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Babilonia distrutta

di Scipione Errico

Canto VII

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 3.05.15 13:19

ARGOMENTO
Nota in sogno il guerrier Roma e Babelle.

Alone viene portato in Cielo da Raffaele in sogno (1-20,4)

1Già la notte gelata inver Ponente
il suo carro stellato omai volgea,
e perle di ruggiada in Oriente
l’alma stella d’Amor sorta spargea.
Mormorava per tutto aura ridente,
che tra fronde e tra fior l’ale scotea:
ed erravan de l’alba a l’ore brevi,
gli altrui sensi legando i sogni lievi.

2E dolce quiete gli animai prendieno,
o s’ascondan tra rami, o in tana oscura.
e su l’Eufrate i cavalieri avieno
sommersa in Lete ogni noiosa cura,
ma del grande intelletto entro il sereno
da le larve de i sensi e sciolta e pura,
gravida di pensier, diverse forme
l’alma in essi figura e mai non dorme.

3Come forman talor nubi volanti,
ch’or si meschian tra l’aria or van disperse,
strane figure ed orridi sembianti,
che son guasti da poi da l’aure avverse,
cosi ne l’alma le fantasme erranti
apparenze tra lor varie e diverse
fingean, per le gran cose intese e viste,
di piacer, di desir confuse e miste.

4Ma il capitan, che verso il cielo alzava
di sue grazie bramosa ognor la mente,
in cui l’eterno Sole alto vibrava,
quasi in puro cristal raggio splendente,
mentre in quel dolce sogno oppresso stava
l’alta gloria celeste avea presente:
e ’l sopor e la luce altiera ed alma
eran vari diletti al corpo e a l’alma.

5Ma voi, che per antica innata usanza
aggirate le sfere, eterne menti,
e de le stelle in sempiterna danza
i bei moti regete, or presti or lenti,
s’audace il mio pensier se stesso avanza,
ergete or voi le sue virtù languenti,
onde prendendo verso il Ciel la strada,
Dedalo non s’impenni, Icaro cada.

6Dormiva, e in sogno il capitan videa
in uno ameno loco esser traslato,
ove sotto il suo piè lieto ridea
con bei fiori di stelle immenso prato.
S’aggirava scherzando e far parea
dilettosa armonia nettareo fiato,
e spargea l’aer chiaro oltre il costume,
quasi puro cristal, candido lume.

7Ma più vago splendor lungi si vede,
e più rara armonia formar si sente,
dove superbo un nobil tempio siede,
di chiarissima luce intorno ardente,
che in vaghezza, in grandezza e in arte eccede
il caduco pensar d’umana mente.
Strano è l’ordigno e son ben vili innanti
a l’eccelsa materia oro e diamanti.

8Statue d’alto valor vedeansi fuori,
obelisci superbi, archi trionfali,
ove pendean di verdeggianti allori
corone innumerabili e immortali.
E in leggiadra armonia lumi e colori
si confodean, diversamente eguali,
e vagamente la pomposa mole
tramutata parea tutta in un sole.

9Sole ch’alletta sì, ma non offende
cupido sguardo che il vagheggia e mira.
Stupido il duce il vago loco attende,
e ’l canto osserva e lo splendore ammira,
e vèr dove il bel tempio alto risplende
desioso e veloce il passo gira.
Giunse e ne la più ricca ornata porta
rimirò la sua diva antica scorta.

10Rimirò Raffael, che in Paradiso
risplendea con sembiante assai più vago,
e con più lume, lampeggiando un riso,
fea di santi diletti ogni cor pago.
Era al nobil candor del santo viso
la chiar’alba ridente oscura imago:
ed a le gote ed a le luci belle
eran vili sembianze aurore e stelle.

11De le bell’ale sue l’aurate piume
parean di color mille un ciel dipinto,
pare a l’augel c’ha di portar costume
l’occhiuto capo del custode estinto,
o pare a l’arco che il reflesso lume
del gran Pianeta entro le nubi ha finto.
E con leggiadri e tremoli splendori
fanno un misto gentil lume e colori.

12Ma la pompa celeste orna e non toglie
de lo spirto divin l’imago antica,
e vedendo il guerrier lieto l’accoglie
con grati detti e con sembianza amica.
«Guerrier (dicea), se l’incantate soglie
e del gelido mar l’onda nemica
meco varcasti, or più felice e fida
per l’eterna magion ti sarò guida.

13Né creder che sei tu nel cieco e frale
d’elementi incostanti instabil mondo,
ché poggiasti nel Ciel, dove non sale
alma cui de la carne aggrava il pondo.
Questo è il tempio d’Iddio, stuolo immortale
l’onora qui d’umane colpe mondo,
e de l’eterno Sole a i raggi ardenti
tengon, aquile invitte, i lumi intenti.

14E accampa in questo ciel del sommo nume
l’esercito invisibile ed alato,
ove par ch’ogni spirto arda ed allume
di santissima fiamma, amante amato».
Così diceva, ed ammirando il lume
e ’l celeste concento e ’l tempio ornato,
e l’angelico odore e ’l santo viso
stavasi Alon con guardo immoto e fiso.

