ARGOMENTO
Varca il Duce co’ suoi l’onde lontane.
Viaggio in nave fino a Babele (1-32,4)
1E già da tergo de gli estrani incanti
l’inacessibil monte era sparito,
e scorrendo miràr, passando innanti,
de la gelata Groelanda il lito.
Opposto a lei di pargoletti erranti
scorsero in schiera un numero infinito.
Sembran fanciulli e pure il veglio volto
han di barba senile intorno avvolto.
2Reggean come destrieri in foggia nova
de le lor capre in sella assisi il freno.
L’arco stringeano e per ferir a prova,
carche di dardi le faretre avieno.
Così scherati van dove de l’uova
de gli augelli nemichi il lido è pieno:
ma stan le grue, per non aver offesa,
i lor parti innocenti a la difesa.
3E s’urtavano al fin con vago assalto
e la turba volante e la Pigmea,
e pien di ancisi e di sanguigno smalto
per la gemina stragge il pian si fea.
Opra la grue gli artigli, il rostro e ’l salto
e la pietra inalzata in giù movea,
ma l’audace pigmeo porge al suo strale
vèr l’alato nemico il moto e l’ale.
4Rise il Duce a tal vista e, gli occhi intenti,
meraviglie maggior vider vicine.
Monte ei mirò che d’aspri geli algenti
sostien nevoso ed agghiacciato il crine,
e nutre vibra fuor fiamme cocenti,
de le falde sassose in su ’l confine.
Mirabil mostro, che in sublime loco
pose l’acqua natura e sotto il foco.
5Fonte quivi non lunge a un colle sopra
scaturir si vedea fumante umore:
calda è quell’acqua e ben talor s’adopra,
ché del ghiaccio natio tempra il rigore:
L’acqua, chi ’l crederia? del foco ha l’opra
e ’l più freddo elemento esala ardore.
Così tempre distorte asconde e serra
a gl’influssi del ciel l’obliqua terra.
6Tra quest’Isola e quella aprir si vede
un angusto sentier di mar gelato,
ma, venendo quel pin, si scioglie e cede
ogni aspro gel de la sant’aura al fiato.
Stan quiete l’onde e de l’instabil sede
il girar voracissimo è temprato,
e già vicini a Magaster son scorsi,
fertil terren di calamita e d’orsi.
7Quivi entra il legno in un immenso mare,
che d’isole infinite il grembo ha pieno.
Stanno in schiere diverse e di dispare
e figura e grandezza esser parieno.
Grande su l’occidente Islanda appare,
ove de gli antri nel temprato seno
fuggir l’inverno a gli abitanti è stile,
che gli antichi nomar ultima Tile.
8Appresso accolta in mar, cielo inclemente
ed ha eterno rigor l’aspra Frislanda.
Ben feconda è di pesci e a varia gente
le sue merci de l’acque intorno manda.
Podalida è d’appresso e a l’oriente
le Fare e lungi non appar Scetlanda,
e la Firmarchia e la Norvegia lunge
l’infinito Ocean cela e disgiunge.
9L’Orcade poscia a l’oriente ha scorte,
l’Ebride passa e de l’Ibernia il lito;
fertile è d’erbe e popol vago e forte
accoglie e grato ha de le sfere il sito:
Lago v’è qui dove non giunge morte,
se pure il ver d’antica fama è udito,
e un antro usa mostrar con gran prodiggi
de la sacra giustizia alti prestiggi.
10Dietro a questo terreno in parte ascosa,
L’Anglia su l’occidente appar coperta,
e de gli erranti cavalier famosa
la Cornovaglia in mar sola è scoperta.
L’isolette Sorlinghe alquanto erbosa
mostran qui la lor chioma alpestre ed erta,
e su l’orto nel fin giace di costa
la Bertagna de’ franchi a l’Anglia opposta.
