ARGOMENTO
Sotto i suoi duci ogni squadra vede
il gran Ferrando in bella mostra accolta,
e da tre lati a trar nemiche prede
l’uscita di Granata al Moro è tolta.
Per l’altrui vision la pura fede
del rege ispano a voto sacro è volta.
Con scorte intanto inusitate e rare
giunge a Marocco il messaggiero Omare.
Rassegna delle schiere cristiane (1-56)
1Apparecchia fra tanto il re cristiano
più gravi offese a la città nemica,
e dal vicin paese e dal lontano
chiama a l’insegne sue la gente amica.
Da la fredda Pirene a l’oceano
e da i Cantabri a Cartagena aprica
per l’ispanico ciel chiaro rimbomba
l’altero suon de la famosa tromba.
2Stimolati da i bellici metalli
a l’uso marzial corrono i regni,
traggon di qua, di là fanti e cavalli
o di preda o d’onor vani disegni.
Calcate da i destrier gemon le valli,
tremano i campi intorno a i regi sdegni;
coprono il pian le numerose tende,
e tra lampi di ferro il ciel risplende.
3Quando al giorno prefisso in Oriente
aperse l’uscio d’or l’alba primiera,
a la nova assemblea chiamò repente
l’esercito cristian tromba guerriera.
Si apprestaro i destrier, si armò la gente,
ogni arrendo spiegossi, ogni bandiera,
e in ordine distinto in largo prato
comparve a la rassegna il campo armato.
4Sovra trono sublime il gran Ferrando
si mostra in un vestir semplice e schietto,
tien lo scettro la destra, al fianco ha il brando,
serba con maestà placido aspetto.
Da la sinistra man, pari al comando
com’è pari nel merto e ne l’affetto,
saggia non men che generosa e bella
degna moglie di lui siede Isabella.
5D’una rara bellezza Amore accoglie
e nel volto di lei spiega i tesori;
pur sua beltà non desta impure voglie
ma di santi pensieri accende i cori.
Pregio d’alto saver, ch’età non toglie,
di valor, d’onestà gemini onori,
glorie d’alma innocenza in sé raguna
sempre maggior de la real fortuna.
6Chiaro onor di Mendozza il saggio Piero
qui di porpora sacra adorno siede,
d’animo puro e di parlar sincero,
di candidi costumi e d’aurea fede.
Grave ne gli atti e ne i sembianti austero,
il canuto Alarcon seco si vede,
uom che intrepido spiega, ove conviensi,
con libero sermon rigidi sensi.
7Fanno al trono del re nobil corona
altri, per opre e per consigli egregi,
et altri la cui fama illustre suona
ne le glorie de gli avi o ne’ lor pregi.
Intanto a mille trombe il ciel risuona,
fiammeggian l’armi aurate e i ricchi fregi,
e strette in ordinanza a le bandiere
sotto il seggio real passan le schiere.
8Di quai genti fiorisse e di quai duci
la Spagna allor, da chi sue leggi avesse,
Musa, ne la memoria a me riduci,
e di qual ire e di quali armi ardesse.
Quindi ne i versi miei fisse le luci
mirin de gli avi lor le glorie espresse
i gran nipoti e loro accenda il core
con emula virtù fiamma d’onore.
9Venner primi color che di Biscaglia
l’alpestre abbandonaro ombrosa terra,
che quinci d’alti monti aspra boscaglia,
quindi il mar di Cantabria intorno serra;
a l’ingiurie del cielo, a la battaglia
indurati son questi e avvezzi in guerra,
e, de l’ozio nemici e de la pace,
hanno in corpo robusto animo audace.
10Aleron di Guevara, il vecchio conte
gli regge, il qual pur or da lungo esiglio
richiamato fra gli altri alza la fronte,
con folta barba e con irsuto ciglio.
Ei spiega ne l’insegna aurato monte,
cui sorge ne la cima un fior vermiglio,
e in armi azzurre ha un corridor leardo
di membra snelle e d’animoso sguardo.