15Sfavillando di poi di santo amore
la celeste sua guida entro il conduce.
«Entra (gli dice), se del gran Motore
vuoi la gloria mirare, invitto duce,
or che l’alta bontà ti diè valore,
ch’abbagliato non resti a tanta luce».
Entrò quello e stupì con mirar tanti
vari lumi, alte pompe e sacri canti.

16E ’l tetto e ’l suol con pregi opposti e pari
vibran scambievolmente aurei folgori,
e mandan mezzo a lor con fregi rari
trasparenti colonne, almi splendori.
Fumano qui sovra ben mille altari,
de l’Arabia più degni, incliti odori,
e in mille cori replicar s’udia,
con celesti concenti, alta armonia.

17Ma là dove ogni lume e pregio siede,
in un loco più raro e più riposto,
con pompa stan, ch’ogni intelletto eccede,
duo grandi altari un contro a l’altr’opposto,
e mezzo a questi un’altro altar si vede
con maggior lume e più vaghezza posto,
e d’arte e di ricchezza e di lavoro
ciò ch’è sparso per mille, unito è in loro.

18Ma come in ogni altar sempre si mira
di divota pittura eccelsa imago;
così sol qui per ogni altar s’ammira
pomposo speglio, luminoso e vago.
Qua giunser questi, e mentre il duce aggira
l’occhio per tutto curioso e vago;
il gran duce divin le luci fisse
a quelli tre più degni altari e disse:

19«In sì bel tempio ed in cotanti altari,
ove tanti son sparsi e lumi e fregi,
con armonia celeste ed honor vari
del sovrano Motor lodansi i pregi.
Ma in questi tre, che son più degni e rari
e di splendori e d’ornamenti egregi,
lodan gli spirti più felici e santi
de l’eterno Monarca i più gran vanti.

20L’un di giustizia e l’altro di clemenza
sono trofei de la bontà superna:
e in quel di mezzo è l’incorrotta Essenza
de la verità stabile ed eterna.
Ma guata omai questi gran spegli e senzaAlone ammira tre altari istoriati con storie di re ingiusti e Papi gloriosi (20,5-112)
più dir, fia che da te ben si discerna
ciò che mai non sarà, che a pien distingua
col caduco suo dir creata lingua».

21Così diss’egli, e i sacri detti allora
comprese il duce e l’ubbidì repente,
e nel vetro fisò, dove s’onora
la giustizia del ciel, l’occhio e la mente.
Intento Alone a contemplar dimora
un gran pian, ch’ivi appar verde e ridente,
ove cittade altiera oltre il costume
divisa rimirò da un ampio fiume.

22O come oscura e minacciosa e nera,
quasi Dite novella, era a l’aspetto,
e con voci di sfinge e di chimera
urli mandava ogni sua torre e tetto!
Alte sorgon le mura e in mezzo v’era
portentoso ed immenso albero eretto;
ampie ha le foglie e a la Città la luce
del sol invola e cieca notte adduce.

23La gran selva d’Ardenna unqua non fece
a tal pianta infernale alberi eguali,
ove sol si vedean, d’augelli in vece,
abitare ed errar spirti infernali;
e foco e fumo di solforea pece
vomitavan d’intorno e battean l’ali:
e tra suoi rami con orrendo strido
si vedean gli empi mostri accolti in nido.

24Ivi con tetra e viperina fronte
Aletto iniqua a coltivarlo stava,
e d’Averno e di Stigge e d’Acheronte
le fetid’onde intorno a quel versava;
e con le mani, al male oprar sol pronte
il suo sozzo terren sovente arava,
ed attendeva ognor, che al ciel sovrano
poggi l’orrida pianta e sempre in vano.

25Ivi frutti non già, ma stansi fiere
con sembiante infernal genti feroci.
Tengon scettri e corone oscure e nere
torv’il ciglio, aspr’il volto, il guardo atroci
Con muto minacciar vibrano altiere,
sol intese da l’occhio, orride voci,
mentre ravvolgon con ingiurie ed onte
verso il Cielo inimico empia la fronte.

26Per la pianta infernal, che al ciel sorgea,
alto stupore il sommo Duce accolse:
e a la guida immortal, che seco avea
curioso lo sguardo indi rivolse.
Quella, che aperto il suo desir vedea,
la sacra lingua in questi detti sciolse:
«Il gran fiume che miri è l’alto Eufrate,
e quella di Nembrot l’empia cittate.

27Questa è Babel d’ambizione umana
antico esempio e simulacro altiero,
che con culto infernal tenta profana
reger la terra e dominar sul vero.
Sovra i monti non sol, non solo insana
tenta pur sovra l’aria erger l’impero;
ma con le moli sue, quasi con braccia,
a le stelle s’estende e ’l Ciel minaccia.

28E minaccia, ed ardisce e par Briareo,
che il regno de le stelle assalir tente.
Ma se vinta e percossa ancor cadeo,
con l’honor de le torri, ella sovente,
poi sorse contro il ver, qual novo Anteo,
o qual d’empie cervici idra nascente,
o qual mar che se rotto a un scoglio cede,
indi più gonfio ad assalirlo riede.

29E cadendo e sorgendo ancor non vinta
da la possa del ciel vuol, che si scerna.
Ma ne la pugna disegual, distinta
via più risplende la bontà superna,
onde vuol Dio che in questo altar sia finta,
quasi trofeo de la giustizia eterna.
Ma se mirar gli empi misfatti vuoi,
nota l’orrida pianta e i frutti suoi.

