ARGOMENTO
Prorompe Hernando in dolorosi accenti,
poi d’Elvira a Consalvo il foco espone,
ma, sopragiunti da pagane genti,
fanno di lor virtù gran paragone.
Fuggono i Mori, e tra guerrieri eventi
si disgiunge da l’un l’altro campione.
Il perfido Morasto inganna Elvira,
e fuor de la città seco la tira.
Hernando incontra Consalvo e gli porta l’ambasciata e la lettera di Elvira (1-26)
1Giunto che fu l’addolorato Ernando
del bosco antico infra le piante ombrose,
scese di sella e ’l suo destrier lasciando
letto si fe’ di quelle piagge erbose.
Non posò già, poiché il riposo ha bando
fra l’acute del sen cure noiose,
onde con mille piaghe era trafitto
d’amor, di gelosia l’animo afflitto.
2S’assise in terra e pensieroso alquanto
stette col capo basso in sé raccolto,
e poiché si riscosse, alzò di pianto
vèr le stelle parlando umido il volto:
«Stelle vaghe e crudeli, oh come il vanto
di beltà, di fierezza io veggo accolto
in voi, che dimostrate a me presenti
le bellezze d’Elvira e i miei tormenti!
3Stelle, ancor vi contemplo, ancor vi miro,
testimoni infelici al mio natale,
origini al mio duolo, al mio martiro,
nutrici del mio pianto e del mio male?
Anzi folle con voi perché m’adiro,
s’altro spirto, altro influsso in me non vale
che quel che la mia donna avvien che scocchi
da due stelle rinchiuse in duo begli occhi?
4Voi foste, occhi spietati, archi et arcieri,
che di piaga mortal m’apriste il seno;
fuste voi che spiraste a i miei pensieri
il soave e mortifero veneno.
Occhi, voi mansueti e lusinghieri
mi prometteste un placido sereno,
indi in un mar di pianti e di martiri
sommergeste il mio core e i miei desiri.
5Misero, in van le stelle e gli occhi accuso
se la colpa maggior da me deriva:
io, di fortuna e di natal confuso,
osai d’amar beltà celeste e diva;
il gastigo del Ciel già non ricuso
ch’a la mia audacia or meritato arriva,
sol mi duol che s’errai già troppo ardito
con troppo vil gastigo or son punito.
6Una morte al mio fallo era bastante
e pure a mille morti io son dannato,
e divenuto interprete d’amante
da continuo flagel sono agitato.
Lasso, qual cor di rigido diamante
potrebbe tollerar sì duro stato?
Vuol ch’io, crudo a me stesso, iniqua sorte
fondi le gioie altrui su la mia morte.
7Io godo nel languir, ma non vorrei
l’altrui pace comprar co’ miei tormenti,
e sovra le ruine e i danni miei
stabiliti mirar gli altrui contenti.
Ma che vaneggi Hernando? Alti trofei
son de la tua costanza i tuoi lamenti.
Elvira così vuol, così diviene
più illustre la tua fé ne le tue pene.
8Goda Consalvo avventuroso e sia
de le fortune sue prezzo il mio pianto,
più d’ogni altro piacer l’anima mia
stima di fé incorrotta il nobil vanto.
Tosto che l’alba aprendo al sol la via
squarcierà de la notte il fosco manto,
andronne al campo, et al rival felice
sarò ne le dolcezze ape infelice.
9Ape infelice io nel partir suggei
da le rose de i labbri i cari baci,
perché fatti più dolci i detti miei
fesser de le mie gioie altri capaci.
Baci tolti a me, dati da lei,
d’amor, ma d’altro amor premi fallaci;
baci ancor vi ricordo? Ah baci indegni,
non d’amor ma di morte infausti pegni.
10Deh se fia mai che tu risappi, Elvira,
che quel che già Zoraida in te credesti
Hernando sia, che il premio a cui sospira
sol per servirti ad altro amante appresti,
so che di tanta fé, ch’oggi si mira
raro o non mai, qualche pietate avresti,
né potresti negar poca mercede
d’una lagrima sola a tanta fede».
