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Babilonia distrutta

di Scipione Errico

Canto X

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 3.05.15 13:33

ARGOMENTO
Saladino et Alon giran le spade.

Solimano per gelosia sfida a duello i cristiani, Alone raccoglie l’invito (1-28,6)

1Sorse intanto la notte, e ’l ciel adorno,
spiegò pomposo il suo stellato ammanto,
e aver volea del condottier del giorno
Cinzia su l’Orto ambiziosa il vanto.
Muto era il tutto, né s’udia d’intorno
e di fere e d’augelli o strido o canto,
ed in Lete ogni cura avea sommersa
il fedel campo e la cittade avversa.

2Sol tu quiete non hai, la comun posa,
o Saladino, è sol da te bandita,
mentre accesa d’amor l’alma orgogliosa
cerca ma in vano al cupo incendio aita.
Quella che ad ora ad or fingeasi sposa,
tolta si vide de la gente Scita,
quella che in pro de gl’empi il braccio armando,
volse improviso in loro offesa il brando.

3Quella, ch’ei tanto amò, quella al cui petto
in van destar tentò fiamma d’amore,
mostrando ognor di cavalier perfetto
vivacissimi rai d’alto valore.
Or gli è tronca ogni speme, or gli è disdetto
coglier d’amor e fronde e frutto e fiore.
Or conosce che il duol ch’altri riceve
sol per donna ch’è ingrata è pena lieve.

4Misero pensa, che in potere altrui
dimora, ahi fato rio, la donna amata,
e mentre sparge in van gli sdegni sui
con suo scorno e dolore altri la guata.
Pensa che suol piacer non puote a lui
la sembianza gentil che gli è sì grata,
e ’l foco ond’arde in duo begli occhi amore,
non ben pago è di aver esca un sol core.

5Poi pensa che per fama inteso avea,
che de l’avverse schiere il capitano
in grazia, in gesti ed in beltà vincea,
oltre ogni meta ogni sembiante umano.
Pensa poi l’opre, ch’a la pugna rea
feo de l’inclito eroe l’invitta mano,
e dice: «E di qual mai più gelid’alma
non ha sì bel campion vittoria e palma?

6Ahi nemica beltà, valor nemico,
che sì m’affliggi e ’l cor mi rodi e offendi,
che d’altro ardor, che non è quell’antico,
con fiamme inestinguibili m’accendi.
Mentre arride a’ tuoi gesti il cielo amico,
i bei frutti d’amor raccorre attendi,
che senza aver di guerra ogn’altra brama
a più degni trionfi Amor ti chiama.

7Misero, e sarà ver che da qua innanti
da l’alma e vita mia viva lontano?
ed averla egli sol si pregi e vanti
a mio dispetto un tartaro inumano?
e sarà ver che i miei sospiri e pianti
sian sparsi, ahi lasso, a l’aure, al suolo invano?
e fia ver che provar deggia il mio core
sempre crudel né mai benigno amore?

8Ohimè dolce mio foco, ove ora sei,
ove l’alma sembianza e ’l dolce riso?
u’ son de la mia morte i lumi rei,
che m’han co i dolci rai da me diviso?».
Così s’affligge e in dolorosi omei
sfoga l’interna pena il cor conquiso.
Su le piume noiose incerto e fioco
raggira il corpo e non ha posa o loco.

9O quanto allor ne l’aggitata mente
l’occhiuta Gelosia contempla e mira,
mille voglie e pensier varia repente,
e in formar e in guastar l’alma delira.
Vive fiamme e voraci il petto ardente
quasi accesa fornace esala e spira.
S’ange, freme, dibatte ed urla e pare
sotto scogli sonanti irato mare.

10Poi si pente orgoglioso e si rivolta
con luci bieche e minacciose e grida:
«Così in un punto in pro de gli empi ha volta
l’ingiusta spada? Ahi traditrice infida,
ben è di mente forsennata e stolta!
O sesso feminil, chi in te si fida?
ahi folle è ben chi per voi s’ange, ed, ahi
lasso, che tanto volsi e tanto amai.

11E forse è certo ne le braccia altrui
spendi l’ore notturne, io ben l’aviso,
e ’l velen dolce de i bei membri tui
porgi a gustar, non che la voce e ’l viso.
E forse, ohimè, forse racconti a lui
con indegna alterezza ed empio riso,
de’ miei negletti ed infelici amori
gli scherniti sospiri e i folli ardori».

12Così diss’egli, e s’ingombrò repente
d’un tartareo furor l’alma gelosa,
e spiegar parve da la faccia ardente
l’alta fiamma d’amor, che in seno è ascosa.
Ma mentre egli s’affligge, il carro algente
già a l’Occaso volgea la notte ombrosa,
e porgevan gli augei canori e gai
dolce saluto a i matutini rai.

