ARGOMENTO
Anciso è ’l fier Tormonte, e poscia e pria
fassi campal conflitto e sanguinoso;
poi sotto il colco fiume Idro a Giosia
erge sepolcro alteramente ascoso,
indi su lunga trave a sé fa via
ne’ muri, e vi riman vittorioso.
Vince gli incanti alfin, ma resta avinto
per novi incanti ei di Nilea col cinto.
Si viene a battaglia, Idro cerca Tormonte per far vendetta di Giosia (1-18,6)
1Frenò i cavalli et allungò quel giorno
immobil su ’l merigge il dio di Delo,
e dal diadema di piropi adorno
versò più lume e sfavillar fe’ ’l cielo,
né pur minima nube a l’aria intorno
lasciò, né di vapor picciolo velo,
e mandò il moto e mandò l’ore in bando
breve tenor d’eternità mostrando.
2Così fermo ei guardar da l’alte sfere
in guerra universal volle i duo campi.
Ma tosto, a suon di trombe, arme e bandiere
fur mosse, e fur commisti orrori e lampi.
S’urtaron duci a duci e schiere a schiere,
e muggì ’l mar lungo i terrestri campi,
tremò la terra, e folto il polverio
ambo i pugnanti eserciti coprìo.
3Idro tra’ globi de la densa polve
gira di qual e di là l’invitta fronte,
e va scorrendo ove l’orror s’involve
più ne la mischia, e sol cerca ei Tormonte.
Crede vederlo ovunque egli si volve,
verso il mar, verso i muri e verso il fonte,
e mai no ’l mira, e l’asta intanto bada
in sua mano e nel fodro aureo la spada.
4Sparger di sangue ostil picciola stilla
non vuol se pria su l’alma audace e fella
la vendetta non fa ch’al cor gli instilla
tant’ira, e a cui tant’obligo l’appella.
Or mentre in lui lo sdegno arde e sfavilla,
Tormonte ei chiama in questa parte e ’n quella,
Tormonte ei grida, e fiero il bello aspetto
reca terrore a’ barbari e diletto.
5Roberta il segue, ahi misera, e pugnando
merca trionfi e scorre egra e dogliosa,
né guarda dove gira o spinge il brando
quanto è per lei la piaggia sanguinosa,
ma di lui le bellezze depredando
va con gli occhi, e con gli occhi unqua non posa,
sol da lui parte, a lui sol torna, e ’n lui
senza requie riman co’ guardi sui.
6Pur egli oltre spronando a lei s’invola,
ma questa a sé venir vede Tigrina,
sopra un cavallo barbaro sen vola
la marzial donzella saracina,
e de’ cristian fa strage e par che sola
basti per tutti ovunque s’avvicina,
né mai cessa in mandar lo sguardo innante
per trovar la beltate ond’ella è amante.
7Ben non sa che Roberta è sua rivale
e mortal duolo alfin n’avrà nel petto,
ma per cagion di gloria or qui l’assale
mentre ambe van cercando un solo obietto,
e già mostran franchezza et arte equale
entrambe sì, ma l’amoroso affetto
sprone intanto non men fassi a Nilea,
pur per trovar chi lor consuma e bea.
8Amor via più che Marte è sprone e duce
a queste tre sì belle e sì guerriere,
ma certo più ch’Amor Marte conduce
quivi, o chiaro Ottoman, tue piante altere,
e però tu d’onor spargi più luce,
quantunque amante, infra l’armate schiere;
tu nel sembiante l’amorose brame
troppo nascondi e l’amorosa fame.
9Allentava Nilea fulgida briglia
ad un corsier ch’è tutto atro et oscuro,
e che tra’ fregi d’or notte somiglia
notte stellata in seren vago e puro.
Reso la spada avea calda e vermiglia
e rompea molto intoppo invitto e duro,
e in ogni lampo d’armi il vivo lume
figurava ella a sé del suo bel nume.
10Tra’ molti ch’impediano il suo sentiero
fu del Sebeto il sì sovran barone,
quel che troncò il gran capo immane e fiero
di notte tempo al re de l’Aquilone,
e poi di questa vaga prigioniero
fu volontario, e fu di lei campione;
ora, sciolto d’Amor, in lei sen corre,
ma per schifar suoi sguardi a morte incorre.
11Sprona, e s’oppone a lei ch’apre e disserra
i Franchi, e pur non guarda ei nel bel volto,
teme non rieda a’ lacci et a al guerra
d’amore, onde immortal grazia l’ha tolto.
Sdegna ella che costui la via le serra,
membra che ’l tenne entro duo nodi avolto,
rigida freme e turba i cigli e ’l guata
e di beltà sdegnosa i rai dilata.
12Poi spinse il ferro, e disse: «Aspre durezze
di gielo hai teco, e ’n te fingevi ardore»,
et a lui pronto a schifar di bellezze
l’assalto ahi con l’acciar trafisse il core,
il cor cui piacque, e cui recò vaghezze
costei lunga stagion col suo splendore,
il cor che ’n altro tempo agognò tanto
il colpo ch’or l’usbergo e ’l petto ha franto.
13Cadde il trafitto eroe, ma pria che cada,
ben non guardando in essa, in lei ferio,
già tra più colpi a vòto uno la strada
fe’ tra bianchezze e rivi d’ostro aprio,
però che qual balen girò la spada,
ratta et obliqua, e quasi bipartio
la candida sinestra che gemmate
le redini reggea e d’or vergate.
14Così piagata la virginea mano
ch’era sopra alabastri biancheggiante,
versa il bel sangue dal candor sovrano,
e par ch’esca il rubin fuor del diamante.
Ma vi stilla Asmodeo licore estrano
invisibilmente in uno istante,
e scaldando in un punto ivi la piaga
vi lascia la beltà bianca e più vaga.
15Nilea stupisce, et oltre indi s’invia,
e sane e senza duol piega le dita,
le bianchissime dita cui partìa
dal sommo a l’imo la sì gran ferita,
e stima che dal ciel discesa sia
invisibile a lei sì rara aita,
e scorre tra la strage e tra le morti
ove tu, Amore, e tu Valor la porti.
16La mischia è tal qual per contrari venti
là dove alza Appenin selva più antica
tra i frassini caduti e tra i cadenti
il turbo si rinvolve e ’l bosco intrica,
o qual versando a’ liti onde frementi
tra lubrici volumi Adria s’implica
quando Orion si chiude in nembo oscuro
et Elena tra nubi erra et Arturo.
17Innanzi a gli elefanti a piè trascorre
Tormonte, orrendo a piè come in arcione:
su gli elefanti fulmina ogni torre,
ma fulmina e torreggia egli pedone,
e par contra più schiere in cui sen corre
contra tigri rifee mauro leone.
Rotò la mazza, rotò il brando, e quella
fulmine fe’ parer, questo procella.
18Gli antiocheni il sovran re pagano
scontra, mentre Ottoman scontra i Celici,
e l’uno e l’altro empie di morte il piano
che troppo eccede in numero i nemici,
e già belliche frodi il reo Dasmano
a gli Armeni tendea et a’ Fenici.
Ma ratto tra l’ordir di questi aguatiTancredi uccide Dasmano (18,7-23)
vèr Tancredi il traean gli empirei fati.
19Tancredi, ch’oggi duce esser non volse,
il campo tutto al tirio re commise,
ma guerrier scelti in compagnia si tolse
e più stuoli a Babel ruppe e conquise.
Or mentre con quei forti egli s’avolse
tal nemico anzi gli occhi il ciel gli mise,
et egli a’ suoi gridò: «Ciascun s’arresti,
solo a la spada mia dovuto è questi».
