ARGOMENTO
Stretto in Granata il re pagan ricorre
de’ suoi guerrieri al provido consiglio,
e quel ch’Alvante ed Almiren discorre
cauto s’attien nel suo maggior commento provaperiglio.
Passa il facondo Omare ad Almansorre,
e ’l tragge alfin dal pertinace esiglio;
poi verso commento provaAfrica parte, e vien guidato
da strana sorte a la Ragion di Stato.
Proemio (1-6)
1Io, che spiegai con amorosi carmi
su l’italica cetra egizi errori,
vo’ cantar con la tromba al suon de l’armi
Granata vinta e soggiogati i Mori.
Imperversi l’Inferno, l’Africa s’armi,
trovi Marte, usi Amor vezzi e furori,
nulla val, tutto cede et offre a Cristo
il magnanimo re l’alto conquisto.
2Tu, ch’al gran Padre et al gran figlio eguale
spiri di tre persone un sol desio,
e sommo, incomprensibile, immortale
congiungi in tre persone un solo Dio,
tu che trasporti al Ciel lingua mortale,
scopri il futuro e superi l’oblio,
degli Angeli ond’è cinto il tuo bel trono
porgi a la mente l’ali, a i detti il suono.
3Tu, sacro Apollo, a la profana Musa
del Parnaso divino il fonte addita,
onde possa goder, vinta ogni accusa,
ne i secoli futuri eterna vita.
Tu purissimo amante ispira, e scusa
questa d’armi e d’amori istoria ordita;
dammi, o spirto di Dio, con doppio vanto
spirto d’aura celeste a l’alma e al canto.
4E tu, di tanto re chiaro nipote,
de l’Azia stirpe generoso figlio,
cui le genti vicine e le remote
danno il pregio ne l’armi e nel consiglio,
tu gran Francesco a le mie sacre note
volgi tranquillo il cor, sereno il ciglio;
sai che cinse il tuo lauro, ornò il tuo nome
le mie carte altra volta e le mie chiome.
5E s’or che move il perfid’Ottomano
d’Asia e di Libia i numerosi regni,
del popolo fedel tu capitano
n’andrai de l’empio a rintuzzar gli sdegni.
Oh come allor de la tua invitta mano
lieto celebrerò lauri più degni!
Tu mentre a l’alta impresa il core accendi,
con la sposa real miei versi attendi.
6Son questi degli eroi donde traete
il sublime natal gli avoli egregi,
e cantati da me qui sentirete
di lor pietà, di lor valore i fregi;
voi gli osservate, e rinovar potrete
con lode egual ma con diversi pregi,
l’un forte e giusto, e l’altra saggia e bella,
di Ferrando le glorie e d’Isabella.
Presentazione della situazione: Granata, assediata dagli Spagnoli, è ridotta alla fame (7-16)
7Già il confine del verno il sol varcato
col decimo anno il novo april traea
da che di zelo il gran Ferrando armato
i Mori a debellar l’armi movea,
e già in battaglia il Saracin fugato
alfin richiuso entro Granata avea,
che di ripari e di guerrier munita
l’ira del vincitor sprezzava ardita.
8Su due colli Granata altera siede
e abbraccia il pian che fra di loro è posto;
su la cima de l’un sorto si vede
il castello Algazzare a Borea esposto;
la rocca detta Allambra, ove risiede
il re, s’innalza sovra il giogo opposto.
Cupe fosse, alte torri, eccelse mura
la superba città fanno sicura.
9Con l’onde cristalline il Dauro umile
bacia la reggia e la città divide,
e fuor d’essa congiunto al rio gentile
bagna il terre cui lieto il Ciel arride.
Quivi al dolce spirar d’aura gentile
con solleciti fiori il campo ride
verso Aquilone, e donde il sole ascende
sino a l’Occaso il fertil pian si stende.
10Ma di monti scoscesi aspra catena
verso il meriggio infino al mar s’innalza,
e di neve e di giel l’ispida schiena
copre verno continuo a l’erta balza;
confina il giel con la campagna amena
e la rigida brina i fiori incalza.
Tal con aspetto vario e circondata
da stagioni diverse era Granata.
11Il re cristian, che inespugnabil mira
intanto di Granata il sito e l’arte,
non approva gli assalti e in sé raggira
come il sangue de i suoi risparmi in parte.
Quinci a domar con lungo assedio aspira
l’ostinata cittade, onde comparte
guardie opportune, e a le rinchiuse genti
procura d’impedir novi alimenti.
12Scorre i campi il cristiano, e in sua balia
sono i luoghi più noti omai ridutti:
Allama gli ubbidisce et Almeria,
onde i cibi a Granata eran condutti.
D’ogni lato in tal guisa ei proibìa
a la turba infedel le biade e i frutti,
e sperava espugnar vie più sicuro
con famelica guerra il forte muro.
13Come talora il cacciator sagace
per le nomadi selve o per l’ircane,
schivando l’affrontar belva capace
suole i varchi serrar, cinger le tane,
così intorno chiudean la pertinace
combattuta città l’armi cristiane,
che scorrevano i colli e la campagna
cui misto col Genile il Dauro bagna.
