.

71Alcuno, a cui l’età giunta a l’amore
Fa desti i sensi, e l’animo vivace
Di qua, di là s’aggira, e dentro, e fuore
Tra le genti s’affligge, e non ha pace,
E mostra il vivo ardor, ch’ingombra il core
Per l’avid’occhi, e per la bocca audace:
Foco ha ne’ i detti, e foco ha in petto accolto
Mostra foco nè’ gesti, e foco al volto.

72Alcun dapoi, cui gli amorosi strali
son più fissi ne l’alma e più ferventi,
sol goder la vorrebbe, e i rai vitali
cupido brama ei solo aver presenti;
e fanno al petto suo piaghe mortali
tant’altrui guardi, al caro viso intenti:
e punto il cor di tormentoso zelo,
da le fiamme amorose apprende gelo.

73Ma se vario è l’amor, pur varia e destra
co’ soggetti costei trattar si mira,
e come in su l’arcione a manca e a destra
industre Cavaliero un corsier gira,
così del fren d’Amor nobil maestra,
mille affetti ravvolge e allenta e tira.
Così cangia a mill’alme, e dona e toglie
con industre accortezza e gioie e doglie.

74A chi teme e paventa, acciò il timore
non scacci col suo gel d’Amor la fiamma,
affida acciò che parli, e in dolce ardore
co’ bei lumi ridenti il petto infiamma.
Quel fassi ardito, e tenta mostrar fuore
il foco, onde si strugge a dramma a dramma:
ma mentre ei vuol formar l’egra parola,
l’empia volgesi a gli altri e ’l viso invola.

75Ahi, come doni e togli ogni tuo bene,
dispensiera crudel, beltà spietata,
che benigna ti mostri, acciò le pene
si raddoppin di poi, sembrando ingrata.
Pur come allor che risanar si viene
d’altrui medica man parte impiagata,
s’è ripercossa poi, si sparge ed esce
il sangue a larga vena e ’l duol s’accresce.

76Ma, se mai per udir l’altrui tormento
s’offre talor più lusinghera e pia,
sì l’appaga, e sì lieto e sì contento
fa la maga beltà l’uom che desia,
ch’altro il mesto non brama, e in quel momento
quel c’ha da dir, quel che l’affligge oblia,
e la bocca formar distinte note,
soffogata in dolcezza, a pena puote.

77Vèr gli audaci dapoi grave e severo
gira il bel volto, e parca è del bel riso,
ma sembra in lei, pur come in trono altiero,
In sembianza di sdegno Amore assiso.
Di rigor, di dolcezza, e grato e fiero
amorosa union serba il bel viso,
e la faccia gentil, cruda e gradita,
morte a l’alme minaccia e dona vita.

78E s’alcun il suo duol procura dire,
essa mostra al sembiante aspro furore.
Quel tace, e ’l foco che tentava uscire,
Parte manda su ’l viso e parte al core.
E talor se d’alcun l’avviene udire
or per cenni or per detti il cupo ardore,
o se gl’invola o non veder pur finge
le fiamme, e l’arte sua con arte infinge.

79O pur china il sembiante, e in se raccolto
sparge d’un bel rossor l’aspetto intanto,
d’un bel rossor, d’un bel color, c’ha tolto
de la porpora a gl’Indi il pregio e ’l vanto,
e par copra natura il nobil volto,
non potendo col vel, con roseo ammanto,
o, avampar non volendo entro il bel petto,
arda foco d’Amor nel vago aspetto.

80Mostrasi co i rival varia e fallace,
perché di gelosia cresca il rigore,
e quelle liti rimirar le piace,
poiché la gelosia cote è d’Amore.
E con quel ghiaccio l’amorosa face
via più s’accende e via più ferve al core.
come sovente in un rinchiuso loco,
circondato dal gel s’avanza il foco.

