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Babilonia distrutta

di Scipione Errico

Canto V

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 2.05.15 9:36

ARGOMENTO
Son frali i vezzi e le lusinghe vane.

Alone si trova in un giardino, entra in un palazzo e ne ammira le pitture (1-39,6)

1Ampio e pomposo è il pian, verde e ridente,
e contien meraviglie e vere e finte,
ma par del gran Fattor la man potente
nel teatro d’April l’abbia dipinte.
Or fate intanto a l’abbagliata mente,
Muse, l’alte vaghezze omai distinte,
e fioriscano al par per la vostr’arte
l’amoroso giardino e le mie carte.

2Piaggia immensa mirò verde ed amena,
di Flora e di Pomona almo soggiorno:
dove sonano i rivi, e balli mena
l’aura odorata a i molli fiori intorno:
ov’empie d’armonia l’aria serena
de’ musici volanti un coro adorno,
e intorno, spettatori e folti e spessi,
son de i giochi d’April pini e cipressi.

3E s’avvolge tra questi ed ombra densa
fan l’edra e ’l mirto e ’l sempre verde alloro,
e de la vite entro suoi rami estensa
pende il bel frutto di piropo e d’oro.
Vagamente così la piaggia immensa
d’alberi è cinta e formasi di loro
contra il Sol, che s’aggira alto e securo,
ne la verde città di fronde un muro.

4Dentro di color mille eran dipinti
colli, selve, spelonche e piani e valli,
e tra lor con ondosi laberinti
mormorando scorrean chiari cristalli.
Qui con giri di mirto al capo avvinti
fean le Grazie e le Muse e canti e balli.
Qui si vedeano i pargoletti Amori
le lor vòte faretre empir di fiori.

5Nube non v’è, ma lucide scintille
manda l’aria per tutto alma e serena.
E ’l pomo e ’l pero di ben mille e mille
frutti sostiene il grave peso a pena;
tumido il fico qui par che distille,
quasi favo gentil, nettarea vena;
e di fiori ogni frutto è coronato
e Autunno sta con Primavera al lato.

6E cento colli di fioretti, ed erba
riccamò qui natura a parte a parte,
e formando pittura alta e superba,
imitò se medesma e vinse l’arte:
Con le gemme di april, ch’eterne serba
ciascun sul verde ammanto inteste e sparte
d’un diadema di fiori il capo adorno,
sembrano reggi a mille monti intorno.

7Sembran ch’abbian del ciel mille splendori
con mille luci a vagheggiare appreso,
e con gara gentil di stelle e fiori
emolo a l’alte sfere ognuno è reso.
Versa a le falde lor chiari sudori,
quasi de’ vaghi colli al grave peso,
stanca la terra, indi sonori e vivi
pargoletti vagir s’odono i rivi.

8Rivi, ch’a un lago di lor placid’onde
versan cantando i fuggitivi umori.
Cigno presso al morire a quei risponde,
e fan gara le linfe a i bei dolori.
Specchiansi quai Narcisi in su le sponde
de le chiar’acque i miniati fiori,
onde parea per quelle strade ondose
correr i gigli e caminar le rose.

9Rivo di perle trasparente e mondo,
o liquefatto e lucido diamante
sembra ciascuno, e con errar giocondo
un che pianga, un che rida ed un che cante.
Son le pietre minute al chiaro fondo
colorite, e dipinte in foggie tante
che col simil color sovente fassi
un inganno gentil di fiori e sassi.

10Fonte v’è poi, che par che inviti e chiami
con le gelide linfe i viandanti,
e par di perle il verde suol riccami
con bei zampilli in vaga guisa erranti.
Placidi augelli tra frondosi rami
forman d’appresso lascivetti canti,
e s’odon alternar garrule e pronte
le voci or de gli augelli or de la fonte.

11Eco v’è appresso, e con veloci e lenti
suoni forma il cantar di questa e quelli.
Stride la fonte, ed Eco i grati accenti
replica dolce de’ vezzosi augelli;
cantan gli uccelli e par co i bei concenti
de la fonte vicina Eco favelli,
ond’è con varie note accorta e destra
de l’estrana armonia nobil maestra.