11Appo costoro il fiero stuol secondo
de i Catalani audaci in guerra viene,
che lasciò Barcellona e ’l suol fecondo
che quinci chiude il mar, quindi Pirene.
De la stirpe Moncada il buon Raimondo
quell’orgogliosa turba a fren ritiene,
che, fra l’odio civil d’ira nudrita,
ne l’armi è pronta e ne i perigli ardita.
12Il capitan spinge un destriero al corso
c’ha manto di carbon, spirto di foco,
che zappa il suolo e che divora il morso,
sbuffa, salta, nitrisce e non ha loco.
Egli ha d’armi vermiglie onusto il dorso,
e ne l’insegna sua con vario gioco
fra serici volumi ondeggia al vento
vergato di zaffiri angue d’argento.
13Dopo seguìa la numerosa schiera
ch’abitò di Valenza i molli campi,
che d’armi, di valor, di fregi altera
sparge di ferro e d’or lucidi lampi.
La dilettosa e placida riviera
par che tutta di gioie arda et avampi,
e fra care delizie e lieti amori
lusinga i sensi e intenerisce i cori.
14Il Borgia gli reggea, cui di Candìa
soggiacean le fiorite amene ville,
ove in canne soavi il ciel nudrìa
di nettareo licor candide stille.
Egli ha sotto un destrier che insuperbìa
al suono, al folgorar di fregi e squille;
l’armatura è d’argento e lo stendardo
mostra nel campo azzurro espresso un pardo.
15Con l’insegna vicina, ove risplende
nel ceruleo color stella lucente
de l’antica Aragona in guerra scende,
dal sassoso terren l’altera gente.
Qui tortuoso gira e i campi fende
grato a l’agricoltor l’Ebro corrente,
e porge a le vicine aride sponde
refrigerio opportun d’acque feconde.
16Tu, del sangue di Luna, o Pier sagace,
che sai tutte di guerra e l’arti e i modi,
tempri la ferità del vulgo audace
con generosi inganni e degne frodi.
Concede al tuo destrier l’aura fugace
nel corso al paragon le prime lodi;
egli ebbe madre ibera e padre moro,
l’armi tue son verdi e sparse d’oro.
17Il duca di Sidonia indi succede,
ch’a i sublimi natali il merto agguaglia,
e ch’è fra i primi ove il bisogno chiede,
saggio in consiglio, intrepido in battaglia.
Lungo il crin, breve il capo, asciutto il piede,
destrier che pare un vento, o giri o saglia,
cavalca, et ha il cimiero e l’armatura
senza fregio verun candida e pura.
18Lasciàr Siviglia quei che a freno ei tiene,
ove l’acque col fiume il mar confonde,
e de l’Andaluzia le piagge amene
che l’esperio ocean bagna e con l’onde,
sin dove a l’orgogliosa umana spene
Alcide collocò l’ultime sponde.
Mossa dal venticel ne la bandiera
trema in campo vermiglio una pantera.
19Quei che Maiorca e l’isola vicina
ne l’uso de la fromba esercitaro,
e di caccie nutriro e di rapina,
sotto il forte Romen l’insegna alzaro.
Un destrier che par neve in piaggia alpina
ei preme, essi una tigre al ciel spiegaro.
Archi a tergo cingean, frombe e faretre,
con la destra scotean saette e pietre.
20Sovra un destrier che grave il petto e ’l dorso
da le spiche mature il color prende,
di Zamora traendo alto soccorso,
ricco di gemme e d’or Vasco risplende.
Ne l’insegna ha un levrier che suda al corso,
e dal ceppo d’Acugna esso discende,
né sol primiero al fero stuol comanda,
ma su l’Ebro vicin regge Miranda.
21Seguian quei di Galizia, ove devoto
l’Apostol santo il peregrino adora,
al cui nobil sepolcro offerte in voto
mille lampade accese ardono ognora.
Quivi aperta la bocca e ’l piede immoto
tien la giumenta a lo spirar de l’ôra,
e da l’aure feconde in un momento
concepisce i destrier lievi qual vento.
