ARGOMENTO
Cade Babelle entro gl’incendi ardenti.
Gli assediati con l’aiuto della tempesta fanno grande strage di cristiani (1-20)
1Cosi l’empia parlava, e con orrore
girava intorno il suo tartareo aspetto,
avventando saette ad ogni core
d’orgoglioso furore ad ogni detto.
E già di uscir con la gran Maga fuore
ratto ed impaziente ognuno ha eletto,
gridasi «A l’arme» e ’l popol rio che freme
abborrisce lo scampo, odia la speme.
2Corron di qua, di là, chi l’asta prende,
chi l’usbergo si cinge e l’elmo allaccia,
e chi la lancia stringe e ’l brando appende,
chi al destrier sale e chi lo scudo imbraccia,
La disperazion più l’ira accende,
e col proprio morire altri minaccia
e stiman forsennati alta ventura
cadere in un con le paterne mura.
3E preser’anco de la patria amanti
tutte le donne accese fiamme ardenti,
faci di tempra tal, che son costanti
a l’acque, al gelo, a lo spirar de’ venti.
Così da le spelonche atre e fumanti.
a la region de’ miseri viventi,
traggon l’inique Furie il viso immondo,
ardendo i regni e perturbando il mondo.
4Ma, visto il re ne la canuta etate
già vicin de la morte il fiero artiglio,
e del suo scettro e de la sua cittate
l’alta ruina omai, non che il periglio,
tra gran maggion con le ricchezze amate
occultarsi meschin prese consiglio,
ch’a le pene trovar tregua o ristoro
non sa l’anima avara altro che l’oro.
5Ma al Motor de le stelle erranti e fisse
l’empio Pluton, che contrastar desia,
e ’l decreto immortal, che il Ciel prefisse
spera annullar per ogni ordigno e via.
Volle che pronta al suo comando uscisse
la pigrizia col sonno in compagnia,
del riposo figliuoli e de la notte
da l’atro sen de le cimerie grotte.
6Questi al campo cristian vennero e ’l rio
dolce velen sovra ciascun versaro,
e in un tra l’alta quiete un fiero oblio
de l’onor, de le cure anco meschiaro.
Dormon le guardie e dorme il popol pio,
più d’ogni altro trionfo è il dormir caro,
e indegnamente entro l’odiosa pace
il guerriero valor languendo giace.
7E ’l letargo infernal signore e donno,
i lor sensi legando e sovra ognuno
in strana guisa, onde adoprar non ponno
bombarda o tuon, ch’unqua si desti alcuno,
poiché gli avvinse in sì profondo sonno
la stanchezza, l’Inferno e l’aer bruno,
ecco uscir di Babel con faci ardenti
le forsennate e disperate genti.
8Cinte di fosche vesti a l’aer nero
d’abisso uscir parean dal seno interno,
anzi per aitar il popol fiero,
mandò veloce ogni suo mostro Averno.
Spettacol fean e portentoso e altiero
le larve che sgorgàr dal cieco inferno,
sembrando ognuna a l’indistinta imago,
or Chimera or Centauro or Scilla or drago.
9Ma l’empia maga, in cui l’antico amore
d’aspro incendio tartareo esca è nel petto,
corre innanzi rabbiosa e in lei ardore
seco a lato venendo, avviva Aletto.
Faci accese hanno intrambi e qual furore
mostrano a gli occhi ardenti al crudo aspetto,
né si sa, sendo al par orrida e fella,
chi sia Furia di Stige, o questa o quella.
10Taciti vanno e a pena il suon si sente
dei pronti sì ma ben leggieri passi.
Giungono al fin colà dove giacente
la guardia su ’l terren dormendo stassi.
Fur da la maga ria col suo pungente
brando Oringo e Tigran di vita cassi,
che il suol bagnando di sanguigno smalto
fèr dal sonno a la morte orribil salto.
11È fama allor che gli Angeli, che in cura
del suo campo fedel dispose Iddio,
non voller che soffrir sorte sì dura
dovesse indegnamente il popol pio,
onde al suon di quei ferri, a l’aria oscura
il valoroso Oldrico allor sentio.
Grida, desta la guardia e gonfio d’ira
mostra il volto al nemico e ’l ferro gira.
12Alzan allor terribili e sonanti
voci d’orror le disperate genti,
e al vario suon de i ferri scossi e franti
l’ulular, il nitrir mischiarsi senti.