30I frutti sono i suoi gran re, che fieri
chiuser de l’alma al divo Sole i lumi,
ed orgogliosi e contra il vero altieri
erser tempi ed altari a finti numi,
e di sangue formaro empi guerrieri,
del buon popol di Dio torrenti e fiumi.
Anzi un tentò con voglie audaci e felle
poggiar al Cielo ed ìrritar le stelle.

31Questi Nembrotte fu, che stolte genti
per fabricar superba torre accolse:
e quasi occupator de gli elementi
contra la sfera a guerreggiar si volse.
Ma Iddio, con variar gli usati accenti,
lo stolto uman pensier deluse e sciolse
ed esse errando in ogni clima estrano
sparser lingue diverse e culto insano.

32Onde qui con ragion siede il primiero,
pien d’orgoglio e furor, frutto si grande:
dove saldo via più l’albero altiero
co i suoi gran rami si dilatta e spande.
Nino v’è poi, che de i Caldei l’impero
ornò di vincitrici alte ghirlande,
ed idol novo e novo culto ha finto
sacrifici porgendo al padre estinto.

33Dal sembiante viril vedi, che spira
alto desio di dominar costui,
né meno gonfia d’alterezza e d’ira
la gran moglie orgogliosa è presso a lui.
D’acciar si copre e ’l mondo ancor l’ammira
perché finse altamente il sesso altrui,
e lasciva ed invitta il vasto impero
di regni accrebbe e di misfatti altiero.

34Semiramide ha nome e se in valore
ben superò del gran consorte i vanti,
ancor andò ne l’impudico ardore
ad ogni belva, ad ogni sesso innanti.
Successori a l’impero ed a l’errore
nota presso a costei Regi cotanti,
e intorno a lor tartarea puzza, ed ombra
l’aria e ’l cielo e la terra infetta e ingombra.

35L’ultimo è quel, che de le giuste stelle
irritò contra sé l’influsso irato,
mentre sozzo ei vivea tra le donzelle
di molli vesti indegnamente ornato.
Ben armò l’infelice il braccio imbelle,
da i suoi rubelli a guerreggiar destato:
ma tra pira mortal, poich’altri il vinse,
i suoi tesori e se medesmo estinse.

36Cosi questi cessàr, ma d’altri inesti
mill’empi frutti germogliar fra poco.
Sennecherib e Merodac son questi
Fulassar, Salmanzar, Evil, Beloco,
barbari al nome e più barbari a’ gesti,
che la Siria ingombràr di sangue e foco:
e per tutto infettar di stragge ebrea
la Samaria dolente e la Giudea.

37Or mira quel, che più spietato e fiero
mostra il sembiante e minaccioso il volto,
e quasi nuvol portentoso e nero,
alto folgor di sdegno ha in petto accolto.
Guerreggiando costui l’ingiusto impero
con l’altrui gran ruine accrebbe molto;
arse Sion e del suo cener feo
de l’inique vittorie empio trofeo.

38Nota l’ultimo frutto, in cui si mira
sembiante di uom di mille colpe rio,
da cui mossa dal ciel la nobil ira
volse al fin dar a tanti errori il fio,
perché, mentr’ei vino e lascivia spira,
altro onor non curando ed altro Iddio,
pose i bei vasi in uso vile ed empio,
che tolse fuor del sommo Nume al tempio.

39E quei vasi, ove offriro al Ciel sovrano
i gran servi d’Iddio pietosi odori;
or che in mensa adoprolli il re profano
ministri fur di scelerati errori.
Quando ecco appar prodigiosa mano,
ch’atterrì mille aspetti e mille cori,
e in caratter fatal lasciò descritto
contra l’empio signor l’orrido editto.

40Cade allor, vinto dal Persian valore,
l’iniquo Re con la Città superba,
che de l’alte sue torri il vano onore
indi oppresso mirò d’arena e d’erba.
Varie leggi soffrì, vario signore,
molti e molti anni in servitute acerba:
finché di mitre scelerate adorna,
contra il Ciel orgogliosa erse le corna.

41E questo avvenne allor che legge vana
diede Macone a Saracina gente:
onde ingombrò religion profana
la Numidia, l’Egitto e l’Oriente,
ch’una fede fondò la setta insana,
contra il vero orgogliosa e miscredente,
de’ successori di Macone infido
in questo d’ogni errore albergo, nido.

42Califfa ognun si chiama, e quasi altiero
nume a scorno del Ciel l’Asia l’onora,
e come in Roma il successor di Piero
de l’iniqua città l’empio l’adora.
Nel culto del rettor celeste e vero
esser vuol Belzebucco emolo ancora,
e con finti profeti e sacerdoti
brama, a gara del Ciel, preghere e voti.

43Mira quel ramo, ove l’annose braccia
l’infernal pianta in ver le stelle estende,
ove adornan color l’altiera faccia
d’orride mitre e di ritorte bende.
Ciascun col fier sembiante il Ciel minaccia
e ciascun biastemando il Ciel offende,
il Ciel, che vista un’empietà cotanta,
di fosco velo i lumi eterni ammanta.

