commenti
riassunti
font
AA+
Chiudi

Babilonia distrutta

di Scipione Errico

Canto VIII

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 3.05.15 13:25

ARGOMENTO
S’arma la molle e feminile etade.

Bessana allestisce un esercito di maghe fingendosi suo zio Alderano (1-48)

1De l’adusta Etiopia entro il confine
vèr l’Antartico mare un monte sorge,
che in sostener le stelle a lui vicine,
spesso al libico Atlante aiuto porge.
Cinto d’inacessibili ruine,
ad ogni altezza sovrastar si scorge;
sotto ha le nubi e ’l suo seren non turba
la confusa de’ venti orrida turba.

2Qui de l’arte maestra alto portento
tempio superbo in su la cima siede,
tempio che di vaghezza e d’ornamento
e di raro edificio ogn’altro eccede;
e con gran fasto sovra cento e cento
gran marmoree colonne alzar si vede.
D’archi è pomposo e son di cedro eletto
l’adorne travi e dan sostegno al tetto.

3Di statue e di piramidi eminenti,
e d’ampie loggie ed alte scale è adorno,
e l’eccelse sue cupule splendenti
mandan bei lampi a l’apparir del giorno.
Nobili alberghi qui di varie genti
son fabricati al ricco tempio intorno.
Alderano fondollo, ed Alderano
è de la stolta gente idol profano.

4Turba che ciecamente il pensier frale
ne l’arti di Cocìto immerso tiene,
a questo d’empietà tempio infernale
come a sacra magion concorre e viene;
ed al finto Alderan, che d’immortale
la fallace credenza in lor mantiene,
voti porgon ognor con empio zelo
e sacrifici, onde s’irrita il cielo.

5Donne son tutte e se tant’anni e tanti
del verace Alderan ministre furo,
poscia in Bessana a i finti altrui sembianti
porser preghi infelici e culto impuro.
Esse, allor che stendendo i neri ammanti
rende l’orrida notte il mondo oscuro,
per diverse region vagan portate
sovra draghi volanti e belve alate.

6Varcan de i nembi il gelido soggiorno,
poggian di Cinzia a l’argentata sfera,
e van veloci trascorrendo intorno
or per l’inda contrada, or per l’ibera,
or dove apporta co’ bei raggi il giorno
il pianeta del dì, che a noi fa sera.
Spian l’altrui voglie e l’opre e tra le culle
son avezze a rapir varie fanciulle.

7E da gli aspetti de l’erranti stelle
gli eventi di costor notando in parte,
avezzan molte ne l’orrende e felle
empie dottrine de la magic’arte;
ed in molte adattando il sesso imbelle
al faticoso e greve onor di Marte,
lor fan spesso cangiar in nobil uso
ne la lancia e nel brando e l’ago e ’l fuso.

8Ma il gran colle scosceso il dì la fronte
carco ha di nubi, indi la notte avvampa.
Contra il nemico ciel e fiamme ed onte
commove, e gran comete in aria stampa:
Infelice colui che presso al monte,
sia pur sorte od error, misero inciampa,
ché con danno mortal prova sovente
com’esso, emolo al Ciel, folgori avvente.

9Timido e incerto ogni abitante intorno
a quell’alta del mondo eccelsa mole,
pur come de gli dèi sacro soggiorno
l’onora, ed appressarsi unqua non vuole.
Sol quando reca ad altre genti il giorno
ne l’ispano ocean cadendo il sole,
qua suol venir sovra un volante drago
il mauro Saladin, guerriero e mago.

10Forte così, che no mai ferro strinse,
che il nemico non vide umil tremante,
e dotto sì che in arte maga vinse
il batro Zoroastro e ’l mauro Atlante.
Reggea costui quell’Isole, che cinse
presso a Marocco l’ocean sonante,
ma sovente qua vien e al falso ed empio
nume s’inchina, ed offre voti al tempio.

