ARGOMENTO
Il feroce Almansor con le sue genti
porta al campo cristian guerra impensata,
e a sua voglia introdotti ampi alimenti
col re si stringe a custodir Granata.
Dona ad un brando il Ciel tempre potenti.
Soccorre Osmin la sua Silvera amata;
se ne turba Altabruno, e per Elvira
l’indomito Morasto arde e sospira.
Almansorre dà battaglia al campo crociato; entrano in battaglia Ferrando con il suo brando divino e Agramasso con le forze di Granata, tamponato dal duca di Sidonia (1-44)
1Superato avean già mezzo il camino
i destrieri del sol nel corso usato,
e da l’arco del ciel piegando al chino
precipitar voleano il carro aurato,
quando il fero Almansor giunse vicino
ove il campo cristiano era attendato,
e da un colle mirò su l’aste ibere
tremar pennoni et ondeggiar bandiere.
2Qual feroce leon che mai pasciuto
lungo digiun per molti dì non abbia,
il desiato pasto alfin veduto,
con la coda e col piè batte la sabbia,
rugge e gonfia le nari e ’l collo irsuto
scote, e gira le luci ebbre di rabbia,
la dentata caverna apre et in essa
par che voglia inghiottir la selva istessa,
3tale il crudo pagano allor che scorse
gli stendardi, i cimier, l’armi e l’imprese
si commosse, e fremendo in lui risorse
l’ira, che nove furie al sen gli accese.
Crollò l’orribil capo, i labbri morse
e vibrò l’asta, e sovra un’erta ascese,
e del vulgo seguace i cor feroci
a la pugna infiammò con queste voci:
4«Quello è il campo, o soldati, ove ci aspetta
o famosa vittoria o infame esiglio.
Là de l’empio cristian giusta vendetta,
là perpetuo l’onor, breve il periglio.
Se vi accende virtù, preda vi alletta,
non cercate altro loco, altro consiglio;
gemme, porpora et or d’avara corte
a voi con poco rischio offre la sorte.
5Sprezza il gonfio spagnol la nostra gente,
ne le nostre discordie insuperbito,
onde, colto improviso, agevolmente
sarà vinto da noi pria ch’assalito.
I parenti e la patria ecco presenti,
supplici e lagrimosi io ve gli addito.
Andiamo a sollevar gli amici oppressi,
corriamo in loro a conservar noi stessi.
6Corriam dentro a l’esercito cristiano,
io primo ferirò le squadre ostili.
Trionferem del gran tiranno ispano
non de’ rozzi tuguri e de gli ovili.
Su, fra i nemici a insanguinar la mano,
quanto orgogliosi più tanto più vili;
de’ Mori al vostro ferro il ciel destina
servaggio o libertà, gloria o ruina.
7Ma che v’indugio, e indarno, o miei diletti,
gli altrui danni prolungo e la mia speme?
Io capitan, voi miei compagni eletti,
quanto abbiam combattuto e vinto insieme?
A la preda, a l’onor». Mosso a tai detti
il selvaggio drappello «Arme, arme» freme,
e con gli atti e col volto acceso d’ira
guerra, sangue, terror minaccia e spira.
8Quinci assegna Almansor de le sue genti
scelta squadra a Morasto, e gli dà cura
de le biade raccolte e de gli armenti
il soccorso condurre entro le mura.
Dove meno i cristiani erano intenti
questi per via più lunga e più sicura
denno entrare in Granata, in cui già tutto
sapeva il re, da fedel messo istrutto.
9De i timpani Almansorre e de le trombe
vuole allor che minacci il suon lontano.
Già si apprestano gli archi e già le frombe,
già si vanno apprestando al campo ispano.
Indi, quasi falcon che d’alto piombe
sovra stormo d’augelli, il fier pagano
spronò il destriero e ’l fe’ volare a salto
contra i nemici al sanguinoso assalto.