12Stupido il bel giardino il Duce mira,
né di mirar, né d’ammirar è pago,
e ’l guardo intento, che d’intorno ei gira,
di novelle vaghezze è sempre vago.
Passa le vie fiorite, e al fine il tira
rara beltà d’un trasparente lago:
ov’ha con larga man diffuse e sparte
gran pregi, o sia natura o incanto od arte.

13D’argento son le bianche rive intorno
e dal limpido sen l’oro traspare,
e di fin’oro e di bei smalti adorno
ricco stuolo di scogli in alto appare.
Son le conchiglie che fan qui soggiorno
ricoperte di gemme illustri e rare;
di corallo son l’alghe, e ricche e monde
son le conche, di perle il sen feconde.

14E ’l suo placido umor franto su ’l lito
dolce risona in quella parte e in questa,
e dal diurno lampeggiar ferito
vibra d’almi folgori aurea tempesta.
Presso a un tanto tesor vinto e avvilito
il Pattolo e l’Idaspe e ’l Tago resta;
e ben sarebbe a cotal vista reso
vergognoso e dolente e Mida e Creso.

15Dentro in schiera gentil vaghe donzelle
de’ veloci delfin premono il dorso,
e, come a lor destrieri, ignude e belle
reggono industri il freno aurato e ’l morso.
Prendono molte, lascivette e snelle,
per le strade spumanti a gara il corso,
e molti con lor musici strumenti
forman, quasi Arioni, almi concenti.

16Finto in queste non è, ma terso e vero
l’or de le chiome, in vaga foggia erranti.
La bellezza e ’l candor formar pensiero
de le membra non può nude, e tremanti.
Intorno si vedea guizzar leggiero
per baciarle un gran stuol di pesci amanti,
e parea dire il cristallino umore
col suo bel mormorio: qui regna Amore.

17E invaghita d’amor rider si vede
sotto un placido ciel l’aria serena,
e sospira d’amore e l’onde fiede
l’aura gentil per la contrada amena.
De l’acque al centro un isoletta siede
di più rare vaghezze ingombra e piena,
e in vaga guisa rilucente e puro
l’aggira in torno di cristallo un muro.

18E per passare a quella opposta sponda
degno del loco un nobil ponte stassi:
sovra aurate colonne altero abbonda
d’archi superbi e di splendenti sassi.
Qua viene il duce, e de la nobil onda
mira le meraviglie e i dubbi passi.
Sovra il pomposo ponte al fin ei gira,
mentre desio di novitade il tira.

19Passa il bel ponte il forte Alone, e viene
ov’è d’alto tesor porta fregiata,
ch’aperta in vèr le sue contrade amene
diede cortese al cavalier l’entrata.
Ivi un ricco giardino in grembo tiene
l’alma isoletta a meraviglia ornata
ove il verde non ha, ma d’or son tutti
e gli alberi e l’erbette e i fiori e i frutti.

20D’oro risplendon gli alberi eminenti,
vari e vaghi di fiori e di sembianti.
Sono i lor frutti or agati ridenti
or accesi piropi e fiammeggianti:
Vaga perla è il ligustro, e rilucenti
mandano i gigli odor fatti diamanti,
e fuor de l’uso placida e pomposa
infiammato carbonchio appar la rosa.

21Berilli questi, e son topazi quelli
che splendon su ’l terren schierati fiori.
Le vaghe fonti e i placidi ruscelli
versan di latte e mèle almi licori,
e con l’auree lor piume i lieti augelli
cantan volando in lascivetti errori,
e de’ mirti sen van per l’auree selve
cosperse d’or le pargolette belve.

22Tra questi vezzi e in queste selve ombrose
i cristiani guerrier starsi vedieno,
e in un gioco gentil con le vezzose
Ninfe, a un segno prescritto oltre corrieno.
Altri d’un viso le vermiglie rose,
altri le poma d’un eburneo seno
contemplavano, ed altri a li tenaci
amplessi congiungean sospiri e baci.

23Quivi ei scorse Mitrane e Floridano,
Micheo, Sifante, Alvano, Occota e Abaga,
che non bastar con loro invitta mano
schermirsi pur da l’amorosa piaga,
ed Arbace e Tamor tratti da un vano
sembiante e d’una vista adorna e vaga
benché canuti e benché saggi innanti:
tal forza han sopra noi d’amor gl’incanti.

