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Babilonia distrutta

di Scipione Errico

Canto IX

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 3.05.15 13:29

ARGOMENTO
Pugnasi con l’Amazzoni novelle.

Alone accetta la proposta di terminare la guerra con una battaglia di campioni (1-13)

1Ma il gran pianeta che rimena il giorno
chiaro in tanto sorgea da l’Indo fuori,
e seminava dal suo carro adorno
nel mondo i raggi, onde nascean gli ardori.
Salutavan vezzosi il suo ritorno
con volar, con garrir gli augei canori,
quando nel vallo dei cristiani appresso
venir de la città si scorge un messo.

2Giunse ed entrar fu fatto e al capitano,
vaghi d’udir novelle, il guidàr molti.
Mentre a la tenda del guerrier soprano
eran per tempo i maggior duci accolti
egli entra e con inchino altiero e umano
onora tutti e poiché in lui rivolti
de i magnanimi eroi vide gli aspetti,
sciolse accorta la lingua in pochi detti,

3«Poiché quiete non vuoi, né d’altra via,
che da l’armi la pace attendi e speri,
e menan vita travagliosa e ria
e la nostra cittade e i tuoi guerrieri,
il mio signor, che a più tranquilla e pia
vita in ogni stagion volge i pensieri,
brama che tutti sian gli odi e le liti
per un breve duello or definiti.

4Onde s’eleggerà schiera più forte
e de la nostra e de la vostra gente
e s’apriran de la città le porte
se il cristiano drappel sarà vincente.
Ma partirai, se per contraria sorte
il nostro fia più nel pugnar potente,
e toglierai senza più sangue e danno
noi di tema in breve ora e te d’affanno».

5Tacque, e ’l duce sovran, cui dianzi a pieno
l’opre future il santo messo espose,
con un sembiante placido e sereno
e magnanimo dir, così rispose,
«Posti in opra tai patti a punto fieno
pur come gli altri il vostro re già pose.
Siegua pur ciò ch’egli ha ne l’alma eletto,
che io nulla curo e ogni disfida accetto.

6Onde il numero, il tempo e l’armi e ’l campo
scieglia e prenda il Califfa a suo volere;
ma non per questo ei già riparo o scampo
de la destra del Cielo a i colpi spere».
Disse e vibrando un luminoso lampo
del magnanimo eroe le luci altiere,
tutti infiammò di marziali ardori
de l’invitte sue schiere e l’alme e i cori.

7Partissi ed a Mustace e ad Alderano
ritornando l’araldo il tutto espose,
e tra ’l popol fedele e tra il pagano,
picciola tregua a suo voler compose,
ond’il Califfa e ’l sommo eroe cristiano
sottoscrisser lor nome in brevi prose
che contenean del gran duello i patti,
che poi giurar e custodir fur fatti,

8che sol per suoi campioni ognuno avesse
di tredici guerrier la schiera eletta,
e vincendo il pagan, non si tenesse
più la cittade in duro assedio astretta,
ma, perdendo il pagan, Babel cedesse
e si dasse al cristian presa e soggetta.
E, vaga di pugnar l’avversa gente,
stabilir la battaglia il dì seguente.

9Così sendo conchiuso, incerta ogni alma
il dì seguente desiosa attende,
e in varia lance o di cipresso o palma
la speranza dubbiosa incerta pende.
Ma di morte o di fama illustre ed alma
vago ciascun tra le cristiane tende
corre ed esser eletto insiste e prega
dal gran duce al duello, ed egli il nega.

10Poi, con accorto avviso, a sé chiamati
dodici fior del campo alti guerrieri,
che posti già ne gli amorosi aguati
al servir inchinar gli animi altieri,
e dopo lunghi errori eran tornati
seco da lochi incogniti e stranieri,
questo d’invitti eroi nobil drappello
scelse il duce sovrano al gran duello.

11«Perché la meta egli medesmo impone
di quei tredici al numero prescritto,
fatto abbiam noi da l’Artica regione
(dicea), scorti dal ciel lungo tragitto,
ed or che noi prendiam degna tenzone
per l’honor di là su dunque è ben dritto,
e la destra di quel ch’unqua non erra
che in camin ci aitò, ci aiti in guerra.