20A tanta voce attonito et algente
Dasmano oltre non va né ’l piè ritira,
quale è quell’uom che trema ove repente
vegga il dragon che fischia e tosco spira,
pur finge audacia, e ’ lui, ch’aspro e fremente
il fulmina col brando, il brando gira;
ma quei gli è sopra orribilmente e tona
colpendo, e l’aria avampa e ’l ciel risuona.
21Sforza gli intoppi de la spada aversa
e rende mille scherni irriti e vani,
e sua man, ch’a ferir sempre è conversa
per la velocità sembra più mani;
spezza gli arnesi ostili e n’ha cospersa
la terra, e i membri omai non lascia sani,
e sol cerca impiagar dove più attiensi
la vita, donde han vita e senso i sensi.
22Alfin ei dentro il petto il brando affisse
a l’orditor de’ marziali inganni,
e presse il sen con l’elsa, e «Paga or «disse
«le pene al mio gran zio dopo tant’anni».
Traboccò il corpo, e l’alma se ne scisse
e ’n Inferno fuggì con negri vanni.
Ma i suoi guerrier, che già ’l seguian raccolti,
fur tosto ch’egli cadde in fuga volti.
23Come in cavo metal corrono unite
l’acque ch’a gli orti ingegno uman comparte,
ma se rompi il condotto dissunite
tosto sen vanno e riversate e sparte,
così disgiunte e d’ordinanza uscite
le squadre di Dasman girne in disparte
vedi al cader di lui, che pria che cada
salde le conducea per varia strada.
Idro trova Tormonte e viene a duello (24-36)
24Irlando, Arnaldo et altri eroi sottratti,
mercé del Cielo, a l’amorose some,
già con eccelsi e gloriosi fatti
togliean la nebbia ch’adombrò il lor nome,
e membrando il lor fallo oh come ratti,
oh come fieri et in più guise, oh come
lascian materia eccelsa a chiare Muse,
or che son d’Asmodeo l’arti deluse!
25Né son contra costor men fieri e presti
altri barbari duci, altri drappelli.
Or mischiansi in battaglia e quegli e questi,
or s’arretran con arte e questi e quelli,
or fan ritorno, e ’l sangue anco vedresti,
se ’l polverio non fosse, in gran ruscelli
vedresti, e scudi a scudi e brandi a brandi
urtar, e piedi a piè Turchi e Normandi.
26Ma ’l terren sotto l’armi in ogni loco
tutto è di sangue omai luto temprato,
né polve or sorge più molto né poco
dal suolo or fieramente imporporato,
sì ch’ella si dilegua a poco a poco,
ella ch’a gli occhi il ciel tenea velato,
già l’aria si disserra e già commisto
l’un campo e l’altro in fiera pugna è visto.
27E tra’ duci e i guerrier sovrano appare
col sommo impero il buon re di Sidone,
questi, ch’ubidir seppe, or comandare
sa di Rollon gli offici anco a Rollone,
e sa Rollon, ch’a lui seppe imperare,
anco eseguir quanto or da lui s’impone.
In virtù militari sommi ambidui
sian nel mestiero propio o ne l’altrui.
28Idro vide Tormonte in quel momento
e Tormonte vide Idro anco in quel punto,
e l’un ne l’altro a correr non fu lento
da vari affetti stimulato e punto.
Quei per obligo avea costui tra cento
squadre cerco, né mai l’avea raggiunto,
questi cercava quel per disfidarlo
a privat’arme, e ’n paragon provarlo.
29Ma d’ogni intorno allor penne veloci
spiegò la fama e variò favelle,
et a più nazion con varie voci
del fatto che seguia portò novelle.
Sospesi fur mille contrasti atroci
da le schiere di Cristo e di Babelle
sol per mirar tra’ duo sì invitti in terra
un sol contrasto, una privata guerra.
30L’una e l’altr’oste a guisa di grand’ale
si torce, e poscia in cerchio si ristringe,
in cerchio spazioso e con equale
circonferenza i duo campion ne cinge,
e mira e tace, e d’altro a lei non cale
né pur Apollo i suoi destrier sospinge.
Ma di strage diversa ivi era pieno
il chiuso da le squadre ampio terreno.
31Idro a tal vista arde d’un novo sdegno
e frena il corso, et in Tormonte grida:
«Quanto scempio de’ miei mentre io ritegno
me dal ferir perch’io te prima uccida!
Tu d’amicizia il mio sì caro pegno,
tu mi togliesti, iniquo empio omicida,
et io volea con l’asta aprirti il core
pria ch’altro io fessi, e temprar mio dolore».
32«La lancia e ’l corridor «l’indo risponde,
«c’hai di vantaggio insuperbir ti face,
né ti stimo io però; ma riedi donde,
tu fuggitivo, a comparir sì audace?».
Idro il sermon di lui tronca e confonde,
e grida: «Io mai vantaggio? io mai fugace?»,
e tra sì coraggiosa alta parola
gitta giù l’asta e da l’arcion giù vola.
33La spada indi con man rapida e fiera
stringe, e con l’altra imbraccia egli lo scudo,
fa lo stesso il pagan, tanto in maniera
diversa quanto in modo atroce e crudo.
Ma tosto la montagna e la riviera
rimbomba al suon del doppio brando ignudo,
ch’ambo i duo brandi orribili e fischianti
più che martelli etnei cadon pesanti.
34Stimoli d’ira in Idro e di pietade,
più che sdegno in Tormonte e reo furore,
e quei somiglia in sua viril beltade
l’Angelo che del Ciel fu difensore,
questi sembra Lucifero, che strade
calcò d’ardito e temerario errore,
quando s’armò d’adamantino smalto
e diede al forte d’Aquilon l’assalto.
35Mille offese veder, ripari mille
fanno costor, maestri di battaglia,
mentre un diffuso volo di faville
in fin al ciel par che s’aggiri e saglia,
o che le piastre omai sembrino squille,
o che sia franta adamantina maglia,
e che s’urtin le spade, o e che tra l’urto
le spade entrin per forza, entrin di furto.
36I colpi or lunghi or corti, or curvi or retti,
e l’arte tra ’l furor pur li misura,
e piega i fianchi e mostra i seni eretti
pur la medesma marzial misura,
e sempre fronti a fronti e petti a petti
opposti, e l’arme opposte a l’armatura.
Serransi entrambi, e la man d’ambo e ’l piede
passar, tornar tra quel serrar si vede.
Satan fa tracimare il Fasi che investe Idro, salvato dalla Vergine (37-53)
37Ma ’l reo Satan, il qual tutta in ciò scerne
la somma avventurarsi de le cose,
il suo poter v’impiega e tenta averne
vittorie cere ancorché ingloriose.
Or mi dittate voi, Muse superne,
l’arti de l’empio, e intanto armoniose
voi l’angeliche danze in Ciel veggendo
co’ piè l’empireo Olimpo ite battendo.
38Andò il demon su ’l piano onde sen corre
il Fasi al mar con favolosi umori,
officio iniquo ei volse al fiume imporre,
e da’ labri mandò tal voce fuori:
«Acque, acque udite: il vostro dritto io tòrre
vuo’ per poca ora ad Amfitrite, a Dori,
vuo’ impiegarvi a degna opra; acque ubidite,
acque al voler de l’ineffabil Dite.
39Alto messo io d’Inferno, i fiumi tutti
soggiaceno a’ tartarei Serafini.
Stan sotto il nostro impero i vasti flutti,
padri de’ fiumi, i flutti ampi marini,
et a noi servon gli umidi e gli asciutti
vapor lungo gli aerei alti confini:
dunque a Pluto ubidendo or da le sponde
uscite a degna impresa, o rapid’onde.