24Licomede, e Teodoro amici in pria
rivali or fece il desir cieco ardente.
Guiboga v’e, la cui virtù natia
restar non puote incontro amor vincente.
Pianse per la sembianza odiata, e ria
Colmo d’affanno il Duce lor dolente,
e mesto altrove da l’iniqua vista
girò la faccia sospirosa e trista.

25S’erge nel mezzo di smeraldo eletto
torre superba e più d’ogn’altra altiera,
che co l’adorno e luminoso tetto
sembra che tocchi la stellante sfera.
Signoreggia per tutto e per oggetto
tien di sotto ogni monte, ogni riviera,
e intorno può mirar, quasi presente,
il freddo Scita e ’l Mauritano ardente.

26Altiera porta a la gran torre siede,
degna del loco, e là si volge il duce.
V’entra, e per l’ampie scale incerto il piede
move, là ’ve il desio vago il conduce.
Per loggie e stanze, ove ciascuna eccede
ogn’arte e pregio e meraviglia adduce,
passa il guerriero, e in ricca sala viene,
che d’opre il vanto e di vaghezza tiene.

27Sono adorne le mura a parte a parte
d’alte pitture oltr’ogni usanza rare.
Vivi sono i colori, e in essi l’arte
volle giostrar con la natura al pare;
manca la voce solo, e pure in parte
par che senta lo sguardo il lor parlare,
e parve spesso averla a pieno udito,
persuaso da l’occhio anco l’udito.

28In disparte di poi quest’auree note
legge il guerrier fra gli ornamenti egregi:
O peregrin, che con luci immote
miri e l’autor non sai di sì gran fregi,
quest’è il regno d’Amor, qui rica dote
egli suol dar che move invidia a i regi.
La pittura, il giardin, l’arte e ʼl valore
e la pompa e ʼl tesor, tutto è d’Amore.

29Legge il saggio cristiano, ed ingannato
dalle vane fantasme esser ben crede.
Volge egli pur per l’ampio albergo ornato
cupido il guardo e curioso il piede.
Le pompose pitture in ogni lato
stupido nota, e in lor contempla e vede
finti in bel modo mille affetti erranti
e ’l confuso patir de’ mesti amanti.

30Miransi quivi i pargoletti Amori
aguzzar l’armi a la girante cote,
mentre altiero e vezzoso i lor lavori
mira Cupido con palpebre immote.
L’Inganno col piacer fabri minori
volgon del sasso le stellanti rote,
spargonvi l’acqua, ch’è del ben l’oblio,
la fallace Speranza e ’l van Desio.

31Dolce Paura, e timido Diletto,
folle e falsa Allegrezza e Duolo insano,
dolc’Ire, dolci Paci, eguale aspetto
hanno tra loro e prese van per mano.
Con la Magrezza e ’l penoso Affetto
erra, scherza e sorride il Pensier vano,
e vigile il Sospetto incerto spia
ogni passo, ogni albergo ed ogni via.

32Aspra battaglia e fier duello insieme
fan tra lor l’Onestade e la Bellezza.
L’adirato Furor crucioso freme,
e ’l cieco Error ogni consiglio sprezza.
La Penitenza sospirosa geme,
ch’ebbe di poi dal proprio mal contezza.
La Crudeltà nel sangue si sollazza,
e la Disperazion se stessa ammazza.

33Placide parolette e finto riso,
sguardi, cenni furtivi e falsi ardori
tendono lacci con allegro viso
a la giovine età tra fiori e fiori.
Stassi col volto in su la palma assiso,
il Pianto in compagnia de’ suoi dolori.
Siede ferma l’Angoscia, e, quasi vento,
per aperto sentier fugge il Contento.

34Tali son le pitture e d’un tesoro,
ch’ogni pompa fa vil ciascuna è ornata,
e i vari aspetti, a i vari sensi loro
curioso il gran duce osserva e guata.
Poi si volse e mirò d’aureo lavoro
e di strano valor porta fregiata:
e l’invitto guerrier, che pur desia
nove cose mirar, entro s’invia.

35Del più terso diamante alto e splendente
dentro qui si vedea sorger un letto,
ove strinse e formò fabro potente
d’arte e di pregio un bel compendio eletto.
Ivi in candido lin donna giacente,
quasi Venere nova al vago aspetto,
le più rare beltà tenere e crude
parte ascose teneva e parte ignude.