14E già con gravi angoscie il popol moro
prova d’orrida fame aspra sciagura,
e non giovano in tanta angustia loro
insuperabil sito e vaste mura.
Sol porgea con le prede alcun ristoro
al famelico stuol la notte oscura,
ma questo ancor già cessa, onde il periglio
cerca dal re pagan presto consiglio.
Discorde consiglio dei capitani saraceni: Almireno e Alvante suggeriscono di richiamare in città Almansorre, irato col re, e chiedere aiuti al re dei Tangitani. Baudele accetta questo consiglio, e manda Omare (17-50)
15Da che inondàr con barbari furori
l’armi africane il bel paese Ibero,
volgean mille anni che soffrìa de i Mori
l’usurpata città giogo severo.
Dopo lunghe discordie e vari errori
allor de i Saracini avea l’impero
il tiranno Baudele, uom che, feroce,
di costumi, è crudel, di volto atroce.
16Fra le risse civil questi agitato
ora perdente, or vincitor divenne,
sin che, l’emulo suo vinto e scacciato,
lo scettro di Granata al fine ottenne.
Chiese dunque costui nel grave stato
il parer de’ più saggi, onde a lui venne
il solito consiglio, e in varie guise,
convenienti al grado, ognun s’assise.
17Sotto serico ciel d’oro stellante
ricco trono eminente il re premea,
e ’l giovinetto Osmino e ’l vecchio Alvante
a destra l’un, l’altro a sinistra avea.
Quei di virtute egregio e di sembiante,
dal regio sangue origine traea,
e col proprio valor de’ suoi maggiori
a le glorie aggiungea novi splendori.
18L’altro, grave d’etade e più d’aspetto,
del gran re Tingitano è ambasciatore,
uom d’accorto parlar, d’alto intelletto,
di spirti eccelsi e d’animoso core;
venne in Granata ei ne’ primi anni eletto
che la guerra avvampò dal suo signore,
di cui con autorevole sembianza
la dignità sostiene e la possanza.
19Siede Agramasso appresso a lor, che tiene
sovra l’armi del re libero impero,
di lignaggio real la madre Argene
lui con novo splendor rende più altero.
Placido nel sembiante, egli ritiene
misto a dolci maniere il cor guerriero,
e congiunge egualmente, e saggio e forte,
l’arti de la milizia e de la corte.
20Segue Almiren, che de i paterni tetti
da l’umil stato a i sommi affar del regno
innalzàr pura fé, candidi affetti,
antica servitù, costante ingegno.
Profondo è ne i pensier, grave ne i detti,
paziente al soffrir, tardo a lo sdegno.
Accrescono vigore al suo consiglio
libere le maniere, austero il ciglio.
21Rimpetto ad Almiren siedono appresso
Ormusse et Algazel, c’hanno la cura
del governo civil: quei per se stesso
e tardo per l’età l’ozio procura;
questi un tempo or sublime et or depresso
con instabil tenor cangiò ventura;
cadde e risorse, or grato al re s’adopra,
scaltro nel favellar, pronto ne l’opra.
22Omar seguia, che tra i guerrier più chiari
di valore ad alcun non è secondo.
Nutre a l’alta fortuna animo pari,
d’accorto ingegno e di parlar facondo;
per gli aspri monti e per gli ondosi mari
messaggiero del re trascorse il mondo;
fu caro a Febo, e da l’onor del canto
l’innalzò maggior merto a maggior vanto.
23Vedeansi poscia Acmete e Varmillano,
ambo famosi in armi, ambo stranieri:
quegli in corte fanciul giunse di Orano,
questi in più ferma età venne d’Algieri;
l’un de la regia guardia è capitano,
regge l’altro soggette a i suoi voleri
le machine di guerra e i fabri tutti
ch’a moverle, a comporle erano istrutti.
24Quindi, assiso ciascun, gira il tiranno
lo sguardo intorno e dice: «A tutti è chiaro
qual fia del nostro assedio il grave danno,
ch’è dal tempo ogni dì fatto più amaro;
per sollevare in parte il nostro affanno
qui v’ho raccolti, e di saper m’è caro
ne lo stato presente i sensi vostri:
dunque ognun ciò ch’è meglio a me dimostri».
25Tacque il tiranno e fra color ch’avieno
ne la grazia di lui parte maggiore,
fissò dopo le luci in Almireno,
che sorse e così disse al suo signore:
«La nostra patria, inclito re, vien meno,
cede a rigida fame il suo valore,
e, come tu prevedi, avrà cedendo
ne le ceneri sue sepolcro orrendo.
26Almeria debellata, Allama è presa,
e noi, vinti più volte in più conflitti,
or rinchiusi qui dentro a la difesa
siam da vari disagi omai sconfitti.
Dopo sì lunga et inegual contesa
che ne lice sperar, laceri e afflitti?
Donde aiuto verrà? Troppo lontane
sono al rischio vicin l’armi africane.
27Il Tingitan, cui deve esser sospetta
la superbia di Spagna e la fortuna,
benché presto soccorso ognor prometta,
pur non move sue forze e non raguna;
meno il Turco e ’l Soldano; or che s’aspetta
se non resta per noi speranza alcuna?
