La Malteide

di Giovanni Fratta

Nel 1596 passava dai torchi la Malteide, un poderoso poema in ventiquattro canti corredato in apertura da una lettera apocrifa di Tasso e da una collana di ottave di lode. Vi si narrano le peripezie dell’Ordine dopo la cacciata da Rodi del 1522 e la favolosa conquista di Malta, un fatto storicamente mai accaduto: nella realtà delle cose l’isola fu regalata ai Cavalieri di San Giovanni da Carlo V dietro il tributo simbolico di un falcone, nel 1530, e la presa di possesso fu totalmente pacifica.
Nel testo, al contrario, dopo dieci canti di navigazione condotti sul modello omerico-virgiliano, all’arrivo sull’isola si assiste all’apertura di un conflitto con i Turchi del presidio, capitanati dal viceré Feratte. Solo dopo una lunghissima e poco ordinata serie di digressioni di tipo cavalleresco e talora novellistico (un esempio sugli altri: le vicende erotiche di Deianira ai canti XXI-XXII) i Cavalieri compiono la missione vincendo la resistenza dei musulmani. Il poema si discosta dal modello tassiano, tralasciato a vantaggio del recupero di forme classiche antiche: se già la suddivisione della fabula in viaggio e guerra avvicina il testo all’Eneide, il dispositivo ritardante riprende l’Iliade, alla pari della quale i cristiani sono messi in difficoltà dai musulmani fino alle soglie della vittoria conclusiva.

Bibliografia

  • A. Belloni, Gli epigoni della Gerusalemme liberata, Padova, Draghi, 1983, pp. 88-98.
  • L. Carpanè, «Nell’inclita città di Verona». Momenti della letteratura veronese tra Cinque e Seicento, Verona, QuiEdit, 2007, pp. 18-21.

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