22Un di questi reggea che il pelo ha nero,
stellato in fronte e da tre piè balzano,
di Monterei secondo il conte altero
per senno illustre e per valor di mano.
De la Zunica stirpe onor primiero,
questi de la Galizia è capitano,
e ne l’insegna rancia ha l’arbor verde
che per folgore o gel foglia non perde.
23Tu poi guidi, Altabruno, a l’assemblea
lo stuol che tutto ardisce e nulla pave,
e che de i Pirenei lasciate avea
l’alte cime nevose e l’aer grave.
Ne l’insegna sublime il mar scotea
combattuta da i venti eccelsa nave,
ch’a l’assalto nemico immobil resta
e i turbini disprezza e la tempesta.
24Un corridor preme Altabrun gagliardo
c’ha il pelo innanellato e ’l piè velluto,
nato di madre frisa e padre sardo,
con fianco rilevato e collo irsuto.
Ei con torbido aspetto e bieco sguardo
palesa in triste cure il cor perduto,
e per meglio spiegar la sua fortuna
bruno il cimiero e l’armatura ha bruna.
25Spine di gelosia, fiamme di sdegno
sofferse quell’altier dal dì che aita
Osmin diede a Silvera, e fe’ disegno
al nemico rival toglier la vita.
Giurò, d’invidia colmo e d’ira pregno,
curar col sangue altrui la sua ferita,
e gl’istigaro a la vendetta il core
stimoli di superbia e di fuore.
26Passa quinci il drappel che bebbe l’onda
di Guadiana e che segò le biade
di quel fertil paese ov’ella inonda,
ove s’apre sotterra occulte strade.
Passan quei che di Cordova gioconda
abitàr le felici alme contrade,
ove le piagge amene e i campi lieti
dando il nome a più regni innaffia il Beti.
27Questi, che son raccolti in una schiera,
Armonte d’Aghilar conduce in campo,
e cavalca un destrier di razza ibera
bianco quale armellin, lieve qual lampo.
Si vede torreggiar ne la bandiera
una rocca d’argento in aureo campo,
e con ricco lavor la sopravesta
di fine gemme azzurre era contesta.
28La gran figlia da un lato indi venìa,
Silvera, ch’è d’Osmino amante amata,
e che per nuova speme allor nutrìa
lieta l’antica fiamma in sé celata.
Ma da l’altro Consalvo egro seguìa,
che di fervido stral l’alma ha piagata,
e ne gli atti palesa e nel colore
che se cenere è il volto è foco il core.
29Questi, ch’è pur suo figlio, in campo ottiene
di valor, di maniere i primi vanti,
e da Calpe non è fino a Pirene
chi l’avanzi d’ardire o di sembianti;
per Rosalba perduta afflitto ei viene,
e si sface in sospir, si strugge in pianti,
per Rosalba suo amor, Rosalba bella
che il misero adorò benché sua ancella.
30Quando a i Mori Almansor venne in aiuto
et assalì l’esercito cristiano,
fra i suoi tristi pensieri ei combattuto
dal paterno stendardo era lontano,
poiché sovente egli il suo cor perduto
nel paese vicin cercava in vano;
udito poi ciò che seguì quel giorno
a l’armata fedel fece ritorno.
31Al suo apparir l’esercito smarrito
da l’ire d’Almansor prese vigore,
e fece ognuno a miglior prove ardito
la speranza comun del suo valore.
Grato ei si mostra al popolare invito,
fra gli applausi del merto e de l’onore,
e corrisponde al publico concetto
nel portamento eccelso e ne l’aspetto.
32Tal passa, e dal terren di Murcia alpestre,
nata a i disagi e a le fatiche avvezza
inculta succedea turba silvestre,
che perigli non cura e morte sprezza.
L’ispido seno e le callose destre
arman costor de la natia fierezza,
e sol portando accette e scuri et archi
vanno d’irsute pelli in guerra carchi.