11Tal si querela il cavalier dolente
e da gli antri più cupi Eco risponde,
e pietose al suo pianto in suon languente
mormorando gemean l’aure e le fronde.
Sorge intanto nel ciel l’alba ridente,
de l’indio ocean fiammeggian l’onde,
e su ’l confin del prezioso Eoo
stampan orme di foco Eto e Piroo.
12S’alza col nuovo giorno il cavaliero
e l’occultata insegna antica prende,
che lo mostra cristiano, e su il destriero
salito invèr l’esercito discende.
Né guari s’innoltrò ch’uno scudiero
scorse venir da le propinque tende,
onde in sembiante amico ivi l’attese
e di Consalvo il padiglion gli chiese.
13Il cortese scudier disse al campione:
«Servo son io di Consalvo, e se t’aggrada
di lui che mi richiedi al padiglione
scorta fedele io t’aprirò la strada».
Hernando replicò: «Tu in sua magione
sei noto, e meglio fia ch’a lui ten vada,
e gli dichi che qui venuto in fretta
solo et amico un cavalier l’aspetta.
14A ritrovarlo alta cagion mi muove
che distinta narrar voglio in disparte,
fortune udrà meravigliose e nove
ch’al suo merto propizio il ciel comparte».
Qui tace il cavalier, l’altro vèr dove
alberga il suo signor ratto si parte,
mentre Hernando sospeso in quel contorno
attende palpitante il suo ritorno.
15Colui fra tanto al suo signor perviene
e gli espon l’ambasciata, onde pensoso
Consalvo risvegliò l’antica spene
di fortuna miglior nel cor doglioso.
Stima che del perduto amato bene
gli annunzi il cavalier vita e riposo,
poiché al desio fallace e lusinghiero
sempre facil credenza apre il pensiero.
16Come l’infermo a cui per grave arsura
sugge l’umor vital sete importuna,
o vegghi o dorma al suo pensier figura
con vano refrigerio acqua opportuna,
e se mai vide o stagno o fonte pura
o ruscello cader da rupe alcuna
a l’arsura mortal che lo tormenta,
lusingando il desio, tutto appresenta,
17così ciò che Consalvo ascolta o mira
del perduto suo ben volge al racquisto.
Già novelle speranze Amor gl’ispira
e rasserena il cor turbato e tristo.
Ondeggia intanto il cavalier d’Elvira
in un mar di pensier confuso e misto,
e con vario flagel gli batte il core
vergogna e gelosia, sdegno et amore.
18Discopre alfin con lo scudier già noto
Consalvo, et in un punto arde et agghiaccia;
perde il vigore e la favelle e ’l moto,
torbido è il guardo e pallida la faccia,
ma quella fede ond’ei sacrossi in voto
a l’idol suo, la sua difesa abbraccia,
ella de’ sensi l’impeto represse
e confermò l’ardire e le promesse:
19«Questo è il rischio maggior dove s’affina,
(disse Hernando) il mio amore e la mia fede.
Andrò, né temerò morte vicina,
ché già di mortal piaga il sen mi fiede.
Lieto il rival sovra la mia ruina
de le dolcezze sue ponga la fede:
se la mia morte a la mia donna piace
fia la morte per me diletto e pace».
20Così più disperato e più costante
si spinge invèr Consalvo, e gli favella:
«Gran venture, o signor, ti reco avante,
ch’appresta al tuo valor la sorte ancella:
non può grazie maggiori un core amante
degnamente sperar da donna bella;
ma se ti par, colà n’andrem, che poco
opportuno a i discorsi è questo loco».
21Consalvo a tai proposte ha già concetta
di ritrovar Rosalba alta speranza;
già li sembra veder la sua diletta,
già si rode fra sé de la tardanza;
quindi applaude al guerriero, e ’l segue in fretta
vèr la selva propinqua ov’ei s’avanza.
Poiché fur giunti in solitaria parte
diede Hernando al rival l’ascose carte.