10Qual se l’atre caverne Eolo disserra,
ove imprigiona i venti e le procelle,
Borea prorompe e con terribil guerra,
sferza il mar, crolla i monti e i boschi svelle;
o quale uscendo ad infettar la terra
vibra i serpi Megera e le facelle,
e sparge doppiamente in ogni loco
da la bocca e dal crin veleno e foco,
11tal non men furioso o men veloce
de la furia e del vento allor si mosse,
precipitoso il saracin feroce
e de’ cristiani il primo stuol percosse.
Né sì mai tra gli augei d’aquila atroce
suol far l’avido rostro o l’unghie rosse,
né il lupo incrudelir tra greggie imbelli
come il fero Almansor fece tra quelli.
12La gente di Valenza avea in tal parte
la cura di guardar quel dì le tende:
l’urta il crudo pagan, l’apre e la parte,
cavalli e cavalieri a terra stende.
Visto il sangue stillante e l’armi sparte
vie più nel fero cor l’ira s’accende;
ei con sembiante orribile si getta
fra la schiera nemica ov’è più stretta.
13Fère a Blasco la gola, a Diego il seno
e la sinistra ad Ariman recide,
sì che il destrier, che più non sente il freno,
imperversa e da sé tosto il divide.
Fa la calca girar sì il brando appieno
che Sarmeto e Ferrer d’un colpo uccide,
e a lo spirto vital del buon Garzía
ne la destra mammella apre la via.
14Tra un ciglio e l’altro a Radamiro in fronte
immerge il ferro, e d’una punta svena
Lope di Villapando, e Pinamonte
fa d’un urto cader sovra l’arena;
a Sancio d’Elche, a Favila d’Aimonte,
trapassa a questo il ventre a quel la schiena;
d’un rovescio nel volto Alcone arriva,
gli parte il naso e de la vista il priva.
15Dissipato da un sol, già si confonde
il popol di Valenza, e intanto arriva
la gente d’Almansor, che si diffonde
ne gli steccati onde ciascun fuggiva.
Tal pria da un lato con le torbide onde
il Po suol penetrar l’opposta riva,
indi uscir da più bocche e del suo sdegno
i trionfi spiegar senza ritegno.
16A i gridi, al suon de l’armi, a le percosse,
al rumor de’ guerrieri e de i cavalli,
gonfiàrsi i fiumi e la città si scosse,
tremaro i monti e risonàr le valli.
Tuonano «A l’armi», a l’armi ognun si mosse
al replicar de i concavi metalli.
Fiammeggia il ciel de l’or del ferro a i lampi,
indi sorge la polve e adombra i campi.
17Al regio padiglione arriva intanto
il rumor, ch’è più grave ognor sentito,
e co i baroni il gran Ferrando a canto
a sedare il tumulto erane uscito.
Maestoso ei risplende in aureo manto,
con lieto sguardo e con sembiante ardito,
e per nunzi veloci a i suoi guerrieri,
quali il rischio chiedea, manda gl’imperi.
18Frena con la sinistra un destrier sauro
ne i paschi de la betica contrada
nato di madre ibera e padre mauro,
che col piè divorar sembra la strada.
Col pomo di diamante et else d’auro
vibra la destra man l’invitta spada,
la spada formidabile e fatale
che formò, che gli diè fabbro immortale.
19Quel dì primier che da celeste zelo
acceso il gran Ferrando incontro a i Mori
mosse l’armi pietose, apparve in cielo
nube sparsa d’insoliti splendori;
questa, tonando e da l’opaco velo
seminando d’intorno aurei fulgori,
rapida si calò, qual chiaro lampo,
al magnanimo re, presente il campo.
20S’apre la nube e in mezzo a lei si vede
un cavalier d’armi sì bianche adorno,
che di puro candor la neve eccede
e mille rai sparge da gli occhi intorno.
Men candida e men chiara è allor che riede
l’alba dal Gange a far la scorta al giorno.
Vibra una spada ignuda e al re con queste
voci favella il cavalier celeste:
21- Io de la gloria e de l’impero ispano
il protettore Apostolo son io,
al cui sepolcro il peregrin lontano
rende in Galizia il sacro culto e pio.
La spada che vibrar con questa mano
mi vedi è quella che mi diede Iddio
quando mandommi da l’empireo giro
a dar presto soccorso al buon Ramiro.