Morirem con la patria, illustre invero
e di nostra virtù degno è il pensiero.
28No ’l rifiuto, signor, ma più m’aggrada
quel che può sostener la vita e il regno.
Tutto da noi si tenti, e poi si cada
quando a vincer non resti altro disegno.
Ne l’angustia presente una è la strada,
ma convien che in te ceda il proprio sdegno
al bisogno comun; fatta ragione,
così necessità le leggi impone.
29Si richiami Almansorre; egli n’apporte
in sì grand’uopo inaspettata aita;
egli sol può la speme, egli la sorte
rinvigorir de la città smarrita.
Chi di lui più temuto e chi più forte?
Qual gente più feroce e qual più ardita?
Donde sperar l’assediato Moro
può di biade e d’armenti egual ristoro?
30Ma v’è chi già mi sgrida; or dove sono
i semi in noi di quel valore antico?
Qual maggior scorno? aver lo scettro in dono
dal ribello o che ’l cedi al tuo nemico?
Concederemo o chiederem perdono?
Tu d’Almansor, tu d’un fellone amico?
Tante offese impunite, e non fia detto
più di viltà che di clemenza effetto?
31Tale il vulgo discorre, il vulgo insano
il cui cieco parer sprezza chi regna.
Sia vitale il licor che in ogni mano
di gradirlo natura a l’egro insegna.
Precipita il tuo regno, e pensi in vano
qual si possa trovar forma più degna
di sostenerlo? Ah, sia il rimedio presto,
s’ottenga il fine e non s’attenda il resto.
32Colpevol la virtù sovente opprime
e ’l lodato valor talvolta offende,
perché il regio voler giusto si stime
la possanza real l’arma e ’l difende;
ciò che sostien la dignità sublime
a torto, come indegno, altri riprende,
è virtù che talor da i re ne l’opre
s’ammiri la virtù ma non s’adopre.
33Che pro di ritener memorie ultrici
se mancan poi de la vendetta i modi?
Sia virtù l’impotenza e i cori amici
riunite, e spegnete e l’ire e gli odi.
Viver d’un sempre amanti over nemici
son di gente vulgar solite frodi,
ma deve alma real solo nudrire
quanto giovano a lei l’amore o l’ire.
34De i regi affetti è l’util sol misura,
la costanza è trofeo d’umil fortuna;
lo scettro a mantener s’usi ogni cura,
né si curi vergogna o lode alcuna.
Si conserva l’onor se il regno dura,
se questo manca, ogni altro pregio imbruna;
siano i patti ineguali, i mezzi indegni,
non s’osservi ragion pur che si regni».
35In questa guisa al barbaro signore
il sagace Almiren suoi detti espresse,
e quasi sussurrar d’api sonore
breve bisbiglio al suo parlar successe.
Quindi alzossi Agramasso, il cui valore
sdegnò ch’altro compagno or gli giungesse,
et al ritorno d’Almansor s’oppose,
e in questi detti i suoi consigli espose:
36«Può bene empia fortuna armar suo sdegno,
signor, contra di te, può vincitrice
mirar già divenuto il tuo bel regno
del nemico furor preda infelice,
ma de l’animo tuo con atto indegno
oltraggiar la virtute a lei non lice.
Sprezza qual ferma torre Euro spirante
gl’insulti di fortuna alma costante.
37Scorra dunque a sua voglia il nostro impero,
tutto abbatta e distrugga il ferro ostile,
purché non mai con timido pensiero
la fortuna calpesti il cor gentile.
Ma qual sarà, deh non si taccia il vero,
del tuo stato regale atto più vile
che ritorni Almansor? che si richiami,
che si preghi un ribello? E ci è chi ’l brami?
38E ci è chi ’l persuade, e tu l’ascolti?
Tu potrai rimirar gli empi ladroni
l’armi trattar ne la città raccolti,
tinte nel sangue ancor de’ tuoi baroni?
Così dunque Almansor vedrà rivolti
in applausi e trofei lacci e prigioni?
La man ch’a le catene era serbata
partecipe al tuo scettro avrà Granata?
39Quale indegno argomento indi conchiuso
di viltà, di timor fia con tuo danno?
Di sforzata clemenza inutil uso
dal disprezzo è seguito e da l’inganno.
Non curi tu ciò che di te diffuso
fra i giudici del vulgo altro diranno?
E pur la maestà, base del regno,
il concetto del vulgo ha per sostegno.
40Ma concedo, signor, che non si curi
il rumor popular, che non si attenda
la regia dignità, che si procuri,
sia vergogna od onor, che ci difenda;
ma, per Dio, chi sarà che t’assicuri
che il rimedio del mal più non offenda?
e che l’impero tuo da quell’istesso
onde aita sperò non resti oppresso?
41Gente sediziosa e solo avvezza
ne le selve a le stragi et a le prede,
che ragion non conosce e dèi non prezza,
che prometter ci può de la sua fede?
Ch’Almansor non t’opprima avrai certezza?
ei, che odio in te ferve? Ancor si chiede
perché ti deggia odiar? non fusti offeso?
non sai che l’offensore odia l’offeso?
42Aggiungi che il superbo, un tempo usato
a reggere i seguaci a suo volere,
non potrà tollerar qual uom privato
sottoporre i suoi sensi al tuo parere.