33Sprona il gentil Fasardo un gran cavallo
del color che la scorza è di castagna,
che piè non muove, orma non stampa in fallo,
d’un superbo frison nato in Brettagna.
Egli armato di brun, misto di giallo,
guida il popolo audace a la campagna,
et ha un leon ne la bandiera bianca
che la croce sostien con l’aurea branca.
34D’Asturia e di Leon dopo costoro
l’industre abitator seguiva unito,
che solea penetrar cupido d’oro,
de i ricchi monti ogni più occulto sito.
Quindi il Minio nascendo i campi loro
divide, e quindi porta insuperbito,
da ben mille torrenti in sé cresciuto,
verso il mar d’occidente ampio tributo.
35Alonso Emanuel n’avea la cura,
giovane d’alto cor, di forte mano,
ne l’insegna di cui latra e procura
franger l’aspre catene un fero alano.
Ei d’un rosso maltinto ha l’armatura,
e rallenta la briglia a un destrier dano,
che par, quando si muove, al fier sembiante
ch’abbia i turbini e il tuon sotto le piante.
36Lo stendardo propinquo, ove sorgea
fra purpureo color candida rosa,
de la nuova Castiglia ombra facea
a l’avida d’onor gente animosa.
Questa il pingue terren lasciato avea
che del Tago arricchì l’onda famosa,
il Tago che, qualor rompe la sponda,
d’auree tempeste il bel paese inonda.
37Gli guida il duca d’Alva, e la severa
antica disciplina in uso pone;
è grave di costume e di maniera,
rigido di sembiante e di sermone.
Ei scote un’asta, e la soggetta schiera
con varie forme in ordine dispone,
et ha sotto un destrier fra rosso e bigio
che su l’erba né pur lascia vestigio.
38De l’antica Castiglia indi seguieno
le bellicose infaticabil genti
che disceser da i paschi ove nutrieno
feconde greggie e numerosi armenti.
Qui del veloce Dauro aprono il seno
al paese inegual l’onde correnti,
e feraci per lor quelle contrade
soglion d’erbe lasciar più che di biade.
39Ramiro di Velasco, a cui soggetto
di Faro e d’altre ville era il domino,
uom d’intrepido cor, d’alto intelletto,
guida costor sopra un veloce ubino.
Ricamato di negro armava il petto,
sparso d’azzurro usbergo adamantino.
Scherzava ne l’insegna in bel lavoro
con gli artigli di smalto un grifo d’oro.
40Né voi, fieri abitanti, alla rassegna,
benché dal mar divisi allor mancaste,
ma de l’aspra e mortifera Sardegna
l’arenose campagne abbandonaste.
Nel ceruleo color de l’alta insegna
un superbo Tritone al ciel spiegaste.
Sopra un destrier che Sassari produsse
Eredia vi raccolse e vi condusse.
41Così passano i sardi e appresso arriva
la gente a l’ire pronta a l’armi usata
che il fertil sen de la Sicilia apriva,
a Bacco amica, a Cerere sacrata.
Qui timido il nocchier sente la riva
a i latrati sonar di Scilla irata,
e qui vede scoccar contra le stelle
l’arsiccio Mongibel fiamme rubelle.
42Del gran sangue di Lara Inico altero,
che tenea di Nagera il bel retaggio,
de la turba feroce è condottiero,
generoso di cor, d’animo saggio.
Sauro il pel, bianco un piè, frena un destriero
che dal pasco african fece passaggio
ne i campi iberi, e di fini armi ornato
spiega un ramo d’oliva in campo aurato.
43Ecco poi tre squadroni in cui ristretti
venian d’Iberia i cavalier più degni,
che di chiaro lignaggio erano eletti
da varie stirpi e da diversi regni.
Dal Zunica feroce erano retti
i primi, che spiegaro in verdi segni
la croce d’Alcantàra, a la cui vista
sin dentro i muri il saracin si attrista.
44Da Rodrigo di Ponze era guidata
la schiera che seconda al ciel spiegava
con la croce vermiglia in quadro ornata
lo stendardo maggior di Calatrava.