O come strani ed orridi sembianti
mostran le donne con lor faci ardenti,
e i mostri e l’ombre de l’eterno lutto
di terror di spavento empiono il tutto.
13Tuoni orribili in tanto il ciel disserra,
scende in pioggia stridente il gel disciolto,
e Borea altier, che gli alti monti atterra,
batte a’ cristiani orribilmente il volto.
Mischia crudel tra la sanguigna guerra
de gli elementi il gran litigio è avvolto,
e con fulmini ed aste in fogge nove
è congiunto il furor di Marte e Giove.
14Mira con gran stupor lo stuol cristiano
l’aspra tempesta e le notturne faci,
e ammira che del popolo pagano
sian l’afflitte reliquie or tanto audaci.
Ferito entro il pugnar da incerta mano
in tanto, o valoroso Oldrico, giaci.
e sono al cader tuo timidi e stolti
i cristiani tremanti in fuga volti.
15S’odon dietro incalzar con gran furore
il fuggir di costor l’infide genti,
e di questo hanno ancor furia maggiore,
urlando abisso e sibilando i venti.
Tra il fuggir e ’l seguir e ’l cieco orrore
va misto il vincitor mezzo i fuggenti,
e ’l vallo e i padiglioni in varie sorti
empion fiamme, ruine, orrori e morti.
16E fieramente il gran diluvio in tanto
con le tenebre dense ognor crescea,
e dal tartareo e tenebroso ammanto
fiamme ed acque ad un punto il ciel sciogliea.
Tra l’acque e ’l vento, ripercosso e franto
con fiero sibilar l’aer stridea,
e s’accordava con orribil rombo
de le nubi tonanti alto rimbombo.
17E tra l’acque e tra il foco il ciel sembrava
già trarupar de gl’imi abissi al fondo.
Tremante era natura e paventava
che nel Caos primier non torni il mondo.
Era gonfio l’Eufrate e non bastava
tante linfe raccor nel sen profondo,
e mutato in un mar tra spazio breve,
il tributo de i fiumi anco riceve.
18E son già del novello ondoso mare
i gran flutti e le nubi omai confini,
e scossa trema la gran terra e pare
ch’ogni monte ogni colle in giù ruini.
Veggionsi con gran tuono omai cascare
e rocche e colli, non che abeti o pini;
sorgon piene le valli e l’alte fronti
a i gran colpi del ciel chinano i monti.
19Ma se soffiano a gara i fieri venti,
ruine ergendo in quella parte e in questa,
là dove stanno le cristiane genti
l’incantata più ferve aspra tempesta.
Inondan l’acque e tra gli alloggiamenti
cosa intatta ed intera omai non resta,
et in mischia confusa il tutto ingombra
acqua, fulmini, venti, orrore ed ombra.
20Fiero e spietato oggetto era il vedere
contra il campo cristian, ancor giacente,
tutte adunate le tartaree schiere,
l’aspra tempesta e la pagana gente.
Corron fiumi di sangue ed atre e nere
sorgon rote di fumo orribilmente,
mentre il vento, la pioggia e ’l tuon s’accorda
a i barbari ululati e ’l tutto assorda.
Interviene Dio, fulmina Bessana e dirada la tempesta: i pagani sono fugati (21-46)
21Tra diluvio sì fier forse il primiero
così Dio volle il cavalier costante.
Vide l’atra tempesta e atroce e nero
il ciel, che di Cocito avea il sembiante.
Scorse il fallace e feminil pensiero
de la sua maga ed inimica amante.
Sorge, ed a l’aria tempestosa e bruna
i vicini guerrier desta ed aduna.
22E là s’indrizza u’ gli orridi ululati
in disfida del ciel al ciel sen vanno,
ove Bessana e i suoi pagani irati
più contesa o divieto omai non hanno,
ove in mischia sanguigna avviluppati
insieme i vincitori e i vinti stanno,
ove la terra con l’accese tende
al ciel ch’acqua le dona, incendio rende.
23«Su su,» dice il guerrier «su su veloce
corra ciascun a la notturna palma,
pur v’è lume tra l’ombra e nulla noce
se non è come l’altre illustre ed alma».