Troppo il regnar, troppo l’impero è grato,
né la debil ragion può ritenere
sì fervido desio, mentre s’insegni
non s’osservi ragion pur che si regni.
43Soffriam dunque, signor, che sì vicina
a cader la città non si ritrova,
che prima ad impedir la sua ruina
di Libia il Tingitan l’armi non mova.
Soffriam, signor: così virtù s’affina,
e nel rischio maggior fa di sé prova.
Speri in se stesso ognun, perché a la sorte
al fin col suo valor sovrasta il forte».
44Tal ragiona Agramasso, a cui dispiace,
emulo d’Almansorre, il suo ritorno,
e del publico ben tenta sagace
far che il proprio disegno appaia adorno.
Altri biasma Almansorre, ad altri piace
che si richiami, et è diviso intorno
di costoro il parer, come contrari
son ne gli animi lor gli affetti vari.
45Ma con grave sembiante e parlar grave
Alvante disse al re: «Degno d’onore
non sempre io stimerò quei che non pave:
la prudenza diversa è dal timore.
Chi biasmerà che in agitata nave
de l’ocean fra il tempestoso orrore,
saggio nocchier con providi argomenti
cerchi dar loco a l’impeto de i venti?
46Siamo in stato, signor, che questo regno
sembra in torbido mar nave agitata.
Dove manca il poter cresca l’ingegno:
tutto è permesso a conservar Granata.
Avrìa di regi onori animo indegno
chi volesse prepor l’ira privata
al riposo comun: non si misura
con privata ragion publica cura.
47Torni dunque Almansor. Vano è il sospetto
ch’altri della sua fede a te propone:
di lui conosco il generoso affetto
che aborre indegna colpa, atto fellone,
e se un tempo a i tuoi danni il ferro ha stretto
sai che ne fur sdegno et onor cagione
che spinsero a vendetta il core altero,
non desio de la preda o de l’impero.
48Quando udrà che l’inviti e che lo preghi
de la patria e del regno a far difesa,
non fia che quel magnanimo ti nieghi
di riporre in oblio l’ira e l’offesa.
Che il regno ad occupar l’animo pieghi
non lo creder, signor: troppo alta impresa
fora per lui, né ciò pensar consente
la tua ragion, lo stato suo presente.
49Tu legittimo re, tu riverito
da numeroso popolo divoto;
il mio re, che più importa, è teco unito
de i più chiari baroni è teco il voto.
E sarìa d’usurpar lo scettro ardito
ei, che di gente nova è capo ignoto?
Almansorre a fondar tanta fortuna
non ha, credimi, o re, base opportuna.
50Torni Almansorre e l’impeto trattenga
de l’aspra fame e de lo stuol nemico,
sin che di Libia a liberar ti venga
degno del mio gran re soccorso amico.
Sa il mio signor quanto per lui convenga,
sa il bisogno novel, l’obligo antico;
l’osserverà, ma si dia tempo: armati
l’Africa non produce i suoi soldati».
Ambasciata di Omare e storia della ribellione di Almansorre causata dall’ira di Baudele per sua sorella Maurinda; decide di tornare a Granata e raduna un esercito (51-78)
51Tacque, e d’uom sì prudente a i saggi detti
persuaso riman dunque il tiranno.
«Venga» disse «Almansor. L’ire e i sospetti
spenga il publico rischio, il comun danno:
non sono a legge alcuna i re soggetti.
Io so che vile il mio pensier diranno:
si biasmi, purché giovi al regio stato;
ciò che il regno mantien tutto è lodato.
52Per chiamare Almansor vadano Omare,
c’ha vigor giovenil, senno canuto;
egli, scaltro e facondo, atto mi pare
a movere il feroce in nostro aiuto.
Lodo che, ciò conchiuso, ei passi il mare
come potrà furtivo e sconosciuto,
e mostri al Tingitan quanto vicine
siano al nostro cader le sue ruine».
53A le voci del re tosto s’accheta
il discorde drappel, cessa il bisbiglio,
et in sembianza riverente e lieta
altri applaude co’ detti, altri col ciglio.
Quinci il re, con Alvante, in più secreta
parte si ritiraro e ’l lor consiglio
distinsero ad Omare, et è disposto
come da la città parta nascosto.
54E perché ad Almansor dubbiosa cura
di qualche inganno non ingombri il petto,
gli scrive Alvante istesso e l’assicura
in nome del suo re d’ogni sospetto.
Gli scrive anco il tiranno e lo scongiura
che presti intiera fede a quel che detto
gli fia dal messaggier, che si prepara
a partir quando l’alba il ciel rischiara.
55Da l’assediate mura esce ne l’ora
che la stella d’amor col crin disciolto
sorge a invitar la sonnacchiosa aurora
a trar da l’onde il bel purpureo volto.
Fra la guardia nemica Omare allora
si mesce, e in mezzo a l’armi e a l’ombre involto,
il linguaggio mentendo a lui ben noto,
l’esercito cristian trapassa ignoto.
56Poi dal trito sentier cauto si svia,
e per altro camin sprona un destriero
così leggier che in paragone avrìa
superato lo stral d’arabo arciero.