La terza ne la spada effigiata
di purpureo color la croce alzava,
cui diede il nome il protettor di Spagna,
e ’l Cardena gli trasse a la campagna.
45Segue dopo costor l’ampio squadrone
che di gente diverse avea formato
il clero de la Spagna, e ’l gonfalone
spiega candida croce in campo aurato.
Lo conduce in battaglia e lo dispone,
del gran sangue Aragon Didaco nato,
e Gaspar d’Azevedo in ogni parte
sostien sua vice e gli ordini comparte.
46Vengono poscia in un drappello uniti,
d’ogni regno raccolti e d’ogni banda
da i più chiari lignaggi e i più fioriti,
i primi eroi, cui solo il re comanda.
Del Carpio e d’Alcalà son riveriti
fra questi duci, e col signor d’Arranda
passan quei d’Albuquerque e di Tendiglia,
con Arzia Pimentel, Silvio Padiglia.
47Qui è il signor de la Rissa e d’Oristano,
con Aldanio e Gottiere, i duo possenti
cui riverian fra l’Ebro e ’l Lusitano
l’una e l’altra Medina ubbidienti.
Michel di Silva et Alvaro Bazzano
celebrati seguian tra i più valenti
qui l’Avalo, Peralta e Bracamonte
e ’l signor di Marchena e d’Aiamonte.
48Duo Pietri, un di Tovare, un di Girone,
e Teglio Sandoval passano a gara,
qui è d’Astorga il signor di Rossiglione,
e di Maqueda il duca e di Nassara;
qui il signor de l’Algava e d’Alagone,
qui Riccardo segua di Trastamara;
quel di Gelve, di Palma e quel di Nebla,
d’Oropesa, d’Osorno e de la Puebla.
49Garzilasso di Vega infra costoro
di sublime virtù chiaro s’avanza,
giovane destinato a doppio alloro,
de le Muse e di Marte alta speranza.
Seguono Ricaredo e Teodoro:
questi sovra Escalona ha sua possanza,
quegli regge Lucena; indi si vide
Alvarado, Biedma e Benavide.
50Viene il conte d’Egabra et ha dipinto
ne lo scudo un re moro incatenato,
poiché da la sua destra in guerra vinto
prigioniero al moro era già stato.
Del paterno valore il chiaro istinto
segue Odonte, il suo figlio, al conte a lato,
indomito garzon punto a lo sdegno,
valoroso di man, fero d’ingegno.
51E voi fuste lodati in quella guerra
Oregliana e Cariglio, Aiala e Ovando,
e voi che de l’Iguera e Salvaterra
aveste su il paese ampio comando,
voi Barroso e Monroi, da varia terra
seguiste a l’alta impresa il gran Ferrando.
Qui Valde et Albornzosse, e con Vivero
Saiavedra l’accorto, Avila il fiero.
52Ma te dove tralascio, o buon Manrico,
al cui raro valor Feria risplende?
E te, gloria de gli avi, o Federico,
onde altrui Mirabel chiaro si rende?
Te di Segovia e te del ceppo antico
ammiro, onde Centeglia in pregio ascende.
Altri vi fur, ma di valor cotanto
vinto al peso maggior cede il mio canto.
53Passati i cavalier vengono i fanti
raccolti da più regni, e compartiti
in sei squadroni, e Pinamonte avanti
conduce a la rassegna i più spediti.
Questi, avezzo a guidar le greggie erranti,
a la guerra innalzò gli spirti arditi,
e da i minori uffici a l’alte imprese
col suo valor fra i primi duci ascese.
54Con la squadra seconda a la pianura
comparve di Saldania il fiero conte,
che i rischi più terribili non cura,
di cor superbo e d’orgogliosa fronte.
De i terzi che seguian tenea la cura
Ulderico gentil, che di Belmonte
sovra i fertili campi avea l’impero
ove nel mar vicin sbocca l’Ibero.
