ARGOMENTO
Martire è Balzio, e poi feroce assale
gli alloggiamenti franchi il re pagano;
ma ’l tirio re toglie a magia infernale
la gran guerriera e ’l pugnator sovrano,
e sana i duci i quai con empio strale
trafitti aveva amor barbaro insano,
et in oprar già meraviglie tante
grazie ha dal Ciel meravigliose e sante.
Gazerse tenta di istigare Balzio al tradimento, costui rifiuta ed è martirizzato (1-23,4)
1Otto volte risorto in India et otto
dentro l’Ibero il sol s’era sommerso,
il sol ch’a l’ampia terra or sopra or sotto
gira, et in ciascun dì nasce diverso,
e con assedio mai non interrotto
premea i rinchiusi Franchi il campo averso,
e sgombrava anco intanto in varie guise
la strage e ’l lezzo de le squadre ancise.
2Tancredi d’altra parte i folli amori
dannò in suoi duci, e d’ira il volto tinse,
e spesso ad essi i lor sovrani onori
rammentò, e spesso ad arte anco s’infinse,
e tra follie cotante e tanti errori
forte invocava lei che ’n Dio s’incise,
e qual potea si difendea, ma inganno
indegno ordiali il saracin tiranno.
3Era alta notte, e ’n fretta a sé davante
l’empio re fea condurre un suo prigione,
quello per cui, bel Tarento, vante
ne’ gran principi tuoi pregi e corone:
Balzio nomossi, e fu saldo e costante,
bench’ei fanciullo, in barbara prigione,
e generosità tra gloriose
mete d’ardire i ceppi a i piè gli pose.
4Nel dì ch’Idro fugò le senza fine
squadre pagane ne la colca terra,
Balzio in sua fresca età pur pellegrine,
oltre il valor de gli anni, opre fe’ in guerra,
anzi invitto tra l’armi saracine
corse fin dentro la munita terra,
e qual leone in chiuso ovil quiv’anco
egli fu visto ruinoso e franco.
5Né da le tante pur nemiche schiere
senza lor danno alfin dentro lor mura
fu disarmato, e fu di gravi e fiere
catene avolto, e tratto in parte oscura.
Or Gazerse gli dice: «Io vuo’, ché spero
felicità di mezzo a tua sventura,
s’a me sei fido, et ove in ciò restio
tu fossi, aspro in te fia lo sdegno mio.
6Già tengonsi per me con duro e greve
assedio i Franchi, omai stretti e serrati,
ma l’infortunio lor saria pur lieve
se mutasser sentenza essi ostinati,
talché in quel che farai fia che solleve
con arte ancora i miseri assediati;
con arte tu di splendida bugia
torrai costoro a sorte atroce e ria.
7Verso il lor vallo andrai tosto che ’l giorno
uscirà dal gangetico oceano,
e cautamente osserveratti intorno
la guardia mia, quantunque da lontano.
Tu con sermon d’incliti inganni adorno
piega a suo pro de’ Franchi il capitano
a chiedermi mercede, a disserrarmi
gli alloggiamenti il piega, a depor l’armi.
8Di’ che trovar salute e far tragitto
vèr l’Oronte potrà sol in tal modo,
di’ che Roberta e di lui ’l figlio invitto
io tengo, e ’l re di Tiro in ferreo nodo.
Mostra affetto pietoso in fronte scritto
tu cauto esecutor di nobil frodo».
Così ’l re, ma ’l fanciul che ’n lacci è stretto
pietà volgeva e lealtà in suo petto.
9Splendidamente con parlar fallace
egli obedir promise, e fu disciolto.
Poi cedea l’ombra a la diurna face,
et era in Balzio ogni pagan rivolto;
vèr le tende egli va, come al re piace,
da remoti custodi egli già avolto,
sopra un sasso arrestassi, ove arrestarsi
imposto fugli, ahi traditor per farsi.
10In cima a gli steccati ei manda il guardo
e vede il suo german che Cinzio è detto,
e ’l pianto a uscir da gli occhi non è tardo,
né in altro ei cangia pur voglia od aspetto.
Vede anco in mano aver gran doppio dardo
Tancredi, e ’l volto in lui tener diretto,
e gli fa riverenti il petto e ’l ciglio
e tal gli parla in provido consiglio:
11«Sire, qual traditor ne vengo spinto,
ma mia fé, mia pietà troppo fia nota:
da lontani custodi io son ricinto,
e ’n me fedele empio coltel s’arruota».
Così diceva, et a’ tormenti accinto
e con fronte tranquilla e mente immota
gli ebbe il tenor de la perfidia espresso,
tanto il dovere amò più che se stesso.
12Corser le guardie, et ei pur con serena
faccia tra lor gridava: «O re, resisti,
i tre non preme no servil catena,
o re che tanti a Dio fatti hai conquisti,
anzi loro a tuo scampo il Ciel rimena,
in sonno matutin dianzi gli ho visti.
Volo al martirio, e lascio io di mia fede
a te et a Cristo il mio fratel qui erede».
13Queste parole a lagrime i Normanni
movono, et a furore i Saracini.
Per man de la bellezza i suoi freschi anni
su la guancia ponea perle e rubini,
e tu, rigida Parca, omai v’appanni
spegnendo gli ostri i lampi alabastrini,
tu che movi a troncar sì duramente
al fuso di sua vita il fil corrente.
14Legato è ’l bel garzone, e tra percosse
di ferree verghe a l’empietate è segno,
nudi i membri d’avorio, e cade in rosse
pioggie il sangue, et un palo è lor sostegno.
Egli solleva gli occhi, e qual se fosse
marmo, il duolo sentir nullo fa segno,
e mira aperti i Cieli. e palme
mira apprestargli omai gli Angeli a l’alme.
15Ma poiché mille aspri tormenti vinse
e ne l’amor divin l’alma più accese,
un de’ ministri rei la spada strinse
e mortalmente il gentil collo offese.
Troncollo, e i campi colchi asperse e tinse
il sangue, che sgorgando in giù discese.
Balzò la testa, e ’l pio spirto ch’uscia
– Giesù – tre volte disse e tre – Maria -.
16Felicissimo spirto, a te gli altari
deve e gli incensi il successor di Pietro,
et io devo versi eterni e chiari
se stil sì degno da le Muse impetro.
Tu sorvolasti al Ciel con penne pari
né ti purgasti in loco ardente e tetro,
che te quel sangue che per Dio spargesti
lavò, e ti disserrò gli usci celesti.
17In ampia fromba indi ponea Tormonte
la testa, e fea girare il lin pesante
tre volte e quattro a gli steccati a fronte,
e poi scoppiava il canape fischiante,
e già va in alto la scagliata fronte
in mezzo al vallo a traboccar rotante.
Per lei raccorre, accoppia mano a mani
e s’inalzan su i piè gli eroi cristiani.
18La ricevon cadente in un commisto
strepito di lamenti e di sospiri,
e la danno al fratello, afflitto e tristo;
ma che spettacol poi? che scena miri?
Eran gemelli, eran simili, e visto
questi parea che quegli in questo spiri,
così in ambo dipinse una figura
col suo pennel vital l’alma natura,
19miseri, e del german sì a lui sembiante,
Cinzio il bel tronco aspetto oh come stringe!