Lascia il piano a sinistra, indi s’invia
verso i monti vicini ove ha l’impero
col suo drappel l’indomito Almansorre,
che i campi intorno a suo piacer trascorre.
57Da che il falso Zegrindo al re pagano
la consorte Maurinda ebbe accusata,
che dal valor di cavaliero estrano
con la morte di lui fu liberata,
volle il fero Almansor, di lei germano,
sfogar contra del re la mente irata,
visto che, superata ancor l’accusa,
ne l’usata prigion la tenea chiusa.
58L’uom dunque altiero e di vendetta amico,
poco atto al simular, meno al soffrire,
quando il regno divise odio nemico
mosse contra il cognato il ferro e l’ire;
né già perché Baudele il solio antico
riebbe in guerra egli perdé l’ardire,
anzi allora, mostrando il cor più forte,
ricovrossi ne i monti a miglior sorte.
59Le disperse reliquie ivi raccolse
del fuggitivo esercito sconfitto,
et indi poscia ad infestar si volse
del paese vicin le strade e ’l vitto.
Più volte contra lui l’armi rivolse
da vari danni il re pagano afflitto,
ma il valor d’Almansor, l’alpestre sito
fu indarno assediato od assalito.
60Ferrando intanto a liberar Granata
dal giogo saracin mosse la Spagna,
et Almansor de i Mori e de l’armata
fedel scorse le ville e la campagna,
che l’una e l’altra parte ingiuriata
egualmente ne l’odio ei fe’ compagna,
e d’entrambe nemico indifferente
predò le terre e molestò la gente.
61Verso costui da la pianura aperta
si drizza Omar, presa la via più breve,
poiché in essa più occulta e più deserta
men d’insidie nemiche ei temer deve.
Trapassa la foresta e piega ad erta
ove già vede biancheggiar la neve,
e trascorre per calli or alti or cupi,
folte macchie, aspre scheggie, orride rupi.
62Nel sen del maggior monte alfin s’interna
ove angusto sentiero apre l’entrata,
e girando perviene a la superna
cima, che d’ampie selve è circondata.
Qui nudre al giogo alpin la neve eterna
da un rigido Aquilon l’aria gelata,
e qui la terra nel più caldo cielo
veste ad onta del sol manto di gielo.
63Qui sta, questo è l’albergo, e qui risiede
il feroce Almansor con sue masnade,
e qua giunge il guerrier, quando si vede
farsi l’ombra maggiore al sol che cade.
Un, che n’avea la cura, allor gli chiede
come là giunga, e per l’alpine strade
lo conduce ove innalza emulo al monte
il superbo Almansor l’orrida fronte.
64La pelle d’un leon gli copre indosso
il fino usbergo, ha curva spada al fianco,
maneggia un pin col destro braccio e d’osso
grave scudo ferrato alza col manco.
Largo petto, ampie spalle, labbro ha grosso,
crin folto e negro, occhio sanguigno e bianco;
spaziosa è la fronte, adunco il naso,
mostra barbuto il labro e ’l mento raso.
65Salta di sella Omare e in esso appenaS | appenna
ferma lo sguardo il barbaro feroce
che tosto il riconosce, e rasserena,
perché amici già furo, il volto atroce.
Con faccia intanto di mestizia piena
s’inchina Omare, e con dolente voce
del tiranno assediato al fier campione
i prieghi rappresenta e i rischi espone:
66«Signor, cade Granata, il nobil regno
che già mille anni han posseduto i Mori,
strugge del rege ispano il fiero sdegno,
e sazia il nostro sangue i suoi furori;
scorrono senza fren, senza ritegno
i campi abbandonati i vincitori,
fra le stragi lasciando e le faville
disolato il paese, arse le ville.
67Da lungo assedio la città ristretta
forza è pur ch’a i disagi oppressa ceda,
e che divenga de l’iniqua setta
misera pompa e lagrimevol preda.
Già i templi il fier nemico a terra getta,
spoglia i sepolcri e i sacri altar depreda,
e dove oggi da noi Macon s’adora
con novo culto un crocifisso onora.
68Deh tu, da la cui man tutta dipende
la speranza de i Mori e la ventura,
soccorri il popol tuo che mal difende
contra l’impeto ostil le patrie mura.
Se tu non sei, al cui valor si rende
lieve ogn’impresa faticosa e dura,
signor, chi, se non tu che tutto puoi,
può dal giogo vicin sottrarre i tuoi?
69Ah, stringi il ferro, e fia da te sprezzato
il trionfo plebeo d’opre vulgari;
ardisci, assalta, opprimi inaspettato
l’esercito cristian dentro a i ripari.
Questo fia d’Almansor pregio lodato,
questi fian del suo ardir vanti più chiari,
che conduttier di rusticane genti
trionfar de le biade e de gli armenti.
70Generosa pietà t’infiammi il petto,
de la fé, de i parenti e del paese.
Eccedan tutte al publico rispetto
l’ire private e le private offese.
Troppo, lo biasmo anch’io, lieve sospetto
de la moglie pudica il re si prese;
errò, ma scuserà ciascun l’errore
ch’è di troppa credenza e troppo amore.