Questa del capitan sì franca voce
tra il timor de la morte avviva ogni alma,
ed a lui corre ognun, benché s’avventi
sempre l’Inferno ed impedirlo tenti.
24E l’acqua e ’l ghiaccio e ’l terremoto e ’l vento
ritardar i lor passi in un procura,
ed insieme ogni larva, ogni portento
congiurata è lor contra a l’aria oscura.
Ma non per questo il cavalier è lento,
nel cui gran cor non entrò mai paura;
giunge co i suoi là ’ve di stragge e lutto
per le genti pagane è ingombro il tutto.
25Non paventan gl’infidi, anzi più altieri
entro lo stuol più numeroso urtaro,
e sembra a i disperati animi e fieri
più de la dolce vita il morir caro.
Al tremendo incontrar lancie e destrieri
sossopra al suol a mille a mille andaro.
Gemiti orrendi e sanguinosi oltraggi
si confondono avvolti e incendi e straggi.
26Le donne a gara con le faci ardenti,
quasi furie d’Averno ardon le tende,
e con la rabbia de i perversi venti
l’appresa fiamma si dilata e stende;
né la ponno ammorzar l’acque cadenti
de la gran pioggia, ch’à diluvio scende.
non de gli uomini estinti e de’ mal vivi
l’onde sanguigne e i rosseggianti rivi.
27Pugna, e contra il morir non fa difesa
cieca nel sangue l’empia turba infida.
Prodiga è de la vita e corre accesa
ove l’Inferno e ’l rio furor la guida.
Ma la pugna per lei l’abisso ha presa
e l’acqua e l’Austro, onde la gente fida
contra possa e furore e tanta e tale
resiste sì ma contrastar non vale.
28Con gran stridor de le rotanti fionde
sovra il campo cristian piovono i sassi,
e la pugna si mesce e si confonde
atrocemente, e stragge incerta fassi.
I cadaveri estinti e l’acque immonde
ingombrando le vie tardono i passi,
e l’ombra densa, che s’avvolge e mesce,
occultando l’orror, l’orrore accresce.
29Esangue il vivo dal sanguigno estinto
e oppresso è ’l cavalier sotto il cavallo,
e stan sossopra il vincitor e ’l vinto,
e di stragge confusa è pieno il vallo.
S’ode per tutto un fremito indistinto,
saetta qui non scende o sasso in fallo,
e al notturno furor del cieco Marte
l’accortezza e ’l saper sono in disparte.
30Strane son le vendette, orride l’ire
da la notte soccorse e da l’incanto.
Vogliono i forsennati anzi morire,
che dar de la lor fuga a gli altri il vanto.
Desta ed accende il disperato ardire,
eccitandogli ognior, la maga intanto.
e stolta con la lingua immonda e fioca
Stige ed Abisso ed Acheronte invoca.
31Ed odono iterar veloci e preste
da l’empia bocca le biastemme orrende.
Radoppiandosi ognor pioggie e tempeste,
onde l’alta Bontà d’ira s’accende.
Ma il duce de l’esercito Celeste
la cura al fin de la vendetta prende,
e, consentendo il Regnator sovrano,
de l’armi e più potenti armò la mano.
32Tra le stelle sen sta maggion altiera
ov’è riposto ogni divino arnese.
V’è di lancie fatali immensa schiera,
e scudi adamantini e spade accese.
Qua sen venne Michele e la più fiera
e pungente saetta elesse e prese;
de le nubi adunate indi si cinse,
grandi incendi poi mosse e ’l braccio spinse.
33Si fransero, e d’un orrido splendore
l’oscure nubi lampeggiàr d’intorno,
ed apportò l’insolito rumore
tra l’atra notte in fiera guisa il giorno.
S’ingombrò di spavento e di tremore
ogni valle, ogni monte, ogni soggiorno,
quando a l’inevitabili percosse
il guerriero del Ciel la destra mosse.
34Spins’ei la mano e la saetta ardente
tra il gran rimbombo tortuosa uscio.
Ardon le nubi e ’l fulmine stridente
lascia al passar di vivo incendio un rio.
Senza error corse ed improvisamente
la sacrilega lingua allor ferio.
Cade la maga e si distempra e strugge,
la vita e l’alma biastemmando fugge.
35Fugge l’alma a Cocito e ’l corpo frale,
così Iddio consentì, la segue ratto,
che pronta ad opra tal schiera infernale
tra un feretro di fiamme in giù l’ha tratto.