Ei l’appressa al suo ciglio lacrimante,
e tutto il campo a lagrimar costringe.
Ecco stassi su l’un l’altro sembiante,
dura vista, et un lava e l’altro tinge,
tinge di sangue il morto il vivo, e ’l sangue
lava col pianto il vivo al volto essangue.
20«Ove è del collo, ohimè, «Cinzio dicea,
«ove è l’avanzo a cui tu fusti unito?
ove è la luce, ohimè, più che febea
de gli occhi? e chi così t’ha scolorito?
de’ can di Colco ah sazierà la rea
fame il bel corpo tuo non sepelito,
o fedel troppo, o troppo santo, o speglio
a chi più saldo abbraccia il dritto e ’l meglio?
21Questa è l’ambiguità del doppio viso,
fratello, onde tu me, te sembrav’io?
e perché il volto tuo da te diviso
se congiunto restar doveva il mio?
Perché non così entrambi?», e qui, conquiso
da la doglia, i lamenti non compìo.
Il sommo duce allor di man gli tolle
il teschio, e mostra anco egli il ciglio molle.
22L’abbraccia e poi gli dice: «O figlio, quanto
io perdo in tuo german tu in te ravviva,
saraimi d’ambo in vece, e ’n nobil vanto
fia ch’a tua gente il caso suo s’ascriva.
Terrò nel cor, seguami gioia o pianto,
tanta fede e pietate impressa e viva».
Tacque, et esequie al colto essangue e bello
e bara in coppa d’or diede e avello.
23Rara opra è questa coppa, et ha gemmato
l’orlo e ’l coverchio, in suso e ’n giuso il piede,
e grande è sì che cape in sé serrato
lo scempio ch’i trionfi in gloria eccede.
Ciò ne le franche tende, e poscia armatoI Persiani vanno all’attacco, Tancredi è alle prese con il problema dei suoi guerrieri innamorati (23,5-55)
l’esercito infedel tutto si vede:
vuole assalir i Franchi, e quasi infausta
cometa il re sta in sella e scaglia un’asta.
24«E chi su ’l vallo il salitor primiero
fia meco, «egli poi grida «o forti eroi?»,
et intanto si lancia dal destriero
e balzan da gli arcioni i duci suoi.
Ma cheunque quel giorno ebbe d’altero,
menti superne or mi dittate voi:
l’empiree or pur m’aprite, or pur togliete
rare memorie a l’onda atra di Lete.
25Baliste e fionde et archi a’ vangatori
facean difesa, et essi empìan le fosse,
le fosse ch’ampie il vallo avea di fuori
et altre rustiche arme eransi mosse.
Dico altre vanghe, onde altri guastatori
impiegavano ancor rustiche posse,
e spianavano ogn’erto et eran viste
a schermo lor pur fionde, archi e baliste.
26Sorgeano anco d’intorno indi remote
(ma spinte fian di tal lavor nel fine)
machine eccelse in su gran ferree rote
e montoni con fronti adamantine,
et ogn’altro ch’i muri aspro percote
bellico ordigno, e mille saracine
invenzioni e scale e torreggianti
torri e guerrier su gli indici elefanti.
27Ma ’l prence de’ Normanni altro paventa,
teme Amor, che tanto ange i suoi baroni,
teme quel fiero Amor che ’n essi aventa
rei strali, e al proprio mal sì li tien proni.
Pur, com’ei puote, ogni rimedio tenta,
ma par ch’ogni salute or l’abbandoni.
Quai forze fia ch’impieghi? a quai consigli
in tanta aversità fia che s’appigli?
28Rollon fu tra color che quivi sciolti
givan d’Amor, e pochi eran costoro;
a lui disse il pio duca: «Or vedi accolti
i Turchi in arme, e i rei disegni loro,
lasso, e i miei duci forsennati e stolti
vaneggiano anco a quattro trecce d’oro,
ahi, quattro treccie d’oro e due lucenti
fronti che fan virtù nessun rammenti,
29ma tu, però che ’l Ciel tuo cor difende
da fiamma così insolita e sì strana,
tu del sangue di cui suoi regi attende,
fama ciò dice, l’inclita Toscana,
fama ch’assai vetusta a noi discende
e che non fu già mai creduta vana,
deh rammenta un tal grido e corri gli ampi
de l’aringo di gloria or vòti campi.
30Oggi i tuoi offici più che mai tu adempi,
usa oggi più che mai tu la mia vice,
e forse aurea tromba ne’ futuri tempi
di tanti affanni fia divulgatrice;
ma io, per me e per l’oste, altari e tempi
di Dio prometto a l’alta genitrice».
Tacque, e partenza fean; ma chi pon legge
a gli amanti, ove Amor suo imperio regge?
31Questi a l’obligo lor quinci il famoso
duce e quindi Rollon questi richiama,
ma che, s’ognuno a sé troppo odioso
poco stima i trofei d’eterna fama?
Un gentil volto barbaro amoroso
sol da ciascuno or si sospira e brama,
e senza pregio or ogn’invitta mano
torpe, e ferza d’onore or punge invano.
32Ma la tardanza al re de gli Indi è grata,
e nel fosso mal pien primo trapassa,
sopra alta scala, infra quell’opre alzata,
poggia, e d’orrido ardir vestigi lassa.
Scudo non pon su la sua fronte armata,
sotto un nembo di pietre e non l’abbassa,
giunge al sommo del vallo, e ’l capo v’erge
e freme e di timor l’alme cosperge.
33Crolla l’orribil testa e versa orrore
da l’armi ond’è vestito, onde risplende,
così di notte in ciel secco vapore
formidabil veggiam poiché s’accende,
e ’l libico ocean, quando terrore
reca a l’Atlante, e su le Gadi ascende
in cima a quella scala anco rassembra
per gran furor quest’empio e per gran membra.
34Grida, ma in lui non forma integri e chiari
gli accenti l’alma irata et orgogliosa,
e in suo dice interrotto: «I monti e i mari
questi a danno passàr d’Asia famosa?
e qual femine or chiuse entro i ripari
stansi, e mostrar la fronte alcun non osa?».
A tai rampogne il forte Afron rivolto
cessò dal vagheggiar l’amato volto.
35Ei le virtuti sue sceme e conquise
pascea in quel lume a gli occhi suoi divino,
né più scernea, ma lumi alti gli mise
per poca ora entro l’alma un cherubino,
ond’esso allor fu desso, e ’n aspre guise
corse ne l’oltraggiante saracino,
parve un turbo in grand’elce egli scotendo
la gran scala, e ’l grand’uom con crollo orrendo.
36Et intanto lasciò gravi e pendenti
ne le catene lor l’elsa e lo scudo,
ma tra sue furie indomite et ardenti
torvo sorrise e favellò quel crudo:
«Tu di mia mazza il pondo non rammenti,
ma prova i colpi or del mio brando ignudo»,
e ’n questo dir su l’elmo orrida e presta
fioccar del nudo acciar de’ la tempesta.
37Ma l’eroe d’Appenin con vigorose
forze la scala insieme e lui sospinse,
e così a l’onte et al colpir rispose,
e da la scala e dal pagan si scinse.
Quei cadde quasi un monte, e con l’algose
onde al rimbombo il mar in mar si strinse,
ma l’indian da quel toccar la terra
più fier, qual novo Anteo, risorse in guerra.