22«Prendi,» gli disse «e in questo foglio ammira
d’un raro amor meravigliosi effetti.
In queste carte il ciel benigno ispira
i semi di futuri almi diletti».
Tace, e l’altro guerrier prende d’Elvira
il foglio, che distinto era in tai detti:
«Manda a Consalvo e gli consacra in voto
Elvira in queste carte il cor divoto.
23Salute io non t’invio, poich’ora oppressa
per tua sola cagion da grave ardore
altrui non posso dar quel ch’a me stessa
conceduto non ha rigido Amore.
Quel dì, quel dì, signor, ch’ebbe repressa
l’accusa di Zegrindo il tuo valore,
quel dì per mezzo tuo con varia sorte
mia madre ebbe la vita et io la morte.
24Liberasti la madre e me facesti
ne la sua libertà tua serva amante.
Superasti Zegrindo e me vincesti,
lui con la spada e me col bel sembiante.
Fu quel giorno, signor, che m’ancidesti,
allor fu che t’offersi il cor tremante,
e fu per man d’Amor quel giorno istesso
il nome tuo dentro al mio sen impresso.
25Fede contraria o nimistà natia
invan tentò d’opporsi al nuovo affetto,
che i sensi riducendo in sua balia
fece al tuo merto il mio voler soggetto.
Quinci godrò che la cagione ei sia
de l’incendio crudel che m’arde il petto,
e pur ch’arder per te mi si conceda
non fia, signor, ch’altra mercé ti chieda.
26Ma se tua generosa alma reale
vien che prenda pietà de’ miei lamenti,
da Zoraida che ’l sa, tu del mio male
più distinti udirai gli aspri tormenti.
Essa il foglio daratti, e se ti cale
porger ristoro a le mie fiamme ardenti
i tuoi disegni a la sua fé confida,
poiché del nostro amor sarà la guida».
Sono interrotti dal ritorno di Morasto: ne nasce una zuffa e i Mori sono ricacciati in città da Silvera; durante l’inseguimento Hernando si perde nel bosco (27-41)
27Queste appena distingue ultime note
il cavalier, ch’attonito rimane,
come l’uom che si desta e scorge vòte
le speranze fuggir tra l’ombre insane;
ma dal grave stupor tosto lo scote
improviso romor d’armi lontane
ch’ognor più s’avvicina, e intorno sente
calpestio di destrieri e suon di gente.
28Grosso stuol di pagani alfin si vede
de la selva spuntar dal sen più folto;
Morasto è il duce lor, che varie prede
dal paese vicin scorrendo ha tolto.
Ei molti prigionieri avvinti a piede
e molte greggie intorno avea raccolto,
e per occulte vie di quel contorno
furtivo a la città facea ritorno.
29Scorse appena il superbo i duo guerrieri,
cui nemici conobbe a l’armatura,
ch’entrambi minacciò, con detti alteri,
di cruda morte o di prigione oscura.
Trassero i ferri e spinsero i destrieri
a le minaccie altrui senza paura
i duo campioni, et assaliro i Mori,
prevenendo crucciosi i lor furori.
30Contra Morasto intrepido si scaglia
Consalvo, e quei l’aspetta, onde s’accende
tra i duo forti guerrieri aspra battaglia,
che più fera e più dubbia ognor si rende.
Gli altri Hernando fra tanto urta e sbaraglia,
dov’è il rischio maggiore ei fora e fende,
sostien l’aste e le spade e, benché solo,
sprezza de’ Saracini il grosso stuolo.
31Come in chiuso steccato esposto a l’ira
del latrante drappel toro feroce
si fa piazza d’intorno ovunque gira
lo sguardo minaccioso o il corno atroce,
così cede la turba e si ritira
dove drizza il guerrier l’armi e la voce,
e solo ardisce con dubbiosa mano
da le spalle infestarlo e da lontano.
32Più terribile ognor da l’altra parte
fra Consalvo e Morasto arde la guerra;
rotta la sopraveste e l’armi, sparte
di pompa marzial, copron la terra.
