ARGOMENTO
Lungi è portato Alon da larva errante.
Arriva a Babele un ignoto cavaliere, che sfida a giostra ambedue i campi, e disarciona molti guerrieri e il duce pagano Almacco (1-28)
1A la scena terrestre il velo intanto
rompea l’aurora, e de gli augelli il coro
dolce a venir fea vago invito e canto,
al sol cinto di raggi in veste d’oro,
quando là dove entro i suoi flutti è franto
l’Eufrate, e al mar sen va gonfio e sonoro,
venìa d’estrani fregi adorna e grave
per l’ondoso sentier pomposa nave.
2Con contrario sentier l’altera sponda
il gran legno fendea de l’ampio fiume,
e a dietro, e intorno mormorando l’onda
tumide forma ed argentate spume.
Di gemmate bandiere e fiocchi abbonda,
e par la poppa di piropi allume,
ed ha l’antenne e le grand’assi aurate,
e le vele d’argento al ciel spiegate.
3Fermi a vista sì strana i lumi intenti
il pagano e ’l fedel dubbioso tiene,
e discorron tra lor dubbie le genti
chi la manda, chi porta e perché viene.
Ammirato il gran legno a moti lenti
presso a l’alta Babelle al fin perviene,
l’ancora affonda, e pria le vele stringe
e ricchissimo ponte al lido spinge.
4Indi scender si vede alto guerriero,
che d’acciaio ingemmato era vestito.
Altri a dietro gli guida un gran destriero
d’armatura barbarica guernito.
Tra il campo e la città prende il sentiero
il cavaliero in su ’l corsier salito,
e crolla eccelsa e smisurata lancia
che fece a mille impallidir la guancia.
5Spira orgoglio, fierezza e gagliardia
al portamento il cavaliero estrano,
e par che eguale al suo valor non sia,
se al sembiante viril pare la mano.
Egli, fatto vicin, duo messi invia,
l’uno al campo fedel, l’altro al pagano,
ed è da loro in pochi detti esposta
questa d’orrido ardir fiera proposta.
6Che da gloria sospinto era arrivato,
per farsi illustre un cavaliero ignoto,
e sostener contra ogni braccio armato
costantissimo il piede e ’l petto immoto;
onde s’alcun da giusto ardir guidato,
far volesse con l’armi il valor noto,
a duellar con ogni forte è accinto,
se premio fia del vincitore il vinto.
7Tal fu l’alta proposta, e ’l vivo ardore,
ch’era desto già dianzi, andò infiammando,
e al crudo Borea del guerriero onore
più l’incendio di Marte andò avanzando.
Già s’adatta ciascuno il corridore,
e la spada e la lancia e l’elmo e ’l brando:
e mandàr quinci e quindi un messagiero
i cristiani e i pagani, e tregua fero.
8Loco è là, dove il peregrin campione
vago d’alte prodezze era fermato,
che teatro rassembra o novo agone,
ché di piccioli colli è circondato.
Pronto qua venne a la mortal tenzone
questo popolo e quello in sella armato,
e quinci e quindi col suo stuol guerriero
sta il magnanimo Alone e Almacco il fiero.
9Né volle alcun guerrier star in disparte,
sia pur imbelle o coraggioso e forte,
che stima ben che il disusato Marte
qualche strana avventura avvien ch’apporte.
Stan ferme incontro e in questa e in quella parte
le schiere avverse in lor difesa accorte,
ed a l’estran tra quelle squadre e queste
largo il campo a la giostra avvien che reste.
10Ma chi fu quell’audace cavaliero,
che prima il fiero arringo ebbe provato?
Tu del campo cristian fosti il primiero
o superbo Alanzone, in Mosca nato.
Tu d’oro e forza e de’ grand’avi altiero
l’armi spreggiavi, e de le stelle il fato,
e ’l primiero ancor tu, debile e stanco,
sopra il duro terren rompesti il fianco.
11Trasse l’orrido colpo alto stupore,
e degna invidia in questo campo, e in quello.
Ma s’infiammò del fier Dragutte il core
ne l’ira altiera, e forsennato e fello
la grand’asta sospinse e ’l corridore,
qual volante saetta al fier duello:
Ma provand’ei de l’aspra antenna il pondo,
fu nel giostrare e nel cader secondo.