38Prese forte arco, e ’l forte arco che prese
fu salda costa d’atlantea balena,
scoccò tre volte e tre ’l baron n’offese,
che d’alto il traboccò ne l’ima arena.
Ma le fionde girevoli e distese
tutte di pietre omai l’aria han ripiena,
e volan da le machine lancianti
i macigni rifei duri e pesanti.
39Volano anco pennuti e velenati
più di neve e di gragniuola più spessi
gli strali fuor da gli archi ampi lunati,
fuor da gli archi saldissimi e riflessi,
e, i rai del sol restando indi adombrati,
ne son da ferrea notte i Franchi oppressi,
et intanto i mecanici stormenti
vedi ne l’opre loro unqua non lenti.
40Ben Rollon, ben Tancredi aveano opposto
quanto di guerra in ciò richiede l’arte,
ma negletto è da’ duci il bel proposto,
fatti servi d’Amor, ribelli a Marte,
e ratto, qual su ’l Cielo era disposto,
s’empie del fosso ogni profonda parte,
et appianato resta ogn’argin anco,
né più da lunge offeso è ’l popol franco.
41Ma in lui correndo eserciti pedoni
assaltano il gran vallo in ogni lato,
et avvicinan cozzator montoni
e torri appo cui basso è lo steccato,
e disciogliono in rauchi e fieri suoni
le trombe turche il molto infuso fiato,
e ne rimbomba il vallo e sorgon cento
scale erette in un punto in tal momento.
42Acque bollenti e sassi ruinosi
pur son versati or sopra i salitori,
ma sotto gli ampi scudi essi nascosi
poggiano, e sol le destre alzan di fuori,
e fieramente orrendi e luminosi
giungon su ’l vallo, e ’l tutto empion d’orrori,
e di novo là suso il fier Tormonte
erge superbo la terribil fronte.
43Gira ei la spada e cerca chi ad orrendo
crollo il sospinse, e lui non trova quivi,
e sfoga l’ire in altri aspro e tremendo
tra un cerchio d’armi, e manda il sangue in rivi.
Stanno i vivi su i morti, et ei rompendo
loriche e piastre agguagli a’ morti i vivi,
che qual leon giunto a’ montani armenti
scempio egli fa de le cristiane genti.
44Anco Anselmo ei ferì, ferì Cosmante,
da lunge intenti a riguardar lor vaghe,
ma ’l troppo affetto a l’uno, a l’altro amante
insensibili fe’ l’esterne piaghe,
ed ambo i piè questo empio in quello istante
pon sopra il vallo, e fa che ’l vallo allaghe
d’un mar di sangue, e senza capo in terra
manda Olfalco, e trafitto Ismonte atterra.
45mill’altri assalitor pur su le cime
degli steccati omai rotan le spade,
ma scontran varia sorte: altri sublime
vince gli intoppi, altri rispinto cade,
ed altri oppresso l’oppressore opprime,
tentando tutti aspre e rischiose strade,
e de’ sormontator già sotto i piedi
quasi canne tremar le scale vedi.
46Tu là suso, Ottoman, duro fendente
per entro il fianco ad Ermedor tu aggire,
rompi le maglie e rapido ed algente
il ferro dentro il cor gli fai sentire;
e fulmini pur anco, e con pungente
punta trafiggi di Potenza il sire:
essangue giù dal vallo il conte piomba,
e sonan l’armi ed il terren rimbomba.
47Fregi su l’elmo fan bianche et attorte
bende al re turco, et ei tra’ primi è asceso,
e dando varie forme egli a la morte
ruppe l’usbergo a Otton, l’elmo a Galeso,
e Pirro ei decollò, né te, Zenorte,
contro lui tua beltate ebbe difeso,
anzi, da l’empia spada in due diviso
su i begli omeri cadde il tuo bel viso.
48E da gli ordigni cozzatori intanto
percosso è lo steccato in vario loco,
ma sodo è sì che penetrato o franto
or egli esser non può molto né poco,
e gli oricalchi il lor canto
van dilungando in suono orrido e roco,
e son ferza al furor che sanguinoso
orribile trascorre e ruinoso.
49Ma i duci amanti omai non san più stare
ne’ lochi indarno a lor virtù commessi,
vaneggian per le due sì belle e care
forme ond’Amor fiero monarca è in essi,
e stiman tutti fortunate e rare
l’empie cagion de’ lor sì folli eccessi.
Su due mobili torri, oh come snelle
fean di sé mostra e fulminavan elle!
50Et a l’una et a l’altra Asmodeo tolti
fin da principio avea gli elmi dorati,
e fea da’ nudi lor leggiadri volti
uscir di stigio ardor lampi infiammati,
e le bianche cervici in parte sciolti
raccogliean de’ capei gli ori filati,
e ’l demon vi spargea suo re veleno
e poi ’l versava a gli egri amanti in seno.
51Essi attendean lor dive, Amor gli unia
in duo groppi, e languiano essi concordi,
e pur fremea tra lor la Gelosia
et in loro union lor fea discordi.
Ma già il bel lume da vicin feria
i guardi lo sì di tal vista ingordi;
treman tai forti in riguardar due vaghe
fronti, fatte d’Amor tartaree maghe.
52Un oste di guerrier quasi infiniti
sembrava, e mille duci il sommo duce,
ma co’ gridi de cor là suso uditi
ergeva al Cielo l’una e l’altra luce:
«Madre di Dio, «dicea «s’a gli smarriti
tu sempre, tua mercé, sei guida e luce,
guarda in costor, rischiara le sì dense
lor ombre interne, in cui rea morte attiense.
53Stigio inganno li preme e stigio incanto,
anzi, li sforza empio poter d’Inferno;
d’esser campioni tuoi d’essi fu il vanto
quando fu in lor balia di sé il governo.
Del mar mediterraneo in ciascun canto
già li soccorse il tuo favor superno,
tu li schermisti in vèr Boote, e dove
s’asconde il ciel ch’antartico si move».
54Tal pregava e pugnava, e volea avere
colombe così ad arte ammaestrate
che fate speditissime e leggiere
siano in più regni a trapassare usate,
colombe avvezze ad esser messaggiere
e tra’ vanni a portar lettre legate;
voleale per mandare ad Amedeo,
né sa se in Libia o se nel clima acheo.
55Per intervallo equal torri divise
bramò dal Fasi ancor fin a Soria,
con vari fochi in suso, onde s’avise
ciò che con foco egli annunciasse in pria,
ma sue vere speranze in altre guise
solo nel Cielo erano in et, o Maria,
volgea in più parti il cor tra quegli affanni
e ’l mandava indi a te con dritti vanni.
Anche Rollone, l’unico immune, perde la testa per amore, e il campo sbanda (56-68,7)
56Così Tancredi, e i duci arsi d’Amore
Rollon pur rivocava a’ propri offici,
riordinava gli ordini e terrore
pur riportava a’ vincitor nemici.
Parean propizi i Cieli al suo valore
tra quelle tanto a’ Franchi ore infelici,
fulmine la sua man, vento il suo piede,
mentr’ei combatte e mentr’ei parte e riede.