12E se di vani e travagliosi errori
per Bessana narriam ben lunga historia,
e se fugemmo i suoi fallaci amori,
nostro vanto non già ma del Ciel gloria,
de le magiche sue forze e furori
con aita celeste avrem vittoria;
e d’averla spreggiata ognun si vante,
e feroce inimica e folle amante».

13Da l’altra parte entro l’avverse genti
dodici donne e Saladino il fiero
bellici insieme e magici strumenti
han tutti in apprestar volto il pensiero.
Mormora a voglia sua carmi potenti
su l’elmo, su lo scudo e su ’l cimiero
d’ogni donna la maga, e spera in tanto
ogni palma acquistar per via d’incanto.

Le due squadre vanno al campo e si danno battaglia, ma presto lo scontro degenera in scontro campale: i pagani sono vinti e si ritirano (14-81)

14E schernisce e non teme e spreggia, ahi stolta,
ogni valor de la nemica gente,
e l’empia turba in cieche larve involta
applauder folle ed acclamar si sente.
Ma il sol già data aveva intanto volta
col suo lucido carro a l’Occidente,
e fredda omai sorgea la notte oscura,
placido oblio d’ogni noiosa cura.

15Sol quiete il fidel campo e la cittate
tra le tenebre dolci aver non ponno,
e indarno intorno a lor l’ale sue grate
dolce dibatte e lusinghiero il sonno.
Ma sdegna in tanto Saladin l’odiate
piume e fatto di lui signore e donno
aggita il fiero e forsennato core
con un doppio furor Marte ed Amore.

16Pensa talor come in breve ora fia
con Argellina a l’onorata impresa,
ove la possa e la virtù natia
il fior de l’Asia in breve agon palesa.
Pensa come riparo esser potria
a la donzella in qualche ostile offesa,
onde con tal servir quel’alma altiera,
se non pia, divenisse almen non fiera.

17Ma poi sospira, e ’l bel natio valore
sol contempla, di lei timido amante,
come ogni possa, ogni bellezza muore
al suo gran braccio, al suo bel viso innante!
Pensa destar in lei fiamma d’amore
con emolar il suo valor prestante,
e pensa ognor con desiosa cura
far prove estrane a la tenzon futura.

18Ma tra ’l vario pensare, il sonno al fine
oppresso il tiene in breve spazio d’ora,
quando dal sen le ruggiadose brine
vaga scotea la rinascente aurora.
Destasi poscia e mira in su ’l confine
de l’emisfero il sol dal Gange fuora,
e con furor d’ogni tardanza geme,
e fiero e impaziente arme, arme freme.

19Ma nel campo cristian la tromba intanto
e ne l’alta città le genti accoglie,
e al fiero suon del bellicoso canto
destansi a gara le feroci voglie.
Sembrano i cori altrui, per tale e tanto
arringo, esposte a l’aure aride foglie,
mentre per darsi il luogo al gran duello
va quinci e quindi e questo araldo e quello.

20Ma il donnesco drappel da la cittate
col duce Saladino intanto uscia,
e dietro a quel con molte schiere armate
Almacco con tre figli indi seguia.
Con le genti al duello apparecchiate
da l’altra parte il forte Alon venia,
e a dietro a lor, a la battaglia istrutto,
con la scorta d’Aiton, va il campo tutto.

21Giunsero al luogo e come in lieta pace
allor fermosse e questo stuolo e quello,
ed ampiamente mezzo il pian capace
prese il campo a la giostra il fier drapello.
A la torre di Belo il re Mustace
corse per rimirar l’aspro duello,
ma mesto il guardo e pallido l’aspetto,
di dannoso disnor dubbioso il petto.

22Ed in loco remoto anco in disparte
s’ascose il finto ed orrido Alderano:
cosa a dietro non lascia e adopra ogn’arte
col suo saper, col suo furore insano!
Or fa segni nel suolo or su le carte,
or il piede adoprando ed or la mano,
or voci invoca, onde paventa Averno,
e di nubi s’ammanta il ciel superno.

23Di vicina sventura il cor presago
corron le donne a i lor profani tempi,
spargendo van di mesto pianto un lago,
invocando i lor dèi bugiardi ed empi.
Così ne la città le donne e ’l mago
fan di varia stoltezza eguali esempi,
mentre a gara l’onor, la possa e l’ira
a la pugna i più forti altrove tira.

