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Il conquisto di Granata

di Girolamo Graziani

Canto IX

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.02.15 12:59

ARGOMENTO
De la cara beltà nuova mortale
dal suo fido scudier Consalvo intende,
onde, ogn’altro pensier posto in non cale,
vèr l’amato sepolcro il camin prende.
Di Malaga la fama ispiega l’ale
nel campo de’ cristiani, e mesto il rende.
Ferrando d’innalzar gran moli ha cura,
per dar assalto a le nemiche mura.

Ordauro narra a Consalvo la morte di Rosalba per mano del ladrone Albimonte (1-48)

1Tal de i Mori in quel punto era lo stato,
ma nel campo fedel Consalvo afflitto,
da saetta di foco il cor piagato,
fra continui martiri arde trafitto.
Pur trionfa ne l’animo agitato
fra diversi pensieri Amore invitto,
che gode bilanciar la sua possanza
fra il confin del timor, de la speranza.

2Mentre con dure angoscie ei si lamenta,
e cresce ne i lamenti il duol più fero,
che de la grave perdita tormenta
con l’acerba memoria il cavaliero,
in lacero vestir gli si presenta
ne la tenda introdotto uno scudiero,
che, in atto umile, e le ginocchia e ’l manto
gli strinse, e gli bagnò d’un largo pianto.

3Resta sospeso alquanto e in lui si affisa
Consalvo, e benché squalido e barbuto
Ordauro il suo scudier tosto ravvisa,
che si era con Rosalba anch’ei perduto.
Questi era lo scudier che in strana guisa
d’Altabrun ne la selva ebbe l’aiuto,
Ordauro è questi, e quando a lui fu noto
stette Consalvo attonito et immoto.

4Poiché in sé ritornò, vuol chiedere onde
e come sì improviso egli venisse,
ma quei previene, e co’ sospir confonde
il pianto e le parole, e così disse:
«Ben io vorrei ch’oggi, signore, altronde
giungesse, e ch’altra lingua a te scoprisse
i casi miei; ma poiché ciò non lice,
sarò d’alto dolor nunzio infelice».

5A questi detti il cavalier dolente
sorge confuso, e rapido s’avanza
con lo scudier, che lo seguì repente
del padiglion ne la più chiusa stanza.
Qui prorompe Consalvo impaziente:
«Non accrescere il mal con la tardanza;
o mi uccidi in un colpo o mi conforta;
dov’è Rosalba?», e quei risponde: «È morta».

6Tanto sol disse, e tanto sol può dire
poiché il pianto inondò sopra la voce,
ma s’indura in Consalvo il suo martire
e le lagrime sdegna il cor feroce.
Quinci gridò: «Dunque potrò soffrire
de l’amata Rosalba il caso atroce?
Né tenterò, se già bramai consorte
esserle in vita, seguirla in morte?

7Ah sì, dolce sarà seguirla in Cielo,
ch’alma sì bella altro che il Ciel non tiene.
Non fu di lei capace il fragil velo,
non fur degne di lei forme terrene.
Così, pago il mio amor, pago il mio zelo,
darò fine al mio pianto, a le mie pene.
Apra il misero cor la destra ardita,
dunque al ferro, a la morte, anzi a la vita».

8Disse, e trasse la spada et in se stesso
volgere impetuoso il ferro volle,
ma gridò lo scudier, che gli era appresso,
frenando con la man l’empito folle:
«Signor, qual d’aspra doglia ultimo eccesso
il lume di ragion ti offusca e tolle,
sì che tu non conosci a quale errore
guida il cor disperato il cieco Amore?

9Dunque il tuo genitor, che in te risorte
sperò de gli avi tuoi le gloria andate,
oggi ti piangerà condotto a morte
per vano amore e per servil beltate?
Questi i tuoi pregi, e di Consalvo il forte
queste dunque saran l’opre onorate?
La tua fama, al cui grido ogni confine
de la Spagna rimbomba, avrà tal fine?

10Ah non sia ver che oscuri indegno fregio
di tua chiara virtù l’alta memoria,
non macchi tal difetto ogni tuo pregio,
vivi a l’armi comuni, a la tua gloria.
Pende, signor, dal tuo valore egregio
la fortuna del campo e la vittoria;
vivi a la Spagna, e non sprezzare insieme
il tuo onore, i miei preghi e l’altrui speme».