57Ma ’l reo demon, ch’allor con due fulgenti
fronti leggiadre fea tanti stupori,
duolsi ch’abbia costui spirti possenti
contro quei doppi di beltà splendori,
ahi lasso, e quai d’Amore esche lucenti
ei prese? e quai vi giunse aure et odori?
quale iride vi sparse? e come avolto
de l’amazzone n’ebbe egli il bel volto?
58Contro costei, che bella e ruinosa
il piè poneva omai su gli steccati,
correa Rollon con pianta frettolosa
innanzi a un globo di guerrieri armati,
ma da la marzial guancia amorosa
usciron lampi e sforzi inusitati,
ch’incendio fur, fur le sì vaghe e rie
nove arti d’Asmodeo, stigie magie.
59Rollon tosto entro l’alma un Mongibello
sente, e riman con fronte egra e smarrita,
e piega l’asta, e non più ’l fier drappello
là dov’ei lo spingea sferza et irrita:
brama atterrarsi, et a sua fé rubello
rendersi a lei, come empio amor l’invita,
e dubbio sta; ma per disprezzo morte
col ferro a lui non diè la donna forte.
60Gli altri suoi vaghi ancor per alterezza
con l’arme non offende ella di Marte,
ma ben, se trova intoppo, usberghi spezza,
aspra, e da’ corpi lor l’arme diparte,
né ’l rigor de l’acciaro o di bellezza
usò Nilea men fiera in altra parte.
Gli amanti suoi le s’inchinaro et ella
contro chi non amò sembrò procella.
61Doppia vittoria hanno ambe e senza fine
or che Rollon vaneggia erran gli amanti),
sol le due fronti eburnee e cristalline
miran questi infelici e versan pianti.
Tutte intanto le schiere saracine
son sopra il vallo orrende e ridondanti,
qual s’imperversa il mar di qua d’Islanda
e diluvia sopra Anglia e sopra Irlanda.
62Sossopra uomini et arme, e sopra i regi
franchi vessilli eroi franchi abbattuti;
più non risplendon sugli acciari i fregi
che sfavillar in or già fur veduti;
e calpesta Babel di Cristo i pregi,
ah, ne’ guerrier di lui da lei temuti,
temuti in mar, temuti in terra, e molto
orror segue le morti in vario volto.
63Vedi le spade divorar le vite,
le spade de’ pagani orride e terse,
e tra le mortualissime ferite
entro la carne infino a l’elsa immerse;
ecco smagliate in tutto, e frante e trite
l’armi d’Europa, or del suo sangue asperse,
man mozze e mozze braccia e petti incisi
e tronchi busti e di sformati visi.
64Ed anco a’ Saracin forze comparti
tu, ministro maggior del tetro mondo,
tu tu, Satan, e tu i timori hai sparti
sul vallo, e voli entro un orror profondo.
Né Tancredi a tant’uopo usar può l’arti
ch’in Siria apprese già da Boemondo,
dal suo gran zio, che d’Antiochia i uri
guardò contro Asia tutta e fe’ sicuri.
65Lasso, che può se de’ suoi stuoli invitti
fanno tai duo demon sì reo governo?
Pur ei trapassa i termini prescritti
al valor, che travaglia e fassi eterno,
riordina ognor gli ordini sconfitti
et ognor manda al Ciel l’affetto interno,
e sgrida i duci e te, Rollon, con essi
che novo amante or in virtù sì cessi.
66Sceso allora sopra celeste aiuto
a schermo suo sopra il suo vallo oppresso,
ma pur da gli occhi suoi non è veduto,
quel soccorso divin che gli è da presso,
però pur travaglia anco e par pennuto
suo piede infaticabile, indefesso,
a Gazerse, a Grifalto, a’ duo soldani
s’oppone, e mille e più par ch’abbia mani.
67Ruppe l’elmo a Tormonte, e duolo e piaga
lasciolli in testa, e vacillare il feo,
et a l’una et a l’altra invitta vaga
frenar l’audacia indomita poteo.
Taccio di quanto sangue il vallo allaga,
di sangue tra sublime e tra plebeo,
e quante altere teste egli recide
e quante non vili alme ei ne divide.
68Alfin, lasse le piante e lassi i lati,
e lassi gli spirti in lui, lassa la lena,
aridi i labri, e ’l cor gli aneli fiati
per refrigerio suo traeva a pena,
e gli umidi più interni distillati
gìano in sudore, e secca era ogni vena,
e in van pugnava omai; ma vide alloraLa Vergine compare a Tancredi in visione durante la pugna, gli mostra gli Angeli e i martiri che combattono sul campo al loro fianco (68,7-75,4)
ei l’alta ebrea, sopraceleste aurora.
69Di candori ammirabili vestita,
premea co’ santi piè nube lucente
questa, più ch’altra appo il Fattor gradita,
questa ch’è poco men ch’onnipotente,
e parlava non vista e non udita,
fuor che dal sommo eroe, fra tanta gente:
«Su su, «dicea «o fedel mio, rinfranca
gli stanchissimi spirti a l’alma franca.
70Non tu, non tu, né sol tanto potresti,
io difendo il tuo vallo, o buon Tancredi.
Qui meco immensa pare ho de’ celesti,
ma con occhio terren tu lei non vedi:
pur tergerò il tuo sguardo, e vedrai questi
spirti a te scesi da l’empiree sedi».
Così parlolli, e purgò del mortale
le sue ciglia terrene e ’l senso frale.
71Qual uom se cieco nacque e poi la luce
per miracol gentil data gli sia,
meraviglie ha del mondo e de la luce
chiara del dì, da lui non visto in pria,
tal i purgati sguardi il sommo duce
ne’ divi oggetti omai stupido invia.
Lor sembianze invisibil egli mira
e carchi di stupor gli occhi v’aggira.
72Angeli eletti et anime beate
di se stesse facean tre miste schiere,
varie di piuma e variamente ornate
e variamente fulgide e guerriere.
Ei vedeale tre volte triplicate
sotto tre volte triplici bandiere,
ma «Guarda, guarda or ch’a te tanto lice,
guarda tu ancor «Maria ripiglia e dice.
73«Guarda come Michel Satan minaccia,
e come Gabriel preme Asmodeo,
mentre da gli steccati isgombra e scaccia
l’esercito celeste il popol reo.
Guarda aver qui trasumanata faccia
i tuoi guerrier già spenti in su l’Egeo,
e quanti altrove ne perdesti e quanti
cadder per Cristo in Colco eroi prestanti».
74Ella tace, e colui mira e s’atterra,
né parla, ma le scopre in fronte il core,
suo cor che di lei scritto il nome serra,
suo cor purgato da terreno amore.
Alfin tutti i pagan discesi in terra
vede per tale empireo alto valore,
quantunque pur del vallo in su i confini
ei riveggia accamparsi i Saracini.
75Ma face ad esso attonito e devoto
poi l’umana caligine ritorno,
né vide ei più, qual pria, ne l’aer vòto
gli abitator de l’immortal soggiorno.
Tai cose in Colco allor, ma nel remotoGiovanni libera Roberta (75,5-89,4)
nubilo clima, ov’è sì freddo il giorno,
lungo la Scizia il tirio re la diva
scorta, meravigliando, ancor seguiva.