11Ivi la disciplina aspra di Marte
a le donne rapite egli dimostra:
come si volga o in questa o in quella parte
la lancia e ’l brando in fier duello o in giostra;
come un destrier s’affreni, e con qual’arte
ogni squadra si schieri o in pugna o in mostra.
Così l’insegna e, ’l suo valor sovrano,
ammirando, onorò spesso Alderano.

12Ché di tante sue maghe e sue guerriere
sì servì variamente in mille imprese,
le vicine provincie e le straniere
or aita provando ed ora offese.
Bessana poi, che le sembianze vere
de l’iniquo suo zio fingendo prese,
cose ben fatto avria d’alto stupore,
ma la trattenne co i suoi lacci Amore.

13Ma s’amor la legò, sdegno la sciolse,
fatta nemica, ond’era in prima amante.
Anzi in più fieri nodi allor l’avvolse
Amor, che di furor prese il sembiante.
E perche franger dispettosa volse
il santo cor del cavalier costante,
variamente adoprò con gemin’arte.
prima l’arme di Amor, poscia di Marte.

14Ond’ora al tempio suo ratta s’invia,
fiera il cor, cieca l’alma, il guardo accesa
sovra un carro volante e giunge, e pria
del superbo Alderan la faccia ha presa,
e a un empio tron, che a lui la gente ria
eresse un tempo in ricco altare è ascesa,
e di concava nube intorno è involta,
e non vista da gli altri e vede e ascolta.

15Ma da l’opaco sen del basso mondo
nera la notte e gelida sorgea,
e in mezzo del suo corso, orror profondo
più de l’uso per tutto ognor stendea,
quando tra l’ombre dense al tempio immondo
de l’iniquo Alderan la gente rea
iva ad offrir, com’era suo costume,
sacrifici profani ad empio nume.

16Quivi il fier Saladino anco si vede,
di ricche vesti alteramente adorno,
assiso in alta ed onorata sede
con tante maghe e tante streghe intorno:
Qui mille e mille luminose tede
luce fan ne la notte emola al giorno,
e risonan tra lor voci infinite
di stolte note e sol d’Averno udite.

17Come in notte talor strider si sente
schiera di upupe e di palustri rane,
come rugge il Leon, fischia il serpente,
tra l’aspre grotte e le solinghe tane,
così s’udia la scelerata gente
sciogliere in vario suon note profane,
quando il finto Alderan la nube scosse,
ond’era involto, e a gli occhi lor mostrosse.

18Grave ha il sembiante e di splendor celeste
il viso e ’l corpo suo sparso riluce,
con quelli raggi, onde talor si veste
fatto un Angel d’Averno, Angel di luce.
Di bei piropi la pomposa veste
folgora intorno e meraviglia adduce,
e in vaga e strana guisa al volgo ignote
variamente ha cosperse e forme e note.

19E la gran barba e ’l crin canuto e folto
al curvo petto e al tergo annoso scende,
e di crespe senili ingombro il volto
rigido il mostrò e riverente il rende:
Tiene in barbara pompa il capo avvolto
di lunghe tele e di ritorte bende.
Gran verga ha in man, onde la pazza gente
più che al folgor del ciel trema sovente.

20Tacquero al suo apparir le turbe stolte,
vinte di strano e riverente affetto,
e mute e immote esse restaro, involte
il viso di pallor, di tema il petto.
Ma quel finto Alderan girò tre volte
tacito e grave il venerando aspetto;
poi narrando alte offese ed alte risse,
sciolse il parlar da lunga istoria e disse:

21«O mia più saggia e cara gente ch’io,
non senza preveder d’alto intelletto,
da le larve ed error del volgo rio
tra tanti ho gia per separare eletto,
ben voi fidi attendete al culto mio
in questa alta region con puro affetto,
ond’io verso favori e voi devoti
ognor m’offrite e sacrifici e voti.