40Ite là tra’ duo campi, ove in agone
privato or fan battaglia Idro e Tormonte,
e per colmar d’onor nostro campione
Idro immergete in vostro orribil fonte.
ite, ch’io vi sarò stimolo e sprone,
e v’empierò di spirto d’Acheronte».
Non più Satan a l’acque, e l’acque e ’l fiume
empì di mente stigia ei stigio nume.
41Tosto il Fasi sgorgò fuor da’ ripari
come se per gran pioggia ei si disserra
quando un novello mare ei porta a’ mari
e trae su ’l corno i paschi e i boschi atterra,
né v’era mortal forza che ripari,
e già correan vèr la privata guerra
l’acque, et intanto l’une e l’altre schiere
volgeano, i piè movendo, arme e bandiere.
42Tra’ duo guerrier pugnanti entrò fremendo
(e per partirli oh quanto si ristrinse!)
il gorgo, e li partio, fiero e tremendo,
e quinci l’uno e quindi l’altro ei spinse,
ma non a l’indian mostrossi orrendo,
o Idro, e ’n te sen corse e te ricinse,
con cento e cento vie lubriche e torte
già d’ogni parte minacciando morte.
43Liquido laberinto in vista atroce
era la varia inestricabil riva,
e corno formidabile e feroce
ergea dovunque orribile muggiva,
e troncava ogni calle a la veloce
pianta del cavalier ch’indi fuggiva,
e che sempre in un punto era là donde
egli l’onde fuggia, giunto da l’onde.
44Et anco innanzi a gli occhi il suo destriero
gli absorbian l’acque a più tormento,
né valse che natura sì leggiero
il fe’ ch’ei precorrea l’ali del vento.
Questi per mago e nobil magistero
accrebbe gloria al natural talento,
che sua concezione opra fu rara
ce la maga, onde ha grido il picciol Tara.
45Già de le stelle l’union migliore
ella indarno a tal fin non ebbe atteso,
vi giunse anco i suoi carmi, e più vigore
diede a l’influsso di là su disceso.
Concetto in modo tal, tal corridore
nacque lungo l’erculeo bel Galeso,
e Galeso appellassi, et Idro il morso
gli pose, et addestrollo a’ giri, al corso.
46Ma lasciollo su ’l Tara Idro poi quando
tornò dal Tara al sì mirabil fondo,
et indi a lui menollo, i mar varcando,
poi conduttor di trenta navi Usmondo.
Alfin su questo in Colco Idro pugnando
l’oste fugò quasi d’un mezzo mondo,
su questo che ’n quel dì mostrò che dramma
non avea no ch’aura non fosse e fiamma.
47Et or che ’l flutto infuriato e stolto
il preme e volge, ei nulla sbigottisce,
e verso il suo signor sempre s’è volto
e contrasta con l’onda che ’l rapisce.
Andar l’un verso l’altro ad ambo è tolto
e gridi manda l’un, l’altro annitrisce,
pur il caval vien meno, e tra gran rotte
spume, gran giri da l’acqua e l’inghiotte.
48Ma qual ne’ monti idei cervo cacciato
divora mille vie col ratto corso,
e giunto egli or da questo or da quel lato
torce di salto in varia parte il dorso,
et al voltar di lui tosto il latrato
de’ veltri si rivolge, e ’l dente e ’l morso,
tale fugge Idro innanzi a l’acque, e tale
si volge al suo voltar l’acqua e l’assale.
49Stan da lunge il fedel campo e ’l pagano,
timido l’uno e l’altro pien di speme,
e l’uno il suo Macon, l’altro il sovrano
Dio prega, e tra ’l pregar sospira e geme.
Ad Idro non riman più asciutto piano
sì l’onda d’ogni parte il giunge e preme,
lasso, et ei balza pur, ma dove ei balza
ratto il fiume il previene, e cresce e s’alza.
50Pur affogava alfin, ma invitto e forte
ei non dava al timor qualche ricetto,
sol sdegnava magnanimo che morte
veniagli incontro in così vile aspetto.
Gli occhi drizzò vèr le stellanti porte
e vi mandò suo generoso aspetto,
poi disse: «Ah non son bellici ferri
onde, campion di Cristo, Asia m’atterri,
51o Re del Ciel? Ma tu, che ’l partoristi,
Vergine intatta, tu cui gli avi miei
ricchi templi inalzàr ne’ lor conquisti,
e v’appeser barbarici trofei,
guarda qui pia; tu spesso prevenisti
i cor devoti onde invocata sei;
toglimi a morte tal, sol perch’io l’alma
sparga in tua gloria, o gloriosa et alma».
52Ei così prega, e le preghiere accoglie
colei ch’è scampo a la cristiana gente,
e che sì eccelsa in su l’empiree soglie
poggia, et a’ pii qua giù sempre è presente.
Col suo poter sovrano or ella toglie
al Fasi l’infernal stimolo ardente,
e fa che tornin l’acque al lor primiero
naturale antichissimo sentiero.
53Anch’essa i campi, ove con larghe rote
andò vagando il sì commosso fiume,
per miracolo asciuga, e ’n lor percote,
pur fermo in cielo, il conduttor del lume,
Freme Satan, pur non veduto, e scuote
le serpentone sue tartaree piume,
empio, et a pro d’Inferno anco s’appresta,
e ’n guerra i duo campion riedono in questa.
Idro uccide Tormonte, gli promette che ne strazierà il cadavere (54-76)
54I duo eserciti aversi un’altra volta
fanno al sì gran duello ampio steccato,
pongonsi i duci avante, e ’n larga e folta
rota sta dietro il doppio campo armato.
Idro tra l’onda ruinosa e stolta
del rio per infernal furia agitato,
serbò lo scudo e ’l brando, e serbò franca
la virtù, che ’n uom forte unqua non manca.
55Quai sotto i mauritani arsi emisferi
duo ritornano a guerra aspri leoni,
s’a i lor contrasti pertinaci e fieri
unqua frapose il ciel fulmini e tuoni,
tai questi duo, che fior son de’ guerrieri
d’Europa e d’Asia, altissimi campioni,
ricomincian la guerra, or che no ’l vieta
l’onda, ch’imperversò sì irrequieta.
56Già molto più che prima arde e risplende
l’aria al girar de l’una e l’altra spada,
e suona in più terribili vicende
Eco, che senza suon ne gli antri bada,
Eco che non ha spirto, e spirto prende
sol ch’a ferirla qualche suono vada,
Eco ch’è di rumore e di favella
ora imagin sì orribile or sì bella.
57Anzi più non rimbomba a’ colpi atroci
Eco più no, ma torna e i tuon rimanda
a l’orecchie de’ popoli feroci
che fanno a tanto agone ampia ghirlanda.
Gli sguardi via più immobili, né voci
minime o fiati almen labro è che spanda,
e piena di stupor la meraviglia
dentro i petti s’accampa e tra le ciglia.
58Ma su l’empireo, dove non discaccia
l’alba le stelle e non rimena il sole,
là ’ve non giunge, per salir che faccia,
l’ombra de la terrestre opaca mole,
là ’ve Dio gli splendor de la sua faccia
celare in disserrando a’ divi suole,
che fea in quel punto ei, sommo e sempiterno,
ei che fe’ il tutto e ’l tutto have in governo?
59Su l’ali eccelso a’ Cherubin sedea
e senza fine pur n’era lontano,
e la fatal bilancia allor prendea
con la sua eccelsa onnipotente mano,
e la morte e la vita ivi appendea
del re de gli Indi e del guerrier cristiano,
e d’ogni parte vi volgean le ciglia
gli Angeli e l’alme, empirea sua famiglia.