11Il sagace scudier con questi detti
soavemente al suo signor si oppose,
che tranquillando i procellosi affetti
dopo un caldo sospiro alfin rispose:
«Frema pur la fortuna e in me saetti
di accidenti lugùbri armi dogliose,
che mai non scaccierà da questo core
di Rosalba l’imagine e l’amore.

12Io vivrò perché viva entro il mio seno
de l’amata beltà l’idolo altero,
ove pur mi sarà concesso almeno
col desio vagheggiarla e col pensiero.
Intanto, o mio fedel, narrami appieno
ciò che tu sai del caso atroce e fero».
Tacque Consalvo, e a le richieste cose
il dolente scudier così rispose:

13«Poiché da mal non conosciuto oppressa
la misera Rosalba inferma giacque,
sai che al palagio io me n’andai con essa
che gli avi tuoi del Beti alzàr su l’acque.
Di questo il padre tuo, che mai non cessa
il suo scampo tentar, più si compiacque,
sperando che potesse il luogo ameno
rallegrar di Rosalba il mesto seno.

14Ma né il placido ciel né il vago sito
di prati, di giardin, di fonti ornato
sanàr d’alta tristezza il sen ferito,
né dier conforto alcuno al cor turbato.
Sol io, che d’ordin tuo seco era gito
a servirla, e osservar l’egro suo stato,
era d’ogni altro oggetto a lei più caro
e in vedermi addolciva il duolo amaro.

15Ma breve era il sereno in quel bel volto,
poiché nembo di duol tosto il chiudea,
e su le molli guancie alfin disciolto
in duo rivi di lagrime piovea.
Molti attendeano a la sua cura e molto
de l’interna tristezza io le chiedea,
ma la misera afflitta e poco viva
non sa ridire onde il suo mal deriva.

16Mentre così stiam mesti, empia fortuna
il cui rigor non sazia una sciagura,
nuove miserie inaspettate aduna,
tesse l’insidie e contra noi congiura.
Era la notte, e solitaria e bruna
copria l’ombra ogni senso et ogni cura,
e circondato d’un oblio profondo
nel riposo comun taceva il mondo,

17quando sentimmo d’orride percosse
de la nostra magion sonar le porte.
Sorgon dal cheto sonno a l’alte scosse
i servi, e le donzelle esangui e smorte;
la porta mal difesa alfin si mosse,
a gli urti gravi, al riurtar più forte,
e ruinando aperse ampia la strada
a l’impeto crudel d’empia masnada.

18Non è fra noi chi contradica o tenti
di far contrasto a la nemica schiera,
poiché il tuo padre e mio signore assente
ove il re lo chiamò gito se n’era.
Tu, che se fossi stato ivi presente
potevi raffrenar la turba altera,
lui seguisti, e non so per qual rispetto
pareva ch’aborrissi il nostro aspetto.

19Tra il silenzio e l’orror la notte oscura
l’armi occultò de le rapine amica;
fui preso io con Rosalba e a la sua cura
meco intenta fu presa Aleria antica.
Poiché de la magion le ricche mura
la barbara spogliò turba nemica,
drizzossi al monte ove facea soggiorno
prima che la scoprisse il nuovo giorno.

20Sopra d’un palafren Rosalba è posta,
poiché il sembiante e ’l portamento altero,
vinto il rigore e la durezza opposta,
mosse a pietà lo stuol selvaggio e fero.
Noi tutti a piedi invèr l’alpestre costa
prendiamo a i cenni loro aspro sentiero,
e già la terza aurora avea la fronte
tratta dal mar quando giungemmo al monte.

21Sorge il monte superbo e con la testa
gareggiando col ciel le nubi eccede,
d’antichissimi faggi ampia foresta
gli copre il seno e gli circonda il piede.
Tutto sassi e macigni è quel che resta
sino a la cima, ove una rocca siede,
che sovrasta d’intorno al pian soggetto
e porge a i masnadier fido ricetto.

22Fra precipizi tenebrosi e cupi
conduce a l’erto giogo alpestre calle,
a cui balze scoscese, alti dirupi
premon le faticose orride spalle.
Dal cavo sen d’inaccessibil rupi
trabocca un rio ne la profonda valle,
e cresciuto in torrente infra quei sassi
move con rauco suon tumidi i passi.