13Sorto allor da le piume – Arme, arme – grida
di vendette famelico e bramante,
e vince al fiero sguardo, a l’alte strida,
carco d’atre procelle il ciel tonante.
«Proverà, proverà la donna infida
(diss’egli), e ’l suo novello e infido amante
ciò che or or potrà far giunta al valore
disdegno, crudeltà, Marte ed Amore».

14Disse, e chiama l’araldo e l’arme prende,
e altier l’adatta a le gran membra intorno,
e ’l grave brando al forte fianco appende
d’orridi fregi alteramente adorno.
Come nube talor che accesa splende
e infetta l’aria ed avvelena il giorno,
ed arde e co’ suoi rai sanguigni e torti
morbi, incendi minaccia e straggi e morti,

15così fiammeggia e così par che scocchi
da l’aspetto costui lampi funesti.
Al fiero folgorar de gli orridi occhi
spirto non è, che attonito non resti.
Sembra che nera e velenosa fiocchi
fiamma dal viso e in portentosi gesti.
Il corpo raggirando alto e gagliardo,
tuona co i detti e fulmina col guardo.

16E così minaccioso indrizza il passo
il pagan, d’ogni indugio impaziente,
ove in consiglio il re dolente e lasso
mesto dimora entro la mesta gente.
Muto era ognuno e ’l gran Califfa casso
d’ogni speme aspettava il fin dolente
quando il pagan con sguardi aspri e feroci
sciolse altiera la lingua in queste voci:

17«Che pensi, o re? dunque senz’armi a bada
staremo in vita neghittosa e dura?
T’inganni se tu pensi aprirti strada
senz’armi e ritrovar miglior ventura.
Non voglio io già, potendo oprar la spada,
rinchiuso starmi in queste anguste mura.
Ottenga pur questa mia destra forte
o felice vittoria o chiara morte».

18Così diss’egli e con turbato aspetto,
ove in un lampeggiò l’ira e la doglia,
rispose il re: «Se star non puoi ristretto
tra quest’ampia cittade, esci a tua voglia».
A tal parlar entro l’acceso petto
de l’audace pagan l’odio gorgoglia.
Esso parte dal re, cresce la brama
del duellar, e a sé l’araldo chiama.

19«Vanne al campo nemico e al capitano
narra» disse il pagan «che io sol disfido
chi difender vorrà con l’arme in mano
Argellina di fraude infame nido.
Venghi pur l’empia donna io tutti al piano
aspetterò del nostro Eufrate al lido,
e ’l fatto rio de la guerriera indegna
chi difender vorrà, pronto sen vegna».

20Parte da la cittade il messo e viene
al campo, ed è l’entrare a lui concesso,
e come in uso con gli araldi aviene
ne la gran tenda de’ cristiani è ammesso,
ne la gran tenda, ove il gran duce tiene
con suoi duci minor consulta spesso.
Quivi egli innante de l’invitto Alone,
e del fior de gli eroi la sfida espone.

21A quel parlar il capitano, in cui
dal seme di virtù nasceva amore,
e sendo illeso da le spade altrui,
tenea d’ascoso stral ferito il core,
infiammati vèr quello i lumi sui,
punto di gelosia, d’ira e d’onore,
con tremendo sembiante egli rivolse,
indi in questo parlar la lingua sciolse:

22«Benché fra poco il vostro indegno impero
e l’iniqua città torrò dal mondo
con l’aita del Ciel, con cui ben spero,
porre ogni gloria di Macone al fondo,
pur accetto il duello. Il Ciel severo
e de le colpe sue l’orribil pondo,
senza punto adoprarsi o lancia o spada,
gli aprirà ver gl’abissi orrida strada.

23Difensor d’Argellina io sono ed io
dovunque vuol a duellar l’aspetto,
ma ben tosto vedrassi il vostro rio,
dal sagrilego sangue atro ed infetto».
Cosi disse il gran duce e si vestio
il saldo usbergo e l’indorato elmetto;
lo scudo imbraccia e la gran spada cinge
et a salir al corridor s’accinge.

24Ebbe il messo a tornar passi non lenti,
e giunto a Saladino «Armati» grida
«ché il capitan de le nemiche genti
accettò prontamente ogni disfida».
Fur tai detti al pagan dardi potenti
nel petto amante, ove il sospetto annida.
e col mesto pensar più l’ange e cresce;
mont’egli in sella e da Babel se n’esce.

25Sol esce, che non volle in sua difesa
qualche squadra mandar Mustace irato,
e ben fragil vedea per tale impresa
ogni gran campo in suo soccorso armato.
Così del fier pagan l’anima accesa
sen va dove la spinge il cielo e ’l fato;
egli non teme e corre audace e forte,
col sembiante orgoglioso in grembo a morte.