60Grave la lance in cui del saracino
pendevan l’ore, e traboccava giuso,
ma l’altra verso il braccio alto e divino
lieve e con gli anni d’Idro andava in suso,
e ’l Signor sotto i piè tenea il Destino
e la force fatale e ’l fatal fuso,
e legge era il suo cenno, et in Maria
guardava, e i suoi decreti ei stabilìa.
61Tosto per quei decreti un mortal gielo
qua giù scese in Tormonte, e su nel petto
tutto a lui s’arricciò l’ispido pelo
e fosca nube circondò l’elmetto.
Ma per lo stesso decretar del Cielo
più bello allor rifulse Idro in suo aspetto,
gran vaghezza a vederlo, anzi cresciuto
di sembianza (chi ’l crede?) ei fu veduto.
62O fosse perché invero ei s’avanzasse,
o perché tal paresse, ei ben somiglia
cosa ch’è dentro l’acque e che trapasse
più grande a’ guardi altrui con meraviglia,
e sembra il sol che tra vapori stasse
quando più augusta indi apparenza piglia,
sì che se falso il sol nel sol non vedi
maggior del sol nel sole il sol tu credi.
63A questi annunzi il temerario e rio
demon, che fu sì audace in tal duello,
scerse il voler de l’ineffabil Dio
e n’ebbe dentro il cor tema e flagello.
Anco osar volle et anco non ardio
ei pertinace e domito rubello,
ma cesse in quella singolar tenzone
quanta in essa egli aver credea ragione.
64«Quai veggio «disse «or d’invincibil fato
segni odiati da me quanto temuti?
Ferito ahi troppo è l’indo, e ‘è negato
che nulla più pur esso io volga o muti».
E qui si tacque, e tosto abbandonato
ebbe ei Tormonte, e lui tolse i suoi aiuti.
Quegli restò quasi di spirto privo
tra le man della morte in corpo vivo.
65Pareva a lui non esser desso, e cose
nel nemico vedea ond’ei temesse:
credea sgomentatrici e portentose
ceraste entro il suo petto il Ciel chiudesse;
non che però lasciasse l’orgogliose
baldanze,o che paura unqua egli avesse;
egli a due man la spada, egli con una
l’aggira, e tutte in un le forze aduna.
66Gittato l’ampio scudo ha per gran rabbia
e ’n nulla parte di sue membra è fermo.
Tale è lo strido suo dentro sue labbia
quale è ’l ruggito del leone infermo;
pur duolsi alfin che ’n man scudo non abbia
e ’n sua mano il pugnal prende in suo schermo.
Idro adegua la pugna, e tutto ardente
lo scudo nel pugnal cangia repente.
67Ecco il pugnal di qua e di là poi serra
l’entrata al brando e ne disvia l’offese,
e quinci e quindi il brando ecco disserra
le scaltre del pugnal varie difese.
ma per più piaghe bagna omai la terra
Tormonte, e rotto è il suo sì forte arnese,
né cessa ei pur gli schermi, ma ’l superno
voler s’adempie a scorno alto d’Inferno.
68Però che Idro, sdegnando che con arte
pari il pugnal nemico e ’l proprio vada,
e che tenga ove torna et onde parte
equal distanza l’una e l’altra spada,
da la solita scherma si diparte,
perché non stia più la vittoria a bada,
e scieglie il colpo, allor tra l’ami ignoto,
colpo di punta or troppo illustre e noto.
69Stende il pugnal, ritira il piè sinestro
e ’l posa, e libra il corpo armato,
e curva e tira in dietro il braccio destro
e resta in guardia in atto inaspettato.
Poi s’avanza guardingo, e poiché destro
prende al colpir lo spazio ei volge il lato,
né tempo o scampo a l’Indian più dando
manda oltre il piè migliore e spinge il brando.
70Quegli spada e pugnale aveavi opposto,
ma tra pugnale e spada il colpo passa,
e rassomiglia fulmine che tosto
scoppia, giunge, penetra, arde e trapassa.
Di tre doppi l’usbergo era composto,
tutto adamante, e pur lo spezza e passa,
e ’l petto impiaga, et a cader già sforza
tant’uom, ma non la vita in tutto smorza.
71Orribile, precipite, supino
cadde Tormonte a piè d’ombrosa valle,
e rimbombò la piaggia e ’l mar vicino
mentre presse il terren con l’ampie spalle.
Divelta quercia è tal ch’in giogo alpino
aprìo in Inferno a sue radici il calle,
e tanto profondolle in Acheronte
quanto verso le stelle alzò la fronte.
72Sparser fiumi di sangue e s’allargaro
del barbaro le piaghe in terra scosse,
et ei pur tentò alzarsi e pur riparo
fece contra nemiche altre percosse.
Quel col ginocchio il preme, e ’l terso acciaro
rifugge in parte ove non mai percosse,
e ’l fa via più vermiglio e via più dentro
le carni chiude e cerca il vital centro.
73Freme il pagan, ch’illeso è il vincitore,
freme ch’i sensi suoi son quasi spenti,
freme, ché nulla di sanguigno umore
quei sparge, et ei n’ha sparso ampi torrenti,
ma quando egli sentì morte su ’l core
vinto invitto parlò con questi accenti:
«No no, non tu, non tu, ma l’empie e felle
mi giungon con tua man nemiche stelle.
74Ma poiché in tua vendetta alma sì forte
destinata t’è pur, bastiti tanto;
rendi al mio genitor mie membra morte
ch’altro non gli darai che doglia e pianto.
per lui ciò chiedo, e non perché sian porte
l’esequie a me, ch’a me tomba è ’l mio vanto,
e mio sepolcro è il Fasi e ’l lito eusino,
sazio di sangue franco e di latino.
75Et Idro a lui: «Sì sì, giusto, non empio
tua vita a la mia spada il Ciel destina,
e s’io era qui non era d’alto essempio
per l’opre tue la gloria saracina,
né tra spergiuri tu fatti mai scempio
di gente franca avresti e di latina,
ma fia del corpo tuo ciò che dittarmi
saprà il mio duolo, e ciò ragion ben parmi».
76Così dice, e sospira, e gli ripassa
il ferro da la gola a la cervice.
Quei par tremoto, e ’l collo non abbassa
benché trafitto da la spada ultrice,
e scuote il brando e ’l primo ardir non lassa
ned oblia quanto a pro guerrier non lice.
Gridar tenta e non può, ché per la bocca
misto il sangue con l’alma in un trabocca.
Fa strage di pagani nel Fasi (77-94,2)
77Su l’estinto guerriero Idro non resta,
avido d’ampia strage, e tutti ancora
da quella parte rapidi e da questa
rompon gli stuoli aversi ogni dimora;
il suol, cui doppio esercito calpesta,
trema, e pur fermo in cielo il sol dimora.
Quali i duo campi or qui? Forte et allegro
l’uno, l’altro sospiroso et egro.
78Gli asiatici bronzi un suon languente
scogliono, e par ch’ad essi il fiato manche,
ma chiarissimo canto uscir si sente
dal torto rame de le trombe franche,
le squadre pie qual prima or violente,
l’altre pria del travaglio inferme e stanche,
e mostran queste che lor forza e nerbo
era il caduto saracino acerbo.
79Ma l’intrepida amazzone e l’invitta
Nilea serbano ancor franco il sembiante,
benché servile ad ambe aggia prescritta
legge Amor sotto giogo aspro e pesante.
Già l’una e l’altra attonita et afflitta
va verso il vago suo mai non amante,
di cui l’armata man contro Babelle
può, quando ha sua beltà, possanza in elle.