23Albimonte di Murcia uom che nudrito
fu col sangue civil d’ire e d’offese,
spinto in esilio in quell’alpestre sito,
col seguace drappel scorre il paese.
Il luogo inespugnabile e romito
gli porse insuperabili difese,
e invan più volte, acciocché oppresso ei fosse,
l’armi vicine a i danni suoi fur mosse.

24Le sue colpe impunite a nuovi errori
stimulàr del superbo il cor spietato,
onde coperto da notturni orrori
ci assalì, ci sorprese inaspettato.
Condotti da costui dopo gli albori
del terzo sol giungemmo al monte usato,
ove molti restàr fra i lacci avvolti,
privi di libertà, vivi sepolti.

25Destinato a servir Rosalba io solo
fui con Aleria in libertà lasciato,
e con vari consigli io la consolo
de le fortune sue nel duro stato;
ma non cede a i miei detti il suo gran duolo,
né placano i conforti il sen turbato,
anzi da nuovo mal traffitta il core
il primiero suo mal fassi maggiore.

26Pur serba ancor l’addolorato viso
de l’antica beltà la cara imago,
da le lagrime il bel non è diviso,
come a l’iri piovosa è il ciel più vago.
Il feroce Albimonte arso e conquiso
langue a tal vista, e ne divien sì vago
che, spento il suo rigor dal nuovo affetto,
a beltà prigioniera arde soggetto.

27Amor, che fa cortese un cor villano
dispose il crudo a non tentar la forza,
ma con modo pacifico et umano
mover la donna a l’amor suo si sforza.
Rosalba il ripugnar dannoso e vano
in tal uopo conosce, e saggia ammorza
il suo caldo desio con varie scuse,
onde non gli consenta e non ricuse.

28Aramon di Rivera aduna intanto
per comando del re l’armi vicine,
et accetta l’impresa e si dà vanto
frenar di quel crudel l’empie rapine.
Albimonte dispon da l’altro canto
il fero stuol per quelle balze alpine,
e con nuovi ripari e nuove scorte
la scoscesa magion rende più forte.

29Con l’armata real giunge Aramone
e da parti diverse assale il monte,
ma indarno, poiché l’intrepido s’oppone
e l’impeto di lui frena Albimonte.
Durò la sanguinosa aspra tenzone
da i primi albori infin che il sol tramonte,
né mai, benché Aramon v’adoperi ogni arte,
espugnassi del monte alcuna parte.

30Combatto anch’io tra il fero stuol armato,
poiché Albimonte il vuole e il tempo il chiede,
e se ciò ricusassi io sarei stato
accusato fra lor di poca fede.
Nuovo assalto Aramon raddoppia irato,
il dì secondo, et egual fin succede,
benché tra noi, da la stanchezza vinti,
molti restin feriti e molti estinti.

31Infierito Aramon d’ira novella
più crudo assalto il terzo dì prepara,
dispon le schiere in questa parte e in quella,
e a la nuova tenzon le infiamma a gara.
Intanto d’Albimonte il cor flagella
mordace gelosia con sferza amara,
mentre fra sé contempla in varia guisa
molta gente piagata e molta uccisa.

32Vede alfine il crudel che la magione
da l’impeto nemico invan difende,
e già col rinovar de la tenzone
vicine le sue perdite comprende,
quindi, prima che cada,in sé propone
o salvando colei che il cor gli accende
fuggir con quella, o, se non gli è permesso,
nel suo morir far che gli muora appresso.

33Giace nel sen del monte orrida grotta
circondata di spine e di virgulti,
cui per angustia foce aperta e rotta
la via conduce a i penetrali occulti.
Qui, dove anco nel dì mai sempre annotta,
da l’insidie lontano e da gl’insulti,
il fier ladron, come in sicura sede
serba le più famose e care prede.

34Albimonte duo letti occulti appresta,
col vitto di Rosalba e de l’ancella,
e la notte che vien la serva mesta
ne la grotta ripone e la donzella.
A me sol le sue voglie ei manifesta,
e mi conduce a la solinga cella,
a tutti gli altri è celato il suo pensiero,
come ignoto de l’antro era il sentiero.

35Dal geloso Titon s’invola intanto
l’alba novella, et apre l’uscio al giorno,
e su il carro superbo in ricco manto
esce d’aurea corona il sole adorno.
La mattutina tromba in ogni canto
nuova strage crudel publica intorno:
a l’orribil rimbombo, a l’alte voci
s’accendono a la pugna i cor feroci.