71Riunisci col re, di cui son io
amico messaggier, forze e consigli:
v’è comune una patria, un seme, un dio,
e son comuni a voi danni e perigli.
Sia quell’odio primier posto in oblio,
non più rigide selve e duri esigli;
ch’a noi ritorni il re non sol già brama,
ma per me te ne prega e ti richiama.
72Lui, che t’offese, intrepido sprezzasti,
e lui, che a te ricorre, amico accetta.
Ti prega il re: tanto, signor, ti basti;
qual più degna e più nobile vendetta?
La potenza real, che tu crollasti,
così godrai che fia da te protetta.
Su l’armi, su, già con novelli onori
ti chiama ognun liberator de i Mori».
73Tacque, e diede le carte, e ’l saracino,
letto e pensato ch’ebbe, il capo scosse.
Indi crollato il noderoso pino
con un grido tonando il ciel percosse:
«Non più vendetta; al publico destino
le mie offese consacro e le mie posse.
Dono l’ire a la patria; andiamo o miei:
è perdita l’indugio; armi, trofei».
74Da un vicin faggio un corno adunco e grave,
dente già d’elefante, affisso pende:
deposta la ferrata eccelsa trave,
infuriato il saracin lo prende;
l’accosta a i labbri, e variando or cave
et or gonfie le guance il fiato rende;
il suon prorompe da l’orribil tromba,
tremano le caverne e ’l ciel rimbomba.
75Conosce il suon, ch’a la tenzone alletta,
il vulgo abitator di quei dirupi;
corrono tutti al lor signore in fretta
da i burron, da le grotte e da le rupi.
Chi ha lo spiedo e chi l’arco e chi l’accetta,
chi veste pelle d’orsi e chi di lupi;
scote ognun l’armi, e con terribil faccia,
dimandando battaglia urla e minaccia.
76Omar di quella turba impaziente
loda il fervido ardir con Almansorre,
e come e quando la cristiana gente
egli debba assalir seco discorre.
Ma già volgendo il corso a l’Occidente
i regni di Marocco il sol trascorre,
e stende per lo ciel la notte intanto
d’auree stelle trapunto il fosco manto.
77Così posaro, infin che il primo raggio
del dì l’aurora in Oriente accese.
Omare allor risorse, e il suo viaggio
di Malaga feconda al lito prese.
Stette Almansorre e con lo stuol selvaggio
apparecchiossi a le future imprese,
e de i vicini abitatori audaci
a le sue squadre aggiunse altri seguaci.
78Altri assoldò con l’oro altrui rapito,
altri allettò con le promesse prede,
altri infiammo col generoso invito
di sostener l’onor comun, la fede.
Seimila fur quei che il pagano ardito
schierò, parte in arcione e parte a piede;
e poiché ragunò biade et armenti,
verso il campo cristian mosse le genti.
Omare sulla strada per il regno dei Tangitani finisce agli inferi, dove ammira il tempio della Ragion di Stato (79-113)
79Da i monti intanto ove Almansorre alberga,
partito il messaggier segue il camino,
e scende alfin da le sassose terga
ne la valle cui bagna il mar vicino.
Qui, prima che ne l’acque il dì s’immerga,
disegna ristorarsi il saracino;
lascia dunque la sella, et egli stanco
posa nel molle prato il duro fianco.
80Ma sceso appena, ardere intorno ei mira
il torbido splendor d’accesi lampi,
ode il tuon che del ciel publica l’ira,
copre insolit’orror gli aerei campi,
scende la pioggia, e mentre l’occhio gira
per l’aperta campagna ov’egli scampi,
vede il pagan che contra il nembo atroce
stende ombroso riparo antica noce.
81Là correndo s’invia, là giunto ei vede
che la noce da gli anni ha il seno roso,
e dal turbine rio comoda sede
stima il concavo grembo al suo riposo.
Ma ne l’arbore a pena ha fermo il piede
Omar che si restringe il seno ombroso,
la corteccia che manca appar di dentro,
l’arbor si chiude e serra Omar nel centro.
82Qual ne l’umide reti il pesce chiuso
tenta indarno la fuga e perde il nuoto,
tal ne la pianta il cavalier deluso
tenta indarno l’uscita e perde il moto.
Mentr’ei si sdegna, attonito e confuso,
scuote la noce un subito tremoto;
quinci a i piedi d’Omar manca la terra,
et a piombo il guerrier cade sotterra.
83Cade ne la voragine improvisa
il saracin, ma la caduta è breve,
poiché (cui né sa dove et in che guisa)
d’un tenero pratel l’erba riceve.
Nel loco sotterraneo il guardo affisa
Omar sospeso, e qual da sogno lieve
uom che si desti, attonito non crede
quel ch’ode, quel che tocca e quel che vede.
84Alfin rivenne, e diè credenza al vero;
mirò d’intorno, e gli si offerse avante
nel verde prato un picciol sentiero
ove con dubbio cor messe le piante.
Mentre incerto ei movea l’orme e il pensiero,
gli fère alto splendor l’occhio vagante,
indi con mille faci ardenti e chiare
in cima al prato una meschita appare.