80Là dove d’atra morte egli ha cosparse
le squadre turche e scorre ruinoso
senton da sforzo occulto ambe tirarse,
da sforzo entro i lor sensi imperioso;
senton di gielo anco tra ’l fuoco farse,
e ’l lor giocondo mal star non può ascoso,
et amare rugiade in su gli usberghi
cadon da gli occhi or sol di pianto alberghi.
81Ma quando dianzi ei fuggia l’acque e quando
ei pugnò con Tormonte, allor timore
ebbero in petto, ebber nel cor quel brando
che Tormonte vibrò pien di furore.
Stettero spettatrici in riguardando
l’idolo lor tra ’l rischio e tra l’orrore,
e l’ostro bello più, più bello il giglio
videro in lui tra l’ira e tra ’l periglio.
82Misere, e quei sen va colmo di gloria
et in esse non pensa e svena gli empi,
e Bellona il precorre e la Vittoria,
e i lauri ha questa in man, quella gli scempi.
per lui al fama ad immortal memoria
suona la tromba sua, scherno de’ tempi.
Fa strage, e su la strage ampia camina,
ampia indi altrove altra a portar ruina.
83Quanto Pelio, quanto Ato q quanto Atlante
egli apparea, ma lucido et orrendo
qual procellosa imagine stellante
che gira e fiera va l’aure inasprendo.
Mise altrui per fuggir penne a le piante
bello il bel volto suo quanto tremendo;
oh quanti al fiume immergonsi!, e la sponda
varca ei del fiume e lor giunge entro l’onda.
84Come varian le cose! Or per celesti
grazie ecco il Fasi al pro’ guerrier s’inchina,
e s’oppone con flutti alti et infesti
a la fugace gente saracina,
tal che contro i pagan sorger vedresti
l’onda, e bassarsi ov’Idro s’avicina,
ed ei, dianzi da l’acque perseguito,
tra l’acque or va da l’acque or riverito.
85Fiera, non cruda, la sua spada ancide
tra ’l fiume, e ’l fiume fa caldo e vermiglio.
Col primo colpo il volto egli recide
a Baiazet, ch’al re de’ Turchi è figlio.
De l’ampia armata fronte ch’ei divide
precipita in due parti il doppio ciglio,
e quinci l’una e quindi l’altra pende
tempia sul collo, e ’l sangue al sen discende.
86Ruppe dal petto al tergo a Corimarte
il busto, e tal v’impresse ampia ferita
che passò in lei da l’una a l’altra parte
il sole, e doppia il sangue ebbene uscita.
le spalle a Rodoan per mezzo ei parte
senza testa restar fa l’empio Osmida,
fende Acat ne la bocca, Acat poi geme
et acqua e sangue absorbe e vome insieme.
87Frange a Seim le coste, et ampia porta
agli antri de le viscere disserra,
correvi l’onda et empie il corpo, e ’l porta
grave sott’acqua ivi a trovar la terra;
tronca le gambe, e ’l gran Nembrotte accorta,
e tra l’onde e ’l terreno il busto atterra,
a Mustafà recide il braccio destro
et il lascia a natar sol col sinestro.
88E poi verso la ripa i passi tòrse
là dove Zorboel da l’onde usciva,
et un de’ piè troncolli, e quei sen corse
con un piè saltellando in su la riva,
né posava egli intanto, ma Xenorse
variamente et Almonte anco partiva,
che per gli fianchi l’un, l’altro dal viso
fe’ giù per dritto fil restar diviso.
89Ma di sua spada ad uno ad un gli effetti
volendo io dir tenterei in picciol vaso
tener i fiumi e i mar chiusi e ristretti
e tenterei con l’Orto unir l’Occaso,
tenterei tòrre a Cipria i suoi diletti
e tòr le Muse a Pindo et a Parnaso,
tenterei poi gli abissi in su el stelle
e nel centro le cose eccelse e belle.
90Sol dirò ch’ingombrò tutto d’algenti
barbare membra il Fasi, e che gravoso
e pieno d’armi rotte e risplendenti
mandollo a Teti orrendo e sanguinoso.
Ma tra’ quei corpi irrigiditi e spenti
qual oracolo infausto e portentoso?
qual nume ivi d’Inferno? ohimè, che disse?
e quai danni a Sion l’empio predisse?
91Corse entro il gorgo il reo Satan, e finse
di cocodrilo a sé corpo e sembianza,
stese la coda e i piè, l’avanzo strinse
entro l’acqua che bolle e che s’avanza,
e qui d’un turco a pro ratto si spinse
che invitta, ancorché vinto, avea baldanza,
se ’l mise al tergo, a fuggir prese e volse
la fronte, e tal sermon verso Idro sciolse:
92«Sazia tu in sangue e inebria il brando
pur ch’io salvo il baron c’ho sopra il dosso
dal suo seme uscirà chi discacciando
da Siria i Franchi il giogo empio avrà scosso;
Saladin detto fia», né più parlando
fea risonar il flutto ripercosso,
e correa verso il mare; Idro con questa
risposta il segue, e di svenar non resta:
93«O chiunque tu sei, che con espresse
parole d’uom nel cocodril faville,
quell’eterno Signore che sole elesse
l’armi d’Europa a debellar Babelle,
altro provincie avrà, non che le stesse
gli effetti a riprovar di tue favelle.
Servono i cieli e gli elementi a lui,
volan l’empiree squadre a’ cenni sui».
94Così gli disse, e poi ristette alquanto,
ch’uom vivo non vedeva ei più tra l’onde.
Ma strazi senza fin diversi intantoI cristiani vincono, i pagani si ritirano in città (94,3-105,4)
confusi e misti a lui giungeano altronde.
Marte sparso di polve il ferreo ammanto
spargea d’orror la trionfal sua fronde
là nel campal conflitto, e dava cupi
Eco rimbombi in sen d’alpestre rupi.
95Che già monti di strage ergea Tancredi,
e pugnava Roberta a lui dappresso:
ella in socer o il brama, e già la credi,
per farsen degna, gareggiar con esso.
Di sangue per Arnaldo un lago vedi,
da vene saracine un lago espresso,
et emolo d’Arnaldo appar Cosmante,
et Afron per chiar’opre ad ambo innante.
96Irlando, Anselmo, Onteo son giunti a chiaro
segno di gloria, e da vicin va Ermondo.
il tirio re vibrando il santo acciaro
popola d’alme inique il tetro mondo,
e col senno onde i Cieli anco l’ornaro
de lo scettro sovran regge anco il pondo,
e fuor de l’arme, a sicurtà de l’oste,
arme tra ’l lito e ’l fiume avea riposte.
97D’altra parte Ottomano e ’l gran tiranno
stan fermi ancor tra’ barbari smarriti,
ambo svenano i Franchi, ambo unir fanno
pur tra le fughe i globi dissuniti;
e con lor le due vergini sen vanno
d’alto amore i cui petti Idro ha feriti,
sopra pomposi arcioni altere e belle
di Marte esse e d’Amor miste procelle.
98Vibran le treccie lor, le lor cervici
lampi queste d’argento e quelle d’oro,
ove le spade indomite et ultrici
ambe di qua e di là giran costoro.
Ma sol co’ brandi or premono i nemici
e cercano il bel sol de gli occhi loro,
piangon tra’ lor trionfi; e così estinti
erano insieme e vincitori e vinti.
99Quinci alti stridi: or questi stridi intese
Idro dal fiume, e vi correa fremente,
ned eran per valer più le difese
or in tal parte a la contraria gente;
ma ’l reo Satan, che tanto mal comprese,
il suono militar cangiò repente:
era a l’armi quel suon richiamo e sprone,
et a rapida fuga ei fe’ che suone.
