ARGOMENTO
Seriffo inclina a preservar Granata
dal facondo parlar mosso d’Omare,
e con Orgonte un’improvisa armata
contra l’ispano invia per l’onde amare.
Da cieco amor Darassa è consigliata
il suo Armindo a seguir. S’adira il mare.
Morasto esce a le prede e seco Ernando
per Consalvo trovar si cinge il brando.
Orazione di Omare a Seriffo, re del Marocco (1-25)
1De’ Tingitani al sommo onor del regno
da privato natal Seriffo ascese,
uom di rigido cor, di fero ingegno,
d’animo egual ne le più dubbie imprese.
Cresciuto egli inondò senza ritegno
con armi vincitrici ampio paese,
né di Libia restò provincia alcuna
che non fosse a inchinar la sua fortuna.
2Dal confin d’Etiopia al mar di Spagna
del gran scettro real l’ombra si stende,
e d’onde il piè superbo Atlante bagna
sin dove in sette mari il Nil si fende,
de’ nudi Cirenei l’arsa campagna,
Mauritani e Numidi in sé comprende,
servo il Getùlo e tributario il Nero,
fatto di cento regni un solo impero.
3Sotto il giogo comune Africa teme,
chi di genti e chi d’or gli porge aiuto.
I re minori alteramente ei preme,
da pochi amato e da ciascun temuto.
L’armi son le sue leggi e la sua speme,
ne gli altrui danni è il regno suo cresciuto.
Fa l’util proprio al suo voler misura:
crescan gli acquisti, altra ragion non cura.
4Di duo figli munito egli godea
nati ad alte speranze il nuovo impero,
Alimoro, il maggior, che in armi avea
del valore african vanto primiero;
l’altra è Darassa, che trattar solea
con intrepida man ferro guerrero,
e che qual cavalier tra i più lodati
i libici paesi avea cercati.
5Di tesor, di soldati il re possente
in Marocco risiede a tanta cura,
e, quasi del suo regno anima e mente,
tutto col suo parer governa e cura.
Tal lo stato di Libia era presente
quand’Omar pervenuto a l’alte mura
fu introdotto ove stava in aureo scanno
cinto da i suoi baroni il gran tiranno.
6Sovra il capo real con bel lavoro
sorge tessuto in Menfi un ciel d’argento;
tratto Seriffo altier lo scettro d’oro,
e spira maestà canuto il mento;
stangli a canto Darassa et Alimoro,
e pende ogni altro al regio cenno intento.
Qua giunto, Omar la destra al sen si pose,
e in atto umil le sue preghiere espose:
7«O del nome africano unica speme,
sola reliquia a la virtù de i Mori,
Libia ferve al tuo scettro, Europa teme,
a te l’Asia riserba i suoi tesori;
vinta dal tuo valor l’Invidia freme,
al tuo ferro, al tuo crin sorgon gli allori;
tu del tuo merto in te medesmo altero
sei maggior de la sorte e de l’impero.
8Tue glorie ammira e tue grandezze inchina
combattuto il mio re da l’armi ibere,
et ei m’invia perch’a la sua ruina
dia soccorso opportuno il tuo potere.
Tu Granata, al suo eccidio omai vicina,
nel periglio maggior puoi sostenere,
et a la nostra gente or non avanza
fuor che nel tuo soccorso altra speranza.
9Fatto abbiam noi ciò che per noi si pote:
duri assalti soffrimmo, aspri disagi,
del foco ostil tra le ferventi rote
precipitar vedemmo arsi i palagi;
vedemmo e terre e ville inculte e vòte
con intrepido cor fra varie stragi,
e più volte vedemmo in lunga guerra
fumar le biade e rosseggiar la terra.
10Fummo esposti diece anni al crudo sdegno
del potente nemico, e già cadute
la più forti città del nostro regno
sol riposta in Granata è la salute.
Ma se da l’armi tue non ha sostegno,
vinta alfin caderà la sua virtute,
poiché l’accorto re col doppio male
de la fame e del ferro oggi l’assale.
11Vo’ ch’un’alma costante, un core invitto
sprezzi l’armi nemiche e le respinga;
ma ciò che valerà se tolto il vitto
la fame inevitabile lo stringa?
Armato è di virtù l’animo afflitto,
gode, è ver, negli stenti e si lusinga,
ma che pro s’alfin cade? Inutil lode
che degli affanni suoi solo si gode.
