ARGOMENTO
S’apron le mura de l’infide genti.
Alone tira con delle bombarde contro le mura e ne distrugge gran parte, ma deve aspettare il giorno dopo per l’assalto a causa del sopraggiungere della notte (1-32)
1Ma poiché chiuso entro le forti mura,
fuori uscir non ardisce alcun pagano,
e nessun, benché fier, più s’assecura
l’ira irritar del vincitor cristiano,
volto a l’assalto ogni suo studio e cura,
per fornir l’alta impresa ha il capitano,
e già per atterrar l’alte pareti
catapulte adunava ed arieti,
2ed alte torri ed orride baliste,
onde avventansi in aria e sassi e strali,
ed altre ed altre variate e miste
moli superbe e machine murali.
Ben prevedono a pien le genti triste
con augurio infelice i certi mali,
ma tra ’l vario timore ancor’avanza
de le salde lor mura alta speranza.
3Ma mentre intento a questo il pensier tiene
co i gran fabri del campo il duce scita,
de gli Armeni il signor allor sen viene,
per dare a lui nel maggior uopo aita.
«Ben hai (diss’egli), or ch’assaltar conviene,
machine eccelse e invitta gente e ardita,
ma senza stragge de i più forti eroi,
l’alte mura atterrar, duce, non puoi.
4Né già vogl’io che in lungo assedio sia
la nemica città per te soggetta;
che ad impresa via più celebre e pia
contra gli empi pagan l’Asia t’aspetta.
Godi però, ché disusata via
d’aver certa vittoria il Ciel t’ha eletta,
c’avrai, per espugnar l’alte difese,
machine mai non viste e meno intese.
5Arme che l’alemanna industre gente
formò per non soffrir guerre sì tarde.
Son gran moli d’acciar, d’arte potente,
concave dentro e dette son bombarde,
ove polve si pon, ch’indi repente
tocca altrove dal fuoco avampa ed arde.
onde palla mortal che fulminando
quasi folgor celeste esce tonando.
6E ben al fiero lampo, a l’alto suono,
a la nube del fumo, al colpo orrendo,
folgore atroce e spaventevol tuono
appellarsi potria, ma è più tremendo.
Tutti i ripari altrui deboli sono
vèr la palla mortal, ch’urta stridendo,
e contra il suo colpir non è securo
qualunque sia più saldo usbergo o muro.
7Tre gran moli di queste a i cenni tuoi
son pronte, perché allor che fosti assente
mandolle ad uso tal l’amica a noi,
che guerreggia in Soria latina gente».
Così disse, e ’l guerriero i detti suoi
accolse, e seco s’inviò repente
dove stan le bombarde in strane guise
sopra tre carri altieramente assise.
8Esso nota i gran bronzi e ’l varco vede,
onde il folgor d’Averno esalar suole.
Stupisce, ma non ben con queste ei crede
ch’atterrar possa ogni più salda mole.
Ma perché il duce, acciò si presti fede,
che fatta sia l’esperienza vuole.
Per adoprar quegli orridi strumenti
vennero i fabri ad obedirlo intenti.
9Non lungi, ove i cristian le tende alzaro,
mura sorgean, che fur gran torre innanti,
che i secoli scherniro e si mostraro
tra le varie ruine ognor costanti.
I fabri incontro a questi allor drizzaro
una de le tre machine tonanti;
di polve e lana e palla è ’l grembo empito,
poi contemplato la distanza e ’l sito.
10Il duce co i suoi fidi intenti stanno,
ed ammiran di questi e l’opre e l’arte,
e le gran palle contemplando vanno,
e la polve onde avampa irato Marte.
I fabri intanto, che il periglio sanno
disser: «Ite, guerrier, lungi in disparte,
ché spesso questa machina infernale
con gli amici medesmi è più mortale».
11Così parlan costor, onde s’invia
lo stuol e ’l duce in un remoto loco,
onde la mole offender lor potria,
per estrano accidente o nulla o poco
Con polve in tanto per angusta via
d’un obliquo forame un desta il foco.
Arde la polve e i conceputi ardori
la fulminea gran bocca esala fuori.
12Parve tutta versar l’atra e fumante
stigea sua fiamma il tenebroso Averno,
quando sgorgò la machina sonante
con la palla stridente il solfo interno.
Non formò tal rimbombo il ciel tonante
sul fin d’aprile e al cominciar del verno,
né quel che co i destrier correnti il tuono
vago d’onor celesti espresse al suono.