12Corbana il Turco, e Muleasse il Moro
per tentar la lor sorte in giostra andaro,
ma il fato estremo e la vergogna loro
su la fronte trafitti in un trovaro.
Come svelte al soffiar d’Africo e Coro
antichissime quercie in giù cascaro.
E poi diede il superbo Arimidante,
che disfidava il cielo, al ciel le piante.
13L’asta poi per urtar chinaro al basso
prima Faulo e Agolante, indi Mazeo,
figli del crudo Almacco, e infermo e lasso
steso l’un dopo l’altro al pian cadeo.
Cangio, Oldrico, Filemo, e Farnabasso
caddero appresso, e dietro a lor Sicheo,
e sbalzò Florio sì lontano ed alto
che sembrò la caduta industre salto.
14Ogni scudo, ogni usbergo è vano e frale,
sia pur saldo diaspro o pur diamante.
Trema e s’arretra e contrastar non vale
ogni gran possa a la gran possa innante.
Qual fortissimo acciar l’asta fatale
sempre sta ferma e nel colpir costante,
e con strano valore ovunque tocca,
sia qualunque armatura, al pian trabocca.
15Come scoglio talor, che su l’arena
de l’ondoso Tirreno immoto siede,
corre a lui l’onda altiera, e giunta a pena
cade spumando e rintuzzata cede,
così di Marte in su la folta scena
cader pugnando ogni guerrier si vede.
D’egri malconci, e selle vòte è il piano
colmo, e d’aste, o non rotte o rotte in vano.
16Questi, e d’altri un gran stuol, che nel suo nero
grembo, privo di fama, il tempo ha involto,
ha con danno e disnor tocco il sentiero
da la gran lancia in varie guise colto.
Stupisce Alone e tiene Almacco il fiero
fiso nel cavalier l’orribil volto,
e nel suo core impetuosa e folle
al foco del furor l’invidia bolle.
17«Dunque» dice il pagan «non fia che cada
l’alto ardir di costui vinto e punito?
e soffrirò che di duo campi vada
vincitor trionfando al patrio lito?».
Così dicendo più non stette a bada,
ma con l’asta abbassata al campo è uscito,
e l’uno e l’altro a le vicine prove
rapidissimamente il corsier move.
18Ma l’accorto pagan, ch’esser vedea
periglioso la giostra andar tentando,
volle scampar quella percossa rea
de l’avversario suo l’asta schivando,
e ritentar, se superar potea,
poi col secondo paragon del brando.
Così egli sprona e, nel giostrar maestro,
corre e lascia il nemico al lato destro.
19Depon la lancia, ed in quel punto ha tratta
la spada Almacco, ed al guerrier si volta.
Ma l’ignoto campione anco s’adatta
per l’arringo vietato un’altra volta.
Grida allora il pagan: «La giostra è fatta,
e se non già la nostra lite è tolta,
giudice il brando sia, che star non deve
preso nel fianco e neghitoso e greve;
20ché nel gran braccio e ne l’invitto core,
e non sta ne la lancia il valor vero».
«Speri» risponde quel «con vano errore
vincer con mutar armi, o cavaliero;
ma ben ti mostrarò che il mio valore
nel brando è più che ne la lancia altiero».
Tacque, e l’asta lasciando irato, e crudo
a ferirlo sen va col brando ignudo.
21Ma il fier pagan, che d’egual tempra ancora
la spada aversa al par de l’asta crede,
prende lo schermo, ed or minaccia ed ora
s’arretra ed or s’aggira, or parte or riede.
Tenta stancarlo con fuggir talora,
or colpisce improviso e poscia cede,
e con vario girar di scudo e freno
gli altrui colpi fa vani, o lievi almeno.
22Ma s’avviluppa la mortal tenzone,
e crudo Almacco e non curante è fatto,
e qual destrier da violento sprone
da fieri colpi a novo sdegno è tratto.
Par tra torbida nube il brando tuone
ne l’aer polveroso urtando ratto.
e s’odon quasi ripercosse incudi,
strider l’usberghi e rimbombar gli scudi.
23E ciascun colpi impetuosi tira,
e ferito ciascun non sente duolo,
e dove il ferro lampeggiando gira
geme l’aer diviso e trema il suolo.