Morta la maga, poiché nulla vale
l’incanto, l’aria si rischiara a un tratto,
cessa la pioggia e lega in un momento
Eolo tra gli antri il piede alato al vento.
36Fuggon le nubi e appar de l’auree stelle
la famiglia splendente e luminosa,
e come tra le donne adorne e belle
suol talvolta apparir leggiadra sposa;
così Cinzia ridente in mezzo a quelle,
quasi notturno sole, appar pomposa,
e intorno intorno il folgurar giocondo
del suo lume di argento allegra il mondo.
37Al fier lampo, al gran tuon, a l’improviso
cessar de l’acque ed acquietar de i venti,
al fuggir de le nebbie, al ciel il viso
stupide rivoltàr l’irate genti.
Ma i circostanti, che il lor mago ucciso
scorser rapir tra vive fiamme ardenti,
pallidi il volto e ’l cor di audacia cassi
volser tremanti in ratta fuga i passi.
38Ed insieme fuggìr gli Angeli stigi
e i terremoti e le sembianze orrende.
Fermo il campo cristiano i gran prestigi
e le strane mutanze immoto attende;
ma il duce, che de i magici prodigi
mai temenza non ebbe, aspro reprende
il dubitar de le sue forti schiere,
rincorandole irato in voci altiere:
39«Ne i perigli di morte,» ei dice «ahi stolti,
senza mai paventar pugnato avete:
ora i nemici in fuga vil son volti
privi d’ogni soccorso e voi temete?
Contra gli empi pagani omai rivolti
son gli sdegni celesti, e non vedete
che con suoi raggi senza nube o velo
la via ci additta a le vittorie il Cielo?».
40Così disse e a seguir l’aversa gente
senza aguati temer corre il primiero,
ed atterra, qual fulmine corrente,
forsennato e tremante il popol fiero.
Altri cade, altri fugge e variamente
è di stragge ingombraro ogni sentiero.
Van sossopra guerrieri, armi e cavalli,
ed al vario rumor muggion le valli.
41Come in notte brumal, quando Aquilone,
monti d’onde inalzando, orribil fiata,
senza aver di nocchiero arte o ragione
scorre mar pien di scogli immensa armata,
tutta freme la salsa ampia regione,
frangonsi i legni a i sassi e l’onda irata,
rotte ravvolge entro il nemico umore
poppe, vele, timoni, alberi e prore,
42così tra ’l campo e le cristiane schiere
va disfatto l’esercito pagano,
e colmo e guasto è da le genti fiere
semivive e languenti il vallo e ’l piano.
Cadono in mezzo lor le faci altiere
onde spinte d’orgoglio armar la mano,
e tra le squadre scelerate ed empie
ciò che lascia il nemico il foco adempie.
43Ma tra questo rimbombo era già desta
l’alba, e chiara sorgea dal Gange fuora,
e di tenere perle alma tempesta
ruggiadosa versava in grembo a Flora.
Fugava gli astri in quella parte e in questa.
con la sferza di rose indi l’aurora,
ed indorava il sol l’altiere fronti
de l’aspra Armenia a i nubilosi monti.
44Del pianeta del dì l’almo splendore
il dolente scoprì misero oggetto,
spaventosa pietade e mesto orrore
de gli estinti recando il vario aspetto,
L’ire notturne e ’l barbaro furore
avean d’incendi e sangue il tutto infetto.
e mostrava inalzati in varia sorte
i trofei del suo sdegno e Marte e Morte.
45Giacean da le lor faci arse ed estinte
le donne audaci in mezzo il campo e ’l vallo
liete se di Imeneo fossero accinte
in quella notte e non di Marte al ballo.
Giacean le schiere vincitrici e vinte,
né tra morti v’è pur breve intervallo,
ma sol vedeasi de l’ancise genti
ergersi monti ed inondar torrenti.
46Non feo cader giamai nevi cotante
il verno algente a la gran madre in seno,
né sparse in su l’auttunno Austro spirante
di tante aride foglie unqua il terreno,
quanti ancisi guerrier e donne quante
semivive ed estinte ivi giacieno.
E per incerte vie van molti errando
già d’ogni aita e d’ogni speme in bando.