100Per quel cangiato suon tutta allor diede
l’oste pagana il tergo a’ vincitori,
così dove ella tien non fermo il piede
come dove in lei son più saldi i cori.
Solo il monarca barbaro non cede,
né pur tolta è favilla a’ suoi furori,
ma la turba che fugge in sé ne ’l porta,
et egli invan minaccia e invan conforta.
101Anco con destra invitta e generosa
al suo volto regal tolse l’elmetto,
per le fughe arresta de la paurosa
sua gente almen col suo nudato aspetto,
e non frenolle, e pur non tenne ascosa
la grandezza del cor dentro il suo petto:
voltò la fronte ove più orrende
fremean l’armi cristiane e più tremende.
102Ma ’l raggiunse Ottomano, e disse: «Or dove
tiri l’Asia, signor? Deh, cedi al fato,
nostro dio, nostro dio, ch’è ’l vero Giove,
il suon ch’incita a l’armi ecco ha mutato.
Sostegno, fuor che ’n te, non have altrove
de l’alta Babilon l’infermo stato,
salva te, salva il tutto, e ’n questo dire
prudenza infuse al re, scemò l’ardire.
103Rapido intanto, come il suon l’incita,
il campo babilonico sen corre,
e ’n sé l’accoglie la città smarrita
e palle prima e poi scaglia ogni torre.
S’arretrano i cristian, ma a l’infinita
virtù d’Idro chi può termini porre?
Trapassa, e par non senta i ruinosi
precipitanti in lui sassi gravosi.
104Giunge su ’l fosso estremo, ove difende
rara le fasie rocche arte e misura,
rara arte di battaglia, che contende
ch’uom non s’appressi a le munite mura,
arte di guerra in cui raro risplende
pregio di marziale architettura,
arte tremenda e bella arte ch’in rare
guise è fabrile insieme e militare.
105Qui gli usci chiusi e i ponti in su tirati
tale sotto un de’ ponti Idro rimane,
qual s’arresta et al ciel manda i latrati
schernito veltro in su l’anguste tane.
Ma già sprona i destrieri ch’avea frenatiSi riposa per sette giorni, il corpo di Tormonte è ritornato al padre (105,5-124)
Febo, e si drizza in vèr le piaggie ispane,
et Idro, per veder l’amico estinto,
doglioso move e di pietà dipinto.
106Ma visto il corpo essangue ahi qual sospiro
trasse dal petto ei stando immoto alquanto?
e come amare ridondando usciro
liquide perle da’ begli occhi intanto?
De lo scudo egli alfin ne l’ampio giro
vide lo scritto lagrimabil tanto,
i sanguigni caratteri con cui
Giosia chiedea tomba e vendetta a lui.
107Et allor quasi isvenne, e poi accusando
il suo duol disse a sé: – Già in altre guise
io convengo adempir, non lagrimando,
ciò che in tal codigil mi si commise.
Disegnato ho il sepolcro e memorando
ben fia ne l’atre età da noi divise,
ma troppo è stat, ohimè, di qua dal segno
ultrice la mia destra in mio disdegno -.
108Qui rilegge, e poi grida: «Ah non si senta
ch’io la vendetta tua fatt’ho sì scarsa!
Ove il reo corpo? Io la sua carne spenta
già già diffondo incenerita et arsa,
a i cani o la darò con man non lenta
poiché l’avrò d’onte e di strazi sparsa?
Sì sì, quattro destrieri or la trarranno
avinta, e me rettor con ferza avranno.
109La volgerò d’intorno a la serrata
città sei volte, e più per vie scoscese».
Tal ei, ma de la mente sua infiammata
gli eccessi il sommo eroe così riprese:
«Perché s’a l’uom per fin qui morte è data,
di là da morte cuoi punir l’offese?
Figlio, da me tu impara: io dianzi Agrima
onorai di sepolcro Argante in prima».
110Con questo dir nel mesto giovinetto
tempra il buon padre i moti aspri de l’ira,
e ’l fier garzon s’arresta, e su ’l diletto
estinto amico i guardi umidi gira.
Tutto è dolor, pende dal morto aspetto,
mesce a’ singhiozzi il fiato onde respira,
e la beltà congiunta a’ suoi lamenti
bello il duol fa parer, begli i tormenti.
111Ma poiché in atto già bello et amaro
troppo si querelò, troppo si dolse,
gli occhi voltò verso l’eccelso e caro
suo genitor, e tal sermon disciolse:
«Tomba et officio omai funebre e raro
devo al baron, cui morte empia mi tolse;
o padre, o duce, o re, deh a l’opra pia
suo giusto spazio almen concesso sia.
112Vorrei che sette dì la chiusa terra
per te non abbia assalto, e che con mesta
alma, cessando in tanto ogn’altra guerra,
io dia pompa a l’amico atra e funesta.
Arder potrai tu allora e por sotterra
gli estinti, e far di pio ciò che altro resta».
Tacque, e quegli assentì, poscia dispose
le guardie a’ funerali e molto impose.
113E quinci quasi inermi i guerrier poi
correan lungo la strage egri e dolenti,
scevravan da le turbe i morti eroi
e da’ morti pagani i Franchi spenti.
Ma su l’estinto re de gli indi eoi
tra stupore e terror gli sguardi intenti
tenean, dicendo: «Oblii natura l’arte
di far sì orrendi esecutori a Marte.
114Quai forze egli ebbe? e quanto spirto il resse?
e quanto in guerra fu? quanto prevalse?
quanto il mirammo in pria, quando ei ripresse
l’armata tutta in mezzo a l’onde salse?
e quai due scale si smisurato eresse
quando su el trincee due volte ei salse?».
Così diceano, indi stupian librando
or l’ampio scudo or il gravoso brando.
115Ma con sovrana pompa sepelito
era Gilberto, il salentino Marte.
Sua gloriosa tomba ingombra il lito
e dal colco terren Nereo diparte,
et anco con onor quasi infinito
sorge, né quindi pur troppo in disparte,
il mausoleo ch’al generoso e chiaro
semideo di Campania i Franchi alzaro.
116Stavan l’aste d’entrambi affisse in terra
e l’una e l’altra rinverdissi e crebbe,
e l’una e l’altra radicò sotterra
(o stupor santo!) e ’n lauro a cangiar s’ebbe,
segno che d’ambo il travagliare in guerra
caro al Monarca eterno esser già debbe,
e l’un sepolcro questa e l’altro quella
coperse co’ suoi rami arbor novella.
117Bianchi vi fur duo scudi, e ’n un fu scritto
il nome e ’l pregio del famoso Amberto,
e l’opere ne l’altro e ’l nome invitto
del chiaro in armi et inclito Gilberto.
Tondi tai scudi e per funereo dritto
ambo di tai duo duci offerti al merto,
et ambo appesi a’ lauri alti che loro
sì gloriose in guerra aste già foro.
118Bare per tutto, et Idro ogni sovrano
barone invita ad onorar Giosia,
vuol ch’innante a l’esequie altero e strano
onore militar dato a lui sia:
ciò sotto aperto ciel lungo ampio piano
e lo spettacol qui turbe rapia,
chine insegne, aste prone, atri cimieri
triste trombe e correnti cavalieri.
119Fan guerre finte, e con più lumi sorge
la ricca bara, e giunge giorno al giorno.
Corrier con torchi accesi anco si scorge,
schiera non vile al gran feretro intorno,
e quel cui ’l torchio unqua si smorza, il porge
ad altri, e parte e più non fa ritorno.