76Scorto l’avea già quel divin messaggio
infin a l’alpi del più algente Tauro,
là dove il dì nel suo corto viaggio
aventa estremo gel dal gran Centauro,
ove non arde l’apollineo raggio,
benché a tergo gli sian Gemini e Tauro,
ove piegarsi nulla o poco è visto
il polo, intorno a cui gira Calisto.
77Con celeste sermon pascea tra via
il divin messo il cavalier regale,
e benché in sua forma ei pur scopria
un non so che d’eccelso e d’immortale,
tal che spirto del Ciel parea che sia,
quantunque ei la beltà celasse e l’ale,
e ’l buon re di Sidone in ammirarlo
stanco era, ma non sazio, e ’n contemplarlo.
78Alfin costui gli disse: «Or dopo tanto
verso Boote, o re, freddo camino,
Idro non già ma quel tartareo incanto
che finge il volto d’Idro hai da vicino.
Stringi tua spada, in cui parte è del santo
chiodo che già trafisse il piè divino,
stringila, ché non può, se non per essa,
cotanta illusion restar qui oppressa.
79Corri in tal simolacro, e per pietade
in lui sia ferità per te dimostra.
Al suo cader lo stigio incanto cade,
che qui a Roberta il falso oggetto mostra,
e che la trasse per sì lunghe strade
tanto di qua da la caucasia chiostra.
Corri, impugna, ferisci, a scherno prendi
se sue false parole e ’l sen gli fendi.
80Trafiggilo, et intanto a quel che vede
l’occhio non dar credenza, o generoso.
Ma nol vedi colà? Mira, che ’l piede
sferza a fuggir, quasi d’amor sdegnoso.
Mira Roberta dietro, odi che chiede
mercé, seguendo in atto egro, angoscioso,
ahi misera, e correndo erbe divelle
per l’aspra fame e chiama empie le stelle».
81Così il celeste, e ’l cavalier vedea
l’altissima guerriera d’occidente,
et Idro vero anco la falsa e rea
larva sembrava a le sue luci intente,
talché deluso ei rimaner potea
e potea l’occhio in lui più che la mente,
e quel che ’n volto uman gli è fida scorta
empireo nume, anco ad andar l’esorta.
82«Va’, va’ «ripiglia, e verso la schernita
donna nel punto stesso i passi giunge,
ma corre quei dove costui l’incita,
e sotto l’elsa aurata il brando stringe.
Si ferma l’eroe finto, e fronte ardita
e magnanimità nel volto finge;
impugna anco egli, e poi s’arresta altero
per dar più al suo mentir faccia di vero,
83e grida: «O tu, cui riverir degg’io
perché mi traggi ad atto ahi quanto indegno,
a por tuo grado e tua virtù in oblio,
o tu che di saper varchi ogni segno?».
Non più il demon, e quasi invitto e pio
fingea frenar suo generoso sdegno,
ma ’l buon Giovanni il percotea feroce
pien d’alta fede e disciogliea tal voce:
84«Non Idro tu: tal di lascivia adorno
Idro su ’l capo illascivir fa i crini?
e tal gli attorce a la sua orecchia intorno?
o pur tal fregia i diti alabastrini?
Mal fingi in lume infermo in chiaro giorno;
sì in suo volto al candor mesci i rubini?
così simuli l’armi e ’l suo valore,
et in suo volo il marzial splendore?».
85Non più il buon re, ma l’empio il freno a l’ira
romper fingendo alfin rota la spada,
e mentre in finto volto arde e s’adira
fa che qual fulmin vero il colpo cada.
Si finge atroce e duro, e non respira,
e cerca nel ferir diversa strada,
mesce schermi et offese, offese e schermi
pur l’altro, et ambo irrequieti e fermi.
86Rimbomba il piano e ’l monte, e giunto in questa
l’Angelo a la delusa alta donzella
dal vano e lungo suo corso l’arresta,
e ’l fuggito decor richiama in ella,
e contro l’error suo nel cor le desta
nobil disdegno, e poi così favella:
«Tal tu vergine eccelsa? e tali fregi
tu giungi de’ grand’avi a’ vanti egregi?
87Non è, non è costui quel sì gentile
eroe che t’hai per sante nozze eletto,
anzi una larva è questi indegna e vile
che d’esso a te schernir finge l’aspetto.
Deh mira, mira omai s’egli è simile
o magnanima donna, al tuo diletto»,
né più disse, e Roberta ivi converse
gli occhi, e terrori e meraviglie scerse.
88In quel punto la spada il re fenice
al finto cavalier chiuse entro il seno,
la spada incontro cui nulla a te lice,
o Pluto, et onde il tuo poter vien meno.
più negro di negrissima cornice
fessi allor di quel volto il bel sereno
(strano a vederlo), e di sua voce il suono
strepito et urlo fu, ruggito e tuono.
89Poi circondollo fiamma opaca e nera
e ’n fumo e ’n turbo e ’n lezzo ei si disciolse.
Corse Giovanni a la regal guerriera,
ma troppo vergognosa ella l’accolse,
e l’angelica scorta che seco eraLibera Idro grazie alla spada sacra (89,5-110)
di novo in vèr di lei la voce sciolse:
parlò del non finto Idro, e disse come
e quai stellanti sfere a lui son some.
90Ambo ei poi mena ove il sì gran guerriero
era di finto ciel non finto Atlante,
e già scopriasi omai quello non vero
emolo del verace orbe stellante,
né più apparea l’eterno alto emisfero
ma sol quel cielo qui gli occhi ingannante;
vèr l’eroe che ’l reggeva allor guardava
l’innamorata vergine e tremava.
91Ah guardando essa in lui che ’l cor gli ha tolto
vedeal sotto celeste immensa mole,
e vedea ch’ei vincea col suo bel volto
del ciel ch’egli reggea l’aurora e ’l sole.
In suoi labri l’anelito raccolto
parea tra fior vermigli aura che vole,
inclitamente stanco, e molli i crini
e le gote a’ sudor suoi cristallini.
92Pianse la casta amante, e tra sé disse:
– Troppo ad omeri umani immenso pondo
favoleggiò chi del re mauro scrisse,
ma costui regge, ancor che finto, il mondo.
Oh quanto vaste qui le stelle fisse,
oh quanto senza fin qui ’l ciel rotondo!
Deh questo ciel su la mia spalla alquanto
fosse, e ’l diletto mio posasse intanto! -.
93Così la donna, e poi volgea furtivo
lo sguardo ad involar gioia e tormento,
e stagnava ne gli occhi un largo rivo,
con bianchissimo lin sua man d’argento,
ma ’l vago suo, d’umane cose schivo,
misero, e nel suo error pago e contento
stavasi, e vagheggiava i cerchi e ’l corso
del non verace ciel ch’avea su ’l dorso.
94Ma ’l Serafin, che ’l suo splendor sì puro
sotto rozza sembianza occulto tiene,
voltossi al tirio re, tosto che furo
là dove il finto mondo Idro sostiene,
e disse: «Or petto intrepido e sicuro,
or aver ferrea l’alma a te conviene,
or triplice diaspro intorno al core,
triplice bronzo, adamantin rigore.
95Oh quanti mostri (e tu sai fa’ che non cada
da tue orecchie a tant’uopo or la mia voce),
oh quanti orrori, ove tu invitta vada,
oh quanta guerra insolita et atroce,
sol perché tu non formi con tua spada
tre volte in aria l’invincibil croce,
che se tai croci il brando tuo non face
non verrà meno un sì gran ciel mendace.