22Pugnai con questa e fui con questa io visto
tra le schiere pagane aprir la via
de la vittoria al popolo di Cristo
dissipando la turba iniqua e ria.
Et or che movi al glorioso acquisto
a te con questa il Re del Ciel m’invia,
perché facci con lei su l’empia setta
de l’ingiurie del Cielo alta vendetta.
23E perch’ei sa ch’a i pensier giusti e santi
fia che opponga l’Inferno armi diverse,
vuol che solo in toccare opre d’incanti
vinca il brando fatal l’arti perverse -.
Tacque il santo, e di novo a i riguardanti,
riunita la nube, ei si coperse.
S’alzò la nube al cielo e il gran Ferrando
si trovò ne la destra il sacro brando.
24Cessato lo stupore, il re divoto
affissa verso il ciel la faccia accesa,
e l’Apostolo adora et offre in voto
al nome suo la destinata impresa.
Scorre intanto la fama e ’l caso noto
a l’esercito pio narra e palesa,
onde fonda ciascun d’alta ventura
su il miracol divin speme sicura.
25Stretto il brando fatal dunque s’invia
il re cristian verso il novel rumore,
et a chi sopravvien chiede tra via
onde proceda e chi ne sia l’autore.
Disperso intanto il primo stuol fuggìa
del feroce Almansor l’alto furore;
ei su le turbe pallide e smarrite
fulminava le morti e le ferite.
26Fulgiron di Miranda era vicino
ove i cristiani distruggea quell’empio,
e la sua gente incontro al saracino
istigava co’ detti e con l’esempio:
«Qual ricovro pretende e qual camino
d’infamia, di timor? Così fa scempio
di voi un vil pagan? Mirate, io solo
vo’ con esso affrontar tutto il suo stuolo».
27Tal gridando si vanta il cavaliero
che tra i primi in orgoglio era il maggiore,
e precorrendo i suoi contra quel fiero
abbassò l’asta e spinse il corridore;
ma qual faggio robusto o scoglio altiero
che de i venti e del mar sprezza il furore,
tale al colpo, che l’elmo in van percosse,
il feroce Almansor nulla si scosse.
28E nel passar che fe’ colui d’appresso
con la sinistra intrepido l’arresta,
e col pomo e col pugno al tempo istesso
frange con l’altra man l’empio e la testa.
«Ecco v’attende il vil pagano oppresso:
chi a trarlo prigionier di voi s’appresta?
La gloria d’Almansorre a voi si serba.
Venite, a che temer gente superba?».
29Con tali scherni il saracin sbaraglia
de la schiera fedel gli ordini folti,
e il duca di Candìa ne la battaglia
si oppone invan con quei ch’avea raccolti.
Poiché freme Almansorre e fora e taglia,
qua scemi i busti e là divisi i volti,
par che con suo vantaggio al braccio forte
conceduta la falce abbia la Morte.
30Il suo drappel, dietro a tal guida audace,
fa del popol cristian scempio inumano.
Da la mazza d’Ormanne Osorio giace,
svenato da Selin cade Medrano,
Ordonio altero, Ermofilo sagace
gemon sotto Ismaelle e Ramadano,
trafitto muor, da l’una a l’altra banda,
per le mani d’Aumar Guasco d’Arranda.
31Con l’accetta Oradin Pelagio atterra,
da i colpi d’Albenzar Filippo langue,
e ’l superbo Azaman calpesta in terra
col pesante destrier Gonzalo esangue.
Cresce ognor nova gente, arde la guerra,
tutto ingombra la polve e macchia il sangue;
assordan gli urli, i gemiti e le strida
di chi muor, di chi punga e di chi grida.
32Quivi dunque cedea dispersa e rotta
al furor d’Almansor la gente ibera;
e già dal gran Ferrando era condotta
contra il fero pagan la sua bandiera,
quando verso le mura, ove ridotta
non lontana Morasto ha la sua schiera,
s’udì novo rumor, che giunse al cielo,
e si strinse a i cristiani il sangue in gielo.
33Agramasso è costui che parte guida
de gli assediati, e con Osmin la scorta
apparecchia al soccorso, e il re gli affida
con l’altra gente armato in su la porta.
