Il San Francesco

di Agostino Gallucci

Il San Francesco è forse il più notevole poema religioso del Seicento, uno tra i più compromessi con il modello tassiano e gli indirizzi della poesia eroica. Edito una prima volta nel 1618 (Venezia, Barezzi), con l’accompagnamento di un poderoso apparato di auto-commento in prosa, vedrà nuovamente la luce vent’anni più tardi (Ingolstadt, Edero, 1639), in un’edizione migliorata e rivista, e, purtroppo, ancora non indagata nei suoi rapporti con la precedente ma passibile di un confronto.
Si tratta di un monumentale poema in venticinque canti, in cui si racconta in maniera epico-cavalleresca, ma con fedeltà alle fonti ufficiali (la Legenda Maior di San Bonaventura su tutte), la vita del santo assisiate, secondo un interessante processo di fusione di materia religiosa e bellica. La sua vita, vista come una guerra contro il peccato, è fatta di incontri e di erranze come quella dei cavalieri: con la creazione dell’ordine assume però i galloni di «capitano», in un processo in linea con quello descritto nella Gerusalemme liberata di riduzione dell’errore. Dopo innumerevoli prove, la conquista della Gerusalemme celeste si concretizza grazie a una vittoria campale su Satana e sulle sue schiere, con il principe infernale che cade abbattuto da Francesco con un colpo di fionda.
Fortemente interessato alla scrittura tassiana, il San Francesco mostra i segni di quella che sarà l’imitazione di Marino e del Barocco maturo dell’archetipo: sono molte le citazioni dirette, le ottave riscritte, e le situazione esplicitamente riprese, una filigrana spessa che percorre tutto il testo e ne fa, in maniera pressoché unica, un caso di eroico religioso.

Bibliografia

  • E. Selmi, “Inchiostri purgati” e il Parnaso in pulpito” (memoria e riscrittura tassiana nell’epica sacra del Seicento), in Dopo Tasso. Percorsi del poema eroico. Atti del Convegno di Studi, Urbino, 15 e 16 giugno 2004, a cura di G. Arbizzoni, M. Faini, T. Mattioli, Roma-Padova, Antenore, 2005, pp. 423-475.

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