26Da l’altra parte Aitono, in cui riluce
con maturo saper vecchio consiglio,
non vuol ch’indi si parta il sommo Duce
e sparsi senz’uopo al gran periglio,
ed a turbarsi alta cagion l’induce,
onde sorse adirato e grave il ciglio,
ed a lui disse: «Or qual cagion t’ha spinto,
o vincitore, a duellar col vinto?

27Vadan gli altri in tua vece, ognuno a prova
mostri ne’ fieri rischi il suo valore,
che non convien, che il capitan si mova
senza grave cagion dal vallo fuore».
Cosi il saggio dicea, ma venne nuova
che vaga in tanto del guerriero onore,
colma di sdegno la guerriera ardita
incontro al forte Saladino er’ita.

28Volse a questo parlare altiere e torte
l’invitto capitan le ciglia irate,
e pronto ad aitar la donna forte
sen corse, e ’l seguitar le schiere armate,
e dubitando qualche avversa sorte
givano a i lidi de l’ondoso Eufrate.
Ma miran qui, che in questa e in quella parteArgillina, precedendo Alone, si batte con Solimano ed è abbattuta; Alone duella e uccide Solimano (28,7-51)
già s’era giunto al paragon di Marte.

29Corse con gran furor l’alta guerriera
contra l’odiato e forsennato amante,
ma con ira più rigida ed altiera
spins’ei la lancia e ’l corridore innante.
La bassa terra e la sovrana sfera
a quell’orrido urtar parve tremante,
quando diede a la donna incontro acerbo
l’ingelosito Saladin superbo.

30Fece ei, restando la sua lancia intatta,
la sua amata nemica uscir di sella.
Essa cade stordita al suolo e fatta
di viole un giardin la faccia bella.
Sospiroso a tal vista il duce adatta
a la giostra la lancia e non favella,
e sol da la visera orrore e fiamma
versa l’ira e l’amor che il petto infiamma.

31E senz’altro parlar da quella parte
prese il nemico a la gran giostra il piano,
né voglion nel furor del crudo Marte
spender le voci e le minaccie in vano.
Sovra un colle vicin stava in disparte
lungi per rimirar lo stuol cristiano,
e ’l tutto nota su l’eccelse mura
sparso il popol pagan pien di paura.

32Ma tu, guerrier che de gli abissi al fondo
di Dio scacciasti la rubella gente,
e ’l gran dragon d’alta superbia immondo
col brando fosti d’atterrar potente,
tu soccorri al mio dir, tu lieve il pondo
fa de l’impresa, e a la mia tarda mente
i gran gesti rammenta, inalza i carmi
per ispiegar il gran duello e l’armi.

33Ratti turbini opposti, opposti strali
parvero entrambi od aquile volanti,
parvero avversi fulmini mortali
che s’urtasser tra nubi atre e tonanti.
E ben tal era lor prestezza e tali
parvero a i ferri lucidi e sonanti.
Franser l’aste ne gli elmi, e par che stampi
l’aria tra scheggie e tronch’e fiamme e lampi.

34Tremaro dal crudo assalto, a i colpi fieri
gli eroi d’intorno più famosi e conti;
solo immoti restar gli alti cimeri
su quelle due superbe avverse fronti.
Caddero al grave incontro i duo destrieri
ma sorgon presti ed apparecchian pronti
il Mauro audace e ’l cavalier cristiano
a battaglia di piè l’arte e la mano.

35Snello e destro è ciascun, ciascuno accorto
drizza lo scudo, move il brando e ’l piede
e con agile industria or dritto or torto
aggira il braccio, or si sospinge or cede;
or s’abbassa quel ferro, ora risorto
assale a un punto e a l’improviso fiede;
la man l’occhio delude e pronti e presti
fan fraude cenni a cenni e gesti a gesti.

36Oh come in tratti e spaventosi orrori
movesi l’uno e l’altro opposto brando!
Oh come portentosi atri splendori
mostran sovente, in varie foggie errando.
Fischian tra l’aria, e sibili e rumori
forman talora orribilmente urtando,
e par che facci questo brando e quello
per privata cagion pugna e duello.

37Ma s’avanza lo sdegno e ognor sormonta
il cieco ardir e la ragion delira.
Rabbia a rabbia s’aggiunge ed onta ad onta,
che ruine e vendette a l’alme inspira,
e la vendetta a la vendetta è pronta,
e via più ferve e più s’irrita l’ira.
Presta e lieve è la destra e ’l piede è tardo
ed a sangue e ferite intento è il guardo.

38Dansi colpi spietati e ad ora ad ora
via più si stringe la crudel battaglia.
Punge e impiaga ogni spada e fende e fora,
e piastre e membri e vestimenti e maglia.
Non s’arresta ne l’arme e ’l sangue fuora
sempre tragge ogni ferro ovunque assaglia,
e col sangue il sudor si versa e mesce,
e l’arte manca e la contesa cresce.