96Pur contra insolitissimi portenti
ben fora ogni tuo sforzo infermo e manco,
se tal tua spada e grazie onnipotenti
pronte a difesa tua non fosser anco.
Resti meco Roberta, e i suoi sì ardenti
spirti raffreni e l’ardir suo sì franco,
e tu alquanto da noi vanne lontano
e per sì altero effetto arma la mano».
97Tacque, e quei si strinse il ferro, et in disparte
andò non molto, et ecco, oh meraviglia,
quel cielo aprirsi, et indi uscir gran parte
di sua varia stellante aurea famiglia.
Giove, Saturno, Alcide, Apollo e Marte
e di Latona la triforme figlia,
e Perseo e la Gorgone, e le nemea
belva, e la pululante Idra lernea,
98esercito tremendo, e oh quanto corno
quinci il Tauro scotea, quindi il Montone,
e quinci il freddo e basso Capricorno,
e grande arco tra lor tendea Chirone;
fremevan l’Orse, e quel ch’ad ambe intorno
scorre, qual fiume, aquilonar dragone,
e qualunque altro orror là suso finse
Grecia, ch’a voglia sua gli astri distinse.
99E non pianeti né celesti segni
sono, né sono imagini stellate
questi, ma spirti de gli stigi regni
in apparenze vane e simulate,
per far che le tre croci ivi non segni
la spada c’have in sé tempre sacrate,
e fingon difensar quelle non vere
de’ veraci emisferi emule sfere.
100Al così strano del guerrier periglio
Roberta trasse il brando e correr volse,
ma l’Angel la ritenne, e torvo il ciglio
del corpo ch’egli apprese in lei rivolse,
e dannando l’audace suo consiglio
questo sermon fuor da le labra sciolse:
«Ove andar pensi, o vergine, cui nulla
sgomenta, e cui virtù tanto trastulla?
101So che son l’opre tue ferza al tuo ardire,
so che pietate al tuo valore è sprone,
ma denno le pietose e nobil ire
a l’imperio ubidir de la ragione,
benché talora per gentil desire
generoso pensier le punga e sprone.
Non udisti i miei detti? oh perché mesi
così tosto in oblio per te son essi?».
102A queste voci ella arrossia le gote
e s’arrestava, e intanto oh quale assalto
dava al baron con larghe e strette rote
l’orrido stuol che ’n lui sceso è da l’alto!
Già con varie in un punto arme il percote
su quel ch’ei veste adamantino smalto,
già la Gorgon s’appressa et egli in sasso
non si trasforma, e move in rete il passo.
103Gira lieve più c’aura e non paventa,
e ’l tanto orror non cura e ’n gioco il prende,
e segnar l’aria in croce ivi sol tenta
col ferro, ond’a tal rischio ei si difende;
ma l’oste orrenda al gran divieto intenta,
in mille guise ciò vieta e contende:
tona e fulmina e scoppia e rugge insieme,
sibila e fischia e mugge e latra e freme.
104E ’l fenice in più moti il piè e la destra
gira, ch’arte di scherma non n’insegna;
e si schermisce, ancorch’a manca, a destra,
a tergo, a fronte ei tai nemici tegna;
ma par che tra l’industria sua maestra
d’alta grazia del Ciel vallato vegna,
e da la diva spada escon baleni
informati di nume e d’orror pieni.
105A questo lampeggiar così arrestarsi
lo stranissimo esercito vedresti,
come dal lito rintuzzati e sparsi
fuggono i flutti, ch’a venir son presti,
o quali già son visti allontanarsi
da’ bei laureti i fulmini celesti;
ma pur le larve combattean fugaci,
quasi in lor fughe i Parti aspri e pugnaci.
106L’empie vietavan ch’ei non segni e forme
la croce in aria col girar del brando,
e pur ad onta di sì strane torme
due volte lineolla aspro ei pugnando.
Oh quanti ululi dier le finte forme
due volte lei segnata esse mirando!
E i tanti ululi udendo, oh quanto aiuto
recaro a quei demoni Ecate e Pluto!
107S’aprì la terra infra ruine involta,
muggì tra i rotti abissi il gran Cocito,
né mai paura intorno al cor fu avolta
al cavalier, nulla per ciò smarrito,
anzi egli allor formò la terza volta
il segno in ciel e ’n terra riverito,
e vaniro in quel punto in sé mancanti
le simulate imagini stellanti.
108Stige anco allor si chiuse, e ’n questa e ’n quella
parte anco il finto mondo allor disparve,
e la vera diurna unica stella
e la vera del ciel machina apparve.
Disfatta la magia grande e sì fella
Idro sorse, e ben desso esser gli parve,
e co’ pensier d’illusion già sgombri
gli occhi girò di meraviglia ingombri.
109Quale quell’uom che sussistenti crede
cose che ’l morbo a lui figura e finge,
cose già immaginarie e ch’ei sol vede
mentre la fantasia gliele dipinge,
stupido poi, s’ei sana et in sé riede,
gli occhi e la mente intorno al ver sospinge,
tale il guerrier tolto a gli incanti or gira
gli sguardi, e pensa e ’n ogni parte ammira.
110«Onde io vengo? ov’io son? «poi grida, e stende
le mani in vèr Giovanni e ’n vèr Roberta.
Ritocca ella la man che ’l cor le fende
sempre in mezzo a la piaga aspra et aperta,
e da’ begli occhi co’ begli occhi pende,
pudica sì, ma di speranze incerta,
e dentro le palpèbre in van ritiene
del pianto pio le traboccanti vene.
L’Angelo racconta cos’è successo al campo e dà a Giovanni un anello magico (111-124)
111Ad Idro intanto il buon re di Sidone
in favellar brevissimo e distinto
tutte de’ duo demon l’insidie espone
e ’l fa restar d’altri stupor dipinto;
poi soggiunge: «O fortissimo garzone,
mira quest’uom che s’aspra zona è cinto,
e che con nudo piè l’arene imprime,
ma cosa non mortal nel viso esprime.
112Tu verso lui, tu riverente in atto:
per lui disparve il tuo mentito volto,
per lui il mentito cielo anco è disfatto,
e per lui resti tu franco e disciolto».
Tace, e l’invitto eroe stupido e ratto
al finto solitario s’è rivolto,
e gli s’inchina, e quei severa e dolce
usa parola, e l’egro cor ne molce.
113Dice: «O tu, senza cui tolti i gravosi
ceppi al grand’uom non sian nel colco regno,
splendidamente errasti: io generosi
falli a dannar in gentil cor non vegno,
questi vergogna non terrà nascosi
né pentimento aver tu deine o sdegno,
pur con valor verace emenda i tuoi
traviati sentieri, o fior d’eroi.
114Va’, vedi e vinci, ma su tutto a mente
tien quel ch’io dico, indi ad effetto il poni,
che se ciò non farai Dio non consente
che ’l sovran prigionier mai si sprigioni,
già con empia magia mago possente
difende, ohimè, d’Inferno le ragioni».
Così parlò il celeste, e ’l dir seguendo
di Letaspe narrò l’incanto orrendo.
115Et indi ripigliò: «Ma tu primiero
giungerai del reo tempio a l’auree porte,
et ivi sculto al successor di Piero
uopo è che tu t’atterri invitto e forte.