Riconosce Ferrando a quelle grida
ciò che pensi il nemico, e i suoi conforta,
e con la faccia baldanzosa appella
il duca di Sidonia e gli favella:
34«Di verso la città move il tiranno
co’ rinchiusi guerrier rischio novello:
vanne, e provedi tu ch’ivi alcun danno
non ricevano i miei dal popol fello.
Dove strage crudel questi empi fanno
io di qua me n’andrò col mio drappello:
tu rispingi color dentro le mura,
ch’io di frenar questi altri avrò la cura».
35Così parte gli offici, in simil guisa
l’accorto agricoltor s’oppone a l’onda
de la piena, che torbida e divisa
minacciosa in più lati urta la sponda.
Passa il duca ove cede a l’improvisa
guerra il vulgo cristiano, e lo seconda
d’Armonte d’Aghilar figlia Silvera,
c’ha in teneri sembianti alma guerrera.
36Questa sdegnò con marziale affetto
di studio feminil placid’onore;
chiuse indomiti spirti in molle petto,
strinse in tenero sen bellico ardore.
Quinci di trattar l’armi ha sol diletto,
e di rara beltà, d’alto valore
unisce i pregi in sì mirabil sorte
che non sai s’è più bella o s’è più forte.
37Ma congiunte fra tanto avean le genti
Agramasso e Morasto, e ne le mura
introdotto il soccorso e gli alimenti
per la via ch’è più lunge a la pianura.
Essi poi, di riposo impazienti,
de l’assalto fra lor presa la cura,
dove il nemico men dovea temere
urtàr con più furor le prime schiere.
38Strepitosi s’udìr da vari lati
le trombe e i corni, i timpani e i taballi.
Quinci Agramasso, indi Morasto entrati,
varcàr la fossa, agevolaro i calli;
superàr le difese e gli steccati,
sossopra rovesciàr fanti e cavalli,
et a pro di color che gli seguiro
vinser gl’intoppi e l’ordinanze apriro.
39Quai da l’alto Appennin gonfi e spumanti
caggion talor con gemina ruina
duo fiumi, e fanno a gara a gli abitanti
de’ campi e de gli alberghi ampia ruina,
se congiungono alfin l’acque sonanti
niegan di gir concordi a la marina,
ma contrastano urtando in rauca voce
la gloria del tributo e de la foce,
40tale Agramasso e tal Morasto a prova
con dispietata gara apron le schiere.
Sbigottito, il cristian scampo non trova
donde l’orribil coppia assale e fère.
Vana è la fuga, il contrastar non giova,
caggiono padiglioni, armi e bandiere,
già sorge qui con spaventosa imago
di corpi un monte, ivi di sangue un lago.
41Emulo di valor facea non lunge
Osmin del popol fido aspro macello:
a Remegildo il destro fianco punge
e ne trae l’alma in tiepido ruscello;
dal busto il collo a Simmaco disgiunge,
d’un taglio ad Engerlan, ch’è suo fratello,
fende il capo, e ad Argeo da Roncisvalle
caccia il ferro nel sen, ch’esce a le spalle.
42Or mentre da costor battute e sparte
son le squadre cristiane, intanto arriva
il duca di Sidonia in quella parte,
e conferma lo stuol che già fuggiva.
Ferve di qua, di là l’ira di Marte,
e i cori infiamma a l’armi, e si ravviva
l’ardir ne i fuggitivi e la baldanza,
sì che pari è il valore e la speranza.
43Cozzan gli scudi e pugnan l’aste insieme,
guerreggia man con man, spada con spada,
elmo con elmo e piè con piè si preme,
e non cede verun, mentre non cada.
Non si cura la morte e non si teme,
poiché il morir più che il ritrarsi aggrada.
Così strette fra lor sono le schiere
che fanno ombra comune aste e bandiere.
44Versa nembo di strai pioggia di morte,
ferrea nube nel ciel sospende il giorno;
a i dardi, a le saette in strana sorte
sembrano angusti i campi e l’aria intorno.