12Son da i nemici a i nostri danni intenti
chiusi i porti del mar, prese le strade,
e vietato è il condur nuovi alimenti
dal paese propinquo a la cittade.
Già mancheranno a l’assediate genti
non solo i cibi usati e l’altre biade,
ma quei ch’a le digiune ingorde brame
fa parer saporiti orrida fame.
13Sol resterà che la città ridutta
a pochi difensori oppressa al fine
dal nemico furor giaccia distrutta
fra gl’incendi e le stragi e le rapine.
Sentirà di qua l’Africa tutta
altamente sonar le sue ruine,
scorgerà sin di qua poco lontane
strugger la patria mia l’armi cristiane.
14Signor, prima che cada il rege amico,
deh, pietà del suo mal t’infiammi il petto.
Soccorri un re ch’è per legame antico
d’amicizia e di legge a te ristretto,
non tollerar che il vincitor nemico
il popolo african tenga soggetto.
Parte siam noi de l’Africa e comune
abbiam teco la fede e le fortune.
15Ma se a movere a l’armi un regio seno
sol la pietà, virtù privata, è poco,
se l’util, che de i regi è sferza e freno,
i preghi e i danni altrui si prende a gioco,
il tuo rischio, signor, muovati almeno:
al tuo impero sovrasta il nostro foco;
vacilla il regno tuo se cadrem nui,
e son perdite tue gli acquisti altrui.
16De l’ingordo spagnol l’invidia e ’l fasto
chi non conosce? E chi sarà che ’l tenga,
poiché da noi non avrà più contrasto
che vincitore a i danni tuoi non venga?
Di quel popolo altier l’animo vasto
breve spazio di mar fia che trattenga,
se per un nuovo imaginato mondo
l’ire sprezzò de l’ocean profondo?
17D’un ligure pur dianzi audace e vano
i consigli seguendo e le parole,
per sognate ricchezze il vulgo ispano
al mar s’espose oltre le vie del sole.
Non l’incognito ciel, non l’oceano
che solcare alcun legno unqua non suole,
la superba frenàr gente feroce
e fia che la trattenga angusta foce?
18Stimerà con ragion grave periglio
l’averti sì propinquo al nuovo acquisto
e che non possi tu con lieto ciglio
dilatata mirar la fé di Cristo.
Stimerà prevenirti util consiglio
prima che in danno suo tenti il racquisto,
e contra te, non proveduto e inerme,
cresciuto moverà l’armi più ferme.
19Meglio è dunque, signor, finché rimane
a la nostra città qualche vigore,
trasportando colà l’armi pagane,
il comune ammorzar vicino ardore.
Prevenute da te, le genti ispane
cederanno confuse al tuo valore,
né potran sostener da tanti lati
l’esercito di Libia e gli assediati.
20Aggiungi che discorde e disunito
troverai di Ferrando il nuovo regno,
poiché per odio antico in lor nudrito
fra loro i suoi baroni ardon di sdegno.
Aggiungi ancor che il tuo passaggio udito
il re di Portogallo il suo disegno
rinoverà sovra Castiglia e intanto
l’emulo assalirà da l’altro canto.
21Né già men pronto il re de i Franchi altero
la guerra moverà da i Pirenei:
ei per nativo istinto odia l’ibero,
e sospetti gli sono i suoi trofei.
Stretto da tante angustie il nuovo impero
agevolmente superar tu dei;
poco fia il rischio e con maggior tua gloria
grande il frutto sarà de la vittoria.
22Non di vòte campagne arsiccie arene
daran povera preda a le tue genti,
ma colà troverai fra spiagge amene
mature biade e numerosi armenti.
Con superbo tributo in auree vene
ivi corrono al mar gonfi i torrenti;
ivi d’ampie città ricchi tesori
largo premio saranno a i vincitori.
23Poiché dal tuo valor la Spagna doma
avrà il giogo african per te sofferto,
potrai di nuovi allori ornar la chioma,
degni de la tua fama e del tuo merto.
Serban poco lontane Italia e Roma
a le vittorie tue frutto più certo:
di molli abitatori ivi fortuna
preziose delizie a te raguna.
24Quante volte ha portate il nostro seme
ne l’italo terren l’armi africane,
tante ne riportò con certa speme
di sicuri trofei spoglie romane.
Lacerata in più regni Italia geme,
e discorde in se stessa egra rimane,
sì che prima ch’altronde aita chieda
sarà de le tue voglie agevol preda.