13Meraviglie dirò: prima miraro
l’orrido lume de le vampe ardenti
quei ch’eran lungi, e molto poi portaro
al loro udito il gran rimbombo i venti.
Rimbombo tal che i monti allor crollaro,
non che le torri e gli alberi eminenti,
e risonò per ciascun antro e speco,
fatto altiera bombarda, orribil Eco.
14Ma tra ’l suono, la fiamma e ’l fumo intanto
l’acceso globbo al saldo muro è giunto,
che in strana guisa ripercosso e franto
ruinoso cader si vide a un punto.
A l’estrano artificio, a un tale e tanto
effetto ognun d’alto stupor compunto,
nota or l’alte ruine or la bombarda,
ed or come la polve avampi ed arda.
15Ma poiché a pieno egli conosce e scopre
l’alta virtù de la fulminea mole,
provarla a via più degne e nobil opre
contra l’alta Babelle il duce vuole.
Nera in tanto la notte il mondo copre,
onde servasi l’opra al novo sole,
ma tra i pensier de la guerriera spene
poca parte nel duce il sonno ottiene.
16Al fin passa la notte e in ciel ritorno
col cantar de gli augei facea l’aurora,
che vagamente i verdi colli intorno
sparge prima di rose e poi l’indora.
Tra ’l fidel campo a l’apparir del giorno
in tanto tromba s’ode alta e sonora,
ch’alteramente con superbo carme
grida a le forte schiere a l’arme, a l’arme.
17E fece a l’arme, a l’arme alte risposte
de i diletti di Marte il campo ardente.
Sorge e si cinge omai l’arme deposte,
colma d’alto piacer l’invitta gente.
Ma già le tre bombarde eran disposte
dove l’empia città s’erge al Ponente,
dove d’assalto non avea paura
per l’alte insieme e ben fondate mura.
18Vago qui si vedeva e largo piano
dal campo de i cristian lungi non molto,
dove di Marte il fiero ordigno estrano
contra l’eccelse mura era rivolto.
Quivi il fior del suo campo il capitano
volle che stasse in ordinanza accolto,
perché in batter le mura altri non giugna
ad impedir con improvisa pugna.
19Vaga e strana apparenza era il vedere
nova forma di assalto in quella impresa,
e come stan le valorose schiere
de i gran bronzi tonanti a la difesa.
Ma da l’alta Babel le gente fiere
non avean de i cristian l’arte compresa,
ed osservando stan col guardo immoto
del campo ostil ogni andamento e moto.
20E ben de l’alta mole il cor presago,
ne la torre di Belo il re canuto
unito s’era già col finto mago,
e chieder vuol né sa in che uopo aiuto.
D’incerta tema una dolente imago
va tra ’l popol pagan, che mesto e muto
si dispon per le mura e l’arme prende,
e del campo inimico i moti attende.
21Già le machine orrende i fabri accorti
disposti intanto in vèr le mura avieno,
e di palle ministre empie di morti
e di polvere atroce ingombro il seno.
De i più fieri guerrier, l’alme più forti,
che vicini eran quivi anco temieno;
mentre ciascun il fiero suono attende,
ch’assordando l’orecchie i cori offende.
22Ma poiché diede il segno il capitano,
l’atra polve di Marte arde repente.
Per vie distorte e poi con tuono strano
il triplicato rimbombar si sente.
Se congiunti Vesevo, Etna e Vulcano
esalasser dal sen la fiamma ardente
far non potrian un paragon perfetto
de l’orrende bombarde al fiero oggetto.
23Così orribil fu il suon, così mandaro
terribil fiamma e fetida ed oscura,
l’aria ingombràr di fumo ed offuscaro,
l’alma luce del dì serena e pura.
Ma tra le fiamme sibilando urtaro
l’accese palle a le superbe mura,
e mostraro altre rotte, altre cadenti,
non poter sostener gli urti violenti.
24Di novo poscia de gli ordigni usati
sono i fieri strumenti indi ripieni,
e di novo anco poi globbi infiammati
balenando sgorgàr gli ardenti seni.
Allora i merli contra il cielo alzati,
oh superba Babel, più non sostieni,
e si confonde e si dilegua in tanto
con la polve e col fumo, il fumo e ’l vanto.
25D’intorno con le timide e tremanti
viste il tutto scorgean gli empi pagani,
ma cader visti ruinosi e franti
i merli al suon de gli strumenti estrani,
con alte voci ed interotti pianti
alzan mesti e dolenti al ciel le mani.