22E con ragion la sua più fida gente
favorisce ed esalta il giusto nume,
come punir con la gran man potente
i popoli rubelli ha per costume.
Ben l’empio popol de la Scizia algente,
che me schernire e ’l gran Macon presume
vedrà che colpi il Cielo aventa e tira
con tarda sì ma irreparabil ira.

23Sapete ben di questa gente in parte
il famoso nel mondo almo valore,
anzi per mio voler nel dubio Marte
mille volte v’armaste in suo favore.
Or da lungi io dirovvi a parte a parte
ogni suo gesto, anzi ogni suo disnore,
anzi ogn’alta empietà, non dianzi udita,
che le stelle inasprisce e ’l Cielo irrita.

24Quell’estremo confin, ch’è vèr Levante,
resse di Scizia il valoroso Uncano,
Uncan, ch’ebbe dal Caucaso a l’Atlante
il primo vanto di valor sovrano.
Timido al suo poter giacea tremante
L’Oriente e l’antartico oceano,
quinci imperò tra gli Etiopi e quindi
col suo scettro affrenò gli Sciti e gl’indi,

25che sotto il pondo del suo giogo altiero
miserabil traean dolente vita,
ubidendo infelici al popol nero,
da la cui legge è la ragion bandita,
quand’io, che a sdegno avea sì crudo impero,
risolsi dare al maggior uopo aita,
e destando alti sdegni e nobil ire
porsi a popol più stolto armi ed ardire.

26Tartaro è il popol detto, in cui gia spenti
eran d’armi e di lettre il nome e l’uso;
popol sol atto a pascolar gli armenti
né a comandar, ma ad obedir sol uso.
De lo scitico mar tra l’onde algenti
e ’l gran monte Belgian vivea rinchiuso,
e misero soffrì tanti e tanti anni
de’ luoghi alpestri e del servir gli affanni.

27Questi io già dal servir e da l’armento
tolsi, e feci trattar elmo e lorica,
gente stolta ed ingrata, ahi ch’or mi pento,
sol per averla incontro a me nemica:
Di valor natural, d’alto ardimento
uom tra questi vivea d’etate antica
avezzo entro la più rustica plebe
sol a mover aratri e fender glebe.

28Posi in costui de la mia possa il brando
e diedi a lui di tanta impresa il pondo,
per liberarli e per errar domando,
quasi Alessandro e qual Sisostre il mondo.
Tranquilla notte a questo elessi e quando
silenzio si godea grato e profondo,
il sembiante pres’io d’alto guerriero
candido l’armi e candido il destriero,

29e gli apparvi e gli dissi: – A te m’invia
de l’alte sfere il Regnator sovrano,
or che pietoso liberar desia
la tartara nazion dal giogo estrano.
Te scelse a tanta impresa, e tal balia
darà benigno a la tua invitta mano
che sarà del tuo impero e del tuo grido
l’ampio e vasto Oriente angusto nido -.

30Così dissi e disparvi e raggi ardenti
d’onor, di gloria gl’inspirai nel petto.
Ma poiché il giorno apparve, a le sue genti
Cangio narrò ciò che da me fu detto.
Ma perche da le turbe miscredenti
con stolto riso fu il suo dir negletto,
a i più degni di quelli apparvi ancora,
ne la notte seguente anzi l’Aurora.

31E con volto più fier – Duce e signore
l’invito Cangio a voi sarà (lor dissi),
e l’eterno voler del gran Motore
egli farà de’ lumi erranti e fissi -.
Tacqui e repente ogn’altra voglia fuore
da lor partì, poiché tal voce udissi.
Vien il mattin e con concorde brama
suo monarca e signor ciascuno il chiama.

32E con povere pompe e rozzi onori,
steso un feltro nel suolo, un tron gli alzaro
e legando al suo imperio e l’alme e i cori
fede perpetua al duce lor giuraro.
Spade, lancie, elmi, usberghi e corridori
pronti di varie parti indi apprestaro;
anzi di ferri allor copia infinita
feci anch’io ritrovar per lor aita.