36E l’aureo crine e ’l discoperto seno
dolce preda parea de l’aura estiva,
ch’errando or de la fronte entro il sereno
or tra le mamme innamorata giva.
Ma le bellezze lor chiuse tenieno
le duo luci d’Amor mentre dormiva;
pur vibrar si vedea riso vezzoso
l’occhio gentil da le palpebre ascoso.

37E ’l tesor del bel corpo e del bel viso
preda esposta pareva a i caldi amanti.
Là guata il duce, e di mirar gli è aviso
di Bessana gentil gli almi sembianti.
Riconosce Bessana, ed è conquiso
d’alto stupore e ’l piè non spinge innanti,
ma con suo grave ed angoscioso affanno
l’error suo già comprende e l’altrui inganno.

38E da santo furor mosso, partire
da l’odiata magion volle repente,
e ’l passo rivoltò già per fuggire,
ma da tergo serrar l’uscio già sente.
Corse, scosse la porta, e per aprire
s’affaticò l’invitto eroe sovente,
La forte spada e la robusta mano
adoprò variamente, e sempre in vano.

39Ma tra questo rumore allor destosse
la bella donna, e in lui le luci fisse
e d’un vago rossor lieta colmosse
pria che la voce a favellar aprisse.
Gli avidi sguardi e ’l parlar poscia mosse
sospirosa ed allegra, e cosi disse:
«Venghi con fausti auspici il gran campioneBessana lo invita ad amarla, lui rifiuta (39,7-68)
se fia, com’ora è mio, d’Amor prigione».

40Così parlava, e ’l sommo duce in tanto
s’ange crucioso, e dentro il cor si duole
del sopito onor suo tra quello incanto,
e de le genti abbandonate e sole.
Poi l’empia sciolse, qual serena il canto,
la dolce lingua in placide parole
e per darle risposta e ’l vano affetto
temprare, udirla il cavalier fu astretto.

41«Guerrier,» diss’ella «che garzone ancora
de i grandi antichi eroi la fama oscuri,
ed or che il viso anco l’età t’infiora,
mostri d’alto valor frutti maturi,
se mentre aspiri a nove glorie ognora
e le chiare opre tue vincer procuri
io tra questo confin ti trassi e chiusi,
giudice Amor, la tua beltà mi scusi.

42Né creder ch’a le tue vittorie il freno,
onorato campione, impor vogl’io:
ma sia l’occaso di tua fama pieno
com’è ’l vasto oriente ogni or desio;
ma celand’io tropp’alta fiamma in seno
misera fui costretta, ahi fato rio,
poiché sei nel mio mal cosi costante
di nemica far opra essendo amante.

43Ed amante e nemica in ermo e solo
clima del mondo a mio voler t’ho tratto;
e le nubi varcar e l’aria a volo,
e mio prigione e mio Signor t’ho fatto.
Ma se di ciò ne l’alma altiera hai duolo
l’egro mio spirto è nel penar disfatto,
e Amor su questo letto in un momento
può sanar la tua pena e ’l mio tormento.

44Deh vieni, e mira in questo ignudo seno,
opra de gli occhi tuoi d’Amor lo strale.
Guata l’ardor che l’egra lingua a pieno
variamente parlando espor non vale.
Ma se del tuo sembiante al bel sereno
non ho forse, garzon, bellezza eguale,
deh vieni, e tua beltà potente maga
teco unita send’io mi farà vaga.

45Deh vieni, e col tuo freddo entro il mio petto
tempra la fiamma, che raccolse Amore,
poiché fatto sei tu per mio dispetto
un compendio di ghiaccio e di rigore:
E benché ghiaccio da l’amato aspetto
fiamme avventi vèr l’alme e vibri ardore,
lassa, e con qual estrana tempra il cielo
di fiamma ti formò, se pur sei gielo?

46Ed a che fin tanta bellezza in vano,
o vago Idolo mio, ti diè natura
s’hai tu pur troppo in tanto ben insano
a i diletti d’amore alma sì dura?
Perche sei forte con l’invitta mano
tenti del fiero Marte ogni avventura,
ma perche non prendi anco alcun duello
nell’imprese d’Amor, s’ancor sei bello?