36Si comincia l’assalto e d’atro sangue
fuman le rupi intorno, e pure ardito
Albimonte a quell’impeto non langue
e pur difende il malagevol sito.
Ei rincora primier del vulgo esangue
con la voce e col ferro il cor smarrito;
se move il guardo atroce o il braccio forte
spira fiamme di sdegno, orror di morte.

37Così dubbia la pugna il suo valore
mantiene infin che Febo al mar discende,
oppresso allor dal numero maggiore
il selvaggio drappel la fuga prende.
Invan tenta frenare il vil timore
et invano Albimonte altri riprende;
gettansi l’armi e per quei balzi errante
la salute ciascun fida a le piante.

38Ne l’ultima fortuna io sol rimango
con Albimonte, e quando cede anch’esso
a l’insulto nemico io l’accompagno,
e verso la caverna il sieguo appresso.
Non s’accorge che ’l siegua altro compagno
il masnadier, da gravi cure oppresso,
e giunto a la spelonca i vari affetti
d’ira e d’amor disfoga in questi detti:

39- Non è ragion che la beltà suprema
che d’insolita fiamma arse il mio core
sotto giogo nemico oppressa gema,
nuovo trofeo del mio infelice amore.
Ambi dunque moriamo et ambi prema
un sol caso, un sol ferro, un sol dolore.
Sia quest’antro fatal tomba comune
a i cadaveri nostri e a le fortune -.

40Ciò detto il ferro stringe e forsennato
entra ne la spelonca, e v’entro anch’io.
Indi sentii che dal furor portato
al letto di Rosalba il fier sen gìo.
Ohimè, sentii che il barbaro spietato
ne la bella innocente incrudelio,
e sentii fra quei gemiti dolenti
rauchi singulti et interrotti accenti.

41Misero, a che rinovo il mio dolore?
Deh, per Dio, deh si taccia e si trapasse
rimembranza sì fiera, e in quell’orrore
sepolta con lagrime si lasse.
Poiché spense il crudel l’empio furore
dal bel corpo innocente il ferro trasse,
e, disperato, al proprio sen trafisse
punitor de’ suoi falli, e così disse:

42- Non avverrà ch’altero altri sen vada,
Rosalba, del tuo amor, de la mia sorte;
su il tuo letto, Rosalba, io fia che cada,
ove teco sperai viver consorte.
Quei che il fato divise unì la spada,
separati in amor, congiunti in morte.
So ch’è crudo il pensier, l’atto spietato,
ma pur ch’altri non goda io son beato -.

43Qui tacque, e cadde, et io rimango intanto
fra ’l confin de la morte e de la vita.
Al soverchio dolor s’indura il pianto,
ne le fauci la voce erra smarrita.
Tu fede potrai farmi, o cener santo,
ch’allor sdegnai di rimanere in vita,
e stretto il ferro con pensier simile
m’accinsi a seguitar l’alma gentile.

44Sospende il mio morir novella cura,
che la pietà nel cor turbato infonde:
– Deh (fra me dissi) una vil grotta oscura
dunque insepolto un sì bel corpo asconde?
Ah si doni a lui pria sepoltura,
qual per me si potrà su queste sponde,
quando poi da le fere avrò salvato
il nobil corpo, io morirogli a lato -.

45Fuor de la grotta a tal pensier mi reco,
per trar lume e compagni a l’opra pia,
poiché io solo non basto e l’aer cieco
de la notte profonda il ciel copria,
ma poco era lontan dal cavo speco
ch’armata squadra attraversò la via,
e credendo ch’io fossi un de’ ladroni
mi prese e mi guidò tra i suoi prigioni.

46Molto fei, molto dissi e del mio stato
volli contezza dar, ma indarno tutto,
ch’appo Aramone incredulo e sdegnato
il mio dire e ’l pregar fu senza frutto.
Quindi fra l’altra turba incatenato
ne la città vicina io fui condutto,
ove dopo alcun tempo alfin palese
la mia innocenza apparve e mi difese.

47Libero di prigion, ma non d’affanni,
per ritrovarti al campo io m’incamino,
poiché pien di dolori e carco d’anni
quivi spero trovar men rio destino;
ma, non contenta de’ passati danni,
la fortuna interruppe il mio camino:
giunsi in un bosco in mezzo a due valloni
ove assalito io fui da tre ladroni.