Avvien che, rilanciata, offesa porte
a chi pria la scagliò nel suo ritorno
l’asta, e che dal suo stral rispettato
chi prima lo scoccò resti piagato.
Duello pari tra Silvera e Agramasso, interrotto dal sopraggiungere di un drappello moro nel momento in cui l’amazzone perde l’elmo (45-58)
45Ma fa più di ciascun Silvera bella
contro il vulgo infedel prove ammirande.
Feriti di sua man lascian la sella
Muleasse il crudele, Orcano il grande.
Punto da lei nella sinistra ascella
il fero Soliman l’anima spande,
e, su la fronte Saladin colpito
di piatto, in sul terren cade stordito.
46Poi là dove mirò lo stuol ibero
che dal forte Agramasso oppresso giace
in soccorso de’ suoi mosse il destriero,
accesa il cor di generosa face.
Benché lunge prevede il suo pensiero,
né già lo schiva il saracino audace,
ma contra lei per la medesma strada
rivolge il corridor, l’ira e la spada.
47Su gli elmi al primo tratto ambo colpìrsi,
che rimbombàr quasi sonore squille.
Vietò la tempra eletta allor ferirsi,
ma uscìr dal fino acciar lampi e faville.
Comincia la battaglia ad inasprirsi,
e rinovano i colpi a cento, a mille.
Già di penne i cimier restano ignudi,
son rotte l’armi e laceri gli scudi.
48Tante giamai da le silvestri piante
non caggiono l’autunno aride fronde,
non sì spessa giamai nube tonante
dal nero sen la grandine diffonde,
né giamai tante arene Austro spirante
ne i diserti di Libia alza e confonde
quanto frequente la tempesta cade
de i colpi lor da le fulminee spade.
49Coglie una volta il saracin possente
la magnanima donna in su la fronte,
sì che sembra per lei che col fendente
ruinando dal ciel cadesse un monte.
L’aspra percossa a la confusa mente
fa parer che il suol tremi e ’l sol tramonte,
e sì di senso e di vigor la scote
che le groppe al destrier l’elmo percote.
50Qual palma ch’alcun peso indarno opprima
ch’ove più carca sia più si solleve,
e con salda virtù l’altera cima,
superato il contrasto, alzi più lieve,
tal la guerriera alto valor sublima
del colpo a vendicarsi acerbo e greve;
tira una punta a la sinistra costa
et apre e scudo e piastra e maglia opposta.
51Ventura ebbe il pagan che non percosse
il ferro appien dove colei drizzollo;
pur strisciando ferillo, e l’armi rosse
lasciò d’intorno al fianco ove squarciollo.
Non sì orribile è il mar s’Euro il commosse,
non sì fero il leon s’altri piagollo
quanto il pagan, che vinto ogni suo schermo
sente il sangue spicciar dal fianco infermo.
52Le furie sue, le forze sue raguna
tutte in quel punto e corre a la vendetta,
e solo intento a l’ultima fortuna,
preso il brando a duo man lo scudo getta.
Non scaglia o sasso o stral machina alcuna
con impeto simil, con egual fretta
come in aria fischiando in suon tremendo
scese contra Silvera il ferro orrendo.
53Lunge dal saracin spinge il cavallo
la provida guerriera, e ’l colpo schiva,
che del tutto però non scende in fallo
ma in passando il destrier da tergo arriva;
la barba, che di lucido metallo,
con fregio triplicato il ricopriva,
nol può salvar da la nemica spada
sì che a terra ferito egli non cada.
54Cade seco Silvera, e ’l fier pagano
per calpestarla il corridor sospinge,
ma questi inciampa e si riversa al piano
col suo signor, che sovra lei si stringe.
Libera dal destrier, pria con la mano
Silvera il saracin da sé respinge,
indi seco del par sorge di terra
e lui che l’afferrò del pari afferra.
55Con le robuste braccia ambi si fanno
aspre ritorte, indissolubil nodi;
ambi di qua, di là tentando vanno
novi per atterrarsi e vari modi;
ambi a gara in lor onta et in lor danno
tutte adopran le forze, usan le frodi;
or l’uno incalza l’altra, or l’altra cede,
s’incurva or questa, or quei frapone il piede.