44E notte qui di sempiterno errore
il suo lume negando Apollo adduce.
Ma poiché quivi adopra il cieco orrore
ciò che altrove fa il sol con l’aurea luce,
questa pianta infernal sempre maggiore
al ciel s’estende e frutti ognor produce,
e radice ognor fa salda e profonda
sin dentro Stigge ove Acheronte inonda.

45Che Lucifero altier, là giù cadendo,
ivi de la superbia il seme ei pose.
Indi poco dopoi l’albero orrendo
pien di frutti d’Averno al mondo espose.
Mira guerrier come sen va serpendo
per le caverne de la terra ascose,
e con torto girar penetra dove
le ciech’onde Acheronte aggira e move.

46Mira, guerrier, perche celar non puote
la terra col suo denso opaco velo
a i lumi tuoi le cose, che son note
giù ne gli abissi apertamente al cielo».
Fisa allor il guerrier le luci immote,
e, qual di forte acciar partico telo,
corse lo sguardo, ed arrivò sin dentro
de l’opaca region tartareo centro.

47E tra le nubi e tra l’orror discerne
del palaggio di Dite ogn’atra loggia,
e come per l’immense ampie caverne
l’alta radice la gran pianta appoggia;
come soffron la giù miserie eterne
l’alme dolenti in disusata foggia,
dove Lete e Caron forman erranti
con perpetuo girar perpetui pianti.

48Nota il tutto il guerrier, stupido ammira
gli orridi alberghi e la tartarea gente.
Vede che s’ange di furore e d’ira
con la turba infernal Pluto dolente.
Ma la guida del Ciel, che lieta gira
il sembiante ver lui grato e ridente,
gli dice: «O valoroso Duce, or guata
come per l’opre tue Dite è turbata.

49Ché tu sei quel da la cui forte mano
rotta cadrà la scelerata pianta,
con cui d’aver commossa al ciel sovrano
guerra e gara Acheronte empio si vanta.
Col tuo valor di quel Califfa insano
fia la superbia rintuzzata e franta.
Cadrà disfatta ed arderà Babelle,
vittima offerta a l’oltraggiate stelle.

50L’altrui frodi e le forze in un momento
cadranno, e tremerà l’empio pagano,
che, qual novo Perillo, in suo tormento
rivoltato vedrà lo sforzo insano».
Così diceva e stupido ed intento
godea ne l’alma il cavalier sovrano,
ed osservava de l’altare i pregi,
lo speglio, il lume e gli ornamenti egregi.

51Ma, contemplato il tutto, il guardo e ’l piede
de la clemenza a l’altro altar drizzaro:
ove speglio simil seder si vede
ma più de l’uso luminoso e chiaro.
Vaga ed ampia città, ch’ogn’altra eccede
d’artificio real dentro miraro:
u’ si vedean d’aureo splendore accense
ricche statue, alti tempi e moli immense.

52Vibran sette gran colli immenso lume,
ove l’alta Città si posa e fonda
e quasi tanti altari al sommo nume,
fan d’eccelso splendor vista gioconda.
Scorre pur mezzo a lei pomposo un fiume,
carco d’auree corone ogni sua sponda:
e con un suono armonioso e lento
tremolo move e trasparente argento.

53Mostra di verdi allori alte ghirlande
de l’invitta cittade ogni soggiorno.
e in mezzo, vèr le stelle, altiero e grande
inalzar si rimira albero adorno,
che l’auree foglie e i vaghi rami spande,
ombra recando sempre grata intorno,
e forman sovra quel canti beati,
quasi musici augei, gli spirti alati.

54E d’alati ministri eletto coro
de la pianta immortal cura prendeano,
e compartiti i vari uffici loro
leggiadramente intorno a quella aveano.
Altri intorno volgean gli aratri d’oro:
altri d’umor celeste acqua spargeano.
Stringean le spade in sua difesa gli altri
nel pugnar, nel ferir più lievi e scaltri.

55Ivi in vece di frutti antica gente
cingon di ricche mitre il crin sacrato.
e sul tergo ha ciascun vago e splendente
nobil ammanto e d’auree gemme ornato.
S’aggira e i rami suoi move sovente
d’aura santa immortal spirto odorato.
Sovra gli ride e senza nube e velo
versa in quel le sue grazie aperto il cielo.

56Voltossi il duce al sacro messo allora:
«Sembiante d’uom, che sì gran vista ammiri … »,
ma quasi stella anzi apparir l’Aurora,
girò quello i begli occhi in dolci giri
poi disse: «E il gran trofeo dove s’onora
la clemenza immortal, questo, che miri,
e in questo luminoso altar fu posto
ne l’insegne e nel loco al’altro opposto.

57Quella che in questo vetro appar descritta
la reina del mondo è l’alta Roma
la forte Roma, a la cui possa invitta
l’alto scettro del mondo è lieve soma.
Pianse sotto il suo giogo Africa afflitta,
e fu l’Asia e l’Europa oppressa e doma:
e corse audace oltre l’oblique vie
del gran pianeta che distingue il die.

58Ma, se con l’Ocean il vasto impero
ella già terminò ne l’altra etate,
or la potenza del suo scettro altiero
varca il confin de le region stellate.
Era prima il suo giogo aspro e severo,
or s’apprendon da lei leggi beate:
il mare, i regni e le corporee salme
ress’ella un tempo, or signoreggia l’alme.