Con larve orrende assaliratti il fiero
mago, e tu sprezzar dèi terrori e morte,
bacia i piè santi, e sol così sciorrai
l’incanto, e pii stupori anco vedrai».
116Non più al sommo guerriero, e sol poi guata
verso il fenice, e fuor si trae dal seno
gemma sul Paradiso effigiata,
e che sparsa è di lampi e di sereno.
La Vergine sovrana evvi intagliata
che diede al Creator corpo terreno,
have gonna di sole, have stellante
corona, e Cinzia tien sotto le piante.
117Contende l’arte e la materia, e vinta
è da l’imago la materia e l’arte,
ché piena ella è di nume, ancorché finta,
e pregi il suo gran Figlio a lei comparte.
Minuti Serafin anco l’han cinta
tutti con sei di foco ali cosparte.
Al re la porge quel celeste, e sona
più ch’uomo, e come suole ei pur ragiona.
118Diceali: «O buon sidonio, e tu segnando
con imagin sì santa e sì sovrana
i petti a’ folli amanti, andranne in bando
di barbarico amor la fiamma insana.
Ma non sapete voi che pergiurando
troppo nocque ai cristian la fé pagana:
ahi, la fé rotta anzi empio Amore ha spinti
a dar le spalle eroi già mai non vinti.
119Ne gli steccati è poi qual guerra? e ’n questo
punto qual cimitero il vallo fassi?
Monimento più ch’altro a voi molesto,
ch’a’ Franchi, a’ Turchi ivi sepolcro dassi?
Figli quel loco a’ barbari funesto
e funesto a’ cristiani additerassi,
e l’empia strage e i miserandi scempi
noti fian troppo ne’ futuri tempi.
120Ma voi tornate, e guiderovvi anch’io,
che me per guida anco il ritorno chiede».
Tacque, e nel volto un novo lampo aprio,
e mosse su ’l terren l’ispido piede.
S’attergan essi a lui messo di Dio,
ma divo uomo e mortal ciascun se ’l crede.
Più volte l’ombra poi, più volte il giorno
fea de le sfere antartiche ritorno.
121E difendea quell’immortale intanto
da sventure quei tre diverse e rie:
ora a Sirene di possente canto
li sottraea, che stigie eran magie,
or di Medea contro il sì vario incanto
schermiva lor su ’l fin de le lor vie,
e pria sotto Boote i ghiacci eterni
de’ polari temprava orridi verni.
122Del giovane pelleo sì glorioso
passato avean l’alte colonne alfine,
assai di qua dal Caucaso nevoso,
né più sentian le scitiche ruine;
erano in Colco, e lungo il generoso
vallo scopri ansi l’armi saracine,
ma l’angelica scorta accomiatarsi
già da’ tre vedi, e quasi in aria alzarsi.
123Ciascun de’ tre s’atterra e, come deve,
a tanta guida le ginocchia abbraccia,
ma qual se colui fosse un’ombra lieve
tra l’abbracciar vaneggiano le braccia,
né trovando essi in lui cosa di greve
restan tremanti e sbigottiti in faccia,
e palpano anco il corpo incerto e vano,
e sembra non aver tatto la mano.
124Ma sciolte in odorifere e gioconde
aure le rozze membra, onde si cinse,
l’Angel resta invisibile e nasconde
se stesso con disfar quel che ’n sé finse;
e momentaneo poi su le rotone
superne regioni ei si sospinse,
là ’ve cetra incorporea et immortale
tratta, e spiega di gloria e lampi et ale.
I tre fanno ritorno al campo, grazie all’anello Giovanni libera i compagni dalla passione amorosa (125-148)
125Giovanni disse allor: «Ben alto e vero
on ne si svela ei cavalier celeste,
troppo dobbiamo al re d’eterno impero.
ma nostr’ire e nostr’arme omai sian preste.
Facciamci con le spade aspro sentiero,
o coppia insuperabile», et in queste
parole ei con quei duo quasi con piante
alate andò contro falangi tante.
126Drappello picciolissimo, ma quale
grande esercito a lui puote agguagliarse?
Tra selve annose egli il fulmineo strale
parve, et armati stuoli a terra sparse,
parve a diluvio et a tremoto equale,
e dentro arida messe a fiamme sparse,
e l’assalir le squadre e ’l disserrarle
fu un solo atto, un sol moto, e ’l trapassarle.
127Mira Nilea da lunge la Gorgone
il cimier del suo vago, e quasi impetra,
e Tigrina a tal vista anco depone
gli spirti, e resta di sensibil pietra.
Le par ch’intorno al capo il ciel le tuone,
le par più chiaro il folgorar de l’etra.
Ma in quell’altr’elmo, ove sfavilla un giglio
impresso in or, volge Ottoman suo ciglio.
128Qual si rinfiamma a l’aura l’infiammato
bosco talor ne la stagione estiva,
tal nel pagan per quel bel lampo aurato
la gran fiamma d’Amor fassi più viva.
L’esercito con l’armi ha penetrato,
e l’alma a lui con gli atti or la sua diva,
misero, e pur sta saldo in quel proposto
suo di tener un sì gran foco ascosto.
129Chi può spiar gli affetti umani? Ei corre
a l’armi, et armi grida, e pur intanto
ciò che grida la lingua il core abborre,
né desiste ei però tanto né quanto,
e con gran voti anco a sua dea soccorre,
e scampo brama a lei, trionfo e vanto.
Ma son de gli steccati ella e ’l più forte
guerriero e ’l re fenice or su le porte.
130Visti Tancredi lor già d’altra parte
scese, et omai su ’l limitar gli attende,
ed inviarsi accenna, e pur non parte,
e tutto il campo ostile a scherno prende.
Ei di celesti rai piastre cosparte
veste, e ’l brando fatale in man gli splende,
tiensi i suoi duci a tergo arsi d’amore;
ma i tre giungono a lui carchi d’onore.
131Idro s’inchina al genitor, e molto
parla ne gli atti e con la lingua tace,
e d’un gentil rossor empie il suo volto
ove sfavilla l’amorosa face,
ove ’l rigore in dolci forme accolto
tra’ lampi di beltà sgomenta e piace.
Quegli l’abbraccia, e scopre del paterno
affetto i moti in ciascun atto esterno.
132Ma Roberta e ’l fenice ei con più rari
modi raccoglie in prima, et egli poi
entra con essi tre dentro i ripari
e seguon tristi i folli amanti eroi.
Racconta il tirio re suoi strani e vari
casi, ma son modesti i detti suoi,
e mostra quella d’immortal maremma
a gloria di Maria scolpita gemma.
133In picciol d’ostro e d’or drappo velata
teneala, e lei scoperse egli repente,
et ella vibrò luce, e la vibrata
luce fin dentro i cor passò fulgente.
Ma quei con le ginocchia ebbe calcata
la terra, e baciò in terra umilemente,
e poi segnò con l’alta gemma i seni
ahi d’amor sì crudele ingombri e pieni.
134O donna de l’Empireo, o tu che ’l pregio
virgineo serbi, e genitrice sei,
e d’eccelsa umiltate a te fai fregio
assisa su i celesti semidei,
mirabil fu tua imago et io ne fregio
anco ne le tue lodi i versi miei,
mirabil fu tua imago allor quand’essa
dal tirio re su i petti altrui fu impressa.