39Cresce l’orgoglio e crescon le percosse
e più sanguigna è la tenzon mortale.
L’odio ristora le smarrite posse
e dà virtute al corpo esangue e frale.
Spingonsi irati e dansi offese e scosse
con elmi e scudi, e spada oprar non vale.
Al fin lasciano i ferri opran le braccia,
e l’un l’altro nemico irato abbraccia.

40S’urtano audaci e di disdegno ardenti,
stringonsi in fieri e dispietati nodi,
giransi stretti e in variar frequenti,
piegansi in mille e disusati modi.
Crudi son gli intricati avvolgimenti,
ed estremo il valor, strane le frodi;
ed or con gambe ed or con piè la strada
cercan per che il nemico a terra cada.

41Come talor quando i cornuti armenti
la fiorita stagion desta a gli amori,
corron d’amor e di furor ardenti
al fier duello ingelositi i tori,
miran d’intorno timide e dolenti
le tenere giovenche i lor furori,
e i pastorelli contemplando stanno
mesti e dubiosi il fiero incontro e ’l danno,

42cosi la fiera pugna osserva e mira
e la cristiana e la pagana gente,
e con invidia lor virtute ammira
stupida ogn’alma, attonita ogni mente.
Voce non s’ode, guardo non si gira
mute le bocche son, le luci intente,
ma sol tremano i cori, u’ speme e tema
variando la sorte or cresce or scema.

43Pugna mai non mirò con tal fierezza
di qualunque più sorte unqua si noma,
o Troia, che cadeo di tanta altezza
fatta dal valor greco oppressa e doma,
né già a le guerre ed a i trionfi avvezza
scorse mai tal contesa Italia e Roma,
ch’indi al cader del vasto imperio Augusto
fu di stragge e terror teatro angusto.

44Ma dopo vari giri e tante e tante
fiere rivolte ed urti ed onte e scosse,
avvolgendosi un sasso entro le piante,
Saladin col gran corpo il suol percosse,
e come se talor vien che si spiante
torre che in alto colle esposta fosse,
scossa trema la terra a sì gran pondo
e muggion gli antri e ne risona il fondo.

45E ben con tal rimbombo e tal orrore
cade il fier Saladin disteso in terra,
cade il tartaro seco e con ardore
l’assale e offende e a lui si stringe e serra,
e fan con disusato aspro furore
tra la polve e tra ’l sangue orribil guerra.
Ma perché disvantaggio ha in questa pugna
il pagan, salta in piedi e ’l brando impugna.

46Salta il guerriero scita e la cessata
sanguinosa tenzon si rinovella,
e se l’arte e la possa è in lor fugata
la forsennata gelosia duella.
Forma ben ampia e sanguinosa entrata
tra ferro e ferro e questa spada e quella.
Peste e guaste han le membra ed è restato
mezzo il petto anelante a pena il fiato.

47Ma tra ’l vario colpir di pien furore
l’urtò di punta il cavalier cristiano
mezzo il fianco e l’usbergo, e giunse al core
il gran ferro omicida al fier pagano.
Già largamente col vitale umore
esce dal crudo sen l’ardore insano.
Cade e ’l sangue e la vita entro la polve
confonde, e ’l petto moribondo involve.

48E senz’altro parlar dibatte e freme
in orride sembianze e morde il suolo,
e l’affligono al par ne l’ore estreme
disdegno, gelosia, vergogna e duolo.
Tra ciechi abissi, ove ognor s’ange e geme
d’immondi spirti entro confuso stuolo,
ululando fuggì l’anima fiera,
sì feroce nel mondo e sì guerriera.

49Da l’alte mura la rinchiusa gente
alza in voci lugubri allora un strido.
e replicaro il mesto suon dolente,
le cupe valli e de l’Eufrate il lido.
Da l’altra parte il capitan vincente
è portato a le tende in lieto grido;
ove stanca giacea la donna bella
de l’invitto suo core arco e facella.

50Vivi rai di virtù spargendo intorno
dal bel sembiante e dal leggiadro viso,
al campo, che godea del suo ritorno,
rende grate accoglienze e lieto riso.
Non s’egli pur sovra gran carro adorno
di trofei carco in Campidoglio assiso,
vinto l’ampio Oriente e ’l suolo australe
trionfo aver potrebbe a questo eguale.

51Ma il magnanimo eroe ben vuol che sia
in qualche tomba il corpo estinto posto
del suo forte rival, né vuol che stia
indegnamente a gli avoltori esposto.
Così comanda il duce e l’obedia
fido drappel, come da lui fu imposto
Fu sepellito ed ebbe onor non poco,
se si mira l’ufficio, il tempo e il loco.