33E di guidar e d’ordinar le schiere
a Cangio diedi, e a’ sommi duci l’arte.
di schivar li perigli e di sapere
gli esiti incerti del dubbioso Marte.
Ardon già di pugnar l’anime fiere,
già la pace e ‘l servir posto è in disparte.
Gridasi – A l’arme -, e chi fu vile e stolto
a le guerre, a i trionfi, a i premi è volto.

34Ma Cangio, pria che qualche impresa tenti,
per conoscer il cor de i duci sui,
volle che i primigeniti innocenti
uccidesse ciascun innanzi a lui.
Essi allor soggiogaro obedienti
l’amor paterno a i sommi imperi altrui
ed offrìr prontamente, oltre il costume,
sacrificio infelice a crudo nume.

35Ma visto ch’era ognuno a lui sì fido,
l’accorto Cangio a guerreggiar s’accinse
ed ampiamente ogni campagna e lido
d’aspra strage nemica intorno tinse.
E di tante vittorie al chiaro grido
formidabil si feo che in fuga spinse
schiere invitte a un sol guardo e porsi anch’io
nel magior uopo il favor vostro e ’l mio.

36Onde spesso atterrò con poca gente
squadre infinite di guerrieri eletti,
e vittorie i suoi duci ebber sovente
ne i gran perigli a fuga indegna astretti.
S’empì de le sue glorie l’Oriente,
e di trofei per sì grand’opre eretti:
e ben ogni valor greco o romano
presso al tartaro duce è lieve e vano.

37Ma il valoroso Uncan, con suo dolore
cotanti duci suoi vinti mirando,
e che già ne l’imperio e ne l’onore
giva il rubello suo troppo avanzando,
venn’egli, e mostrar volle il suo valore
col gran nemico al paragon del brando.
Ma dal tartaro re con nostra aita,
e del regno fu privo e de la vita.

38Or poi che fu lo scitico Oriente
là del monte Belgian a pien domato,
che voltasse le schiere in vèr Ponente
fu lo scita signor da me avisato,
perché Iddio gran vittorie a la sua gente
e vastissimo impero avrebbe dato,
e guidati gli avria sorte feconda
a le ricchezze onde la Siria abbonda.

39E credendo al mio dir, con figli e mogli
ciascuno in vèr l’occaso oltre camina.
Giungono al fin dove tra sassi e scogli
il gran monte Belgian al mar confina.
Allor che il passo di mostrar lor vogli
pregaron tutti la Bontà divina,
e chinàr nove volte appresso al monte,
con l’esempio del duce al suol la fronte.

40Ecco che quando allor venne a spuntare
l’aurea luce del sol da l’oceano,
videro, oh strana meraviglia, il mare
dal gran monte scosceso esser lontano,
ed ampiamente per passar mostrare
a le genti un sentier facile e piano.
Così d’alta virtude illustri esempi
fatt’ho grato e benigno in pro de gli empi.

41E passando securi a l’altra sponda
posero il tutto in cenere e faville;
e qual torrente, che d’intorno inonda,
guasta, svelle ed atterra alberi e ville,
così con la mia possa a lor seconda
mille schiere atterràr e città mille.
Cangio, al fin sazio e di vittorie e prede,
de la vita il tributo al fato diede.

42Successe a questi Occota il figlio il quale
corse col mio favor vario paese,
e ben mostrosse al suo gran padre eguale
in far eccelse e memorande imprese:
Ma giunta di suoi dì l’ora fatale,
Gino il figlio di lor lo scettro prese:
e vari suoi fratelli anco la terra
spesso turbàr con improvisa guerra.