11Lungi sen va, né di Brieste il porto,
né le Galliche piagge il legno tocca,
né mirar può come ondeggiante e torto
Ligeri fluttuando al mar trabocca,
come da l’Ocean Carente è absorto,
come Garonna a l’onde false sbocca,
e come i Franchi ciascun lido intorno
di città torreggianti han fatto adorno.
12Il capo entro le nubi e l’oceano
l’alta Pirene e l’aspra Asturia asconde.
Siegue Galizia, ove il gran duce ispano
le genti ad onorar vengono altronde,
ove sono concetti al fiato estrano
i veloci corsier d’aure feconde.
Qui Finisterre e poi Baiona è apparsa,
di minute Isolette intorno sparsa.
13Poi Viana e Possenda a dietro lassa,
ove su ’l mar la Lusitania siede,
e dove Deuro mormorando passa
e quinci Porto e quindi Ovar si vede.
Del Mondego a le sponde indi trapassa,
Boarco e Pedernera indi succede.
Berlinga poscia in mezzo al mar si posa,
e nel capo Ciscais Bela famosa.
14Poscia di nome e di ricchezza altiero
sgorga il Tago nel mar l’onde correnti.
Lisbona ha qui ne l’ocean l’impero,
madre d’eroi di vera gloria ardenti.
Vantansi aver per genitor primiero
il grand’Ulisse e mostran ben le genti
in girar, in varcar l’ondoso regno
di quel saggio guerrier l’arte e l’ingegno.
15Passa il legno Albuferia e poi rimira
Cenzimbra e ’l sacro promontorio innante,
che scorge il mar là d’onde Africo spira
del sostegno del ciel superbo Atlante.
D’Ercole a manca il termine si mira
con le mete prescritte al navigante,
con le mete, c’ha poi rotte e spreggiate
con l’audace valor la nova etate.
16I regni, ove imperar Bocco e Siface
scorrendo in tanto a discoprir si viene:.
D’elefanti e leon terra ferace,
colma di mostri e di diserte arene.
Dopo Sala e Tanger, Madera giace,
ch’opposto il capo a la gran Fessa tiene,
e di bei frutti e d’alte biade abbonda,
che l’atlantico mar bagna e circonda.
17Non lungi è il suol, dove diè forza spesso
l’antichissima madre al figlio Anteo,
ma ne i campi de l’aria alzato e oppresso
da le braccie d’Alcide al fin cadeo.
Isola poi si vede eguale appresso
per le fiamme e le nevi al giogo etneo.
Le Canarie son qui, che Fortunate
Isole già chiamò la prisca etate.
18Sono opposte a Marocco e cosi grato
spiega a queste i suoi raggi il ciel clemente
ch’ivi l’alme de i giusti in un beato
viver gia collocò l’antica gente.
Doppo Sala, ed Argin lungi è mirato
l’ampio diserto de la Libia ardente,
dove d’Ercole il drago al fiero aspetto
ingoiando la terra il mar fu detto.
19Lungi tra l’ocean mal si vedea
la schiera de l’Esperidi rinchiusa,
ove in sasso cangiar gli altri solea
col sembiante fatal l’empia Medusa.
De le Garze a l’incontro Africa avea
la spiaggia in sirti e scogli aspra e confusa;
v’è Tongambuto e de’ suoi rivi altero
par che contra Nettuno accampi il Nero.
20Sembra di fiumi un stuol, vario si stende,
e per vario sentier s’aggira ed erra,
ed inonda qual Nilo e fertil rende
de gli Etiopi l’arenosa terra.
L’ampia Guinea nel suo confin s’estende,
che pregiati metalli asconde e serra,
ove rendere Apollo ha per costume
atro e nero ogni aspetto al troppo lume.
21Melli v’è qui di ricche merci altiera,
ma di selve confuse ombrosa e spessa.
E Mapan su l’accesa aspra riviera,
e ’l capo de le palme indi s’appressa.
Isola sotto l’Equator stes’era
detta di san Tomasso e incontro ad essa
giace l’altra del Prence e intorno estenso
v’è di regni diversi un golfo immenso.