55Il saggio Eleimo appo costor si vede,
che lasciò di Navarra il patrio nido,
al cui saver l’esercito concede
ne i mecanici ordigni il maggior grido.
Ermante Mauleon quinto succede,
nato ove rode a la Biscaglia il lido
il cantabrico mare, uom che feroce
con lo sguardo spaventa e con la voce.
56Florimonte e Guglielmo indi seguieno,
che al forte Ermigio in un sol parto espose
Casilda bella dal secondo seno
del ricco Tago su le sponde erbose.
Pari d’ardir, di forze, essi venieno
de gli avi ad emular l’opre famose,
onde s’udiro a mille prove egregi
del gran sangue Messia le glorie e i pregi.
Ferrando dispone il cordone d’assedio e convoca il consiglio di guerra (57-61)
57Questi gli ultimi furo a l’assemblea,
e l’esercito poscia il re divise,
e quanto la stagion gli concedea
più stretto a la città l’assedio mise.
Di steccato, di fossa e di trincea
formò lunga catena in varie guise,
onde vietasse a le nemiche genti
introdurre in Granata altri alimenti.
58Si accampa egli medesmo a l’Oriente
e ’l duca di Sidonia a destra parte,
perché deggia infestar con la sua gente
l’assediata città verso Aquilone.
Si ferma il duca d’Alva a l’Occidente,
e incontro al re le tende sue dispone.
Sol restò vòta, e non fu chiusa intorno
la parte che riguarda il mezzo giorno.
59Lo vieta il vicin sito erto e scosceso
c’ha la città con folti boschi unita
sino a i monti nevosi, ond’era sceso
Almansorre a portare a i Mori aita.
Dal loco alpestre il saracin difeso
quindi avea men difficile l’uscita,
e quindi egli solea per vie celate
i soccorsi introdur ne la cittate.
60Ma benché il re nel duro alpestre sito
non possa collocar tende e steccati,
pure in loco opportun da lui munito
cautamente dispone i suoi soldati.
Quindi il gire e ’l tornar vien proibito
con libertà cotanta a gli assediati,
già ch’affatto ei non può loro impedire
da quel lato furtivi e pochi uscire.
61Così divisi gli ordini e i disegni
prepara a la città guerra più dura,
e divisando con gli eroi più degni
nuove per la vittoria arti procura.
Fan diverse proposte i vari ingegni
innanzi al re, che provido misura
il tempo e ’l loco, e fra discordi affetti
con maturo parer pesa i lor detti.
Isabella ha in visione un proprio avo, che invita Ferrando a promettere in voto l’erezione di un tempio in città per placare Dio, irato con la sua stirpe (62-77)
62Mentre così discorre e non approva
e non condanna o questa parte o quella,
arriva la reina, e lo ritrova
solo fra le sue cure e gli favella:
«Signore, invan di soggiogar fai prova
il popol empio e la città rubella
se prima del gran Dio non plachi l’ira:
attendi, e ciò ch’io dico odi et ammira.
63Stamane, allor ch’a l’uso mio prostrata
de la donna del Ciel l’imago adoro,
e lei prego a versar su la tua armata
de le grazie di Dio largo tesoro,
sì che libera alfin resti Granata
da l’aspra servitù del crudo Moro,
m’interrompe una voce e ’l cor mi scote
replicando il mio nome in rauche note.
64A quel suon mi rivolgo, e in fiero aspetto
poco lungi da me scorgo un guerriero,
che portava un diadema in su l’elmetto
sparso di fiamme, et era armato a nero.
Gravi e dure catene il tergo e ’l petto
circondavano intorno al cavaliero,
che le torbide luci avendo fisse
nel volto mio dopo un sospir mi disse:
65- Mira, o progenie mia, mira, son io
il misero Rodrigo, io l’infelice
contra di cui l’onnipotente Iddio
mosse de l’ira sua la spada ultrice.
Sotto il peso mortal del fallo mio
la Spagna già sì bella e sì felice
oppressa fu da barbari furori
e giacque in servitù preda de i Mori.