85Colà si drizza, e giunto Omare appresso
sente dal tempio un suono altier, che grida:
«O tu, cui raro insolito successo
a questo albergo impenetrabil guida,
qui si riserba al tuo signore oppresso
opportuno soccorso; entra e ti fida».
Tace, e move il guerrier senza paura
l’ardito passo a le superbe mura.
86Sparsa di fini marmi è la meschita,
che sembran tolti alle numidie corti,
da saggia mano a fregi d’or scolpita
con ricca pompa e con lavori ignoti.
La Ragion ch’a gli stati il mondo addita
sta con l’Ipocrisia fra i sacerdoti
del nuovo tempio, e qui confonde l’opre
e col vel di pietà l’insidie copre.
87Qui sta, quindi talor senza riparo
ne gli altrui cori il venen diffonde,
e trascorso è da lei ciò che giraro
il sol co’ raggi e l’ocean con l’onde.
Penetra ogni loco e benché raro,
infin ne le capanne ella s’asconde,
talor godendo infra i selvaggi orrori
conversar co’ bifolchi e co i pastori.
88Con sollecita cura anche frequente
ne le corti reali ha la sua stanza:
nutrir con finto riso un odio ardente,
far sua legge il volere e la possanza,
sprezzar ragion di sangue, onor di gente,
spergiurando ingannar con la speranza,
crescer ne i danni altrui, tradir gli amici
sono quivi di lei l’arti e gli offici.
89Intanto a la meschita Omare arriva,
ché ne l’altera soglia entrar desìa,
e la Simulazion, che l’uscio apriva
ne l’occulta magion, seco s’invia.
Qui la Furia ei trovò che si copriva
d’un manto che le diè l’Ipocrisia,
per simulare alma e pensier celeste;
colorata d’azzurro era la veste.
90Intorno a lei stava il drappel raccolto
ch’a gli offici del tempio era sacrato,
et essa in trono eccelso e d’ostro avvolto
lieta sedea con duo compagni a lato.
Cela il perfido cor placido volto,
lusinga il riso et avvelena il fiato.
Mira quel che non vuol l’occhio mendace,
ha parole soavi e man rapace.
91L’Interesse e ’l Sospetto erano seco:
d’Arpia la faccia e di falcon gli artigli
rappresenta il primiero, e in guardo bieco
par che negare o che rapir consigli;
il secondo ha cent’occhi, occhiuto cieco,
non vede, e preveder crede i perigli,
ha cent’orecchie, mentre a tutto attende
di sicuro e di ver nulla comprende.
92Lungi da lor sussurrano in disparte
l’Inganno astuto e ’l Tradimento infame,
che col titolo pio di zelo e d’arte
coprono ingorde voglie, indegne trame.
L’Ambizion, l’Invidia erano a parte
de le lor cieche e scelerate brame.
Da la Simulazion, ch’era l’usciera
gli ordini ricevea l’iniqua schiera.
93A la falsa Ragion quindi arrivato,
Omare essa il riceve e gli favella:
«Amico, alto voler t’ha qui guidato
per tua sorte miglior; sappi, io son quella
che con titolo eccelso et onorato
de gli Stati Ragione il mondo appella.
Qui ti attendo, e preposta al tuo viaggio
devo in Africa aprirti il gran passaggio.
94Del nemico Ferrando armati i legni
ne i mari intorno han libero il domino,
sì che tu per te stesso in van disegni
trovar scuro in Africa il camino.
Perché il viaggio a proseguir t’insegni,
qua dunque ti condusse alto destino;
tutto è provisto, e co’ novelli rai
del novo giorno al tuo viaggio andrai.
95Sarà nel mar vicin nave sicura,
di cui fieno i nocchieri i duo che miri
l’Interesse e ’l Sospetto, e avran la cura
in Africa portarti ove desiri.
Ivi nel Tingitan guerriera arsura
fia che teco la coppia occulta ispiri.
Resta intanto, e farai meco soggiorno
sinché al partir t’inviti il novo giorno»,
96disse, et umile il messaggier rispose:
«O gran donna, de i regni alma e de i regi,
che sovra l’alte leggi il ciel prepose
gli imperi a moderar con novi pregi,
prendo i consigli, e per le piagge ondose
già mi commetto a i tuoi ministri egregi;
poiché il tuo senno e ’l tuo favor mi è scorta
già l’oppressa città veggio risorta».
97La Furia rimirollo e si compiacque
di sue parole, e disse: «Invan non speri:
al soccorso de i tuoi vedrai per l’acque
tratti su i mauri abeti i regni intieri.
La cura mia, sia mio l’onor», qui tacque,
et al chiaro splendor d’aurei doppieri
guida Omar, dove splende in varia guisa
di belle istorie un’ampia scala incisa.
98Qui di rare vivande a lauta mensa
lo stanco messaggier prende ristoro,
ma parte del convito anche dispensa
a mirar de la sala il bel lavoro.
Ei tra sé, curioso, osserva e pensa
di chi sian le figure e i casi loro;
l’altra, sagace, il suo desio raccolse,
e finita la cena a lui si volse:
99«S’io pur non erro, o cavalier, vorressi
de le figure aver notizia alcuna,
e penetrar gl’incogniti successi
e ’l nome de gli autori e la fortuna.