24Vago e leggiadro oggetto era il vedere
de l’Eufrate sonoro appresso al lito,
ove il valor di mille e mille schiere
in un picciol drappel vedeasi unito.
Scintillar si scorgean per le visere
vaghe fiamme d’onor d’un core ardito.
Splendon gli elmi e gli usberghi, e lumi e lampi
mandan l’aria per tutto e par che avampi.

25Ma spettacol facea più vago e altiero
de le donne guerriere il bel sembiante,
e lieto rassembrava ogni destriero
sotto un ciel di beltà felice Atlante.
Tra queste aspro lo sguardo, alto il cimiero,
superbo e minaccioso e non curante
vien Saladino, e più spietato il rende
quel barbarico amor che l’alma accende.

26Ma più bel mai non fece arte o natura
del forte Alon tra quelle schiere e queste.
Alto ha il sembiante e vibra l’armatura
di sovrana virtù raggio celeste.
Candido è il suo destrier, candida e pura
è del vago guerrier la sopraveste,
e sembra al lume, al portamento, al viso
vago e novo campion del Paradiso.

27Risonaron le trombe: allor si è mosso
questo e quello drappello in un istante,
fiero via più che non quando è commosso
contra Borea nevoso Austro tonante.
Geme da i gran corsieri il suol percosso,
stridono i ferri e volan l’aste infrante,
e con incerta e con confusa sorte
libra i colpi d’ognun Fortuna e Morte.

28Pria nel lato sinistro in su l’elmetto
l’aste Guiboga e Saladino urtaro,
ove ciascun di cavalier perfetto
ne l’incontro furioso al par mostraro.
Franser l’aste su gli elmi e sempre eretto
l’indomito lor corpo ambi portaro.
Rotte le lancie ognun il brando afferra
al paragon de la seconda guerra.

29Con Vittoria famosa urtò Tamorre,
e di gran corpo e di gran vanti altiero,
stolto, che quasi ruinosa torre
sotto l’impeto ostil presse il sentiero,
Con la lancia a l’arringo intanto corre
verso Orontea superba Alvano il fiero,
ed urta su ’l cimier la faccia bella
e la fa riversar stordita in sella.

30Allor contra Vittoria il forte, Alvano,
ch’era senza nemico il brando gira.
Ma chi dirà come su ’l largo piano
vario Marte e la sorte esser si mira?
Colpita, o Floridan, da la tua mano
Oriana infelice esangue spira,
e per te gran Macheo le guancie amene
di viole colmò la bella Irene.

31Per Lidia e per Nicea con egual sorte
toccàr mesti il terren Sifante Abaga,
Fosse il valor de la lor destra forte
o l’occulta virtù de l’arte maga.
Per lo varco del viso entrò la morte
a Berenice, e ’l sen di sangue allaga
per man d’Occota, e Arbace e Sisigambi
caddero e in terra il piè fermaro entrambi.

32Con Tersilla feroce urtò Mitrane
su l’arcion sempre saldi e questo e quella:
di costui le percosse imbelli e vane
furo, or che se vedea la faccia bella?
Quali folgor celeste urtò Rossane
con Licomede e lo sbalzò di sella,
ma per man di Teodor cade Palmira,
e tra ’l sangue e la polve e langue e spira.

33Fiero è l’assalto e trema il monte e ’l piano,
al vario urtar de la guerriera gente,
e da mill’antri con rimbombo strano
i lor colpi imitar Eco si sente.
Fece Argellina e ’l sommo eroe cristiano
giostra sì vaga e con tal furia ardente
che muti e immoti il loro incontro e l’arte
osservando ammiràr Bellona e Marte.

34Come tra risonante atra tempesta
il rapid’Austro e l’orrido Aquilone,
immense nubi e questo e quello in resta
gonfi d’orridi tuoni a gara oppone,
e come allor che quella nube e questa
ne i gran campi de l’aria avvien che tuone,
con furia e foco e con rimbombo eguale
urtansi e questo e quel fulmineo strale.