25Gran cose io ti propongo e pur maggiore
sei tu, gran re, d’ogni proposta mia.
Indegno paragon del tuo valore
leggiera impresa, opra vulgar saria.
Del lungo faticar premio è l’onore,
per giungere a la gloria erta è la via:
movi dunque, signor, l’armi temute
gran campo s’apparecchia a gran virtute».
Seriffo accetta di aiutare Granata; Orgonte re d’Algieri si propone di partire subito e a lui si associa, perché innamorata del suo paggio Armindo, Darassa, figlia di Seriffo (26-60)
26Qui tace Omare, e nel fornir gli accenti
avvicinaro al palpitante petto
del tiranno african le fiamme ardenti
l’empio Interesse e ’l timido Sospetto.
Le vittorie di Spagna omai presenti
mira come suoi danni il guardo infetto,
e di Ferrando vincitor le lodi
sono a l’animo suo flagello e chiodi.
27Qual lucido cristallo a l’occhio opposto
somministra a veder nuovi splendori,
e con doppia virtù, benché discosto,
gli oggetti a chi risguarda offre maggiori,
tal maggior da quei mostri è al re proposto
il trionfo e l’onor de i vincitori,
e de le glorie lor s’adorna e spande
al sospettoso orecchio il suon più grande.
28Quinci ad Omar rivolto «Avrai (risponde)
opportuno soccorso, e di me degno.
Tosto in vostro favor coprirà l’onde
con foreste di navi il nostro regno.
Sì sì, tutte di Spagna ardan le sponde,
trofei del mio potere e del mio sdegno;
vinto da me spenga il cristiano esangue
l’incendio ch’eccitò col proprio sangue».
29I consigli del re con lieta fronte
ciascuno approva, e l’empia coppia attende
a rinovar gli antichi sdegni e l’onte
e di fiamma guerriera i cori accende.
Intanto il messaggier con voci pronte
del soccorso vicin grazie gli rende;
poi quando riverente ogni altro tace
s’alza da la sua seggia Orgonte audace.
30Questi d’animo altier, d’orrido aspetto,
ha membra di gigante e cor di fera,
Mongibel di furor chiude nel petto,
ne lo sguardo infernal porta Megera.
Fu già cristiano, indi seguì Mehemetto,
e predò corseggiando ogni riviera,
sinché ne’ danni altrui grande divenne,
e del regno d’Algier lo scettro tenne.
31Disse il feroce: «Aggiungo al tuo consiglio
che mentre raccorrai l’armi in più lati,
n’andrò con le mie navi ove il periglio
chiede presto soccorso a gli assediati.
Di portar, d’introdur la cura io piglio
ne l’afflitta città biade e soldati,
onde aspetti da me rinvigorita
che le giunga di qua maggiore aita».
32Applaude il messaggier d’Orgonte a i detti,
il re n’è persuaso, e gli consente
che con le navi e co’ guerrier più eletti
porti il soccorso a la città languente.
Mentr’essi a tal consiglio eran ristretti,
Darassa, che sedea quivi presente
sorge, e non meno intrepida che bella,
s’inchina al re suo padre e gli favella:
33«Deh permetti, o signor, che siegua anch’io
il re d’Algier con fortunati auspici;
permetti che tra i primi il ferro mio
pugni in favor de gli assediati amici.
Sarà sprone a i tuoi duci il mio desio,
sarà freno il mio nome a i tuoi nemici;
non andrò senza frutto ove mi chiede
amicizia, ragione, onore e fede».
34Così parla Darassa, e così asconde
sotto il publico manto altri misteri.
Rimane il re sospeso e non risponde,
bilanciando in se stesso i detti alteri.
Ma quella, impaziente, in cui diffonde
l’affetto ardente fervidi pensieri,
i preghi rinovò con tal baldanza
ch’eccitò de l’impresa alta speranza.
35Già noto di Darassa era il valore,
ché l’Africa trascorsa avea soletta
in abito viril mercando onore
da le foci del Nilo al mar di Setta;
e di lei noto è il generoso core
che sol consigli audaci ode et accetta,
onde, benché gli spiaccia, il re le dona
quel che mal può negare e le ragiona:
36«Poiché ti spinge o il tuo valore o Dio
dove il rischio maggior t’offre più lode,
vanne, poiché vietar non ti degg’io
il cibo onde il tuo cor si nutre e gode.