Ma il Ciel, per non mirar de gli empi il volto
di gran globbi di fumo intorno è avvolto.
26E incerta e mesta la confusa gente
vuol ritrovar e non sa d’onde aita;
mesta ulular per la Città si sente
la turba de le donne egra e smarrita.
Presso le rotte mura il re dolente
con la schiera più forte, or sbigottita
cerca del novo e disusato Marte
ritrovar qualche schermo e non sa l’arte.
27Come s’un pastorel cader d’innante
annosa quercia a l’improviso vede,
atterrata d’un fulmine sonante,
guata l’alto successo e a pena il crede,
così ammira ciascun l’aspro e tonante
bronzo, al cui colpo ogni gran rocca cede,
e l’inimico a l’opre altiere e nove,
par tra nubi disceso in terra Giove.
28Ma venti volte omai s’odono in tanto
raddoppiar le bombarde il suono orrendo,
e s’ode il muro ruinoso e franto
l’alto rimbombo replicar cadendo.
Versan dentro Babel misero pianto
i mesti abitatori, al suol vedendo
cader dal foco saettate e dome
le mura e con le mura il vanto e ’l nome.
29Ma di sdegno infiammato e gonfio d’ira,
a i merli viene il finto empio Alderano,
e forsennato ed orgoglioso ammira
del concavo metal l’ordigno estrano.
Già furor infernal dal guardo ei spira,
già di verga tremenda arma la mano,
con la lingua e col braccio al volgo ignote
e figure formando e gesti e note.
30Che non feo? che non disse? Il ciel commosse
ad alti sdegni ed irritò gli abissi.
Quattro e sei volte la gran verga scosse,
potenti note mormorar udissi.
Ma vane fur le scelerate posse,
per mutar di là suso i pensier fissi,
anzi più forza a i cavi bronzi ha dato,
per l’orrende biastemme il Cielo irato.
31Cadon l’eccelse mura e di Babelle
la perfidia e l’orgoglio anco non cade,
pur tosto fia de l’adirate stelle
esempio di vendetta a l’altra etade.
Ma col vario colpir tra queste e quelle
ruine, apronsi omai varie le strade,
e già contra il valor del braccio forte
son caduchi ripari e torri e porte.
32E già il cristian per le cadute mura,
aperto il passo per entrar s’avria,
ma già la notte più de l’uso oscura
di nero ogni sembianza omai copria,
La ben certa vittoria, ond’è secura,
serba al seguente dì la gente pia.
Un fido stuol de le bombarde prende
la guardia, e tornan gli altri a le lor tende.
Bessana con un incanto scatena la forza degli elementi e aizza il popolo ad una sortita notturna (33-50)
33Lasciò la portentosa alta giornata
l’empio popol pagano immoto e muto,
e rotar contra lor la destra irata
del Ciel vedean senz’altro scampo o aiuto.
Ma più s’affligge de la sorte ingrata,
per l’immenso tesor c’ha, il re canuto,
e l’ama con amor geloso e indegno
via più che non l’onor, la vita e ’l regno.
34E col pensiero irresoluto e mesto
misero sta con pochi amici a bada.
Erra la turba ed in quel lato e in questo,
né de lo scampo suo trovar sa strada.
Ma la maga una verga, un vel funesto,
un libro prese ed una acuta spada,
e poi da la città dolente uscio,
dove il muro cadente il varco aprio.
35Era vaga la notte e ’l ciel mostrava
le stellate sue pompe ad una ad una,
ma la sembianza al fosco suol velava
l’aria presso a la terra algente e bruna.
Su l’Orto in tanto il lume suo spiegava
con l’argentee sue corna omai la luna,
e l’ombre già de la gelata notte
son da’ puri suoi rai disperse e rotte.
36La maga, poiché il sol notturno vide,
che su ’l nostro emisfero il corso ha volto,
riverente l’adora, indi alto stride,
poi tocca il suol col furibondo volto.
Tre volte al campo ed a le mura infide
altretante l’aspetto ebbe rivolto,
poi bada alquanto e poi con la funesta
sua benda orribilmente arma la testa.
37E designando con la verga un giro,
vi si pose e tre volte il suol percosse.
Tai detti poi da l’empia bocca usciro,
che repente adirato il ciel turbosse.
Lasciò la verga e ’l brando ignudo e diro
con entrambi le man stringendo mosse
in fiero cerchio, e gli occhi biechi e torti
spira, furia baccante, e sangue e morti.