66Infausto giorno e lagrimevole ora
fu quella in cui mi accese impuro affetto
per la figlia del conte, onde arde ancora
questo regno comun, non che il mio petto.
Ben le fiamme impudiche io spensi allora,
ben d’amata beltà presi diletto;
ma che, se quel piacer fugace e indegno
la vita mi costò, l’onore e ’l regno?
67Non fu nel dì funesto e memorando
il valore african quel che mi vinse,
ma fu il peccato mio che il fatal brando
de l’adirato Dio contra me spinse.
Combattendo perdei, caddi pugnando,
ma non però l’ira del Ciel s’estinse,
ché condennommi in sotterraneo loco
a purgar le mie colpe in mezzo al foco.
68Non fui, come doveasi, al grave errore
precipitato al dispietato Inferno,
poiché allor del mio fallo ebbi dolore
e piangendo mi dolsi al pianto eterno.
Il corpo mio volle il divin furore,
per giunger nuova pena al duolo interno,
che insepolto restasse e fosse meco
confinato nel loco orrido e cieco.
69Quindi avenne che fosse invan cercato
il cadavero mio dopo il conflitto,
in cui, da’ miei più cari abbandonato,
di duo punte nel sen giacqui trafitto.
Da quel tempo sinora il mio peccato
piansi, e purgai da varie pene afflitto,
et or sol da quel loco ove fui messo
a te sola venir mi fu permesso.
70Fuor del carcere mio dunque a te vegno
per narrarti che in Cielo è stabilito
che di Granata il combattuto regno
domar non possa il tuo fedel marito
sinché del Cielo irato il grave sdegno
da la vostra pietà non sia sopito,
che può con nobil voto offerto a Dio
soddisfare a la pena e al fallo mio.
71Con voglie umili e con divota cura
promettete in Granata alzare un tempio,
se per voi fien l’assediate mura
tolte a la servitù del popol empio.
Ivi ergete per me la sepoltura,
ove del vostro zel con raro esempio
sien fra i publici prieghi e i sacrifici
celebrati per me gli ultimi offici.
72Da l’offerta divota il Ciel placato
tosto mitigherà l’acerbe pene,
in cui per tanti secoli agitato
e le fiamme sopporto e le catene.
Sinché, il voto eseguito, io liberato
volerò fra gli eletti al Sommo Bene,
ove anch’io pregherò, quando che lice,
a la vostra virtù premio felice.
73Ma già tempo è ch’io torni a’ miei tormenti,
tu resta ad eseguir ciò ch’io ti dico,
se brami di placar le fiamme ardenti
d’un re ch’è di tua stirpe il ceppo antico.
Se brami di veder ch’a le tue genti
ceda il trono usurpato il re nemico,
da te i miei detti il gran consorte intenda,
e del supplicio imo pietà vi prenda -.
74Così disse il guerriero, indi levossi,
e sparve, e me lasciò piena d’orrore,
che dopo ch’io rivenni e mi riscossi
in pietà s’è cangiato et in dolore.
Io quindi a te per raccontar mi mossi
de l’infelice re l’aspro tenore;
tu risolvi, signor, ciò che ti piace
poiché al tuo cenno il mio voler soggiace».
75Qui si tacque Isabella, e ’l re divoto
di tanta vision l’alta ventura
stupido ammira, e ’l memorabil voto
con la reina al Ciel promette e giura,
chiamando il sacro Piero, a cui sol noto
fanno il successo, e con solenne cura
confermano il gran voto et egli applaude
a la regia pietà con preghi e laude.
76Così dal Ciel, così dal mondo aspetta
favorevoli aiuti a i suoi disegni
il gran Ferrando, e in ogni lato affretta
gli altri popoli a l’armi e gli altri regni.
Ma non però ne la città ristretta
de l’armata fedel teme gli sdegni
l’orgoglioso tiranno, anzi più ardito
provede ogni difesa, arma ogni sito.