22Indi è il capo di Siera e poscia viene,
terminando Guinea, l’ondoso Zare,
che colmo di Tritoni e di Sirene,
a la vasta larghezza agguaglia il mare.
D’oro abbondante e d’infiammate arene
il gran regno di Congo appresso appare,
di Camboa quivi è il porto e Zebilmonte
nubiloso a le stelle oppon la fronte.
23Tra l’adusto terreno, aspro e petroso
diserto si vedea scorrendo innante,
dove percote l’ocean ondoso
d’Arca superbo le sassose piante.
Lungi presso a l’arene appar ascoso
Comisa lago e giunge al mar sonante
Dangora fiume, u’ il capo è de la speme,
che l’errante nocchiero e brama e teme,
24perche qui con estrano alto rimbombo
ogni refugio, ogni riposo è spento;
s’alza l’acqua a le stelle e poscia a piombo
apre il varco agli abissi in un momento.
Sopra il lido spumante orribil rombo
fa di varie region soffiando il vento,
e l’aria e ’l mare eterno orror confonde,
con perpetuo pugnar di venti e d’onde.
25Passa il legno securo e a terra mira
minacciar, fatto veglio, il fiume Infante:
e tra l’Orto e la Borea il corso gira,
e le Remore lascia in vèr Levante,
là dove Aereo predator si mira
sollevar con gli artigli alto elefante
(strana forza) e poi scorge il Nago dare
ampio tributo di sue linfe al mare.
26Presso i rigidi monti è il rio del Lago,
indi Madagescar è in vèr gli Eoi:
isola è questa e mostra aver l’imago
di novo mondo a gli ampi giri suoi.
Gravida d’oro, ond’ogni petto è vago,
Cefala è appresso e Mezambiche è poi,
e diverse isolette indi apparieno
d’ampie vene d’argento ingombre il seno.
27Sta l’altiera Quiloa presso a Tabiva,
di ricchezze ripiena e d’arme e gente.
L’abbondante Melinda in su la riva
par che lieta vagheggi il sol nascente.
A la gran Madagasso indi s’arriva
d’elefanti, corsieri e d’or potente,
e d’Aromata il promontorio è innante,
onde pallido fugge il navigante.
28L’Isola Zocotera al Rosso mare
con alpestre terren sul varco è posta,
e Caria lungi mezzo l’onde appare:
ne l’arabica riva incontro opposta.
Ricca di piante ed odorate e rare,
e d’un placido april l’aria composta
giace l’Arabia, ove l’augel si pasce
ch’unico in se vivendo e more e nasce.
29Resta dietro Materca, e poi si mira
di ben mille Isolette un capo avvolto,
ed a queste vicina appar Mazira,
Resalgalti dopo lungi è non molto.
Ad angusto sentier quivi s’aggira
il legno, e al sen de’ Persi il corso ha volto.
Moscheto è a manca e a destra appar Calara,
che con stretto sentier l’onda separa.
30Gonga, Laron, Alochestan è intorno,
dove l’isola Ormus circondan l’onde.
Quivi le conche in placido soggiorno
stansi di rare perle il sen feconde,
Mentre, che aperte a l’apparir del giorno
il bel seme d’ambrosia il ciel l’infonde,
e ben prodotto il nobil parto pare
con gradita union di cielo e mare.
31Ne l’arabica riva è un stuol disperso
d’isole, e incontro Vendican si vede.
Oltre và il legno e al fin del grembo Perso
ne l’Arabia diserta Azichia siede.
Scorrer mirasi Eufrate al lido avverso,
ov’ha la sua spumante argentea sede.
Febo fra tanto a l’ocean s’ascose,
e fine al giorno ed al camin s’impose.
32Perché per un contrario sentiero,
del rio Mesopotan varcando l’onde,
giunser dove Babelle il capo altiero
de le gran moli entro le nubi asconde.