47Perche non cogli in su l’età fiorita
il dolce mèl che in te ripose Amore?
Passano gli anni e senza alcuna aita
per più non ritornar trascorron l’ore.
Folle, ché speri in travagliosa vita
l’orme seguendo del fallace onore,
per conquistare in periglioso stento,
sol di gloria fugace un’ombra, un vento?

48Deh ti caglia lasciare in dolce oblio
guerre, orgogli, disaggi, affanni e lai;
depon quest’armi e al faretrato Dio
come nobil trofeo li sacra omai.
L’alto Alderano, il mio potente zio,
di strani effetti autor che vince assai
la natura in oprar, vago ed adorno
ha formato per noi sì bel soggiorno.

49Ah deluso garzone, oh se sapessi
quante dolce goder amato amando:
e in un grembo gentil ben mille e spessi
rinascenti desir sempre appagando,
e ne’ graditi e desiati amplessi
l’alma lasciare e i propri sensi in bando:
ed incontrar con desiato affetto
labra a labra, occhi ad occhi, e petto a petto.

50Ma se l’arme lasciare al tuo valore,
coraggioso guerrier, par che disdica
e le leggi seguir vuoi de l’onore,
che del mondo osservò l’usanza antica,
forse largo sentier col nostro amore
t’apre fortuna a nove glorie amica,
e sarian certo più famose in parte
abbellite d’Amor l’opre di Marte.

51Ché tra tanta beltà, tra valor tanto
sol ti mancano, ahi duol, d’Amore i fregi,
che accrescerian l’alta vaghezza e ’l vanto
qual gemma a l’oro a i tuoi famosi pregi.
Punta d’amor, o se sapessi quanto
più la mente s’inalza a’ fatti egregi,
sì come spinti d’amorosi morsi
han più forza e valor leoni ed orsi.

52Di valor no, ma sol d’amor armato
timido cervo battagliar si vide.
Superò mille per l’oggetto amato
gloriose fatiche il forte Alcide.
Palma di strane imprese ha riportato
il gran Teseo con le sue care guide,
e furo ancor con somma gloria amanti
d’Artù e di Carlo i cavalieri erranti.

53Vint’hai, no ’l nego, il gran terren diviso
da l’Idaspe, dal Gange e da l’Eufrate,
sendo ogni forte esercito conquiso
a l’apparir de le tue squadre armate;
pur, se credi al mio dir, forse t’aviso
gloria più degna e imprese più lodate,
ed impero maggior, palma superba,
alto guerrier, ché il nostro amor ti serba.

54Che se volt’hai per eternar tuoi vanti
a chiarissime imprese il gran desio,
gorgonei scudi e bei corsier volanti
son per te riserbati in poter mio;
arme con strani e disusati incanti,
che Sisostre portò dar ti poss’io,
e d’acqua tal sarai le membra asperso
che non fia che t’offenda il ferro avverso.

55Onde il Siro, l’Ibero, il Mauro e ’l Dano
non pur soggiogherai con sì bell’arte,
ma la grande region, che l’oceano
tra pelago infinito asconde e parte.
Saran da te, pur senza armar la mano,
le nemiche falangi e rotte e sparte,
e non fia che la strada a te s’asconda
d’aprir gl’incanti onde l’Egitto abbonda.

56A i colpi altrui, quasi marmoreo tetto
l’elmo e l’usbergo tuo saran costanti,
ed a la luce del tuo brando eletto
gli eserciti nemici andran tremanti;
gli avversi muri al tuo fatale aspetto
senza assalto cadranno aperti e franti,
e potrai ratto più che lampo o tuono
mille mondi atterrar, se mille sono.

57Così con tal d’amor dolce consiglio
facile a mille imperi avrai la via,
ogni affanno schivando, ogni periglio,
ch’or l’alma cieca ne l’honor oblia:
Cosi gustar d’alcuno amato figlio
potrai novi diletti, il qual poi fia
ne la rara beltà, che ogn’altra eccede,
e nel valor e ne l’imperio erede.

58Ei del bel viso, e de l’aurate chiome
ritratti avrà, tuo vivo esempio, i fregi,
e in fare i regni e le provincie dome
vedrai com’esso il tuo valor paregi.
Sarà dolce l’udir di padre il nome,
sarà dolce il guidarlo a fatti egregi:
e amorosa dolcezza avrai ben spesso
allor che in lui vagheggerai te stesso.