Fiera e strana è la zuffa, ove si mira
guerra di quattro in un incontro solo,
perché non pure i Cavalieri han presa,
ma destrier e destrier, pugna e contesa.
24I corsieri, o stupor, di sdegno ardenti,
doppian de’ lor signori i colpi e l’onte,
e con aspro adoprar di calci e denti,
dansi percosse ed iterate e pronte.
Di sangue e questo e quel versa torrenti
e dal ventre e dal petto e da la fronte.
né di ferir, né di pugnar s’appaga,
ma del sangue nemico ognun s’allaga.
25Par che pugni ne l’aria e questo e quello,
e che fatto ognun sia destrier volante.
Più s’inaspra ne l’ira ed è più fello
ogni guerrier su ’l corridor pugnante.
Nel raddoppiato, ed orrido duello
tiene il Moro e ’l fedel fiso il sembiante.
d da’ lor moti ogni palpebra pende,
e ’l fine incerto paventando attende.
26Ma d’Almacco il caval con calcio fiero
grave offesa al nemico in fronte diede;
onde in terra cadeo, qual colle altiero
che a gran torrente ruinando cede.
Cade seco l’estran, ma dal destriero
si sviluppa in un punto, e salta in piede,
e senza tema al gran pagan rivolto,
oppon la spada minacciando e ’l volto.
27Fermasi Almacco, e dice: «Indegno onore
prender non deve un cavalier perfetto,
né convien disvantaggio al mio valore»,
e scende ratto dal destrier, ciò detto.
«T’abbi» l’altro soggiunse «o con disnore
o con gloria verace il vanto eletto,
stolto, ch’or or vedrai con tuo tormento
s’io disvantaggio o minacciar pavento».
28Corse con questo dire, e tanta e tale
gli diè percossa inaveduta e presta
che stordita ed attonita non vale
sensi formar la vacillante testa.
Cade il pagan, e ’l corpo esangue e frale
tra la vita e la morte incerta resta.
Rise l’estran, poi disse in voce altiera:
«Or venghi pur chi vendicarlo spera.
Alone viene a battaglia ma il cavaliere fugge con il suo elmo: egli lo insegue fin sulla nave, ma quando ci sale questa prende il volo (29-45)
29Su su, che state a bada? Omai venite,
aste abbassate, e corridor movete,
e le schiere e le forze insieme unite
contra d’un solo avventurier giungete».
Ma stupide le genti ed avvilite,
Stavan ferme ed immote, e mute e quiete,
come sa gli occhi lor stato rivolto
fosse improviso di Medusa il volto.
30Sentissi allora il sommo eroe cristiano
di furor e d’onor pungente sprone,
e castigar quel rampognar insano
o nobilmente egli morir dispone.
Ei smontò dal destriero, e scese al piano
venir mirando il suo rival pedone,
e come entro gl’ircan le tigri e gli orsi
con fierezza spietata ambi son corsi.
31Stan con avide luci e ferme e intente,
dubbie tutte le schiere in quella uscita.
e attende incerta e questa e quella gente
del duello crudel l’alta riuscita,
quando a l’urto primier diede repente
l’estran colpo su l’elmo al duce scita.
salta l’elmo dal capo, e a l’improviso
folgora il guardo de’ begli occhi e ’l viso.
32Come di cieche nubi entro il confine
esce il lampo e disserra il ciel turbato,
così mezzo del ferro il biondo crine
repente lampeggiò tra il campo armato.
A l’eccelse fattezze e peregrine
restar parve l’estran quasi ammirato,
poscia alquanto s’arretra, e trema e cede
e move incerto e paventoso il piede.
33Stupido resta Alone, e perché mira,
che il fallace nemico inganni finge,
guardingo in se medesmo il piè ritira
ed ogni forza al capo in guardia stringe.
L’altro per varie vie dubbioso gira
e con schermo diverso il ferro spinge,
ed a i moti e a gli assalti è sì leggiero
che delude con gli occhi anco il pensiero.
34Or fassi audace ed or colpisce in vano,
or negli atti si finge e folle e stolto;
ma tra tanto girar l’elmo al cristiano,
ch’ivi in terra giacea, repente ha tolto.