48Un guerrier d’alto aspetto a quel romore
accorse, onde a fuggir libero io fui.
Non so ciò che seguì, poiché il timore
sollecito mi spinse a i piedi tui».
Qui tacque Ordauro, e di Consalvo il core
lacerato lasciò co’ detti sui,
e già il meschin perduto a la novella
avea il moto, il colore e la favella.

Consalvo parte dal campo per ritrovare il corpo dell’amata e darle sepoltura (49-58)

49Non cadde no, perché lo tenne in vita
l’aspro dolor che, stimolando il sangue,
diede vigore a l’anima smarrita,
e lo spirto fermò nel seno esangue.
Ma quanto men de la crudel ferita
a l’estremo dolor l’esterno langue,
tanto più gravi al misero nel petto
le pene accresce il doloroso affetto.

50Lo scudiero accommiata e a l’altrui vista
rapito dal dolor ratto si toglie,
et a sfogar sua pena amara e trista
in parte più remota ei si raccoglie.
Qui tanto di vigor la voce acquista,
che in regolati accenti alfin si scioglie,
e ’l guerrier prorompendo in tai parole
del suo crudo destin seco si dole:

51«O su il fior de l’età bellezza spenta,
o grazie estinte, o desolato amore,
ancor vivo felice e non si spezza
a colpo sì crudel l’aspro mio core?
Forse a tanti martir l’anima avezza
divenuta è insensibile al dolore?
O pur l’anima mia fece partita
quando a la mia Rosalba uscì di vita?

52Sventurata Rosalba, io non credea
che potesse albergar l’invidia in Cielo,
e ’l Cielo invidiò che nuova dea
abitasse la terra in mortal velo.
Ma s’io per te quando vivesti ardea,
morta t’adorerò con santo zelo;
adorerò del lume tuo novello
fatto in onta del sol il ciel più bello.

53Misero, a che vaneggi? E dove aspiri?
Refrigerio nel Cielo invan procaccio,
mentre fra gl’infernali aspri martiri
privo d’ogni speranza io mi disfaccio.
O tradite speranze, o miei desiri,
pur tra voi combattuto ardo et agghiaccio.
Pur soffrirò tra incendio e gelo eterno
per celeste beltà pena d’inferno.

54Ma gran pena è devuta a grave errore,
e di tormenti solo e di ruine
a vano ardir di temerario amore
mesto doveasi e lagrimevol fine.
Folle, a che la mia colpa io fo maggiore?
Dunque non lice amar cose divine?
Era beltà divina, era celeste,
no ’l niego, et io l’amai con voglie oneste.

55Amai, no ’l niego, amai Rosalba, ardei
a la fiamma gentil di quei bei rai,
ma temprò l’onestate i sensi miei
e l’interna beltà solo ammirai.
Del sovrano Fattor gli alti trofei
in quel bel volto attonito adorai,
e se forse il pensier più innanzi ardio,
la ragion sorse e raffrenò il desio.

56Pur colpevoli sian queste mie voglie,
e di pena crudel sian condennate.
Lasso, ma dove errò? Perché discioglie
morte quell’innocente alma beltate?
E voi fragili sì, ma caste spoglie,
dove insepolte, ohimè, dove restate?
Non vi vedrò? Non mi sarà concesso
baciarvi almen, morirvi almeno appresso?

57Che più tardi, Consalvo? Altra mercede
al tuo lungo servire invan procuri;
più da te non si spera e non si chiede,
muoiasi con Rosalba, altro non curi.
Contra la tua sincera e intatta fede
empia fortuna, invido Amor congiuri;
già non potrà vietarti Amore o sorte
con Rosalba comun sepolcro e morte».

58Così parla e risolve, e lo scudiero
che l’annunzio crudel recato avea,
chiama, e vuol ch’a la grotta apra il sentiero
ove Rosalba sua morta giacea.
Quindi tosto che sorse e l’aer nero
ingombrò la cimeria alata dea,
solo con lo scudier lascia le tende
et a l’infausto monte il camin prende.

Ferrando rincuora i suoi soldati per la perdita di Malaga, predispone le forze per controllare meglio il sito e fa costruire macchine d’assedio (59-71)

59Intanto è ne l’esercito portato
di Malaga perduta il duro aviso,
e l’ode il re, che di costanza armato,
nel cor non teme e non smarrisce in viso.
Mostra lieto il sembiante e in ogni lato
scorre e conforta il popol suo conquiso,
e con saggio parlar frena il romore
che nel vulgo fedel sparge il timore.