43Lasso allor che credea del gran Macone
porre in costor il vero culto e ’l mio
che per questa ben degna alta ragione
diedi imperi sì larghi al popol rio.
Poiché Gino morì, l’empio Magone
fu a costui successor, ché gli era zio,
ed esser volle ad onta mia cristiano,
io repugnando e contendendo in vano.

44Però che venne il re d’Armenia e ’l trasse
a la fé di quel Dio ch’Europa adora,
e l’esortò ch’ogni sua possa armasse
contra la Siria, ove Macon s’onora;
onde Gerusalem da noi levasse
dove il Sepolcro di Giesù dimora:
e Babel disolasse, ove si vede
de i successori di Macon la sede.

45E senza star in questa impresa insorse,
diede questi al fratel grand’arme e gente
al crudo Alon, di cui più fier non scorse
o l’età già passata o la presente.
Questi l’India e la Persia ardendo corse
quasi ratta dal ciel fiamma cadente,
fin che giunse a Babel, che cinta or have
de le sue schiere in duro assedio e grave.

46E ben l’alta città distrutta sia
dal temerario ed orgoglioso Scita
s’è la potenza e la virtù natia
dal magnanimo cor vostro bandita:
Ahi disnore e vergogna, ahi ver non sia
che l’iniqua nazion resti impunita,
se salda è pur la vostra possa altiera
come fu sempre, ed io pur son quel ch’era.

47Ma che più parlo? e voi, che più badate?
O de la mia virtù ministre ardenti,
su su veloci e ’l forte braccio armate
de l’armi insuperabili e potenti,
e ’l giustissimo sdegno omai sfogate
contra i nemici e perfidi nocenti;
e si veda ne l’ira il poter vostro
se ne la cortesia dianzi fu mostro.

48Or s’adatti a gli aguati il vostro ingegno
or le spade fatali opri la mano.
Io sarò vostra scorta e col mio sdegno
farà il core ciascun fiero e inumano.
Cada e s’estingua de gli Sciti il regno,
pèra con le sue schiere il fier cristiano,
e mostrino in costor gli irati dèi
de la sacra giustizia alti trofei».

Rassegna delle maghe, guidate da Saladino (49-72,4)

49Così parlava e la ragion più vera
del più grave disdegno in parte ascose,
e de gli Sciti anco a l’istoria intiera
finte novelle a suo voler trapose.
Al parlar di costei la turba fiera
con un confuso alto ulular rispose:
e mostraro ne i gesti e ne la fronte
preparate le man, le voglie pronte.

50Ma la lucida Aurora intanto in cielo,
messaggiera del dì, vaga sorgea:
e de la notte il tenebroso velo
con la destra di rose omai rompea,
quando, eccitata dal fallace zelo,
l’empia turba infernal l’arme prendea,
e s’udia su ’l gran monte alto ribombo
de’ destrieri il nitrir, de l’arme il rombo.

51E variamente si circonda e copre
d’estran arme incantate ogni guerriera,
tratta invitti corsieri, e ’l viso scopre
rigido e vago e la sembianza altiera:
De le guerriere più famose a l’opre
picciola eletta fu ma forte schiera
col voler d’Alderano, e la conduce
il crudo Saladin maestro e duce.

52E già drizzava del suo carro il sole
gli anelanti corsieri al mare ispano.,
quando la squadra sua la maga vuole
veder armata in un spazioso piano.
In loco eccelso, ove egli seder suole
stavasi il finto ed orrido Alderano,
e passando a lui fa, come a divino
nume, ogn’alta guerriera umile inchino.

53Musa, in cui non avvien che mai s’estingua
qualche imago di cosa ancor che assente,
tu detta i carmi a la mia tarda lingua
e tu rischiara la mia fosca mente,
onde col tuo valor narri e distingua
a l’altra età di che paese e gente
fosse raccolto il forte stuol egregio,
ch’ebbe di possa e di bellezza il pregio.