56La turba folta intorno a lor si serra
e quasi in cerchio i duo campioni accoglie,
e i suoi casi obliando a l’altrui guerra
pende intento ciascun con dubbie voglie.
Intanto il saracin per l’elmo afferra
Silvera, e ’l tira sì che si discioglie,
et esce alfin di capo, ond’ella resta
fra lo stuolo pagan nuda la testa.
57Giù per gli omeri sparso in flutti d’oro
fra i lampi de l’acciaio il crine ondeggia,
con perle di sudore in bel lavoro
de le guance la porpora rosseggia.
Piagano e appagano gli occhi, e dolce in loro
fra le pompe d’amor l’ira fiammeggia,
e in sembianza cortese et acerbetta
con soave rigor minaccia e alletta.
58Da lei si sciolse e raffrenò lo sdegno
il saracin, sospeso a cotal vista,
stimando al suo valor quel vanto indegno
che da vittoria feminil s’acquista.
Intanto sovra lei senza ritegno
corre la turba furiosa e mista;
intrepida Silvera il ferro gira,
e rintuzza a color l’impeto e l’ira.
Silvera è salvata dall’amato saraceno Osmino: Altabruno, cristiano non ricambiato da Silvera, se ne cruccia e fa strage di musulmani (59-71)
59Pure estinta cadea, ché d’ogni lato
contra le sorvenìa gente novella,
ma sopragiunse Osmino, il qual gettato
Teodosio d’Argonda avea di sella;
spinge il destriero, e dove è più calcato
il popolo indistinto egli flagella,
e col grido e con l’urto e con la spada
nel mezzo a i duo guerrier fassi la strada.
60Fra ’l tumulto, lo strepito e le grida
Osmin penetra, e appena il guardo affisa
nel crin, nel volto, ove il desio lo guida,
che le note sembianze ecco ravvisa.
Trema, suda, arrossisce e non si fida
de’ propri sensi l’anima conquisa;
pur vede e pur s’accerta, intento in essa,
che Silvera è colei, Silvera è dessa.
61La vide appena e ne divenne amante
ne la corte cristiana il giovenetto,
sin quando dal suo re col vecchio Alvante
fu con Ferrando a trattar pace eletto.
A le care maniere, al bel sembiante
d’inestinguibil foco arse il suo petto,
mentre pace chiedea, gli mosse al core
la nemica beltà guerra d’amore.
62L’anima, che per gli occhi in don le diede,
poiché non era il favellar concesso,
gradì Silvera, e vicendevol fede
gli fece del suo amor nel modo istesso.
Ma poiché riportar qual si richiede
la pace al suo signor non gli è permesso,
parte Osmin da la corte e quando parte
lascia in corte di sé la miglior parte.
63E benché mai da che tornò in Granata
riveder poi Silvera ei non potesse,
pure adorò de la bellezza amata
l’imagin che ’l desio nel cor gl’impresse.
Allor sol ritrovolla e circondata
la rimirò da le sue genti istesse,
e d’amor, da timor trafitto il seno
lanciossi da l’arcion sovra il terreno,
64indi parla a Silvera: «Osmino io sono,
ricovra a i tuoi, su ’l mio destriero ascendi,
e in esso ancor l’irrevocabil dono
che ti fo del mio cor gradisci e prendi».
Si rivolge a Silvera a cotal suono,
e gli risponde: «Invan non mi difendi:
io son già tua, né mi saria gradita
fuor che da la tua man salva al vita».
65Così parlando leggiermente ascese
sovra il destrier d’un salto, indi lo spinse
et involossi a le nimiche offese,
e tra i fidi guerrier ella si strinse.
Vide in parte il successo, e parte intese
de’ lor detti Altabruno, e si dipinse
di mortal pallidezza, e flagellato
sentì d’acute punte il cor gelato.
66Questi dal crudo stuol che il giogo altero
abitò di Pirene è capitano,
sedizioso, indomito e severo,
intrepido di cor, forte di mano.
Anch’ei Silvera amò dal dì primiero
che giunse ne l’esercito cristiano,
ma la donna, ch’altrove è già rivolta,
non l’attende, nol mira e non l’ascolta.