59E s’ebber prima trionfali onori
in lei Cesari invitti e chiari Augusti,
e a i freddi Belgi marziali ardori
e apportò fredda tema a i Mauri adusti;
or con dolce imperare i successori
di Piero gran monarchi e sacri e giusti,
han con gloria maggior, colmi di zelo
fatta la pace entro la terra e ’l cielo.

60Sol ognor si sostien guerra mortale
incontro al senso, a cui dà forza Averno:
però s’inalza ognor pompa trionfale
del vinto senso e del beffato Inferno.
Questo è de i sacri eroi l’arbor vitale,
anzi scala, onde uom poggia al ciel superno,
onde i messi del Ciel discendon spesso,
come a Giacob fu di mirar concesso.

61Sì che d’una sol via d’un spirto puro
vengon i voti, onde le grazie vanno.
Mira la pianta, ove gli eroi che furo
col nativo sembiante assisi stanno,
e quelli ancor che al secolo futuro,
come piace qua su, là giù verranno».
Cosi quel dice e l’altro i fregi accolti
ammira e l’ordin vago e i sacri volti.

62Ripiglia quel: «Se di ciascun, che miri
la virtù voless’io dir con parole;
prima saria che mille volte giri
col suo gran carro in Oriente il sole.
Annoverarsi i risplendenti giri
potriansi pria de la celeste mole,
o de l’ercinia le confuse piante,
o l’arene ove al mar s’inalza Atlante.

63Pur io ti mostrerò fra tanti e tanti
alcun, per appagare il tuo desio,
di quei che in sollevar furon costanti
de la Chiesa l’onor, più cari a Dio,
e alcun che di pietà de i primi vanti
avrà nel secol più malvaggio e rio.
Ma ciascun ch’io ti addito osserva attento».
Quel segue e l’altro gira il volto intento.

64«Là presso il tronco e il venerabil Piero,
che prima feo de la gran sede acquisto
Nota il volto magnanimo e severo
in cui l’ardire a la pietate è misto.
Felicissimo in ver, ché fu primiero
per la bontà gran successor di Cristo.
ed ebbe col maestro un egual sorte
ne l’officio, ne l’opre e ne la morte.

65Lino e Cleto son quei dopo costui,
indi modesto il successor Clemente,
che a quei sian dati i primi offici sui,
vago di lor virtù, lieto consente.
Questi provàr sotto il furore altrui
per la fé di Giesù morte dolente,
e due corone al nobil capo uniro
e del regno lor sacro e del martiro.

66De l’imperio cristian monarchi altieri
mira dopo costor reggi cotanti,
ch’al fine ornar sotto tormenti fieri
di porpora sanguigna i reggi ammanti.
Sveller tal pianta i Cesari severi
e ne la fede e nel pensier erranti
stolti tentar, ma crebbe più con queste
acque del sangue lor l’arbor celeste.

67Ma l’acerbo penare al fin dispiacque
de i suoi fedeli al gran Motor divino,
onde rinascer feo ne le sant’acque
del buon Silvestro il saggio Costantino,
che, poi che in Roma stabilir gli piacque
e formar il più sacro alto domino,
trasportò d’Oriente al varco angusto
la cesarea sua sede e ’l trono augusto.

68Mira Gregorio ne l’orar potente,
c’ha di somma pietà sovrano onore,
Gregorio, che mirò Roma dolente,
padre in un punto e medico e pastore.
Leone è quel, che trasportò in ponente
l’imperio, e in premio il diede al gran valore
di Carlo il Franco per aver difesa
L’Italia afflitta e la romana Chiesa.

69L’altro Gregorio è là dal forte Ottone
difeso da l’altrui furore insano,
onde eleger gli Augusti al suo campione
grato concesse e al popolo Alemano.
Mira, che di pietà pungente sprone
ha nel guardo celeste il saggio Urbano,
che vèr Gerusalem co i detti suoi
spinse il forte Goffredo e gli altri eroi.

70Mira colà de la virtù costante
Alessandro, nel mondo illustre esempio.
O quanti affanni egli sofferse, o quante
risse con Federico altiero ed empio!
Pianse l’Italia allor mesta e tremante
de l’alte città sue l’amaro scempio;
ma se dianzi ei sembrò drago furore,
fatto agnel poi chinassi al gran Pastore.

71Urbano ultimo è quel, che viene assiso
del vecchio Piero a le sacrate sedi.
Vedilo afflitto il corpo, esangue il viso,
travagliato dal crudo empio Manfredi.
Ma ben tosto sarà, che cada anciso
l’infelice tiranno e gli altri eredi,
e dei regni usurpati ingiustamente
prenderà la corona estrana gente.

72Siegue dopoi costui ne la vitale
pianta schiera di gente al mondo ignote,
e spargon sovra lor vampa immortale
le splendenti del cielo eterne rote.
e ’l debil senso, che caduche ha l’ale
mirarlo entro quei raggi a pien non puote,
perche il futuro rimirar espresso
a voi ciechi mortai non è concesso.

73Ma poiché per voler del sommo Nume
la tua mente è portata in questi chiostri,
come spesso ei rapir ha per costume
dal senso fral da le fantasme e mostri;
ben converrà, che mezzo a un tanto lume,
poiché tratto qua sei, t’additi e mostri
de gli eroi più vicini alcun più degno
che arriverà de i sommi onori al segno.