59Ma che parlo, infelice? e infingo e serbo
i dolori de l’alma atroci e rei,
e ti scorgo, ahi dolor fiero ed acerbo,
spreggiar la cortesia de i detti miei?
Tu pur col guardo in contrastar superbo
par che ingrato minacci e prigion sei,
e ad ubidir sì grati imperi a volo
basterebbe, crudel, tal nome solo.

60Sei mio prigione, e mio prigion sarai
se fossi in cielo o tra gli abissi ascoso.
Fuggi, iniquo guerrier, opra se sai
l’alto poter, onde ne vai fastoso.
In un’atra prigion sempre starai
privo d’honor a te medesmo odioso,
bramerai de le stelle e del sovrano
pianeta il lume eterno e sempre in vano.

61Or tu vedi il tuo stato: il bene, e ’l male
tu ben conosci, e miri il tutto a pieno,
e qual ti reca il tuo destin fatale
somma grandezza o vil miseria in seno.
Puoi con imperio a niun monarca eguale
viver in stato placido e sereno,
o star in ima aspra caverna absorto
a le glorie, a le gioie oscuro e morto».

62Così costei parlava, e mezzo i detti
d’infiammati sospir quell’aria empìa,
e nel volto gentil pur vari affetti
nel suo vario parlar dolce scopria.
Come in vaga eloquenza Amor saetti,
ben dentro l’alma il bel garzon sentia,
ma a le dolci quadrella e velenose
la severa ragion lo scudo oppose.

63Scudo nel quale è rintuzzato e cede
il più pungente adamantino strale:
e al nobil cor, ch’ogni fortezza eccede
il pregar langue e ’l minacciar non vale.
Nulla de la prigione ove si vede,
del fallace imperar nulla gli cale;
spreggia i sozzi diletti ed è al sembiante
de le sfere al girar polo costante.

64Le risponde il guerrier: «Se tu protesti,
donna, con folle amor furore insano,
prigione ho il corpo, e se pur vuoi che resti
l’alma prigione ancor t’affliggi in vano.
Sol cortese mi guidi a santi gesti
co ’l benigno suo lume il Ciel sovrano;
esser chiaro ne l’opre, esser oscuro,
esser mesto, esser lieto io nulla curo.

65Ah ben lungi da me vadan per Dio
le finte gioie e i fragili diletti,
che guidan l’alma al precipizio rio
con l’empia scorta de’ fugaci affetti;
né creder che fallace e van desio
o d’Imperio o d’onore il cor m’alletti,
ch’io per darle a Giesù le terre acquisto,
ed è solo onor mio l’onor di Cristo.

66Ma se tu m’ami, ed è il tuo amor sincero,
il mio piacer e ’l mio contento brama,
amo, donna, il tuo amore, e l’amor vero
sol è pago di sé s’altri il riama.
Torna in Babel, né vogli render nero
il bel candor de la tua casta fama,
perche la gloria del pudico onore
è di donna real pregio maggiore».

67Cosi diss’egli, e in lui la donna altiera
torve in tanto fermò le luci irate,
e sospirosa e baldanzosa e fiera
interrotte parole indi ha formate:
«Ben t’esposer ne l’aspra erma riviera
là ne l’Artico mar l’onde gelate:
tartaro iniquo, e ben in te si scopre
de l’alpestre tua patria alpestri l’opre.

68De la bellezza mia già sì gradita
esser pregiossi ogni monarca amante,
ed or sarà ch’un temerario scita
averla vilipesa unqua si vante?».
Disse, e raggirò torva e infellonita,
quasi folgore acceso, il fier sembiante,
e d’atri incendi e spaventose larve
colmò l’albergo, e in lor s’avvolse e sparve.

Un Angelo soccorre Alone e appresta una nave per tornare a Babele (69-80)

69Sgorgò recando un tenebroso velo
dal fumante Cocito orror di morte,
ma saldo stassi, e non ha tema o gielo
ne l’intrepido petto il guerrier forte.
De’ sensi suoi, cosi concesse il Cielo,
furon in Lete le potenze absorte,
e col grave sopor che in lui s’infuse
cadé l’inclito Alone e i lumi chiuse.