67Dunque amante costui, bench’alcun segno
d’amore in lei non scorga, a lei sen corse,
ma tardi giunse et avvampò di sdegno
quando mirò ciò che tra quegli occorse,
né potendo soffrir quasi men degno
veder da la sua donna altri preporse,
quasi che sia del suo disprezzo autore,
sprona contro il rivale il corridore.
68Il destin, ch’è immaturo, entrambo schiva
e serba in altro tempo ad altra mano,
e fa che calca impetuosa arriva
ch’Altabrun dal rival tragge lontano.
L’ira novella, ond’ei nel cor bollia,
sfoga Altabrun nel popolo pagano,
e scorso nel più folto in varie guise
vittime del suo amor cento n’uccise.
69Fur tra questi i più noti Argalto e Ulete,
che nacquero in Biserta, ambi corsari,
e cui trasse d’onore avida sete
da i marittimi studi a i militari.
Per lui muore Aladino e Baiazete,
Mustaffo e Portaù caggion del pari,
e solo hanno fra lor sorte diversa
ch’un dal collo, un dal sen l’anima versa.
70Sovra questi Altabrun non si trattiene,
ma passa dove l’impeto pagano
il duca di Sidonia omai sostiene
indarno e col consiglio e con la mano.
Quivi è scorso Almansorre, il qual sen viene
spinto da furioso ardore insano
a sfogare in quel lato i suoi furori
ov’ei crede portar stragi maggiori.
71Altri fère, altri sgrida, altri calpesta,
mena del pari i forti e i fuggitivi;
a chi ’l busto divide, a chi la testa,
non val difesa ove il suo brando arrivi.
Piazza di tronche membra atra e funesta
grossi di sangue uman tiepidi rivi
quasi in tragica scena offron per tutto
simulacri d’orror, pompe di lutto.
Con la notte termina la battaglia, Almansorre è ricevuto dal Baudele e da Elvira (72-88)
72Ma s’al vulgo fedele ei dà la caccia
da questa parte, il gran Ferrando altrove
giunto a la pugna i barbari discaccia
ove gira lo sguardo o il ferro move.
È per lui fessa ad Argamor la faccia,
da la gola d’Arbante il sangue piove;
muor ferito Rostene, Osmano e Agmetto,
un nel fianco, un nel ventre et un nel petto.
73Sprona il destrier che par ch’al corso abbia,
né tarda il forte re sovra costoro;
a Corcutte e Corban l’elmo non vale,
né giova la corazza a Valemoro.
Or mentre al gran Ferrando in guisa tale
dissipato cedeva il popol moro,
sorse la notte e l’ombre sue distese
e col dì terminò l’ire e l’offese.
74Fra le tenebre incerte e i dubi aguati
la cieca pugna di seguir non cura
il saggio re, ma stringe i suoi soldati
e gli guida a i ripari e gli assicura.
Poi dispon nove guardie a gli steccati
perché sotto il favor de l’aria oscura
l’astuto saracin portar non vaglia
a l’esercito suo nova battaglia.
75Stanchi da l’altra parte i Mori entraro
a riposar ne la cittade amica,
et Agramasso et Almansor restaro
da tergo a sostener l’ira nemica.
Con brevi detti i duo guerrier parlaro,
poiché tra lor fu nemistade antica,
la cui dura memoria ascosa in seno
non possono occultar nel volto appieno.
76Fra i popolari applausi, in mezzo al suono
de i bellici istrumenti essi ne vanno
al regio albergo, ove raccolti sono
ne la sala maggior dal fer tiranno;
a lui chino Almansor disse: «Il perdono
prolungami, signor, d’ogni tuo danno,
sinché in emenda de’ passati errori
vedrai per questa man liberi i Mori.
77Ma intanto a i prieghi miei tuo antico sdegno
di sospendere ancor non ti sia grave,
sinché, a pro del tuo onore e del tuo regno,
col sangue ostile ogni mia colpa io lave».
Soggiunse il re: «Qui sol teatro è degno
al tuo immenso valor, che nulla pave;
sia la patria, non balze orride e mute,
giudice e testimon di tua virtute».