74Mira il senese Pio, cui nel gran core
darà d’alta bontà vecchiezza audace.
O quanto ei spargerà voci e sudore,
per unir l’Occidente in lega e in pace!
Ringiovanito dal celeste ardore
correrà pronto incontro al fiero trace,
né opporrassi nel corso a l’alma forte
nel camin cominciato altro che morte.

75Lungi è il nono Leon con fronte grata,
che allor, che poggiarà di Pietro al seggio,
del secol vano la virtù fugata
richiamerà con core invitto e reggio,
Ivi non lungi il terzo Paolo or guata,
de la religion campione egreggio,
che del mesto suo gregge al gran periglio
accorto adunerà sacro consiglio».

76Così diceva e ’l cavaliero intanto
uom più lungi vedea nel santo coro,
in cui splendeva in un ceruleo ammanto,
fatto un mar di ricami, aureo lavoro.
Un vago mar, che ripercosso e franto
fea gran spuma d’argento in scogli d’oro,
e si scorgean per quell’ondosi regni
mille gravi di fiamme eccelsi legni.

77Separate dal suolo errar nuotando
diresti in mezzo al mar terre e cittati.
Così carchi d’eroi corrono urtando,
quai volanti castelli i pini armati.
Par che splendan le fiamme e van volando
da diverse region globbi infiammati,
e confondonsi intorno in varie sorti
fumo, straggi, ruine e sangue e morti.

78Ma la stragge confusa orna e non priva
de l’ammanto divin l’aureo ornamento,
anzi la vaga mischia a se rapiva
de l’invitto guerrier lo sguardo intento,
onde disse a colui: «S’a tanto arriva
de l’umano desir l’alto ardimento,
dimmi chi è quel che mostra adorne e inteste
cosi strane pitture a l’aurea veste.

79E spiegami onde avien che tiene accolto
sì bel conflitto e sì confuse risse».
Tace, e ’l messo divino a lui rivolto
con un riso gentil le luci fisse,
e lampeggiò del suo leggiadro volto
vaga e santa allegrezza e così disse:
«Questo è il sacrato eroe, ch’esser si scopre
Pio nel nome immortale e pio nel’opre.

80Questo è il gran Pio che, in un sagace e umano,
sarà d’ogni virtù celeste esempio:
e che l’onori il popolo cristiano
quasi nume sovrano in sacro tempio.
L’Italo invitto e ‘l valoroso Ispano
unirà questi incontro al popol’empio,
per opporsi al furor del Turco ingiusto
Ch’avrà tolto a Bizanzio il trono augusto.

81S’armeran saggi e adunerai costoro,
numero immenso di guerrieri e legni,
col Turco iniquo e col fugace Moro
a sfogar altamente i giusti sdegni.
Vinceran l’empia armata e i duci loro,
Empiran d’alta stragge i salsi regni.
L’aspro fato schivar pochi potranno
per dar l’aspra novella al fier tiranno.

82Ma se il Veneto invitto e ’l forte Ibero
gesti quivi faran d’alta memoria;
e se quivi otterrà d’Austria un guerriero
de l’illustre conflitto eccelsa gloria:
questo Monarca del sacrato impero
avrà il vanto maggior di tal vittoria,
ond’or di tal ammanto il Ciel gli feo
qua ne l’eterne idee ricco trofeo.

83Gregorio è poi, che da le dotte scole
farà osservar in pro de i sacri riti
i torti giri del camin del sole,
per volger d’anni ancor non definiti.
Grave i gesti il sembiante e le parole
onde paventan cori più arditi
poi Sisto avrà d’ogni virtute il pregio,
de l’onor di Giesù guerriero egregio.

84Mira lungi non molto il gran Clemente
de la fé che combatte almo campione,
che real trono in su l’eccelsa mente
darà saggio e pietoso a la ragione.
Di pietà, di valor fiamma potente
vibra col guardo il successor Leone,
ma un punto acceso del suo santo zelo
rapirà la bell’alma avaro il Cielo.

85Mira che dopo a lui gran successore
fia Paolo il quinto nel sacrato impero,
che d’inalzar industre avrà l’onore
l’eccelso tempio e in un la fé di Piero.
Indi è Gregorio, il cui benigno core
di zelo avamperà pietoso e vero;
decimo quinto al nome, a l’onor primo,
abbasserà l’altiero, ergerà l’imo.

86Avrà costui d’ogni virtude il vanto,
di saper fia gran fonte, anzi ampio mare,
e ’l farà degno del sovrano ammanto
l’alto consiglio e l’opre eccelse e rare».
Così parlava e ’l cavaliero intanto
con gioia e meraviglia ivi a mirare
stava con occhi cupidi, ed intenti
ora gli eroi passati ora i presenti.

87Arboscelli pomposi anco per tutto
vedeansi intorno a la sacrata pianta:
onde d’un grato bosco ivi costrutto
vaga ombreggiar parea la città santa.
Leggiadramente ogni suo nobil frutto
gran porpora real orna ed ammanta,
e i sacri spirti ed in quel lato e in questo
fanno di lor a la gran pianta inesto.