81D’amorosi bisbigli è pieno il tutto,
e d’incerti disegni e van desiri.
Brevi sdegni, ire folli e dolce lutto
s’odon d’intorno, e gemiti e sospiri.
E quasi un vasto e concitato flutto
che tra scogli sonanti erri e s’aggiri
freme e vaga il gran campo, infellonito
posa non trova, e non ha legge o sito.

82Posto è il ferro in oblio, né più d’onori
la dolce speme i petti amanti alletta;
sol tra molli lascivie, e vani amori
hanno il lor vanto e la lor gloria eletta.
Anzi ogni capitan, come ne i cori
l’infiammata follia comanda e detta,
con la donna ragiona, e far s’adopra
o partenza od inganno o simil’opra.

83Sol tu, saggio, non ami e nulla apprezzi
le caduche bellezze, o forte Alone,
e ’l fiero assalto di sorrisi e vezzi
costantissima in te sostien ragione.
E avien ch’ogni suo stral da te si sprezzi,
son quelle fiamme al petto tuo mal bone,
ch’altro ardor, altro dardo ivi non vale,
ov’è foco celeste e santo strale.

84Come, benché sostenga altiero monte
la pioggia e ’l vento, che l’assale e gira,
pur fermo stassi, e con invitta fronte
sempre forte e costante il ciel rimira,
cosi costui, benché gli assalti affronte
de le lusinghe ch’un bel volto spira.
Saldo egli gode, e con immota mente
la bellezza del ciel quasi presente.

85E ben del folle vaneggiare altrui
sente il saggio nel cor pungenti affanni,
e tien provido intenti i pensier sui
per evitare o tradimenti o danni.
E ben pur come certi erano in lui
per quella tregua del pagan gli inganni,
destro affrena i tumulti e pien di scorno
sta sdegnoso aspettando il terzo giorno.

86Né men di lui contra quell’empia il petto
Aiton dimostrò saldo e costante,
che non potea, sendo a le stelle eretto,
de le cose terrene essere amante;
ond’esso, o non mirolla, o niun diletto
gli occhi trasser giamai da quel sembiante.
Gli altri, da la beltà vinti e delusi,
restar negli empi lacci avvolti e chiusi.

Filindo è mandato a Mustace: si accorda per un incontro notturno con Persina (87-102)

87Ma se di viva e strana fiamma Amore
in questa tregua il nobil campo accese,
con ardor più potente il suo valore
ne la forte città mostrò palese.
Il sai Persina tu, sallo il bel core,
meta ben certa a l’amorose offese,
ove di quell’immenso amante stuolo
s’unìr fiamme cotante a un foco solo.

88Ella nel suo palaggio ebbe presente,
venendo ostaggio, il suo garzon diletto:
e in quel punto sentì più fieramente
da l’incendio vicino acceso il petto
Lieta mirollo, e con quel guardo ardente
s’affissò, s’internò nel caro aspetto,
ma negolle la gente, il tempo e ’l loco
vagheggiar lungamente il suo bel foco.

89E già, partendo il Sol, la notte avea
spiegate algenti e tenebrose l’ale.
Ella corse a le piume, ove credea
l’alta piaga addolcir de l’empio strale,
misera amante che non ben vedea,
ch’a la febre d’Amor piuma non vale:
e sul letto ha più forza e più vigore
come in propria magion regnando Amore.

90Su le morbide piume indarno posa
la bella ignuda, e forsennata amante,
ch’errando in cieche vie non trova posa,
offuscata d’amor l’alma vagante.
Mille voglie e pensier dubia e bramosa
forma, guasta e rinova in uno instante:
di desir in desir, di speme in speme
gira e s’avolge, e ’l cor tormenta e geme.

91Pensa e s’affligge, e l’amorosa cura
con la vista del dì prende possanza,
e nutrisce del cor l’immensa arsura
con cibo di disegni e rimembranza.
Ne l’aer cieco e ne l’anguste mura
più del petto l’ardor cresce e s’avanza,
sì come in notte ed in rinchiuso loco
via più si vede ed ha più forza il foco.