135Ruppersi l’amorose empie catene
che ’n servitù tenean gli spirti e i sensi,
e ritremprossi ’l sangue entro le vene
tra le virtuti in cui la vita attiensi;
i cor si rinfrescàr, cessàr le pene,
cessàr gli affanni e i desideri intensi,
cessò la sete onde velen giocondo
bevean le menti e Lete in fino al fondo.
136Così agli amanti libertà si rese,
et essi tra vergogna e tra stupore
restaro anzi il gran duce, e ciascun chiese
perdono, e mostrò in fronte ira e dolore.
Vestivan tutti illascivito arnese
con folli insegne in vanità d’Amore,
e ’n lor petti pendean le loro stesse
dive amorose in bei ritratti espresse.
137Queste pitture, esche d’Inferno, questi
lavori di pennel, crolli de l’alme,
gittarsi e calpestarsi allor vedresti
da gli eroi tolti a l’amorose salme.
Ad atterrarsi poi tutti fur presti
al sacerdote, o grazie eccelse et alme,
indi rapidamente ripigliaro
l’arme del duro adamantino acciaro.
138Anco de la sua vaga il vago crine
Amberto non aveva unqua deposto
dal dì che, quasi funi adamantine,
intorno al braccio suo l’ebbe composto.
Tenea su quei legami immote e chine
le ciglia, e tutto il cor v’avea riposto,
et or divoto e pio gli sdegna e frange
avanti al sacro altare, e prega e piange.
139Tali costor, ma Cloto non potea
la vita, estinta omai, tòrre a Giberto,
qual morto egli in sua tenda ancor giacea
da vaste piaghe orribilmente aperto,
e pur chiamava in suoi sospir Nilea,
egro e gli occhi da tenebre coverto,
e vivea senza cibo, e ’n su ’l passare
strana forza parea l’alma arrestare.
140Tutto ciò al tirio re narrò Tancredi,
e porta a quel malvivo, indi a lui dice:
«O tu, ch’a nostro pro sì eccelso riedi,
l’imagin che de’ cori è purgatrice;
credo da’ membri suoi torrà congedi
lo spirto, e così allor sarà felice,
e credo ch’a tal fien ivi il ritegna
l’alta diva, che ’n noi guardar non sdegna».
141Tacque, e ’l buon re con molti eroi sen viene
del cavalier malvivo al padiglione,
ahimè, che vista? e dove, ohimè, s’attiene
la costui vita? e qual è il suo sermone?
Ferite immense e disseccate vene,
e pur sensi d’amor la lingua espone,
ridice il nome amato, e tutto essangue
vaneggia in fredde voci e geme e langue.
142Cadavero il diresti che soffolto
sia d’aura, che tra membro ebeta e langue,
anzi un corpo ch’in tutto a’ sensi tolto
senza spirto respiri e spiri essangue;
ma credi ’l foco ond’è suo core avolto
usar vice di spirito e di sangue,
il foco ch’invisibile e sottile
arde i pensieri, e n’è beltà focile.
143Misero, et anco ognor di punto in punto
pensa mancar in lui l’ultimo fiato,
e si duol di beltà da morte giunto,
et in tutto da’ polsi abbandonato,
e per lo stral d’Amore onde fu punto
piange da tante in guerra arme impiagato,
membra suo gran valor, sue grandi imprese
onde alto grido appo sua donna intese.
144Membra i rivali illustri e più s’attrista,
e più folti sospir qui trae dal seno,
e più qui gli s’attenebra la vista,
e qui gli è maggior nota il venir meno,
non che dal richiamar però desista
il caro nome di dolcezze pieno,
e par che ’l suon di quel bel nome avvivi
gli spirti, ch’or dovriano esser non vivi.
145O stolti noi, ma temporal vaghezza
ben non ritarda gli anni un sol momento,
e quando i nostri strani Atropo spezza
ogni mortal fidanza è nebbia e vento.
Deh, se non val ciò che qua giù s’apprezza,
cerchi appagarsi in Ciel nostro talento;
l’eccelsa ebrea non quel sì van diletto
fu del malvivo eroe sì altero affetto.
146Ella a tant’uopo in quasi estinta vita
il tien per tòrlo a sempiterna morte,
ma con la gemma in cui splende scolpita
essa, terror de le tartaree porte,
fu tocco a pena, e tornò a smarrita
sua mente a lui tra sue virtù sì smorte,
et ei sottratto a l’infernal magia,
in vece di Nilea gridò «Maria».
147Tosto a l’orecchia poi sacerdotale
disse i suoi falli in voce umile e bassa,
e col pane de gli Angeli immortale
prese vigor per l’alma inferma e lassa.
Lo spirto in quel punto ambe due l’ale
dispiega, e morti in tutto i sensi lassa,
e vola ove flagello aspro ma pio
ministro a tempo è del rigor di Dio.
148Idro la morte del diletto a caro
duca avea inteso, et avea inteso come
giacea pur bello, e come un divo e raro
diadema di splendor cingea sue chiome;
ma ’l dolor troppo acerbo e troppo amaro
e del martir le gravi e dure some
non permetton che visiti l’inulto
amico, così essangue et insepulto.
Tancredi indice battaglia per il giorno dopo (149-153)
149e però freme e l’una e l’altra luce
del ciglio inchina, e sta tristo e cruccioso,
e divien la beltà che ’n lui riluce
più vaga per quell’atto egro e sdegnoso.
Poi con lui gli altri duci al sommo duce
gridan: «Tranne a battaglia, o generoso.
Arme, arme, o forte, o invitto; e chi ritiene
noi dentro sbarre e ’l tuo gran zio in catene?».
150«No no, «quegli risponde «io non v’arresto
or che più avolti in cieco error no siete,
or che ’l sopito sdegno in voi s’è desto
or che ’n voi la ragion libera avete.
Già questo è ’l giorno, o generosi, questo
che rivegga Babel quanto valete.
Già nel gran vostro error voi non erraste,
su su, sian pronti i brandi e pronte l’aste.
151Oggi abbattete di Maumette il regno,
o voi cui teme l’Asia e Babilone»,
e qui si tacque, et a Rollon fe’ segno,
e l’asta del uso officio alzò Rollone.
Ma privato guerrier duce sì degno
egli andar volle a la campal tenzone,
né tacerò cui la sua vice ei diede,
ma il campo in campo aperto omai si vede.
152Sotto l’insegne d’altra parte accolti
s’aveano i Turchi, e sé schierati anch’essi;
s’eran con ordin pari in sé rivolti
ambo duo i campi, a fronte a fronte messi.
Franchi e pagani al cielo ergono i volti,
ma i Franchi in voto a Cristo offron se stessi,
quei pregan Macon, Dio di Babelle,
ch’è giù in Inferno, e ’l credon du le stelle.
153Ma tu, Musa guerriera, che nel quinto
cielo t’aggiri, e d’adamante t’armi,
e di bellici lauri il capo hai cinto
e trombe hai teco e canti orrori et armi,
deh fa ch’oggi qua giù non resti unito
dal rimbombo de’ ferri il suon de’ carmi,
distingui i fatti eccelsi, indi li porta
ad altre età, tu lor custode e scorta.