Idro sospira e piagne, et a’ suoi piedi
non men doglioso un re già piagner vedi.
120Fuor d’alta torre era con ricche some
d’oro e di gemme, ma con trista fronte,
e sparso d’atra cenere le chiome
uscito il re che generò Tormonte.
Gli atti informa pietà, Cosmondo ha nome
tal re, ch’è segno or di fortuna a l’onte.
Veniva o per comprar suo figlio anciso
o per restar di vita anch’ei diviso.
121Questi a’ piè d’Idro, questi lagrimando
gittossi e disse: «O in così fresca etade
invitto, o terror d’Asia, o memorando
in ogni serie di futura etade,
estinto è già Tormonte, io te ’l domando;
padre io gli fui, de’ padri abbi pietade,
e per prezzo del corpo o pur in dono
prendi i tesor de l’India ond’io re sono.
122Tua gloriosa spada il trasse a morte,
odio co’ morti più, credo, non hai,
ma s’anco tu, per mia spietata sorte,
nel busto essangue incrudelir vorrai,
strazia anco il corpo mio, fammi consorte
in ogni parte a lui ch’io generai»,
e seguita più, ma sopra lui le braccia
Tancredi eccelso e pio piega e l’abbraccia.
123E tronca i suoi lamenti, e ’n piè il rimette
(già sente in sé il paterno altrui dolore),
poscia gli dice: «O re, tra noi dimette
contro gli estinti onte et offese il core.
Abbi il morto figliuol, ned intercette
sian lui le patrie esequie e ’l mesto onore;
certo era per aver funerei marmi
qui ’l suo valor, non senza incisi carmi.
124Sian tuoi gli indi tesori, io già non vendo
i morti a i vivi, anzi co’ morti io pio
tutti gli estinti saracin vi rendo,
et al re vostro il morto figlio invio.
A lui con pompa il mando e lui riprendo
perché farmen richiesta ei non ardio».
Così l’invitto duce, e poi si scerse
magnanimo adempir quanto egli offerse.
Giosia è sepolto sotto il fiume (125-134)
125Ma sotto il colco fiume (o generosa
voglia, e più ch’altra singolare e degna!),
Idro già pensa alzar tomba ch’ascosa
ne’ secoli futuri in pregio vegna.
In tal urna celata e gloriosa
l’estinto amico ei sepelir disegna,
e mentre sono a l’opra i fabri intenti
pur fa seguir le giostre e i torneamenti.
126Rompon l’argine i ferri e impara l’onda
entro altre rive a raggirar suoi passi,
ma dove egli scorreva ivi profonda
caverna omai da’ vangatori fassi,
e colà dentro, insolita e rotonda,
la tomba a fabricar son porti i sassi.
Poi mille componean dedale mani
quei funebri là giù lavor sovrani.
127Feasi il sepolcro, e d’ogni intorno sette
volte il cingeva un doppio ordin di pietre,
con artificio tal tutte ristrette
ch’unqua l’acqua non sia che ’n lor penetre.
ma già compita è l’opra, e già si mette
in dosso il sacro stuol vesti alme e tetre;
cingon la bara d’or candide luci
e su ’l tergo ella vien de’ primi duci.
128Precedono l’essangue arme e bandiere
che ’n guerra ei tolse a’ re di Babilone,
e, pompe funestissime et altere,
di cipresso e d’allor miste corone.
Seguon con basse insegne anco le schiere,
van senza scettri i duci, e tu pur suone,
Eco, tra meste trombe, et Idro innanti
fa trista la beltà, leggiadri i pianti.
129Su l’uscio de la tomba al morto diero
i sacerdoti alfin gli ultimi incensi.
Quivi vedeasi il forte e bel guerriero
afflitto d’alma, attonito di sensi;
ei ne l’estremo e tristo ministero
sentì più gravi i suoi dolori intensi.
Abbracciò tutta la funebre bara
e da gli occhi versò molt’onda amara.
130Depose colà giuso il morto amico,
già duro a le sue braccia e dolce pondo,
indi vèr lui gridò: «Troppo nemico,
tu godi in Cielo, a me fu il Cielo e ’l mondo.
tu nel volto divin, più ch’io no ’l dico,
vedi che ’l viver più non m’è giocondo,
e c’ho nel petto inconsolabil pena,
e che fosca è per me l’aria serena.
131A questi fin ci unìo ne l’età prima
tanta amicizia ahi lasso? e da quai parti
poi l’Angel mi ridusse al natio clima
per toglierti a’ tuoi regni e qui menarti?
perché partii notturno et a te prima
nol dissi? ah perché volli abbandonarti?
chi mi tolse il veder? qual forza d’arme
potea, sendo teco io, di te privarme?».
132Sospira, e largo a morte oltre nostr’uso
ei de le spoglie di sì illustre guerra
molt’oro e gemme fa portar là giuso,
e i ricchi parti suoi rende a la terra.
Poi loca in alto estraneo ardor che chiuso
sempre per rara tempra arde sotterra,
e d’incontro a tal vampa un bel diamante
mette, in cui di Maria sculto è il sembiante.
133S’atterra, e dice: «Or tu, virgineo nume,
guarda qui questo essangue, e tui qui eterno
questo ch’a te qui appendo acceso lume,
e tempra tu tanta mia doglia interna».
Alfin si leva in piedi, e novo fiume
da gli occhi trae, quasi da vena eterna;
indi torna a la bara ove, anco avinto
le chiome d’alti rai, giace l’estinto.
134Gli porge il bacio estremo, e la disciolta
onda da gli occhi vivi a’ morti passa.
Poi s’accommiata e parte, e poi vien volta
pietra a serrar la tomba altera e bassa,
pietra in tale maniera infusa e involta
che in sé mai l’acque penetrar non lassa,
e dopo tutto ciò fu ricondotto
al primo letto il traviato flutto.
Idro scala le mura su un tronco, molti lo seguono ma finiscono nel fossato: disincanta il palladio stregato che difende la città, però finisce prigioniero del mago (135-159)
135Ma Tancredi, dopo le funerali
opre, a nove di guerra opre s’appresta,
e machine et ordigni marziali
per comporre depreda erma foresta.
Poi va spiando gli argini murali
sopra un corsiero in quella parte e ’n questa,
e tutta ivi con gli occhi egli misura
la tanta militare architettura.
136Cento di quadro sasso alte e munite
equali torri a la città fan cinto,
largo è il fosso, e da’ gorghi d’Amfitrite
scevro, e pur d’acque per industria è cinto,
ché l’empie in giro e resta senza uscite
ampio un ramo del Fasi ivi sospinto.
Alta e cupa è quest’acqua, alte e profonde
rimangono del fosso anco le sponde.
137Sta fra ogni diece torri eccelsa porta,
et ha di legno un ponte, il qual s’attiene
a gran tirata in su ferrea ritorta,
et erto nega il passo a chi ci viene.
Tancredi, poiché alfin tant’arte ha scorta,
fe’ gran concilio in su le fasie arene,
e stabilito fu tòr l’acque a l’alto
fosso, e di terra empirlo anzi l’assalto.
138Ma per celesti ferze il suo gran figlio
cerca passaggio a la città e nol trova,
e sembra offesa tigre che l’artiglio
contro cui da lei fugge indarno mova.
Ascender su le mura è suo consiglio
e tentar strada inopinata e nova,
et opportuna intanto ei vede in terra
di gran nave immensa arbore e l’afferra.
139L’erge (oh mirabil forza!) e giù n’appoggia
la grossa parte, e l’altra a la muraglia,
trema il troncon sì lungo, et ei vi poggia
solo a’ nemici indi a portar battaglia.