35Corser con tal rimbombo e tal furore
nel fiero assalto i fulmini di guerra
con quella invitta lancia, il cui valore
meta dianzi prefissa unqua non erra.
Trema de l’uno e l’altro corridore
al fiero calpestio l’immobil terra,
ed alta nube di confusa polve
fieri lampi di ferro in aria involve.

36Ruppe la salda lancia in sul cimiero
l’alta donzella del guerrier cristiano,
e s’ingombrò per quello incontro fiero
di mille scheggie e mille tronchi il piano.
Ma diede a la donzella il cavaliero
con la salda sua lancia incontro estrano,
che ruppe il laccio, ove s’annoda al collo
il lucid’elmo e sul terren sbalzollo.

37O fu l’arte del Duce o pur al Cielo
darsi convien di sì bel’opra il vanto,
che volse sciorre il tenebroso velo
a la donzella del fallace incanto,
come su l’alba al matutino gelo
de i dipinti augelletti al dolce canto
sorge da l’indo mar la bella aurora
che il ciel sparge di rose e i monti indora,

38così apparvero allor le chiome aurate
d’Amor dolce tesoro a l’improviso,
così parve fioccar di rose amate
nembo gentil, onde s’adorna il viso,
Su ’l vago aspetto le sembianze irate
care son più che il lampeggiar del riso,
e nel bel volto con mirabil arte
sparse ogni pompa sua Bellona e Marte.

39Ma poi che fu a la donna in giostra tolto
l’elmo che ristringea sì fiero incanto,
ella più non rinchiude il senso involto,
come avea già, di un tenebroso ammanto.
Stupisce, ma pugnar lungi non molto
mira con Saladin Guiboga intanto:
ella il padre conosce a l’arme e ardita
corre contra il pagan per dargli aita.

40Trass’ella il ferro e su l’armata testa
fece piombar l’impetuosa spada,
pur come in procellosa atra tempesta
folgor sovr’alto monte avien che cada.
Dubio questo e quel campo intanto resta.
e ’l gran fine aspettando incerto bada,
e ’l fedel campo la contempla e vede
ma che fosse Argellina anco non crede.

41Ben la conosce il padre e quasi è fatto
per la dolcezza stupido e tremante,
lieto mirando sovragiunta a un tratto
l’amata figlia a sì gran uopo innante.
Con l’elmo rotto di ferire in atto
rivolto s’era il Saracino amante,
ma poiché fiso il fiero sguardo tiene
ne l’amato sembiante, un gel diviene.

42Almacco in tanto il fier pagan, che mira
un così strano ed improviso fatto,
stima con l’opre, che crucioso ammira,
a’ chiari segni violato il patto,
onde co’ suoi tre figli acceso d’ira
move a la pugna le sue schiere a un tratto,
e con rampogne e con parole ardenti
desta a l’assalto le feroci genti,

43Già a un punto s’abbassar lancie e visere,
già dal luogo prescritto ognun si parte.
Ratte non meno le cristiane schiere
movonsi incontro a lor da l’altra parte.
Con alto rimbombar le gente altiere
s’urtan al periglioso agon di Marte.
Và il grido al ciel e cieca nube intorno
s’erge di polve, onde s’invola il giorno.

44A l’incontrar de le feroci squadre
separàrsi Argellina e ’l fiero amante.
Ella congiunta s’è col caro padre,
che già per abbracciarla è corso innante.
Stridono i ferri e manda fiere ed adre
fiamme il fier Saladin, crudo in sembiante;
gli nemici e gli amici urta e respinge,
e sol contra Argellina il ferro stringe.

45Ella col genitor la gente Assira,
benché priva de l’elmo, urta ed assale,
e dove il forte brando intorno gira
ogni schermo, ogni usbergo è vano e frale:
chi freme intorno a lei, chi geme e spira
vinto ed oppresso da la man fatale.
Calca col corridor le schiere erranti
ad onta de gl’altrui fallaci incanti.

46E sotto il suo destrier ha il vago aspetto
Irene bella, al fato ultimo giunta,
Cade Lidia leggiadra il bianco petto
de la spada mortal percossa e punta.
Del molle fianco entro l’avorio eletto
Provò Tersilla la nemica punta
per la man di Guiboga, e spira e langue
e versa e sparge in un la vita e ’l sangue.