Calansi allor le vele e ’l gran nocchieroL’Angelo racconta delle origini e della potenza della magia di Bessana (57,6)
appressa il legno a le sinistre sponde,
ove di bianchi e vaghi marmi eretto,
inalzar si vedea non umil tetto.
33Quel poi cosi ragiona: «In questo lito,
duce sovran, co’ tuoi guerrier starai,
ove albergo più fido e più gradito,
che nel palaggio di Bessana avrai,
fin che su l’Ocean sarà apparito
il primo albor de i matutini rai,
perché dopo vedrai lungi non molto
il fedel campo, ove sarai raccolto».
34Scende il Duce dal legno e lui seguiro
il nocchier santo e de gli eroi la schiera.
Entraro al vago albergo e poi saliro
per adorne ampie scale in sala altiera.
Splendea di faci, e ben ornata in giro
si vedea di pitture, e in mezzo v’era
di bianchi lini in vaga guisa estensa
con dolcissimi cibi altiera mensa.
35Ciò, che la terra e ciò che il mar produce
e ciò, ch’arte sa far, quivi si vede,
e ciò che fa con la feconda luce
il bel raggio del sol, ch’ogn’arte eccede.
Quivi con gli altri eroi l’invitto Duce
s’asside e ’l santo messo in ricca sede,
e servia pronto a la gran mensa intorno
di paggi un stuol, di ricche vesti adorno.
36Ma poiché al fin co’ grati cibi foro
le lor brame native e paghe e spente,
e ravvivar l’usata forza loro
del fragil corpo la virtù cadente,
il sacro messagier del santo coro,
colmo d’alti pensier l’eccelsa mente,
grato al duce maggior l’aspetto volse,
poi con saggio parlar la lingua sciolse.
37Diss’egli: «O tu che come il braccio e ’l petto
mostri in sì molle età l’alma costante,
e pugnato hai sin or con caldo affetto
con l’impudica ed ostinata amante,
s’ella con l’armi del suo dolce aspetto
mosse assalto crudele al senso errante,
tu raffrenando gli appetiti hai resa
la ragion vincitrice in ogni impresa.
38E ben per questo hai tu gloria maggiore,
sendo più grave di tal guerra il pondo,
che di mille duelli aver l’onore
e superar con schiere armate il mondo.
Quello è gran capitan che con valore
vince l’insidie d’un parlar giocondo,
e quel sol dir si può monarca vero
che su i propri desiri ottien l’impero.
39E ben si duol, ch’è superata e vinta
dal tuo sommo poter l’empia Bessana,
che t’assalì con dolci preghi spinta
d’amoroso furor l’alma profana.
Fur vani i dolci incanti, ed or s’è accinta
a guerre e a morti, e vuol provare insana,
ardendo contra te d’ira mortale,
s’a la forza de l’alma è il corpo eguale.
40Arme essa appresta ed incantate squadre,
l’amoroso desir volto in furore;
ma da l’alto apparecchia il sommo Padre
la milizia celeste in tuo favore.
E se pria l’apparenze e orrende ed adre
vinse, spregiando il tuo sovran valore,
or l’empie schiere dal tuo braccio vinte
per non sorger mai più cadranno estinte.
41E voi guerrier, ch’a la famosa impresa
il valoroso capitan seguiste,
e ne la rete a vostri danni tesa
d’alma e di corpo prigioner veniste,
or che la prisca libertà v’è resa
non lasciate il sentier che pria smarriste,
però che il Cielo il tutto scopre e mira,
ma non sempre con voi benigno gira.
42E con vani desir non confondete
de la mente tranquilla il bel sereno.
Resti Bessana in sempiterna Lete,
che v’ingombrò di sozze voglie il seno.
Chi sia Bessana voi cristian sapete
con vostro alto disnor, ma non a pieno,
e de gli inganni e de gl’incanti suoi,
e l’origo e ’l progresso è ignoto a voi.