Vanne, o figlia, et appaga il tuo desio
già che i miei sensi il tuo desio non ode.
T’arrida il Cielo, o figlia, e con tua gloria
le speranze previeni e la vittoria».
37Appena il re tacea quando Alimoro
cui stimolo d’onore il sen trafisse,
stimando ingiuria sua la gloria loro,
si trasse innanzi impetuoso e disse:
«Non son io così vile appo costoro
che dovessi restar quand’altri gisse.
Questo mio core anch’esso i rischi sprezza,
questa mia destra è anch’essa al ferro avvezza».
38Volea seguir ma l’interruppe il padre:
«Non, tu qui resterai, perché non osi
tentare al par d’ogni altro opre leggiadre,
ma perché a maggior cura io ti preposi:
quando tutte raccolte avrò le squadre,
vo’ che la lor fortuna in te riposi.
Sosterrai capitano in lor mia vice,
de’ miei disegni esecutori felice.
39Tu in Spagna condurrai la grande armata
a liberar l’assediate mura.
Lo scampo suo conoscerà Granata
con tua lode immortal, da la tua cura.
Io rimarrò, perché la vostra andata
l’Africa renderà manco sicura,
e non convien per trarre altrui d’affanno
esporre il proprio regno a certo danno».
40Così parla il tiranno, e qual mastino
ch’arruffi il tergo e che digrigni i denti,
e con labbra spumanti al peregrino
colmo di rabbia e di furor s’avventi,
se ’l chiama il suo signor tacito e chino
ritorna indietro e depon l’ire ardenti,
tale a i detti paterni il figlio audace
il novello desio raffrena e tace.
41De la guerra futura in simil guisa
distinguono i consigli, e ’l messaggiero
scrive al suo re ch’ivi restar divisa
sinché vegga raccolto il campo intiero.
Il minaccioso Orgonte intanto avvisa
d’apparecchiar le navi ogni nocchiero,
poiché del nuovo sol col primo raggio
risolve dar principio al suo viaggio.
42Tremante i lumi e raccorciata il crine
già fuggiva dal sol l’ultima stella,
e già scotea nembi di fior, di brine
dal celeste balcon l’alba novella;
scintillavano a i rai l’onde marine,
risplendea d’ostro e d’or l’aria più bella,
e riveriano il nuovo giorno a gara
più tranquilla Giunon, Teti più chiara,
43quando colà dove ridotte avea
le navi elette a la propinqua riva
ch’agevol porto a la città rendea,
con la turba seguace Orgonte arriva.
Tra quei che il re d’Algier seco traea
ammirato da tutti Armindo giva,
Armindo il bel garzon che prigioniero
avea di mille cor libero impero.
44Ei serve Orgonte, a cui pur dianzi il diede
in Algieri un corsar detto Almadeno,
ch’acquistato l’avea fra l’altre prede
d’Andaluzia scorrendo il lito ameno.
Beltà che largamente a lui concede
rosea guancia, aurea chioma, occhio sereno,
tanto poté di quel crudel nel petto
ch’a catena servil non fu ristretto.
45Così di prigionier fatto suo paggio
seguì poscia in Marocco il re temuto,
che con sue navi fe’ colà passaggio
portando in Tingitana il suo tributo,
poiché il regno d’Algier d’antico omaggio
al gran re di Marocco era tenuto,
e da Seriffo, a cui divenne amico,
Orgonte il ricevé col patto antico.
46Intanto di Darassa Amor cruccioso
vide a le leggi sue l’alma rubella,
e tosto invidiando il suo riposo
preparò dolci insidie a la donzella.
Un dì, che tra i pagani era famoso,
innanzi al re si ritrovava anch’ella,
ne la sala maggior dove già tutti
i baroni e i seguaci eran ridutti.
47Per soggiogar Darassa ivi l’attese
ne i begli occhi d’Armindo ascoso Amore,
in loro aguzzò il ferro e l’arco tese,
scoccò le freccia e saettolle il core.
Al primo colpo, al primo stral s’arrese
la fanciulla inesperta al feritore,
che per trofeo de la sua destra invitta
diede in preda al garzon l’alma trafitta.
48- Ohimè (diss’ella), e qual crudel ferita
mi bebbe il sangue e mi trafisse il petto?
Qual m’usurpò la libertà gradita
con tirannico impero ignoto affetto?