88Ciò mira il duce, onde il parlar riprende
il messo del sovrano alto Motore:
«Questi gli alberi sono onde si prende
il frutto ad adornar l’arbor maggiore.
Di saper questi ancor forse t’accende
onorato desire il nobil core,
ma l’ora è tarda e ’l Ciel, ch’avido brama
le sue vendette, al campo omai ti chiama.

89Onde or io non t’addito i gran Farnesi
i saggi Borromei, gli Ori, gli Ursini,
e gli Estensi e i Gonzaghi e i Colonnesi,
i Montalti, Caraffi e Aldobrandini,
e i Lodovisi e i Medici e i Borghesi,
a i quali il mondo fia, ch’umil s’inchini,
e gli altri, che nel più misero ed empio
secol fian di virtù sovrano esempio.

90Pur tra selva gentil di tali e tanti
drizza ad un più remoto i lumi tui,
che sembrerà tra i gran purpurei ammanti
vago fior, nobil frutto a fregi sui.
D’aver un tanto eroe fia che si vanti
a ragion quell’età, perche fia in lui
ciò che raccor nel vostro fragil velo
può di raro e gentil natura e ’l Cielo.

91Maurizio ha il nome, alta e famosa prole
d’un che al par fia d’ogn’altro invitto Carlo,
che tra gli alpini monti un novo sole
di valor, di saper sarà a mirarlo.
I nomi lor non come gli altri suole
del tempo roderà l’invido tarlo,
ma in un co’ gran fratelli e gli avi illustri
spreggeran gli anni e con l’etati i lustri.

92A Carlo unita un dì la figlia altiera
del gran re d’Occidente, il quale a freno
avrà ben mille regni, illustre schiera
di gran figli esporrà dal nobil seno.
E benché tutti al par d’invitta e vera
e d’eroica virtù ritratti sieno,
pur questo adorno del purpureo ammanto:
avrà di sacro honor più raro il vanto.

93Saprà, notando, già passati eventi,
accorto anteveder l’opre future.
Saprà a le giuste ed a l’inique genti
dar alti premi e pene or lievi or dure.
Saprà temprar d’egri desiri ardenti
l’aspre fantasme e le noiose cure.
E intrepido saprà col petto forte
i perigli incontrar, schernir la morte.

94Accoglierà nel giovanetto core
Saggio voler di senettù sagace:
e ben potrà col gemino valore
or prudente mostrarsi ed ora audace.
Fuggirà l’ire e gli odi e più in onore
de la certa vittoria avrà la pace.
Chi sa s’un dì per far felice il mondo,
a lui darassi de la Chiesa il pondo?

95Forse allor si vedrian cristiani eroi
tentar amiche leghe e guerre sante,
colmi di fide squadre i campi eoi
e di legni saria l’onda spumante.
Ma tra gli oscuri e densi veli suoi
ciò tiene avvolto il fato, e mal bastante
è a contemplar cosi di lungi il vero
sia quelunque creato occhio cerviero».

96Così dice e ’l guerrier le luci intente
ne la sacra città fisse tenea:
e di quell’altra età ne la gran mente
i chiari gesti emolator volgea.
Disse poi Raffael: «Via più splendente
è l’altar, che sta in mezzo e l’alme bea.
Ben veggio, Alon, che tu veder le vuoi,
se saran pur bastanti i lumi tuoi»,

97disse, e vago di cose e nove e care
vèr là drizzossi il cavalier bramoso.
Pompe il loco non ha superbe e rare,
ma del lume nativo è sol fastoso;
è di cristallo il luminoso altare
e d’incerto splendor sta dentro ascoso.
Sovra non sa se face o speglio o fiamma
vi sia che i sensi alletta e l’alme infiamma.

98Poco mancò, che la divina luce
del guerrier gli occhi vaghi a se rapisse,
ma in quel momento il suo celeste Duce
pronto il prevenne e rafrenollo e disse:
«Al divo oggetto, che là su riluce
tener tu non potrai le luci fisse.
Breve è il confin de la vostra alma audace,
e di lume infinito è mal capace.

99Ma il guardo inchina e i lumi appressa e gira
vèr le vaghezze contro l’altar splendente,
e quivi a voglia tua contempla e mira
l’uscite cose da la man potente.
Dentro i cieli vedrai, che intorno aggira
alto poter d’infaticabil mente.
onde al girar de i lumi erranti e torti,
come piace qua su varian le sorti».

100Così diss’egli, e l’altro là dov’era
quel altar trasparente il guardo ha fiso,
e de le stelle la pomposa sfera
subito ebb’ei di rimirare aviso,
e tanti globbi in non confusa schera,
c’hanno il moto e ’l motor vario e diviso
e vagar variamente in mezzo a questi
i contrari pianeti or tardi, or presti.

101E la sfera, che quasi egra e languente
obliqua e torta vacillar si mira,
e quell’altra maggior, che d’Oriente
seco l’altre minori avvolge e tira:
E tutte in uno, o siano preste o lente,
per contrario sentier veloce aggira:
e quella che dal vario moto uscia
mezzo gli astri rotanti alta armonia.

102Come per obliar le lunghe e algenti
notti s’apre talor pomposa scena,
che mostra or vari canti or varie genti,
or pitture or facelle ond’è ripiena,
così il guerriero udì mille concenti
dolci più, che di Progne o di Sirena,
e forme e lumi e danze, or tarde or preste
in quella alta di Dio scena celeste.