Traboccata è di pietre orrida pioggia
e tempesta di strai perch’ei non saglia,
et ei nol cura, e mentre si sospinge
per quell’aerea strada il brando stringe.
140E sembra l’uom che ’n aria si raggiri
snello et armato in su le tese sarte,
ma dove disdegnoso in aria il miri
ben Giove il credi che le nubi parte.
Su ’l muro poi con ruinosi giri
rota ei la spada, e Giove ei sembra e Marte,
e de’ pagan più scelti ei più di cento
abbatte a un moto, a un atto, a un sol momento.
141Miete i satrapi a un fascio, e quei ch’alteri
a par di nobiltà ricchezza rende,
evvi Uxusbeg, che ’n ville ha ricchi imperi,
e carco è d’or, ma l’or qui no ’l difende.
Sovragiungon pur anco arme e guerrieri
e da le torri un fier rumor discende.
Già di là su Grifalto et Ottomano
forte minaccia, e ’l barbaro sovrano.
142Ma qual leon ne’ campi mauritani
ove la preda infra gli artigli egli aggia,
non cura i gridi de’ pastor montani
ch’omai fan rimbombar l’erto e la piaggia,
e che fremendo orribili e lontani
apprestano armatura aspra e selvaggia,
ei torvo guata, e ’l sangue in su l’arena
scorre da l’unghie onde sbranando ei svena.
143Tal mentre fa restar di spirto vòti
Idro in quel fiero scontro i Saracini,
non cura i molti strepiti remoti
e scompiglia i tanti impeti vicini.
I padri a’ figli, a saper ciò i nepoti,
disser tai fatti, e gli appellàr divini,
tutti i barbari padri che ’n sì chiara
guerra preda non fur di morte avara.
144Ma su l’eretta trave, ov’Idro ascese,
ov’ei calcò gli insoliti sentieri,
l’essempio incomparabile raccese
ad emularlo eccelsi cavalieri.
Già Tancredi se ’l vede, e tien sospese
le voci, e dentro il cor rota i pensiero,
né consente né vieta, e su la trave
cresce la calca, et ei sospira e pave.
145Tosto più d’un trabocca, e traboccando
più d’un ne tira, e fan crollo ne l’onde.
Vi corrono altri, e pur su ’l pin varcando
il fan tremar tra’ muri e tra le sponde.
IL legno alfin si spezza, aspro scoppiando,
e grande orror ne l’alma a’ Franchi infonde,
rotto e carco d’eroi su l’acque piomba
e ’l monte a le frant’acque e ’l ciel rimbomba.
146Ma ’l gran guerrier già da le sgombre cime
de’ muri scende giù ne la cittade,
et altri globi d’arme urta et opprime,
e di terror le piazze empie e le strade,
e fa che fragil vetro ogn’uom ne stime
incontra il brando suo l’aste e le spade.
Ma come intanto e quale s’opponea
quinci Tigrina a lui, quindi Nilea?
147Con atti quanto esser più ponno accorti
il perseguian costoro in ciascun loco,
quasi dure nemiche e tra le morti
il periglio mortal prendeano a gioco,
e i lor volti rendea vermigli e smorti
tutt’ad un tratto Amor col giel, col foco.
Ma innanzi a l’auree porte erano intanto
in cui fe’ l’empio mago il forte incanto.
148Ecco l’empia scultura ov’è sì strano
Maomette in forma d’esecrando arciero;
oh come i sacri eroi del Vaticano
l’empio sgomenta e ’l successor di Piero!
Raro lavoro sì, ma di profano
dedalo fabro iniquo magistero.
Idro corre a’ piè santi umilemente,
che l’angeliche voci ei tiensi a mente.
149S’atterra per baciarli, ma raggiunto
l’ha d’improviso un animal commisto,
un lupo, un drago ad un leon congiunto
strano portento e ’n terra unqua non visto.
Urla, sibila e rugge in un sol punto,
e forma di tre suoni orribil misto.
Idro non teme, e ginocchion sta incontro
a questo così stran triplice scontro.
150Il fulmina col brando, e pur va innanti
ei (quanto può) co’ membri suoi prostrati,
e le labra avicina a’ sacrosanti
piè nel metallo barbaro intagliati.
Ma quel trino portento i tre sembianti
in tre fiumi d’ardor tosto ha cangiati,
e tremoto era intanto, e ’l ciel parea
squarciarsi e ’n guerra andar Febo e Febea.
151S’immerge Idro nel foco, e tra l’ardente
acqua s’appressa ove l’intaglio ei baci
(oh fede!, oh cor!), né vien che lo sgomente
l’onda che bolle in sgomentose faci.
Ma la virtù ch’incende egli non sente,
tra quelle fiamme orrende e non veraci
(mirabil meraviglia!), e chi ci ’l vede
arso non sol ma incenerito il crede.
152Ma tra l’incendio ei tanto si sospinse
verso i piè sacri che baciolli alfine,
e con quel bacio il diro incanto estinse
ch’affidava le mura saracine.
Sparve la fiamma che se ’l chiuse e cinse
e lampeggiò ne l’armi egli divine,
né tremò più la terra, e Cinzia e ’l sole
restàr concordi in su l’eterna mole.
153In quel momento ancor l’empia scoltura
per miracol mutossi e pia divenne,
tutti gli atti cangiò d’ogni figura
non tutti i siti, e i pregi suoi ritenne,
anzi crebbe per tutto oltre misura
l’artificio sovran che ’n lei s’attenne,
e rimase altra ella e la stessa et era
poscia a gli sguardi altrui santa et altera.
154Però ch’eccelso e ’n trono aureo e gemmato
de l’alme ivi il Pastor restava assiso,
e gli rideva in fronte il triplicato
cerchio, t ei parea aprisse il Paradiso,
e sotto i piè gli rimanea prostrato
quell’empio sagittario e l’arco inciso,
e lieti in vista gli sedeano a canto
i grandi suoi con porporato manto.
155Così del tempio barbaro le porte,
mercé del Ciel, cangiaro il reo lavoro,
quelle che su gran cardini di forte
bronzo atteneansi luminose e d’oro.
Ma fia che man celeste le trasporte
in patre ove miglior fia l’uso loro,
e che ’n tal guisa effigiate e scolte
su limitar sacrato ivi sian volte.
156Ma ’l colco incantator rapido e fiero,
tosto che cadde il sì possente incanto,
corse di furto al vincitor guerriero
e interroppe di lui le glorie e ’l vanto.
Ei, per farlo restar suo prigioniero,
novello susurrò magico canto,
e de l’egizia n’incantò il bel cinto
onde eroe così forte iva succinto.
157D’ogni cosa costui vittorioso
già sen correva a sprigionar Boemondo,
per aprir la città poi glorioso
e lasciar non più intesi essempi al mondo,
quando su i fianchi suoi sentì gravoso
quel cinto, quasi un insoffribil pondo,
quando d’altra magia costretto fue
captive a’ lacci offrir le braccia sue.
158Oh magica possanza! Ei per sé mise
dietro il suo tergo le sue invitte mani,
e l’incantato cinto in nove guise
per se stesso legollo in modi strani.
Giunto era intanto et in suo cor ne rise
io re, che corse in lui co’ più sovrani;
fèr rapido concilio, e fu conchiuso
che ’n prigion forte il preso eroe sia chiuso.
159Divisa d’ogn’albergo alta sorgea
forte magion ne la regal cittate,
ove rigor di leggi in pria solea
varie genti tener chiuse e legate,
ma poi ragion di guerra ad esse avea
dato a comune pro la libertate:
qui dentro Idro fu tratto, e ’l cinto vago
qui fu per lui nodo servile e mago.