Son delusa così, così tradita
davanti al genitor nel proprio tetto?
Fra tante squadre armate a mia difesa
un semplice garzon m’ha vinta e presa?
49Infelice Darassa, or vanne altera,
de l’onor militar fra l’armi avezza,
e ne i rischi più orribili primiera
con magnanim’ardir morte disprezza.
Vanne, e misera ancella e prigioniera
servi a straniera incognita bellezza,
che cieca al pianger tuo, sorda a i sospiri
non t’ascolti superba e non ti miri -.
50Con tai detti sfogava i suoi tormenti
la donzella real, che del garzone,
poiché seppe lo stato, a i suoi lamenti
trovò d’altro dolor nuova cagione:
– Or chieggono di Libia i re possenti
a gara le mie nozze, e in guiderdone
del lor lungo servir felice sorte
stimin l’aver Darassa in lor consorte.
51Oggi estranio garzone il premio ottiene
de i lor desiri, oggi a beltà servile
quella stirpe real serva diviene,
al cui scettro s’inchina Atlante umile.
Misera, qual fortuna, ohimè, qual spene
può riserbarti Amor, che non sia vile?
Qual frutto puoi goder che non sia indegno
del tuo onor, del tuo sangue e del tuo regno?
52Folle, ma che vaneggi? In quel bel volto
sorge d’alta progenie occulto lume,
ne l’abito servil, nel crin incolto
splende con maestà nobil costume.
In rozzi panni un cor gentile involto
occultar la sua luce invan presume,
poiché negli atti e ne la fronte imprime
natura lo splendor d’alma sublime.
53Anzi, stolta, che pensi? Amor non cura
bassezza di natali e tutto agguaglia,
cieco disprezza e giovane trascura,
o vergogna o ragion pur ch’ei prevaglia.
Sia di fortuna umil, di stirpe oscura
il tuo amante, o Darassa, e non ten caglia;
non prescrive ad Amor regola alcuna
differenza di sangue o di fortuna.
54Osa dunque, Darassa, e chiedi in dono
il diletto garzon al re d’Algieri;
godi, ch’avrai pietà non che perdono,
Amor leciti rende i tuoi piaceri.
Misera, ma che tento o che ragiono?
Quai speranze nudrisco e quai pensieri?
Tu vergine real di fregio vile
macchierai la prosapia e ’l cor gentile?
55Ah, si mora più tosto, e in fiamma viva
vittima d’onestade abbruci il core,
che ne l’anima mia cura lasciva
desti di cieche voglie impuro ardore.
Arda il cor, ma la fama intatta viva,
trofeo di castità sia il mio dolore.
Amerò, non ricuso i miei tormenti,
pur ch’opprimer l’onore Amor non tenti -.
56Con tai consigli ella resiste, e sente
come fassi maggior fiamma celata,
e intanto il re d’Algier con la sua gente
s’offre a portar soccorso entro Granata.
Ella morìa, s’Amor col foco ardente
non scacciava dal cor morte gelata.
La misera s’affligge e in lei s’aggira
amore e gelosia, vergogna et ira.
57Sa che Armindo n’andrà col re d’Algieri,
e vede la sua morte ov’ella reste;
pensa dunque seguirlo e i suoi pensieri
col manto de la gloria adorna e veste.
Quindi fu che di gir fra quei guerrieri
più volte al genitor fe’ sue richieste,
e dopo ch’ottenuta ebbe licenza
preparassi con gli altri a la partenza.
58- Ti seguirò (diss’ella) ove più folto
move armato drappel l’asta e la spada;
precorrerò dove sarai rivolto,
con questa destra io t’aprirò la strada;
goderò mentre innanzi al tuo bel volto
del mio pudico amor vittima io cada:
pur ch’io ti segua, Armindo, altra mercede
al mio amor non richieggio e a la mia fede.
59Voi cari lidi e voi paterne mura
ove libera già vissi e godei,
restate, altro destinò ad altra cura
vuol ch’io serva e consacri i giorni miei.
Non lasceran vostra memoria oscura
o la mia servitute o i miei trofei;
parto amante e guerriera: o i nostri allori
a voi nome daranno o i nostri amori -.
60S’accommiata così dal re suo padre
e dal fratel, ch’invidia il uso viaggio,
poi ch’emulo a costei d’opre leggiadre
sdegna che lo precorra al gran passaggio.