38Poi, turbata, si ferma e in questi accenti
scioglier l’immonda lingua indi s’udio:
«O voi che le procelle e i gran portenti
commovete de l’aria, e voi che il rio
d’Acheronte abitate, or or non lenti
venite ad obedire al voler mio,
per la virtù di quell’antico patto
che meco, o spirti, il vostro duce ha fatto.
39Vi mova, invitti spirti, omai pietate
de le genti pagane afflitte e meste,
e non soffrite che sì gran cittate
e vinta insieme e invendicata reste.
Piogge, fulmini, venti omai destate
terremoti, fantasme, ombre e tempeste,
cada il tutto e ruini e resti estinto,
se più non possi, il vincitore e ’l vinto».
40Così diss’ella, e de la più profonda
arte l’empie biastemme al libro ha letto.
Mille volte invocò la Stige immonda,
percotendo la terra ad ogni detto.
Già nubiloso velo il ciel circonda,
già da gli occhi s’invola il chiaro oggetto,
già copre sotto nube oscura e bruna
il candido splendor l’argentea luna.
41E ’l confuso e gran stuol de i fieri venti
sparso tra l’aria omai sibila ed erra.
La natura paventa e gli elementi
s’apparecchian turbati a cruda guerra.
Mille versa dal sen larve e portenti
Cocito, ed ogni mostro omai disserra,
e mille lampi entro la notte oscura,
dan fieri segni a la tenzon futura.
42Ma poiché l’aria vide orrida e bruna,
torna la maga a la città dolente,
e in larga piazza ad alta voce aduna
de l’afflitta Babel la mesta gente,
ché già rimira l’ultima fortuna
de la patria famosa omai presente,
pur come quel che ad or ad or tremando
su la mesta cervice aspetta il brando.
43Né d’involar più la città diletta
spera da l’altrui man la maga ria,
ma di farne aspramente alta vendetta
nel rabioso cor suo brama e desia.
E già per l’alme disperate ha eletta
questa, di sfogar l’odio, orrida via,
cader tra l’inimici e al braccio forte
la vittoria e ’l trionfo esser la morte.
44Onde per eccitar chi teme e pave
del terror de la morte oppresso e vinto,
sen vien fiera ed audace e ’l corpo s’have
d’un estrano splendore adorno e cinto,
e più de l’uso venerando e grave
il veglio aspetto d’Alderan s’ha finto,
ed in mezzo le turbe in suon feroce
sciolse l’orrida lingua in questa voce:
45«Che stupor? che fantasma? e che timore,
gente invitta de l’Asia or sì vi assale?
Ahi che di marte entro il guerrier ardore
il sospirar, l’impallidir non vale.
Sente gli aversi eventi il forte core
e le felicità con petto eguale,
e contra ogn’urto è sempre salda e dritta,
qual gran torre constante, ogni alma invitta.
46Cadrà, se così vuole il Cielo e ’l fato,
per le nemiche man la patria nostra,
ohimè, se da l’infausto dì passato
la cadente ruina il ver dimostra.
Col cor tremante e vèr la patria ingrato
ci asconderemo in sotterranea chiostra?
e sarà ver che la memoria pia
de l’alta patria invendicata stia?
47Su su meco venite, a l’aria nera
cose farem onde avrà invidia il giorno,
e porteremo a quella gente altiera,
ne l’incerta vittoria il certo scorno,
e la memoria de l’invitta schiera
farà de i gran Spartani in noi ritorno,
e ne la morte de la patria cara
olocausti cadrem felici a gara.
48Né quella che tra noi chiamata è morte,
nome sol di temenza al volgo errante,
raffrenare e temprar di un alma forte
l’alta eroica virtù mai fia bastante.
Dunque vedrà l’inevitabil sorte
L’uom con biasmo e disnor, mesto e tremante?
o pur lieto n’andrà di palme pieno
e vendicato ed onorato in seno?
49Che se cadremo noi spiranti ancora
tra i cadaveri nostri altri cadranno;
che se il ferro nemico e fende e fora,
fendere i nostri e perforar sapranno.
Su su già per uscir comoda è l’ora,
mentre per mio voler destando vanno,
per atterrir più le nemiche genti,
formidabil tempesta i fieri venti.
50Manderanno per noi le stelle armate
e terremoti e fulmini e procelle,
e mostrerem che de le posse usate
abbandonata non è ancor Babelle,
Noi morirem, e sian le tombe alzate
de i corpi estinti de le genti felle.
Or quando i fabri industri unqua formaro
tumulo o mausoleo più degno e raro?».