77Dove poste a l’Occaso eran le mura
il peso di guardarle ebbe Agramasso,
e dove nasce il dì tenne la cura
Morasto il fier di proibire il passo;
la parte aquilonar, manco sicura
perché il muro ineguale era più basso,
l’indomito Almansor difese, e Osmino
il sito custodì verso Garbino.
Viaggio per nave di Omare, che ha per nocchieri Interesse e Sospetto; suo arrivo alla corte del re dei Tangitani in Marocco (78-87)
78Tal de la lunga guerra in questo canto
era il nuovo apparecchio e ’l dubbio stato,
e per gli ondosi regni Omare intanto
giva a movere altre armi in altro lato.
Appena avean col matutino canto
riveriti gli augelli il sol bramato
che dal lume e dal canto in un percosso
dal suo placido sonno Omar fu scosso.
79Apre gli occhi, e del mar su il nudo lito
giacer si vede, e stupefatto gira
il guardo intorno e ’l tempio è già sparito
e de l’albergo suo nulla rimira.
Solo del suo destriero ode il nitrito,
e sol con duo nocchieri un legno mira,
e a l’abito conosce et a l’aspetto
ch’un l’Interesse e l’altro era il Sospetto.
80Sorge allora il guerriero, e intanto grida
l’Interesse dicendo: «Omar, che aspetti?
In Africa a portarti ove ti guida
il bisogno comun noi siamo eletti;
che badi irresoluto? Entra e confida
ne la nostra virtù». Tace, e a i suoi detti
persuaso, il guerriero entra nel legno
col suo destriero, e di partir dà segno.
81Si allontana dal lito e il mar divide
il curvo legno, e per l’ondose strade
drizza rapido il volo ove s’asside
nel sen di Zibilterra il sol che cade.
Varca Tariffa e i termini ch’Alcide
pose del mondo a l’ultime contrade,
e s’ingolfa ove il libic’oceano
freme irato e respinge il mare ispano.
82Lascia Cadice a tergo e le feconde
isolette propinque, e ’l corso tiene
d’Arzilla e di Tanger, verso le sponde
d’uomini vòte e fertili d’arene.
Scorre dove nel mar Zilia s’asconde,
e a la foce del Lisso alfin perviene,
e poco va che già si scorge avante
ricoprir l’ocean l’ombra d’Atlante.
83Col piè calca gli abissi il vasto monte
e, d’alte nevi armato e d’aspro gelo
par con l’eccelsa inaccessibil fronte
che guerra porti e non soccorso al cielo.
De’ fulmini sovrasta il crine a l’onte,
fan le nubi a le spalle orrido velo;
bagna con cento fiumi e con le braccia
di cento monti Africa tutta abbraccia.
84Già lasciate la nave addietro avea
d’Azamoro le torri e d’Elmedina,
e d’Aman sotto muri alfin giungea
ove il lato s’incurva e la marina.
Quivi nel mare un fiumicel correa,
onde il legno piegossi a la mancina,
e tenne su pe ’l fiume incontro al raggio
del sole oriental nuovo viaggio.
85Lascia de l’ocean le salse spume,
e s’invia dentro a terra il piccol legno,
gorgogliando fra sé mormora il fiume
e de’ remi il flagel si prende a sdegno.
Breve è il camino, e quando l’ombre al lume
saettate dal sol cedono il regno,
Omar discopre in una gran pianura
di Marocco vicin le vaste mura.
86Disse allor l’Interesse: «Omare, è questo
il termine fatal del tuo camino;
vattene al gran Seriffo, avrai nel resto
il soccorso invisibile vicino».
Tacque, e nuovo favor quindi richiesto
gli ringrazia, e discende il saracino,
e la terra bramata appena ei preme
che la nave e i nocchier sparvero insieme.
87Lascia la riva, e su il destrier salito
Omar si drizza invèr l’eccelse porte,
e colà giunto osserva il muro e ’l sito
de l’immensa città fertile e forte.
Entra e s’invia fra il popolo infinito
ove altera sorgea la regia corte,
e la coppia invisibile fra tanto
lo siegue e in suo favor gli pende a canto.