54Del donnesco drappello il duce altiero
Saladin sul destriero innanzi scorre.
Barbara ha l’alma e ’l cor perverso e fiero,
che di mente cortese ogn’atto aborre.
Carco d’arme il gran corpo, alto il cimiero
par di lucido acciar superba torre,
e sostien la più salda eccelsa nave,
appo l’asta di quello, arbor men grave.

55Tardo egli viene in ricca sella assiso,
e par ch’alti pensier ne l’alma cele,
e vibra il crudo ed orgoglioso viso,
minacciando col guardo, assenzio e fiele.
Da l’aspetto viril fugato è il riso,
non entrò mai pietà nel cor crudele,
e stan da la sua destra e dal suo brando
e la temenza e la ragione in bando.

56Ma così duro ed inumano petto
pur al fin penetrò col dardo Amore.
Amor che in dolce e desioso affetto
pur de l’orride tigri accende il core:
Ma quel leggiadro, ed amoroso oggetto
è ne l’alma spietata esca al furore,
come fiere son più tra l’aspre selve
quando avvampan d’amor le crude belve.

57Ama infelice e tra duo mesi a pena
grande è il suo amor non pur crescente o nato
da che mirò per sua perpetua pena
d’una bella guerriera il volto ingrato.
Da quel dì non ancor notte serena,
né chiaro giorno è a gli occhi suoi destato,
però che d’altre stelle e d’altro sole
che da bei lumi altrui lume non vuole.

58L’alterezza de l’alma in lui natia
e l’amor mal gradito a gara danno
stimoli al cor, onde confusa e ria
vita ei ne mena in un perpetuo affanno.
Sdegna pietate e pur pietà desia
mesto ed incerto, e a l’alma accesa fanno,
l’amorose fantasme ognor vicina
l’omicida de l’alme empia Argellina.

59Argellina gentil, che a dietro viene,
del forte re di Tarso invitta figlia,
a la luce e al rigor che in sé mantiene,
al ferro che la copre ella somiglia.
Vien sdegnosetta e baldanzosa e tiene
cruda beltà sotto l’altiere ciglia.
Sdegnò ciascuno e nel suo duro core
tutte spuntò le sue quadrella Amore.

60Picciolo è il corpo suo, ma invitto e fiero
e ad altissime imprese intenta aspira,
e de gli antichi eroi nel cor guerriero
gl’illustri fatti desiando ammira.
Lieve il corso è così, che men leggiero
sovra i campi d’april Zefiro spira,
ed ha sì pronti e sì veloci schermi
che gli armati appo lei sembrano inermi.

61Costei, che non fu tolta in culla, avezzi
ebbe sempre a le guerre i tener’anni,
e sdegnò con superbi alti disprezzi
de l’industria donnesca i pigri affanni.
Non fu nutrice che con molli vezzi
l’alma feroce lusingando inganni:
crebbe e ne l’opre de l’incerto Marte,
mostrò rara la possa e strana l’arte.

62E allor, che Alon con le sue forti squadre
venne de l’Asia a l’onorato acquisto,
ne la guerra il seguì col suo gran padre,
che cinse il ferro per la fé di Cristo:
Monti allora di straggi orride ed adre
fece e ’l Gange inondar di sangue misto,
e di trofei ne i chiari gesti suoi
sparse i monti de l’India e lidi Eoi.

63Ed a Babel co ’l genitor venia,
che seguir sempre il sommo duce volse,
quando Bessana per l’aerea via
permettendolo il ciel, l’avvinse e tolse.
In tal guisa (oh stupor!) la maga ria
d’elmo incantato il nobil capo avvolse,
che di sé non rammenta e sol la tragge
forsennato desir d’umana stragge.

64Duo mesi son che qua fu tratta, dove
con l’armi del feroce altiero viso
rese il gran Saladino in fogge nove
d’amoroso desir vinto e conquiso.
Fece in questo il furor l’eccelse prove
che far non puote il dolce sguardo e ’l riso;
ma convenia che fosse il fiero core
non altro che fierezza esca d’Amore.