78Tacque, e stese le braccia e circondollo,
gli amplessi accompagnando a la favella,
e libera Maurinda a lei guidollo,
a Maurinda sua moglie, a lui sorella.
Fornite l’accoglienze, onde onorollo
Maurinda, riverillo Elvira bella,
al re figliuola, a lui nipote, Elvira
cui primiera in beltà Granata ammira.
79Parte in treccia raccolto e in un lavoro
qual corona il bel crin da un nastro alzato
splende sublime, e parte il suo tesoro
su la fronte dispensa inanellato,
parte ancor giù cadendo un fregio d’oro
fa sul collo d’avorio al destro lato,
e par con arte inusitata e vaga
l’aureo strale ond’Amor l’anime impiaga.
80La bianca fronte a l’alba il pregio invola
quando sparsa d’argento il ciel rischiara.
Ne la guancia, ove Amor qual ape vola,
la rosa e ’l gelsomin ridono a gara.
Sembrano d’alabastro il sen, la gola,
e d’un serico vel la nube aurata
a l’avido desio di mille cori
del seno, anzi del ciel, copre i tesori.
81Di vezzosa onestà lieti e scherzanti
scintillano i begli occhi, anzi le sfere,
onde a vicenda piovono a gli amanti
or di pianto influenze or di piacere.
Preziosi zaffir, fiamme rotanti
son vil sembianza a quelle luci altere,
a quegli occhi appo cui tanto son belle
quanto simili a lor sono le stelle.
82Con siepe di rubin natura chiuse
candide perle e ne formò la bocca,
e i peregrini odori in lei rinchiuse
che da l’arco de i fior Zeffiro scocca.
Qui tutte Amor le sue dolcezze infuse,
ond’ebro di piacere un cor trabocca,
e qui il diletto e l’allegrezza pose
al riso lusinghier cuna di rose.
83È fosco il latte ed è la brina oscura
appo la man, che mai non sparge a vòto
nel core altrui con fortunata arsura
chiuso in falda di neve ardore ignoto.
Grazia ch’è di beltà legge e misura
accompagna d’Elvira i detti e ’l moto,
onde se sta, se mira o se favella,
sia dolente o sia lieta, è sempre bella.
84D’un purpureo color vaga rosseggia
quella che la coprìa serica vesta,
e in superbo lavor tutta fiammeggia
di ricche gemme e d’aurei fregi intesta.
D’adamanti e di perle arde e lampeggia
la gola adorna, il braccio, il sen, la testa,
ma più d’ogni tesoro ivi raccolto
prezioso è il tesor del suo bel volto.
85Tal fa costei nel publico cospetto
de le bellezze sue mostra pomposa;
corre et affissa in lei gli occhi e l’affetto
attonita la turba e curiosa.
Colmo ognun di stupore e di diletto,
d’ammirarla non cessa e amar non osa,
poiché grave parea ne’ bei sembianti
sparger gli amori e spaventar gli amanti.
86Sol l’orgoglioso e indomito Morasto
di que’ begli occhi il saettar non prezza,
perché il superbo cor, l’animo vasto
l’armi schernìa di feminil bellezza;
ma in suo danno provò ch’è fral contrasto
contro i colpi d’Amor natia fierezza,
e in un punto sentì che lo stendardo
d’Amor piantò nel sen ribello un guardo.
87Costui nacque in Numidia, e un tempo resse
de gli arabi ladron empie masnade,
sinché, lasciando i suoi diserti, elesse
di cercare altra sorte, altre contrade.
Varcò il mar, giunse in Spagna e l’arti stesse
seguì con Almansor, predò le strade.
Dunque Amor guasto in quel ferigno core
degenera un velen, passa in furore.
88Terminati gli amplessi e le parole
di cortesia, d’affetto infra i maggiori,
il re fra danze e fra conviti vuole
che ’l soccorso novel lieto s’onori.
S’odon per la città suoni e carole,
e striscian per lo ciel festivi ardori.
Dorme ciascun quel ch’a la notte avanza,
pien d’ardir, d’allegrezza e di speranza.