47Da l’altra parte Saladin, che innante
la sua amata nemica aver non puote
move, d’atroci straggi il cor bramante,
la sanguigna sua spada in fiere rote.
Altrove Almacco pugna e mai cotante
foglie nel primo autunno Euro non scote
quanti per questi del cristian drappello
cadon tremando in questo lato e quello.

48Ma, s’ancidon costor, non v’è riparo
dove il tartaro Duce il brando gira,
perché gli altri successi al par destaro
nel magnanimo petto amore ed ira.
Monti d’incerta stragge allor s’alzaro,
corser rivi di sangue e mentre ei mira
par che cader facci ei l’avverso stuolo,
basilisco novel, col guardo solo.

49Per la destra famosa illustre morte
han Sisigambi e Berenice estinta,
e, trafitte nel cor con egual sorte,
e Rossane e Nicea fu a morte spinta.
Fu ferita Vittoria e invitta e forte
volea, morendo, anco parer non vinta,
ma mentre contra quello erge la spada
moribonda e tremante avien che cada.

50Baiazet da Meton percosso è in testa,
e per man di Guiboga Orcane muore,
ma del fier Saladin la lancia infesta
sentissi Alvano moribondo al core.
Ma chi dirà come da quella e questa
parte più cresce il marziale ardore?
come aguzzan nel sangue i fieri artigli
del crudo Almacco i dispietati figli?

51Mazeo, figlio maggior, l’asta ad Aratto
nel ventre immerse con tal furia ed ira
ch’indi il ferro stillante essendo tratto
le viscere a l’arcion distende e tira.
Pende il meschin da sella e freddo fatto
l’alma col sangue largamente spira.
Ma intanto il vincitor al gran Frodetto
con la lancia sanguigna aperse il petto.

52Agolante, il secondo, al forte Ardeo
urtossi, e al guardo altier l’asta fissolle:
quello al tergo disteso al pian cadeo,
di sangue e di cervello umido e molle,
Colto al viso Aldebrando ei morir feo,
mentre la spada ei per ferirlo estolle.
Ma Faulo, il terzo figlio, uccise il mosco
Leon, Areto, Adrasto e Dauno e Fosco.

53E con l’esempio suo desta e commove
Almacco il genitor l’irate mani,
e s’inebrian ognora a straggi nove
nel furor ciechi e ne la rabbia insani.
Tre crude furie a le feroci prove
sembran d’Averno e presso a lor son vani
folgori accesi o bellici stromenti,
o foco mosso da secondi venti.

54D’aspra stragge cristiana è il suol funesto
e corre al mar di fedel sangue un rio,
cadon gli eroi più forti e incerto e mesto
fugge da questa parte il popol pio.
Col crudo Saladin pugnava in questo
non lungi Alon e la lor fuga udio,
onde lascia il nemico, e acceso d’ira
vèr la gente che fugge il corso gira.

55E, vista il gran campion oltre ogni stile
di Quinsai la falange in fuga volta,
v’accorre e grida: – Ove dal volgo vile
cacciata fuggi, ahi cieca gente e stolta?
questo è quel ch’io sperai trofeo gentile?
così vuoi tra le tende essere accolta?
Vana certo e mortale è tal fugita,
che per strada d’onor vassi a la vita.

56Qual gran sasso talor, che dal gran dorso
del superbo Apennin scende piombante,
forza non è che gl’impedisca il corso
ma svelle, rompe, atterra alberi e piante;
o qual fiero talor leone od orso
ch’abbia gran cani e cacciator dinnante,
che forte e invitto entro l’avversa gente,
or con l’unghie fa stragge ed or col dente,

57così rapido corse e tal parea
a l’intrepido urtar l’eroe sovrano.
Molle ai gran colpi suoi l’acciar si fea,
e colpo mai non diè che dasse in vano.
A l’assalto crudel la gente rea
tutta voltossi al cavalier cristiano,
e ben di tutti sostener sol basta
ogni lancia, ogni brando, ogn’urto ogni asta.

58Non tempesta sì spessa a l’aer nero,
non si ratti giamai fulmini e lampi
versa in terra talor, quando più fiero
lo sposo di Giunon par d’ira avvampi;
né ingombrando giamai nostro emisfero
di vapor freddo e biancheggiando i campi
fioccò pioggia sì densa e sì frequente
stretta in falde nevose il verno algente.