43Costei, bella di corpo, empia di core
il famoso Alderan ebbe già zio,
il famoso Alderan, del cui valore
mai non avrà la prisca etade oblio,
che togliere ad Apollo il suo splendore
parve, e farlo al girar pigro e restio.
Sfidò le stelle e l’aria e ’l ciel commosse,
tutto ad un tempo e la gran terra scosse.
44La sua morte previde, ed egli, ch’era
temerario e superbo oltre misura,
e si credea con la sua mente altiera
esser fatto Signor de la natura,
sen dolse, e pensò scaltro ogni maniera
per evitar vostra natia sventura.
Ma che pro se con morte ostar non vale,
perché ha termine al fin possa mortale?
45Risorse al fin, perche disnore avea
l’empio che il mondo il suo morir sapesse,
procurar con un’arte, ahi troppo rea,
come quest’onta traviar potesse.
E perché degna ed atta ei la vedea,
questa nepote al fier disegno elesse
ond’egli un dì cinto di mostri e larve
in camera romita a quella apparve.
46Potentissime note ei susurrando,
gli occhi girava orribilmente accensi,
stretto e ignudo tenea la destra il brando
e ne i fianchi egli avea duo veltri immensi.
S’atterrì la donzella e paventando
tremò confusa e in lei smarirsi i sensi,
ma l’affida il gran mago e i timor suoi
acquieta alquanto e le ragiona poi:
47- Figlia morir conviemmi, è giunta omai
l’ora che stabilì Parca inclemente.
Morrò, ma tu diletta indi sarai
fido sostegno a l’onor mio cadente.
Tu cara mia, tu mia fedel, ch’avrai
l’eredità del mio valor potente,
e godo sol che poi ch’io sarò morto,
nel tuo bel corpo sembrerò risorto.
48Or ecco il ferro, immergilo al mio petto,
e tal chiara virtù Bessana vuoi,
e ’l viso tuo nel mio canuto aspetto
al tuo voler trasmuterai dopoi,
e di mia veglia età l’empio difetto
s’adempirà co’ bei verd’anni tuoi -.
Così ragiona, e poscia il gran disegno
distingue e piega il pargoletto ingegno.
49E l’ammonisce ancor, che non adopre
incanto alcun col suo femineo volto,
e che il manifestar di sì grand’opre
resti mai sempre in cieco oblio sepolto,
ché s’avverrà giamai che ciò si scopre,
essa viver dopoi non potrà molto.
Indi un libro le dona e a parte a parte
l’espon del saper suo la possa e l’arte.
50Ma la crudel, benché fanciulla ancora,
come a grandezza tal chiamar s’udio
non aspettò che terminasse allora
l’ultime note il suo dolente zio,
che strinse il ferro e senza più dimora
dispietata e superba il cor gli aprio.
Cade Alderano a piè de l’empia e langue,
e sparge e versa in un lo spirto e ’l sangue.
51Corrono allora e adopran ratti i cani
sopra il corpo infelice ingordo il dente,
e ’l divorano a un punto a brani, a brani,
e per l’aria dapoi fuggon repente.
Ma la donzella disusati e strani
spirti e virtù deste nel petto sente:
vede sorto nell’alma alto valore
e s’ammira, di sé fatta maggiore.
52Così, se fu molle fanciulla innanti,
or sa convocar l’ombre orrende ed adre,
e sa guidar di cieche larve erranti,
fatta Duce infernal, falangi e squadre.
Fa con l’aspetto d’Alderan gl’incanti,
poi per Bessana si palesa al padre,
e crede ognun, di tal contezza privo,
che il gran mago già morto ancor sia vivo.
53E la bellezza e ’l gran saper profondo
hanno a gara in costei possa e valore;
e l’onora e l’ammira il cieco mondo
con desir, con vaghezza e con stupore.
Mortal non è che del suo giogo il pondo
non senta, or con violenza or con amore,
mentre l’altiera con suo doppio vanto
adopra or la bellezza, ed or l’incanto.