60«Quale indegna» ei dicea «vana paura
la vostra mente ingombra e la virtute?
Non prova di valor, ma fu ventura
ch’al nemico african diede salute.
Incauto capitano, antiche mura,
effeminate genti e irresolute
offeriro una facile vittoria,
senz’ardir, senza rischio e senza gloria.

61Dunque Malaga sola a voi ritolta
del trionfo vicin chiude il sentiero?
Poca gente africana ivi raccolta
farà lungo contrasto al nostro impero?
Non è questa, non è la prima volta
che ceda l’arte maura al ferro ibero,
benché in guisa miglior meglio difesa
fu dal nostro valor Malaga presa.

62Forse vi duol perché in quel porto amico
l’armata di Seriffo avrà ricetto,
onde partir dal mio disegno antico
e lasciar questo assedio io sia costretto?
Pria che da varie parti il re nemico
l’esercito africano abbia ristretto,
dal ferro e da le machine oppugnata
farò che in mio poter cada Granata.

63Reciso il capo, estinto langue il regno;
la vittoria è vicina, il rischio è poco,
né potran sostenere il nostro sdegno
quelle afflitte reliquie in debil loco.
Così fia da voi scosso il giogo indegno
che vi fe’ di vil turba infausto gioco,
così, domati i barbari nemici,
sarà libera Spagna e voi felici».

64Tace, e come nel mar cui Borea altero
porti col freddo soffio atra procella,
se lampeggia talor ne l’aer nero
messaggiera di pace amica stella,
rinvigorito il timido nocchiero
adora la fatale aurea facella,
che solo in apparir ridente e lieta
i venti placa e le tempeste accheta,

65così del popol suo tranquilla i cori
con intrepido volto il gran Ferrando,
e del mesto pensier gli egri timori
con soave parlar discaccia in bando.
Non teme il forte cor l’armi de i Mori,
ma non men le disprezza, e bilanciando
le sue forze e l’altrui fra sé discorre
come si possa a duo nemici opporre.

66Dopo lungo pensier risolve alfine
assalir la città prima ch’Orgonte
mova a i danni di lui l’armi vicine,
onde a tergo i nemici abbia et a fronte.
Quind’invia nuove guardie a le marine
ch’ad osservar, ch’a proibir sian pronte
ch’altra gente africana ivi discenda,
e che improvisa altra città sorprenda.

67Rivolge poscia ogni sua forza, ogni arte
per trionfar de la nemica terra,
e le schiere e le machine comparte
onde rechi a i pagani orribil guerra.
Nulla trascura, e attende in ogni parte
i vantaggi del sito, e le vie serra
del soccorso d’Orgonte a gli assediati,
innalzando d’intorno argini armati.

68Contra le vaste e pertinaci mura
formansi ordigni strani e moli orrende,
e per trarne materia a simil cura
il fabro arbori immensi a terra stende.
Cedono gli olmi a la bipenne dura,
che insieme i rami tronca e i tronchi fende,
e caggiono trofei del crudo ferro
la salda quercia e ’l noderoso cerro.

69Giace l’elce frondosa e l’alto pino,
il frassino silvestre e ’l faggio ombroso,
che sprezzò d’Aquilone e di Garbino
con immobile piè l’urto sdegnoso.
Di gravi salmerie pieno è il camino,
stridono i carri onusti al peso annoso,
e ne i vari lavori ubbidienti
gemono affaticati i duri armenti.

70Eleimo di Navarra, uom d’alto ingegno,
comanda a i fabri, onde ogni mole è fatta;
compon le rote, unisce legno a legno,
dispon la forma e la materia adatta.
Mira del gran lavor l’arte e ’l disegno
curiosa la turba e stupefatta,
et ammira fra lor diverse e miste
catapulte, arieti, archi e baliste.

71Sollecito de l’opra il re cristiano
le machine trascorre e le rivede,
e per nuocer d’appresso e di lontano
ogni offesa maggior cauto provede.
Con la voce ammaestra e con la mano,
promette onori e premi, applausi e prede.
Sudano i fabri e a le percosse gravi
treman le selve antiche e gli antri cavi.