59Quanti strali e saette e quante e quante
spade contra d’un sol converser tutti!
Ma l’invitto guerrier sen sta constante,
qual gran scoglio sonante incontro i flutti.
Tu pria ti festi, o ricco Argalto, innante
di gustar vago de la pugna i frutti,
credendo, ahi stolto, ne i marziali ardori
aver possa e vigor le pompe e gli ori.

60Ne la Batria costui ricco e famoso
di sangue figlio fu del gran Burgento,
felicissimo in vero e aventuroso
se il desio di pugnar s’avesse spento.
Arme d’aureo lavor sostien pomposo
e spiega l’elmo ornate piume al vento;
riccamato di perle ha il vago arcione,
ingemmata la spada, aureo lo sprone.

61E vanamente altier con l’asta aurata
il forte duce ad incontrar s’è messo.
L’asta troncossi e fugli ancor troncata,
e la testa e la vita a un punto istesso.
Oradin, che tremante il corpo guata,
da un gran fendente al’improviso è oppresso.
Poi con vario colpir ancisi foro
Alieno, Dinastro, Usmano e Poro.

62Parte il ventre a Cambise, e ’l mento e ’l naso
a Teio, e ’l braccio ad Unigasto fende.
Bipartita la fronte ha Radagaso,
sanguinosa la coscia a Iuba pende.
Senza la destra è Muzolon rimaso
mentre la spada inaveduto ei stende.
Sangue vomita Orman, Vargonte è ucciso,
quello al petto percosso e questo al viso.

63Allor con sorte egual confusamente
l’imbelle e ’l forte al gran colpir cadeo,
e de l’ancisa e avviluppata gente
riparo intorno il gran campion si feo.
Non tai colpi mai diè sul ferro ardente
ne l’incude sonante il fabro Etneo,
e la gran spada al danno, al lampo, al suono
ponno a pena agguagliar bombarda o tuono.

64Già ratto fugge e da un sol braccio è vinto
il famoso squadron, che fu sì fiero;
già di rossor, già di pallore è tinto
per vergogna e per tema ogni guerriero.
Voltossi in tanto il fido stuol, sospinto
del suo gran duce al rampognar altiero,
e seguia chi già fugge: in cotal foggia
di fortuna la rota or scende or poggia.

65Tu con tre fieri germi Almacco solo
in quel fatale ed infelice giorno
foste costanti entro il pagano stuolo,
e ’l fortissimo eroe cingeste intorno.
Forte colpillo il suo minor figliuolo
in sul cimier di vaghi fregi adorno,
ma fu in quel punto dal campione irato
per le coste trafitto, al cor piagato.

66Cade tremante il bel garzone anciso
e ’l suo roseo candor pallido langue,
e sol rosseggia in su l’estinto viso
da la sella ei pendendo il proprio sangue.
Fu dal gran colpo in mezzo il cor conquiso
il padre, e non badò nel figlio esangue,
ma si voltò con forsennata fretta
qual bavoso cignale a la vendetta.

67Corre e del sangue altrui la cieca arsura
gli è sprone, ed alza in arrivar la spada,
e al mesto cor, che nel suo mal s’indura
come quel d’altri il suo morire aggrada.
Non con tal furia avien ch’a l’alte mura
il ferrato montone ad urtar vada,
come rapido scese il ferro crudo
de l’invitto campion sul forte scudo.

68Qual feroce leon, che dianzi avea
un gran stuol di mastini in fuga volto,
s’a l’improviso da percossa rea
in su le spalle orribilmente è colto,
desta l’ira mortal che s’estinguea,
e torvo e fiero e contro quel rivolto,
e snello più, che impetuoso strale,
corre sbuffando e l’inimico assale,

69così il cristian, che ne l’altrui fuggire
raffrenava il furor del cor modesto.
Visto de l’inimico il fiero ardire
lo sdegno che giacea repente ha desto,
ed eccitato da le nobil’ire,
alza il ferro di sangue atro e funesto,
che fischiando tra l’aria e sceso a piombo
fa su l’elmo nemico alto rimbombo.