54Ed or l’assedio di Babel vedendo,
volle che tregua il genitor facesse,
ed ella esser ostaggio, a lui fingendo
di quel suo finto zio strane promesse.
Venn’ella al campo e come poi ridendo
ingannevoli lacci orditi avesse
testimonio verace è il vostro core,
ch’arse indegna beltà d’impuro ardore.
55Sapete ancor, che voi più degni amanti
l’ultima sera a se chiamò cortese.
Stolti correste a lei, né alcun innanti
il venir del rivale ebbe palese.
Ivi, per opra degli usati incanti,
con catene maggior vi avvolse e prese,
e per l’aria con voi tolse il sentiero
a quel freddo del mondo aspro emisfero.
56Poi per lo forte Alon d’amor insano
avendo il cor tra duri lacci avvinto,
il condusse in quel loco ignoto e strano,
col fallace pugnar del guerrier finto.
Or pietoso v’addita il ciel sovrano,
rotto di quell’incanti il laberinto,
la strada de l’onor segnata in pria
e de la grazia la smarrita via».
57Così parlava e con le viste intente
stavan quelli al suo dir muti e ammirati,
mentre con l’ale de la vaga mente
a l’empirea magione erano alzati,
del gran messo divin col guardo ardente
di santissimo amor tutti infiammati.
Ma le luci tenendo in lui più fisseL’Angelo svela la propria identità, poi scompare (57,7-64)
sciolse la lingua il sommo duce e disse:
58«Spirto divin ch’al nostro immondo seno
desti puri desiri e santi ardori,
e conoscenza e penitenza a pieno
porgi de i vani giovanili errori,
deh prega il Ciel che largamente sieno
sparsi in noi di la su gli alti favori,
però che il Ciel benignamente suole
porger l’usata aita a chi la vuole.
59Ma se basso pregar cotanto vale,
il nome e cl grado tuo saper desio,
c’hai mezzo de l’esercito immortale
de gli alati guerrieri intorno a Dio.
O pur alma sei tu, che da la frale
mortal soma disciolta al ciel salio?
Dillo, che drizzerem noi più divoti
al tuo nome, al tuo nume altari e voti».
60Così parlava, e cl santo messaggiero
volse intorno a color più vago il viso,
e fatto un sol più luminoso e vero,
folgorò vagamente a l’improviso.
Del celeste sembiante al raggio altiero
cade ciascun intorno a lui conquiso,
e s’ingombrò quell’ampio albergo adorno
di mille raggi e mille fiamme intorno.
61Intanto con celeste alta armonia
questo parlar tra lo splendor s’intese:
«Son Raffael, ch’al giovane Tobia
fui guida un tempo per estran paese,
ed or per lunga e disusata via
volse che a voi sia scorta il Ciel cortese»,
disse, e in quel punto raddoppiare apparve
il suo lume, il suo raggio, e tacque e sparve.
62E nel suo dipartir strada splendente
tempestata lasciò d’odore e lume,
come legno nel mar lascia sovente
l’onde partite e le canute spume.
Con voci pie la valorosa gente
stassi umile e divota oltre il costume,
e fugito colui quasi baleno,
i suoi vestiggi riverisce almeno.
63Con dimesso parlare umil preghiera
e d’accenti interrotti udiansi intanto
sin dentro il cor la valorosa schiera,
avvampando d’ardor celeste e santo.
Ma perché l’atra notte ognor più nera
steso avea già per tutto algente il manto
volean col sonno, in pro del corpo stanco,
porger pace a le cure o tregua al manco.
64Scorrono allor per quel pomposo tetto
a varie stanze e varie sale intorno,
e si vedea per ogni albergo un letto
di mille fregi e mille pompe adorno.
Quivi a le lasse membra alto ricetto
volse dare ciascun, fin che ritorno
ne l’indico ocean facci l’aurora,
che l’erbette inargenta e i monti indora.