65Ma, qual carca dal sonno, ella, ch’è incerta
di sé per così strana alta aventura,
de l’alma accesa in chiari segni aperta
il barbarico ardor vede e nol cura.
Ei ne la via d’amor si greve ed erta
stenta e al folle stentar, cresce l’arsura.
Miser s’affligge e in van contende, e pare
ella rigido scoglio, ei gonfio mare.

66Bella dopo costei vien Berenice,
bionda il crin, dolce il viso, il guardo altiera,
nata là ne l’Arabia felice,
figlia d’Alcon, che in quelle piagge impera.
Ma se in Arabia l’immortal fenice,
narra la fama, sia fallace o vera,
or questa di beltà dal sen fecondo
nova e vera fenice espose al mondo.

67La feroce Rossane indi appariva
che trasportata fu dal terren Perso,
che d’ogn’alta pietà libera e priva
sol ne l’arti d’Averno ha il core immerso.
Leggiadretta vien poscia Irene argiva,
al sembiante vezzosa, ed ha diverso
(cosi vago ha l’aspetto, auree le chiome)
da la Greca famosa appena il nome.

68Vita presso l’Idaspe ebbe Oriana,
che ragion non ascolta e fé non serba.
Ed è Lidia gentil di Sericana,
d’armi pomposa e di beltà superba.
Nutre ne l’alma Sisigambi ircana
contra il sesso viril fierezza acerba,
né un torrente di sangue, ond’ella è vaga,
può far la sete sua contenta e paga.

69Quella che i petti ancide e l’alme bea
è Tersilla gentil del verde Epiro:
l’artiche stelle a la crudel Nicea
sommo valor, sommo furore uniro.
Su l’Eufrate l’intrepida Orontea,
pronta al corso produsse il suolo Assiro.
E Palmira gentil nata in Egitto
con la forza del corpo ha il core invitto.

70Poscia l’ultima appar Vittoria bella
tratta dal Tago a la montagna infida,
Vittoria invitta e di pietà rubella,
schiva d’amor che ne i begli occhi annida.
Vibra fiamme d’amor, sia grata o fella,
fiocca un nembo di grazie o parli o rida:
ed esser vinto da sì gran vittoria
Marte, Venere, Apollo e Amor si gloria.

71Così passava la guerriera gente
c’ha di valor e di bellezza il vanto,
e son invitte in adoprar sovente
or amoroso ed or guerriero incanto.
Su le penne de gli elmi aura ridente
scherzar vedeasi, innamorata intanto,
e parea vago il sol ne l’armi loro
radoppiar percotendo i lampi e l’oro.

72Questa fu la famosa audace schiera
che su l’ermo confin Bessana armava;
e per andar a la Cittade altiera
strani carri volanti indi apprestava.
Ma intanto de l’Eufrate a la rivieraAlone torna al campo e trova tutto in ordine: in sua assenza ha retto il comando un angelo con le sue sembianze (72,5-83)
al suo gran campo il sommo duce andava
in compagnia de’ suoi guerrier più forti,
che furo a lui ne la pregion consorti.

73Presso era già, quando dal vallo fuori
a schiera a schiera il fedel campo uscia,
ed in un di pedoni e corridori
con ordin vago il largo pian s’empia.
E quasi facci al sommo duce onori
tutto il gran campo intorno a lui s’invia.
Fermasi Alon e con lui ferme e immote
le schiere stan né alcun palpebra scote.

74Fermi stan di stupor, ch’eguale e strano
d’un’istessa cagion l’origin tira,
ché de la fida gente il capitano
pur come radoppiato esser si ammira.
Uom che a l’aspetto il cavalier sovrano
rassembra, il campo suo guidar si mira:
il campo suo, che fiso il guardo tiene,
ed al duce presente e a quel che viene.