Questi sono i miei casi e i miei progressi
da che prima del mondo ebbi la cuna.
ma l’udir sarìa forse a te noioso,
ché stanco dal viaggio ami il riposo».
100Tacque, e dal saracin fu replicato:
«Tu sei del mio pensier donna presaga,
dunque del tuo natale e del tuo stato,
se non ti è grave, il mio desire appaga.
D’udir ciò che da te mi fia narrato
più che di riposar la mente è vaga».
«Poiché (diss’ella) il tuo voler m’ispira,
io mostro e parlo, e tu mi ascolta e mira.
101Mira de l’empia volta il curvo giro
dove appar la sublime empirea mole,
dove in trono di lucido zaffiro
gode Dio ciò che vuol, può ciò che vuole.
Mira che l’Angel bello, in cui fioriro
i raggi e lo splendor pria che nel sole,
di se stesso invaghisce, e pien di fasto
move al proprio Fattore alto contrasto.
102Vedi che in Ciel, fra i turbini di guerra,
de la Superbia e di Lucifer nacqui.
Vedi Michel che i suoi nemici atterra,
di cui farmi seguace io mi compiacqui.
Vedi che poi co i padri miei sotterra:
vinta in battaglia esiliata io giacqui,
pur serbammo fra l’ombre, anche sconfitti,
ne le perdite estreme i cori invitti.
103Ecco il quadro primier: vedi in quel loco
che Dio da la gran massa, ove giacea
confuso il mar, la terra e l’aria e ’l foco,
con arte onnipotente il mondo crea.
Del novo Paradiso eterno gioco
col felice marito Eva godea,
quando l’assalì, e co i fallaci detti
del serpe lusingai gl’incauti affetti.
104Quivi, già persuaso il folle Adamo
al supplicar de l’avida consorte,
cogliendo il frutto dal vietato ramo
coglie al genere uman frutto di morte.
Vincitrice io dipoi, di ramo in ramo,
scorsi ne i figli suoi con varia sorte,
e per me diede il misero fratello
tacita morte al favorito Abello.
105Del mio raro saver chiari trofei
furo i giudici e i regi in Israelle,
e posso annoverar fra i vanti miei
Aristobulo, Ammano e Achitofelle.
Nel consiglio famoso a i mesti ebrei
ebbi di Caifà palme novelle.
Io de l’alta sentenza espressi i voti,
e fui poi sempre amica a i sacerdoti.
106Or china gli occhi, e a la seconda parte
de l’eccelsa parete il guardo affisa,
e mira tu con che mirabil arte
fra deità pagane io sono incisa.
Gli eserciti colà Giove comparte,
e move al genitor guerra improvvisa;
io movo i suoi desiri e le sue squadre,
ond’ei scaccia dal regno il vecchio padre.
107Vedi tu germogliar le mie vittorie
per secoli diversi infra i pagani,
e publicar le più lodate istorie
de le mie leggi i riveriti arcani.
Io sul Tebro fondai le prime glorie
de la dottrina mia tra i duo germani,
quando Romolo espresse in Remo estinto
che dal mio senso ogni rispetto è vinto.
108Stabilisce fra tanto il novo impero
su la base del zel Numa sagace.
Vedi Silla crudel, Mario severo
de l’incendio civil gemina face.
Il fatal Rubicon varca primiero
spinto dal mio favor Cesare audace,
e nel popol romano i semi spande
d’ignota servitù Tiberio il grande.
109Segue l’altra parete: ivi dispone
con gli auspici di Sergio e più co’ miei,
altri riti, altre leggi il tuo Macone,
a gli Arabi felici et a i Sabei.
Cuna è del suo natal la mia ragione
ch’erge al novo profeta alti trofei,
e quinci a gara il suo gran nome adora
l’ultimo Atlante e la remota aurora.
110Fatto re di pastor, cangia Ottomano
la verga in scettro e la capanna in trono.
Conferma poscia il valoroso Orcano
il turco impero, e lor ministra io sono.
Mia prima gloria e mio splendor sovrano,
vedi Maumet, da cui non ha perdono
sesso, legge od etate: uccide e scaccia
e con la scorta mia tutti minaccia.
111Vedi altrove portar gli arditi Mori
felici guerre a incognite contrade,
e correr gloriosi e vincitori
de la terra e del mar l’ultime strade.
Moderò la mia guida i lor furori
quando varcaro i termini di Gade,
per vendicar del conte il giusto sdegno
e fondar ne la Spagna il novo regno.
112Ecco l’ultimo quadro: ivi mostrarti
potrei quante ruine e quanti danni
io faccia tra i cristiani, e con quali arti
regni tra lor per lungo corso d’anni.
Vedresti in vari tempi, in varie parti
servire al culto mio vari tiranni,
ma l’ora è tarda, e tu col novo raggio
dei sollecito uscire al tuo viaggio».
113Così del suo natale e del suo stato
la Furia palesò l’alte venture,
e de l’istorie ond’era il muro ornato
fece i titoli noti e le figure.
Quinci perché furtivo il sonno alato
sopiva i sensi e raddolcia le cure,
ella parte, e deposto ogni pensiero
prende un cheto riposo il messaggiero.