103Intento stava a le gran cose volto
di stupor l’alto duce ingombro e pieno,
e raggirava or quinci or quindi il volto,
ma veder non potea l’umil terreno.
Diss’egli al fine a Raffael rivolto:
«Ov’è la terra, che nel vasto seno
tanti regni e città nutre e circonda?
e l’immenso ocean ch’intorno inonda?».

104Così gli disse, e con ridente aspetto
l’Angel del cavaliero i detti accolse,
e de l’alma delusa il vano affetto
con accorto parlar correger volse:
«Quel fallace desir, che con diletto
(diss’ei) sovente in duri lacci avvolse
di dominar la terra e l’oceano
voi superbi mortali, oh quanto è vano!

105L’ampia terra, c’ha in sé regni cotanti
appo l’alma del cielo immensa mole,
picciola è più de gli atomi volanti,
che col caldo suo raggio inalza il Sole.
Ben cieco è l’uom che co i pensier erranti
solo a i regni di quella aspirar suole,
né mira il Ciel, che più superbi e degni
scettri gli addita e non caduchi regni.

106Onde, se son la terra e l’oceano
piccioli tanto e sì lontan da noi,
meraviglia non è se tenti in vano
ch’ella oggetto esser possa a i lumi tuoi».
Così parlava e ’l cavalier sovrano
stava muto ed intento a i detti suoi.
e mirava ogni stella a parte a parte,
e l’austero Saturno e ’l crudo Marte.

107E ’l grato Giove e Venere ridente
col dolce raggio acquietator di risse,
E ’l sol, che allor parea che l’Oriente
co i chiari raggi ad illustrar venisse.
Ma non ben pago ancor l’occhio e la mente
si volse a l’altro il cavaliero e disse:
«Ben vago è quel, ch’à me si mostra e spiega
ma l’oggetto più raro a me si nega.

108Ma se voglia mortal tant’è potente,
ciò ch’è sovra l’altar mirar desio:
né mi curo abbagliar gli occhi e la mente
ne l’ardor di qua su sovrano e pio».
Replica quel: «Sì bel desire ardente
degno è di tua virtù, ma che poss’io
se son l’umana vista e l’intelletto
non ben atte potenze a tanto oggetto?.

109Quivi è il trono d’Iddio, che il suo sembiante
spiega a campo immortal di eterni spirti;
e d’alme elette ad un drappel trionfante
c’ha corona meglior, che allori e mirti.
Ma quando fia che il sempiterno amante
a grado avrà tra queste schiere unirti,
inonderà, quasi di grazia un fiume,
ne la sciolt’alma tua di gloria un lume.

110L’infinito Motore allor espresso
di quest’ampia e per lui picciola mole,
mirar ed affissar ti sia concesso,
fatto d’aquila il guardo, al sommo Sole.
Al sommo Sol, che al vostro sole istesso
compartir il suo lume e i raggi suole,
come illustra col raggio e rende belle
esso le fisse e le vaganti stelle».

111Tace, ma in tanto con un dolce ardore
alletta il cavalier la santa luce.
Tien chino il volto, ma desio maggiore
il divieto divino a l’alma adduce.
«Sia de la vista mia spento il vigore,
immortal Raffael (ripiglia il Duce),
che ben pago sarò, se questo sguardo
si vituperi audace e non codardo».

112Così diss’egli e da le luci sante
mosse l’altro al suo dir dolce un sorriso,
quand’ei fisò, quasi farfalla errante,
a gli alti rai del sommo lume il viso.
Ogni senso svanì, stanco e tremante
cade il suo sguardo attonito e conquiso:
e a gli occhi, che inalzarsi unqua non ponno,
vien tra ’l sonno verace un finto sonno.

Bessana pensa a nuovi modi per vendicarsi (113-116)

113Ma, dal doppio dormire è al fin destato,
andando in fuga il sonno falso e ’l vero,
e mira in tanto omai cresciuto e nato
il giorno, ed ingombrar nostro emisfero.
Sorg’egli, e de le usate vesti è ornato,
ed accoglie, ed aduna ogni guerriero,
e lungi mira il campo suo congiunto
sotto Babel, dove d’andare è in punto.

114Mira e parli veder Babelle altiera
tra le ceneri e ’l sangue arsa e stillante,
ed alte imprese ed alte palme spera
d’onorate fatiche il cor bramante.
L’orgoglioso furor l’alma guerriera
desia provar de la nemica amante,
perche, se vinse le lusinghe e i vezzi,
gli orridi sdegni a superar s’avezzi.

115Ma la maga crudel, visto che fea
al fine al campo de’ cristian ritorno
quell’invitto guerrier che preso avea
e trasportato oltre il camin del giorno,
ne l’adirato sen la rabbia rea
l’affligge e l’ange di vergogna e scorno,
ed avvampa altamente entro il suo core
con incendio comune odio, ed amore.

116E volendo sfogar l’ardor insano
de l’odio e vendicar l’amor negletto,
e conosciuto che il guerrier sovrano
a i diletti d’amor di ghiaccio ha il petto,
e visto ne l’amore esser già vano
sforzo infernal da stolti carmi astretto,
voltò, per appagar l’anima accesa,
l’orgoglioso disegno a nova impresa.