70Ma poi si desta, e nove cose ammira
dove attonito il guardo intorno volta.
Sparve il ricco giardino, e muto ei mira
che in ogni oggetto la sembianza è tolta.
E dovunque la vista intorno gira
tra un’isola si vede erma ed incolta,
ma non sa se sia scoglio, isola o monte,
sì sublime ed alpestre erge la fronte.

71E intorno intorno a la sassosa rupe,
c’ha di baratro immenso orrida sponda,
tutta de l’Ocean vien che trarupe
inondando vèr quel rapida l’onda.
Rimbomba entro le sue stridenti e cupe
viscere la voragine profonda,
alto via più che non d’Egitto il fiume,
ch’assordar gli abitanti ha per costume.

72Ed invèr la sonante altiera meta
corre l’onda così veloce e ratta
che non sa se da stella o da pianeta
per occulta cagion sia spinta o tratta.
Solo in un loco riverente e cheta
siede l’onda marina immobil fatta,
ove d’alberi e vele adorna e grave
stassi al lito legata eccelsa nave.

73Qua s’indrizza il guerriero, ed arrivato
Scorge vago garzon, che in guardia siede,
grave ne gli atti, e nel sembiante amato
in dolcezza e vaghezza ogn’altro eccede.
Sparso in lucide fila il crin aurato
su la placida fronte errar si vede;
ridon gravi le luci, e tien accolto
di bellezze un compendio il nobil volto.

74E in vederlo venir con lieto aspetto
a lui sen viene il bel nochiero e dice:
«O dal mondo ammirato al Ciel diletto
de’ campion di Giesù degna fenice,
tu che l’alma di zel, di forza il petto
armato porti, o cavalier felice,
svanir gl’incanti, ove a te grata e fida,
poiché al Ciel confidasti, il Ciel fu guida.

75Or c’hai vinto l’Inferno, a la nemica
città n’andrai di mille colpe ria.
Per tua difesa e per tua scorta amica
il Rettor de le stelle a te m’invia:
Nulla è il periglio e lieve è la fatica,
ma ben lunga sarà l’immensa via:
quanti e quanti da noi pria che s’arrive
mari e regni sian scorsi e seni e rive!

76Perche sian noi là dove esala e fiata
brine pien di furor Borea nevoso,
dove, presa nel ciel via disusata
il sol fa di sei mesi un di noioso,
e d’altri tanti poi notte gelata
reca girando in altro clima ascoso,
e perch’è sempre a l’orizzonte intorno
notte oscura non fa né lieto giorno.

77E questi che a gli abissi a scender vanno
umor de l’ocean veloci e pronti,
del sovrano Motor gl’imperi fanno,
che lor fece natura aperti e conti.
Corrono questi al gran tartaro ond’hanno
l’alta origine loro e fiumi, e fonti,
onde con giro e leggi eterne e rare,
ne fiumi cessan mai, né s’empie il mare.

78Entra in questo mio legno, e in pochi giorni
sotto l’alta Babel fia che ti porti.
Strano sentier farai; farò che torni
teco lo stuol de’ tuoi guerrier più forti».
Così parla, e per quelli aspri soggiorni
vedeansi in tanto i cavalier risorti
quasi da un gran letargo, e desti omai
godean de la ragione i grati rai.

79L’un l’altro mira, e con arcate ciglia
da lo sguardo di quel questo dipende;
tacciono, e da l’altrui gran meraviglia
meraviglia maggior ciascuno prende.
Notano il loco, e in van contezza piglia
alcun di sé mentre al passato attende,
ma guidati dal Ciel tutti ad un segno
ratti ne van là dove è il duce e ’l legno.

80E di stupore e di vergogna oppresso
volgono a pena al gran campione il viso,
e i lor falli d’amor pensano, ed esso
con gentil maestà mosse ad un riso.
Ma del sommo Monarca il santo messo
diede a costor de i gran successi avviso,
e de lo stato loro, e a pien del tutto
fu con breve parlar ciascuno instrutto.

81Fermo lo sguardo, attonito il pensiero
al suo volto, al suo dir ciascuno intese:
e lieto e persuaso ogni guerriero
col suo gran duce a l’alto legno ascese.
Su la poppa il celeste messaggero
assiso del camin la guida prese.
Gonfiano i tesi lini aure seconde,
vola il legno nel mar, mormoran l’onde.