Il prese, e poscia al cavalier sovrano
disse, quasi ridendo, egli rivolto:
«Io vado, e l’elmo tuo basti che sia
degno trofeo de la vittoria mia».
35Parte con questo dir, ma il siegue ratto
il duce pien di fiero sdegno e doglia,
che stima alto disnore a lui sia fatto
s’avvien che l’elmo suo questi gli toglia.
Corre il fedele, e sembra punto e tratto
sia pur occulta violenza o voglia;
ma quel veloce è sì che ne l’arena
lascia del piè picciol vestiggio a pena.
36Ed a fuggire ed a seguire intento
questo e quel sembra aver le piante alate.
Giungono al fin dove sonoro e lento
va per l’ampie sue sponde il chiaro Eufrate,
ove l’eccelsa e ricca nave al vento
le pompose bandiere aveva alzate
e mostrava stendendo al lido il ponte
a salirvi le vie facili e pronte.
37Salta l’estrano, e snello a dietro a lui
corre il Duce adirato, e ascende ancora.
Corre, e i passi di quel co i passi sui
ei preme, e par che il prenda ad ora ad ora.
Ma quel, sempre schernendo i lumi altrui,
da la poppa talor fugge a la prora,
poi da la prora a la gran poppa, e snello
salta, e s’aggira in questo lato e in quello.
38Il siegue il gran guerriero, e con gran cura
gli stringe i passi, e colmo ha il sen d’ardire,
e vuol di quella estrana alta ventura
veder l’ultima meta o pur morire.
Ma da le mani altrui s’invola, e fura
sempre instabil colui, sempre mentire
vario e incerto nel moto il piè si vede
qua fuggir finge, e là si volge e cede.
39L’estrano al fin, per vari giri errando,
verso il fondo del legno il camin prende,
e l’invitto campion pur seguitando
fiero il minaccia, e ratto a dietro scende.
Scende, ma il guardo al basso egli girando
nessun vede, oh stupore!, e in alto ascende,
e ’l tutto guata, e pien di rabbia e d’ira
s’avvolge intorno, e nessun sente o mira.
40Ecco fra tanto quando men s’avvede
sorto da l’acque in mezzo a l’aria il legno,
e sospeso ne l’alto egli si vede
varcar le nubi e di Giunone il regno.
Orribil mostro in su la poppa siede,
che dirizza la nave a incerto segno,
e le vele non tocche in un momento
son già disciolte, e le fa gonfie il vento.
41S’ersero i crini, e un agghiacciato orrore
saria ben scorso al gran guerrier per l’ossa,
ma in quel momento il valoroso core
l’ardimento avvivò, destò la possa.
Portar si vede omai dal mondo fuore,
né modo ha già come scampar ei possa,
e larve e mostri e spaventose forme
gli si aggiran d’intorno a torme a torme.
42Ma come il braccio, e ’l petto, anco la mente
ha nel forte campion di possa il vanto,
e con pensier al gran Motor presente
confida, qual guerrier pietoso e santo.
Chinasi al basso, e mira la sua gente
che torna quieta in vèr le tende intanto,
e par del suo partir non prenda cura,
ed entrar i pagani a le lor mura.
43Poggia in tanto la nave e si sublima,
che par l’antenne sue tocchin le stelle,
e si scorge di sotto oscura ed ima
la gelata region de le procelle.
Corre veloce, e come l’onde in prima,
or sonan l’aure ripercosse e snelle.
Rapido è il legno, e non si sa vèr dove
per l’estrano sentiero il corso move,
44né qual clima si lascia, o qual si prenda,
né in qual parte si stia mirar si puote.
L’aria, lucida dianzi, or atra e orrenda
sembra al senso formar contrade ignote.
Sta con animo invitto e con tremenda
faccia il duce sovran, né cor gli scote,
né se le fauci de l’orror eterno
avesse aperte ad ingoiarlo Averno.
45Corse per buona pezza, al fin da lunge
si vede estrano e disusato lume;
Febo s’oscura, e lume al ciel s’aggiunge,
fatto chiaro e sereno oltre il costume.
Qua s’indirizza il legno, e al fin qua giunge
dove par, ch’alta luce il tutto allume.
Scende al suolo la nave, e lieve e presta
s’apre e dispare, e in terra il duce resta.