92Né a l’alma sol, ma al vago corpo ancora
son le cure d’Amor gravi e moleste:
fredde piume cercar sembra talora,
per temprare del cor le fiamme infeste.
Oh che vago spettacolo in quell’ora
algenti voi notturni orrori aveste,
mirando errar tra bianchi lini ignude,
le verginee bellezze intatte e crude!

93Posa il corpo non trova, e fiamme ardenti
da l’incendio ch’accoglie il petto spira,
e l’alma involta in gran pensier pungenti
entro brama e furor, vaga e delira.
Nave in ampio ocean tra fieri venti,
Ission, ch’a la rota ognor s’aggira,
Sisifo che ’l gran sasso in alto mena
son lievi paragoni a la sua pena.

94Ma s’ella qui s’affligge, anco in disparte
s’ange colui ch’è del suo mal cagione
Su le piume noiose, oh quante ha sparte
meste lagrime indarno il bel garzone!
Per ottener la bella amata ogn’arte,
aggitando il suo cor libra ragione,
né serrar può le luci in breve sonno,
ché le cure d’amor dormir non ponno.

95E lo stimol c’ha in sen aspro e pungente,
percotendogli il cor, desto il tenea,
e un laberinto l’agitata mente
di confusi pensier fatta parea.
Pur quando rugiadosa in Oriente
il suo stellante crin l’alba scotea,
stanco gli occhi al fin chiuse e in dolce Lete
l’alma afflitta sommerse e trovò quiete.

96Ma non per questo già lascian quietare
Il bel cupido petto Amore e spene,
e gli voller dormendo ancor mostrare
le gradite pur troppo e gioie e pene.
Vedeva in sogno un bel pomposo mare,
c’ha le sponde d’argento e d’or l’arene,
e ignudi a nuoto entro quei vaghi umori
guizzavan Grazie e pargoletti Amori.

97Nettare è l’acqua, e ovunque ondeggia e gira
fa d’eccelsa armonia nobil concento.
Ride il ciel che gli è specchio, e vago spira
grato odor sopra quel scherzando il vento.
Or mentre tai vaghezze e gode e mira
stupido il bel garzon col guardo intento,
ecco venir su l’onde in conca aurata
nuda, qual Citerea, la cara amata.

98Folgoravan le chiome, e fean correnti
con girevoli intrichi un aureo gioco,
e sfavillavan placidi e ridenti
gli occhi, faci d’Amor, nembi di foco.
A tal vista amorosa i lumi intenti
volse il garzone, e ’l rimirar fu poco:
salta nell’onde in su la conca, dove
giacean l’alte bellezze intatte e nove.

99Salta, ma non già ben d’intrambi il pondo
quella picciola conca allor sostiene,
onde voltossi, e ’l bel garzone al fondo
de le vaghe dolci onde a cader viene.
Tutto allor si commosse il mar giocondo,
e lampeggiaron le dipinte arene;
stette il ciel, tremò l’aria, e per amore,
soffocato il garzon, già langue e muore.

100Ma nel finto morir vien che si deste,
e nato mira in Oriente il giorno,
onde egli sorge, e de l’usata veste
cinge le membra delicate intorno.
Ma perché nel suo cor fiamme moleste
ognor soffria per quel bel viso adorno
novi ordigni prepara, e vari e spessi
mandar cerca a la donna e lettre e messi.

101Ma per cagion egual non già prendea
riposo alcun la donzelletta ardente,
e perché il cupo ardor sempre crescea
mesta sen venne, e con parlar dolente
a la Nutrice sua, che fida avea,
l’invecchiata scoprì piaga pungente.
Essa l’affida, e a l’amorose frodi
mette in ordine industre ed arte e modi.

102Volan secrete lettre e stuol confuso
vaga di fidi messi e dentro e fuore.
E l’impresa guidò sì fuor d’ogn’uso,
benché fanciullo e benché cieco Amore;
ch’ebbe il fin l’alta impresa, e fu conchiuso
ch’al bel garzon per appagar l’ardore
venghi la donna, al bel duello accinta,
de la notte seguente a l’ora quinta.