70S’apre l’elmo e a la fronte il ferro entrato
sgorgan su ’l volto sanguinosi rivi.
Langue il mesto pagano ed è fugato
lo spirto al fin de la region de i vivi.
In tanto i figli al forte duce a lato
stupidi stanno ed ogni moto privi,
ché rimasero allor senza soccorso,
quasi piccioli cani preda a l’orso.

71E sdegnando fuggire audace e franco
ciascun d’alta virtù sembianza feo,
ma di punta trafitto il ventre, e ’l fianco
da la destra fatal fu il gran Mazeo.
Per la piaga mortal quel venne manco,
e steso e lasso in su ’l destrier cadeo.
D’atro sangue bruttato è il corpo adorno,
e fugge a gli occhi eternamente il giorno.

72Agolante, il fratel, che allor parea
dubbio s’è tra gli estinti o tra viventi,
fu a l’improviso da la spada rea
colto su ’l capo e bipartito a i denti.
Qui fermossi il gran duce e già vedea
fuggir per tutto le pagane genti,
disdegnando egli oprar l’ira gentile
a dietro gente fuggitiva e vile.

73Ma ben vuol che seguita il vincitore
da le sue genti la vittoria sia.
Incomposta è la fuga, e ’l gran timore
ogni rispetto, ogni vergogna oblia,
Di tronchi membri e di sanguigno umore
e di scempi e d’orror sparsa è la via,
e tra ferri e nitriti avvolti senti
ire, minaccie e gemiti e lamenti.

74Di sangue anco le vie per ogni parte
Guiboga intanto e Argellina han piene,
né più giova al Pagan la possa è l’arte,
né più saldo a la zuffa il piè trattiene.
Solo il fier Saladin del crudo Marte
l’orrido incontro e l’impeto sostiene,
e col gran petto e con l’invitta fronte
sembra a gli urti de i venti immobil monte.

75E de i suoi, che fuggian con freno sciolto,
riparo sol contra i nemici è fatto.
Sgrida irato chi fugge e pur involto
de i suoi medesmi in vèr le mura è tratto.
Fugge e pur ei non mostra il petto e ’l volto
di fugitivo e di ferire in atto,
rivolto ad ora ad ora il brando inalza
contra il turbine ostil che a dietro incalza.

76Entr’egli e ’l Turco stuolo a l’alte mura,
da le fauci di morte il piè traendo,
Ma commisto a i pagan anco procura
il drappel de’ cristiani entrar correndo,
e vedea già vicin con gran paura
Babilonia superba il fin tremendo,
quando improvisamente il varco chiuse
gran ferrea porta e l’inimico escluse.

77Ed in un co i nemici anco di fuore
ben molti ne restar sparsi pagani,
che fur ben picciol esca al gran furore
de gli adirati vincitor cristiani.
Altri mezzo la calca accolto muore,
altri sen và per quei spaziosi piani,
ed altri irato entro l’avverse spade
ancidendo il nemico estinto cade.

78E confusa ivi ancor turba tremante
di molti, che da Aiton eran seguiti,
de l’Eufrate tentar l’onda sonante
a nuoto per varcar gli opposti liti.
Sanguigna s’ingombro l’acqua spumante,
e d’estinti e d’esangui e di feriti
e di genti spiranti e di mal vive
s’empìr gli scogli e le sassose rive.

79Così vince e ritorna a le sue tende
lo stuol cristian da la crudel tenzone.
De gli egri e de gli estinti a gara prende
cura ciascun pur come vuol ragione.
Con Argellina a rallegrar si attende
Guiboga il padre, e ’l valoroso Alone
lieto l’accoglie e mira con diletto
la bellica virtude e ’l vago aspetto.

80E già dal genitor molt’anni pria
a lui promessa fu la donna forte,
e che fosse costei ben convenia
ne la guerra e nel letto a lui consorte,
le caste fiamme, che nel cor nutria
al bel fiato di lei sentì risorte;
e le felici guerre al nobil core
fur ne l’ire di Marte esca d’Amore.

81Egli la possa e la virtù guerriera
in sì bel corpo, in sì verd’anni ammira,
e nel viso gentil l’anima altiera,
e ’l fiero ardor, che dal bel guardo spira,.
Ma a’ diletti di Amor l’alma severa
inchinar ei non vuol se pria non mira
l’eccelse mura di Babel superba
rotte e sepolte entro l’arena e l’erba.