75Come in sogno talvolta il senso errante
da l’incerte fantasme avvolto vede
di strane forme or questo or quel sembiante
che nel sonno medesmo a pena ei crede,
e come vide in un medesmo istante
la città de gli Augusti antica sede
un doppio Sol, che i suoi bei raggi intorno
spargea per tutto e raddoppiava il giorno,

76cosi duo duci eguali allor notava
ciascuno, e non ardia crederlo intero,
e ’l fine incerto avidamente stava,
fisso il guardo, aspettando ogni guerriero.
Ma il finto, che l’esercito guidava
fissamente guatando il duce vero,
con grati gesti e con ridente volto
vèr l’intrepido Alon il passo ha volto.

77E vicini eran già, quando il bel viso
di real maestà sparse e dipinse,
e di lume, onde avampa il paradiso,
la veste e l’armi in strana foggia cinse.
Lampeggiò ne i begli occhi un santo riso,
e la stella d’amor emolo vinse,
quando lo sguardo sfavillando fisse
al sovrano campione e cosi disse:

78«Or ecco, Alone il tuo gran campo, ch’io
ressi per te mentre tu fosti errante
come dispose il gran voler d’Iddio,
che d’un corpo mi cinse al tuo sembiante,
onde offender nol possa il popol rio
essendo lunge il tuo valor prestante.
Prendi la cura or tu, pugna, e quegl’empi
estingui e l’onorata impressa adempi.

79E voi, che già sotto il mio finto impero
foste de l’arme e de gli onori a bada:
or che a voi fa ritorno il duce vero
pongasi in opra la deposta spada».
Così diss’egli e rapido e leggiero
prese in quel punto verso il ciel la strada;
vèr l’aerea ragion qual lampo o dardo
cinto di luce e dileguosse al guardo.

80A gli accenti, a gli effetti, a lo splendore
onde l’aer per tutto anco riluce:
di confuse fantasme i sensi e ’l core
ingombrate restàr le schiere e ’l Duce.
Stupì dubbia la mente, e lo stupore
riverenza e diletto a l’alma adduce,
e del messo divin sparito omai
spian le cupide viste in aria i rai.

81Ma lo stupor cessando, a l’opre usate
la ragion al suo trono a l’alma rese:
e de l’eccelse meraviglie oprate,
poscia che l’alta historia ognun comprese.
Lieto il gran campo entro sue schiere armate
il duce e ’l suo drappello accolse e prese,
ed altamente i popoli feroci
fecer l’aria sonar d’allegre voci.

82E al ribombar del bellico metallo
risponder per ogn’antro Eco si sente,
e col vario annitrir ogni cavallo
siegue il piacer de la guerriera gente.
Venne il duce co i suoi dentro il gran vallo,
e perché di saper distintamente
quell’insoliti eventi ogn’alma è vaga,
ei narra il tutto e i lor desiri appaga.

83Il campo del suo forte inclito duce
la voce e i getti riconosce allora,
e quel nobil rigor che in lui riluce,
qual sol estivo che dal Gange è fuora.
Brama ciascun che la novella luce
apporti al mondo la seguente aurora,
per mostrar che se già sopita or desta
è la lor possa a tanti regni infesta.

Bessana conduce su carri volanti i rinforzi in città (84-86)

84Ma già il finto Alderan le sue guerriere
trasse per l’aria, ed a Babel le pose,
e con bei detti a le Pagane schiere
la cadente speranza erse e compose.
Di Bessana al re mesto a suo volere
finse rare novelle e strane cose,
e fé così che de l’averse genti
la potenza fatal nulla paventi.

85Né men del campo la cittade altiera
disponse a l’arme e a guerreggiar si accinge.
Arde vedendo la femminea schiera
il valor maschio, né l’invidia infinge.
Guida il tutto Alderan e da lui spera
ciascun, ed alte glorie a pensier finge,
e così certa ogni vittoria tiene
che s’usurpa le palme e le previene.