I cristiani entrano a Babele ne fanno scempio, cade anche l’ultimo presidio del califfo grazie a un incendio rinforzato da Dio (47-70)
47Siegue il campo, cristian, l’ardenti faci
contra l’empia città molti prendieno,
e i pagani or tremanti e prima audaci
in varie guise innanti a lor cadieno.
Ma seguendo costor l’empie e fugaci
turbe presso a Babel al fin giungieno,
a Babel che già s’apre al campo forte
per le mura cadenti e per le porte.
48Entra il gran campo e la cristiana gente
le strade ingombra e la città circonda,
come sonoro e rapido torrente
che l’argin rompe e a l’improviso inonda.
Ma chi dirà de la città dolente
l’alte miserie, onde infelice abbonda?
e chi giamai potrà furor cotanto
spiegar co i carmi e figurar col canto?
49Come talor avien che in ampio ovile
di famelichi lupi entra un gran stuolo,
fa crudi scempi de la mandra umile,
e di sangue e di stragge ingombra il suolo,
treman gli agnelli a la gran rabbia ostile
intorno cinti di spavento e duolo,
e contra il crudo assalitor feroce
per ischermo non han fuor che la voce,
50così doleasi e così allor parea
ne l’oppressa cittade il popol mesto.
Misero in van tremava, in van piangea
in quel lato or errando ed ora in questo.
Contra Babel di mille colpe rea
lo stendardo di stragge atro e funesto
aveva intanto il capitano irato,
la vendetta del Cielo omai spiegato.
51S’aveva il campo vincitor cristiano
di Babel le contrade omai divise.
Va vincente l’esercito inumano
entro il sangue e le prede in varie guise.
Cadon le turbe in quel furor insano
dal calpestrar e non dal ferro ancise,
e ’l vincitor solo a predare attende
rompe porte e finestre e sale e scende.
52Ogni tempio profan resta spogliato
d’ogni tesor, d’ogni ornamento egregio,
ogni ricco palaggio è saccheggiato,
e sol s’elegge ciò ch’è più di pregio.
Fatto è vile l’argento e calpestrato
ogni serico drappo, ogn’alto fregio,
però che nulla al predator avaro
fuor che l’oro e le gemme è grato e caro.
53Stringe la madre lacera ed esangue
i lagrimosi pargoletti in seno,
e di straggi confuse e d’atro sangue
asperso rosseggiar vedi il terreno.
Chi geme e spira, chi singhiozza e langue
e d’orror di vendetta il tutto è pieno,
e de gli estinti un orrido tributo
da l’Eufrate sanguigno ha il mare avuto.
54Corrono i vecchi pallidi e tremanti,
e le timide vergini smarrite,
versando a gara un ampio mar di pianti,
stolte ne le profane alte meschite.
E corrono anco i lor feroci amanti,
e stendon sovra lor le mani ardite,
e van con l’alma intenta a l’opre sozze
da la guerra pietosa a l’empie nozze.
55Strani sono gli orrendi incerti gridi,
fieri sono gli strepiti e i lamenti,
e fuor ch’ire, ruine ed onte e stridi,
e minaccie e sospiri altro non senti.
Alto rimbomban de l’Eufrate i lidi,
varie le voci son d’egri e languenti,
ma sovra avanza ad ogni suono atroce
il grido altier del predator feroce.
56Qual famelico lupo ogn’un attende
a predar, a rapir per tutto a gara,
e variamente nel predar contende
seco stessa talor la turba avara.
Voce di cortesia qui non s’intende,
ove sol ira e crudeltà s’impara;
la pietate è sbandita e resta solo
il furor, la vendetta, il pianto e ’l duolo.
57Dopo che in preda a i suoi la città diede
Alon s’asside ad un eccelso colle,
però, che porre il valoroso piede
ne l’indegna cittade egli non volle
e mentre ei di Babel la strage vede,
fa di lagrime sante il viso molle,
in contemplar quanto son vani e frali
pompe, fasto ed ardir d’egri mortali.
58Volle il gran capitan, che al suo cospetto
di Babel il Califfa allor venisse,
sol per saper con che costante petto
un tanto male in quell’età soffrisse.
Corse a questo esseguire un stuol eletto
e fe’ tosto ritorno e a lui ridisse,
ch’era presso di Nino il gran castello
ma più forte maggion vedeasi in quello.