S’invia Darassa ove l’armate squadre
a le navi richiama il nuovo raggio,
e su il legno real d’Orgonte ascende
che di porpora e d’oro adorno splende.
Partenza delle navi, e naufragio a Malaga a causa di una tempesta (61-71)
61Volan per l’aria intanto aure seconde,
risuona il ciel di barbari istrumenti,
de i remi al variar gemono l’onde,
gonfiansi i lini a lo spirar de i venti.
Fuggono il porto e l’arenose sponde;
restano afflitti i queruli parenti;
salutan il partir le navi e i lidi
con le trombe, co’ timpani e co’ gridi.
62Il libico terren rade l’armata,
trascorre Abila e Calpe, e giunge alfine
dove con procellosa angusta entrata
Alcide imprigionò l’onde marine.
Quindi piega a sinistra e di Granata
le riviere scopriva omai vicine,
e già lieto il nocchier mostrava a dito
de la terra bramata il nuovo lito,
63quand’ecco d’atre nubi orrido velo
copre gli eterei campi e il giorno oscura.
Mugge il mar, trema il lido e freme il cielo,
sorge ad onta del sol notte immatura.
Cade la pioggia e di perverso gelo
in globi lucidissimi s’indura.
Sembra che il cielo ondeggi e ’l mare avvampi,
corron l’onde nel ciel, nel mare i lampi.
64Or gonfie di furor l’onde frementi
sorgono in monti a minacciar le stelle,
ora in cupe voragini cadenti
portan giù ne gli abissi atre procelle.
Il regno di Nettun scorrono i venti,
turban quel di Giunon l’acque rubelle.
Vien la notte, e fra l’onde in ciel vaganti
tuffa la dubbia luna i rai tremanti.
65Vien la notte funesta e torbid’esce
più che mai fosse dal cimmerio orrore;
l’incertezza de i rischi i rischi accresce,
e con l’ombra il timor fassi maggiore.
I fremiti de i venti e i gridi mesce
de’ pallidi nocchieri alto romore;
l’arte vien meno, e nel vicin periglio
al tumulto, al terror cede il consiglio.
66Ma non paventa la real donzella
la superba tempesta, e fissa pende
nel volto ove d’Amor gemina stella
a i suoi pensier orsa fatal risplende.
Imperversino il vento e la procella,
che de l’impeto lor cura non prende,
e ne’ begli occhi del suo Armindo ha l’alma
tra le guerre del mar placida calma.
67Né men disprezza il temerario Orgonte
del torbid’ocean l’orribil faccia,
e la vasta innalzando altera fronte
non meno empio che forte il Ciel minaccia.
Gli altri fan voti, ei con bestemmie et onte
a l’opre i naviganti affretta e caccia,
e con gli urti e col ferro impaziente
spinge a gli uffici suoi l’afflitta gente.
68«Invan (dicea) per me soffiate, o venti,
e voi nubi per me tonate in vano,
al dispetto del ciel, de gli elementi
vincerò le tempeste e l’oceano.
Condurrò queste navi e queste genti
in soccorso del popolo pagano;
vengan fulmini e nembi, il mondo cada,
più del mar, più del ciel può la mia spada».
69Così grida il superbo, e intanto a scherno
i temerari detti il Ciel si prende,
e raddoppiando il tempestoso verno
con impeto maggior la nave offende.
De l’eolio drappel lo sdegno alterno
mal sostiene il nocchiero e mal difende
l’arbor, che col timone infranto giacque,
trionfo d’Aquilon, gioco de l’acque.
70Sbigottito, il nocchier perde la speme
et a l’ira del mar preda s’espone.
Scolorito ciascun paventa e geme
e porge inutil prieghi al suo Macone.
Bestemmia il re d’Algier, Darassa teme
non de la vita sua ma del garzone,
e da lui pende e con pietosa cura
ansia de l’altrui scampo il suo trascura.
71Cessano gli altri venti, e sol de l’onde
tiranneggia il Libecchio il mobil regno,
e a le rive di Malaga feconde
spinge l’afflitte navi ebro di sdegno.
Urta ne le sassose opposte sponde
spinto dal suo furor d’Orgonte il legno;
si frange in quegli scogli e sovra il lito
resta in più pezzi lacero e sdrucito.