59E salda e inacessibile la fanno
d’ogni via d’ogni lato e l’arte e ’l sito,
e di molti guerrier, che intorno stanno
ogni assalto, ogni industria avea schernito.
E inteso avean che il barbaro tiranno
co’ suoi più cari in quello albergo er’ito
ove raccolto era di gemme ed oro
de gli avari Califfi ampio tesoro.
60Risponde il capitan: «Poiché serrato
s’è dentro il suo tesoro, ivi si stia,
ogn’uscio a lui si vieti e s’ha bramato
sempre l’oro, pur l’oro il cibo sia.
Castigate col fuoco in ogni lato
l’empia città di mille colpe ria,
e di Babel pria che il dì terzo rieda,
fuor che il cenere immondo il ciel non veda».
61Così disse il gran duce e ’l foco omai,
sendo fatta la preda era già desto,
e con sanguigni e tenebrosi rai
sorge la fiamma ed in quel lato e in questo.
Radoppia allora i lagrimosi lai
de’ Turchi il popol semivivo e mesto,
e de la patria, che tra ’l foco langue
l’ardor brama ammorzar versando il sangue.
62Disposti ad atterrar l’altiere mura
i gran bronzi di Marte erano in tanto,
ed al colpir de la sonante e dura
palla il muro cadeva aperto e franto.
L’alma luce del dì già fatta è oscura
a la fetida nebbia, al nero ammanto.
Stridon le moli e ruinose e tocche
da l’acceso metal cadon le rocche.
63Portentoso rimbombo, orrido strido
ingombràr tutta la città dolente,
e d’alta voce in ogni rupe e lido
far orrenda risposta Eco si sente,
Abbandonaron gli augeletti il nido
ed ogni fera è da la tana assente;
chiuso sta tra le nubi il cielo e ’l Sole,
e le vendette sue veder non vuole.
64Sovra l’eccelse mura ergeansi altiere
pompe d’arte e natura, alberi e prati
fatti d’antico re sol per godere
de la moglie gentil gli ardori amati.
Vago i bei verdi boschi era il vedere
in mezzo i regni di Giunon fondati,
sotto son gli erti monti e tra le selve
de’ gran campi de l’aria erran le belve.
65Meravigliosa inver, possa reale,
opra strana e stupor di fabri industri,
che sembrava, benché cosa mortale,
non temesse il girar d’anni e di lustri;
ma al colpir de la machina fatale
repente trarupàr l’opere illustri,
tra le cenere e ’l fumo ed ogni loco
inonda e stride e tiranneggia il foco.
66Misti s’odon singhiozzi, stridi e pianti
ne la città de’ successor di Belo,
mentre per l’aria van globbi volanti,
che di fetide nubi empiono il cielo,
e con oscuri e tenebrosi ammanti
recano al dì di mezza notte il velo,
e forma il fumo in giri immensi ed alti
Briarei, Gerioni ed Efialti.
67Non vedi altro, che cenere e faville,
miserabili incendi e negri orrori,
e confundonsi intorno a mille a mille
vampe sanguigne e fetidi splendori.
Tutto ingombrano il ciel fiamme e scintille
ed accendono i campi infetti ardori,
e nel misero fin contra le stelle
Flegetonte novel fatt’è Babelle.
68Ma per l’ultimo mal destasi a un tratto,
e dà forza a l’incendio orribil vento,
contra Babel in strana guisa fatto
da la destra del Ciel fiero strumento.
Rinchiuso stava e di morir in atto,
sol avendo per cibo oro ed argento
co’ suoi mesto il Califfa e geme e langue
lagrimoso l’aspetto e ’l viso esangue.
69E già pien di dolor la fiamma ardente
de l’eccelse finestre aflitto vede,
ed ode il suon de la città dolente,
che d’ogni parte rovinando cede.
Già la vampa e l’ardor vicino sente
e ’l gran furor de l’inimiche tede,
però che omai senza aver più difesa,
ampiamente la fiamma è a torno appresa.
70Ed ecco già, che senza alcun riparo
liquefassi a l’ardor l’argento e l’oro.
Langue appresso la morte e ’l core avaro
più s’affligge del mal del suo tesoro
ma tra il fumo e le fiamme al fin lasciaro,
miseri i sensi i mesti uffici loro.
Soffogato nel caldo empio si strugge
il corpo, e l’alma sospirando fugge.