Zoraida, su nuova richiesta di Elvira, esce da Granata per portare l’ambasciata d’amore a Consalvo, sfruttando una sortita notturna di Morasto, uscito in cerca di viveri e di informazioni sul campo cristiano (61-83)
72Mentre naufraghi in mar costoro errando
giungon vicini a i termini del monte,
erra non men di loro il mesto Hernando
fra i suoi tristi pensier naufrago in corte.
Or de l’amata Elvira il rio comando,
or se medesmo accusa et or la sorte,
e dispettoso aspetta il dì fatale
in cui fabbro egli sia del proprio male.
73Ma lieta Elvira e curiosa attende
che le apra favorevole fortuna
per indrizzar ne le cristiane tende
la sua fedel Zoraida ora opportuna,
né guari si trattien, ch’ella comprende
che sotto l’ombra taciturna e bruna
de la notte, che prossima sorgea,
grosso stuolo a le prede uscir dovea.
74Morasto gli conduce et è sua cura
scorrere i campi intorno e le contrade,
e riportar ne l’assediate mura
più che gli sia concesso armenti e biade.
Fra lo stuol numeroso e l’aria oscura
facilmente inviar si persuade
Zoraida al campo occulta, onde lei trova,
e le preghiere e gli ordini rinuova.
75Sollecita distingue il modo e l’ora
onde uscir può da la città ristretta;
di nuovo il cavalier le s’offre allora
e l’impresa fatal di nuovo accetta.
Soggiunge Elvira: «A chi da me s’adora
tu sai ciò che narrare a te s’aspetta;
altro non ti dirò, ma da mia parte
dà il mio core a Consalvo in queste carte».
76Prende Hernando la carta ove il suo amore
avea spiegato Elvira, indi le dice:
«Vado, Elvira; or dà pace al tuo core:
con l’amato guerrier godrai felice.
Ma se per strano caso o per mio errore
mi vietasse il tornar sorte felice,
tu non sdegnare almen ch’io mi conforte,
ch’ebbi sol per Elvira e vita e morte».
77«Volga lungi da noi (risponde Elvira)
auguri tanto infausti il Ciel cortese.
Tu scaccia il vil timore e meco aspira
con magnanima speme a l’alte imprese».
Tace, et Hernando al suo parlar sospira,
e intanto Elvira al collo suo distese
le braccia, e rinovò caldi e tenaci
stretta con lui gli abbracciamenti e i baci.
78Che festi Hernando, e dove fu rapita
l’anima tua, solo a i tormenti avezza?
S’eccessivo piacer toglie la vita
come vivo restasti a tal dolcezza?
Morivi, ma frenò l’alma smarrita
fra i vezzi de l’amata alta bellezza
il saper che quei baci eran mercede
non già de l’amor tuo ma de la fede.
79Da gli amplessi e da i baci alfin si scioglie
Hernando, e parte allor che notte oscura
coprendo il ciel di tenebrose spoglie
promette a gli animai pace sicura.
Trova Siren, getta la gonna e toglie
da lui gli arnesi antichi e l’armatura,
et armato che fu, sovra un destriero
che condotto gli avea salta leggiero.
80Dal suo fido Siren congedo prende,
e l’ordine primier seco rinova.
Egli appena le lagrime sospende,
l’altro ne versa inessiccabil piova.
Da l’albergo real quinci discende
a la porta vicina, ove ritrova
il fier Morasto che il suo stuol raguna
per uscire a predar con l’aria bruna.
81Si pone Hernando infra lo stuol ch’uscia
da l’assediate mura a la campagna,
e giran per alpestre occulta via
lontani da l’esercito di Spagna.
Quinci da lor furtivo egli s’invia
verso un bosco propinquo e si scompagna,
ch’attender vuol tra quei solinghi orrori
che risorgono in cielo i nuovi albori.
82Ma quando col suo stuol Morasto il fiero
rinselvato si fu ne la foresta,
pria che gisse più innanzi al suo scudiero,
uom sagace e fedel, disse: «Qui resta,
e procura osservar del campo ibero
occultamente in quella parte e in questa
gli studi e l’opre, e come sian guardati
i ripari nemici e gli steccati.
83Prima che sorto in Oriente il giorno
scopra la mia partita e le mie prede,
s’altro no ’l vieta io farò qui ritorno,
ove mi narrerai ciò che succede».
Tace, e parte, e l’uom scaltro in quel contorno
gira furtivo e insidioso il piede,
procurando osservar cauto et ardito
del campo ibero gl’andamenti e ’l sito.