Cresce lo sdegno, e a la ragione e a l’arte
il loco usurpa, e l’adito riserra;
accompagna la man l’ire del core
e divien la virtù cieco furore.
33Giunge il romore a le cristiane tende,
lo scudier di Consalvo, il qual l’ha visto
fra lo stuolo pagan, le schiere accende
narrando il rischio suo, pallido e tristo.
Frettoloso s’aduna e l’armi prende
col paterno stendardo il popol misto,
gli conduce Silvera et al soccorso
del fratello assalito affretta il corso.
34Il suon de l’armi, il calpestio, la polve
la pugna separò de i duo campioni;
lo stuolo infido a la città si volve,
e lascia con le prede anco i prigioni.
Morasto di frenarlo invan risolve
con ferite, con gridi e con ragioni,
poiché la grave ignobile paura
non ammette ragion, pena non cura.
35Arrivano i cristiani e i fuggitivi
incalzano da tergo, e già la terra
seminata di morti e di malvivi
siegue strage crudel, non dubbia guerra.
Fa correr d’atro sangue orridi rivi
Silvera, et altri uccide et altri atterra.
Pur de la selva l’intricate strade
molti salvàr da le cristiane spade.
36De la turba fugace alfin Morasto
dal torrente rapito il campo cede,
ma ne l’ultime file a far contrasto
a quei che lo seguian primo si vede.
Come per impedir che non sia pasto
del lupo ch’affamato esce a le prede
de la greggia il pastor rimane a tergo
e la scorge sicura al fido albergo,
37così il pagan, che da Consalvo appena
già si disciolse, or tra le file estreme
l’orgoglio in parte e l’impeto raffrena
del vincitor che i suoi rincalza e preme.
La selva ancor, che d’antri e d’ombre è piena,
ove il popol fedel l’insidie teme,
soccorse i Mori, onde per vie celate
fèr ritorno sicuri a la cittate.
38Poiché per lunga strage intiepidito
fu nel sangue pagan lo sdegno ardente,
si volse addietro il vincitore ardito
e liberò la prigioniera gente,
mentre lunge da gli altri Hernando è gito,
seguendo in fretta un cavalier fuggente,
per l’intricate vie de la foresta
che di colpo leggier ferillo in testa.
39Ma quando liberati ebbe i prigioni
e divisa la preda a i suoi guerrieri,
fe’ ritorno Consalvo a i padiglioni,
circondato da vari alti pensieri.
Sono al vecchio suo mal nuove cagioni
i passati accidenti, onde più fieri
muove gli assalti al combattuto core
con acerba memoria antico amore.
40«Lasso (ei dicea), perché, crudel fortuna,
godi tu di schernire i miei desiri,
e fai, mentre io non ho speranza alcuna,
che sperando il mio amore altra sospiri?
Perfido Amor, chi contra a me ragiona
nuova guerra di strazi e di martiri?
La tua sete a smorzar dunque i miei pianti
senza lagrime altrui non son bastanti?
41Muova per espugnar la mia costanza
machine di piacer beltà reale;
vo’ più tosto languir senza speranza
che macchiar del mio amor la fé immortale».
Così parla Consalvo e in lui si avanza
fra novelli martir l’antico male,
e si duol che d’amore Elvira il preghi,
e che la sua Rosalba amor gli nieghi.
Morasto, venuto a conoscenza dalla sua spia dell’amore di Elvira per Consalvo, arde di gelosia e decide di rapirla nottetempo adescandola con un falso invito di Consalvo, ma la giovane fugge nel bosco (42-89)
42Il fugace drappel Morasto intanto
ne l’antica città ridotto avea,
e de l’ingiurie sue con nobil vanto
memorabil vendetta in sé volgea,
quando la Gelosia da l’altro canto
l’agitò con la sferza acherontea,
e maligna versò nel cor turbato
tra le fiamme d’amor tosco gelato.
43Il suo scudier, quel ch’a spiare il sito
e l’opre de l’esercito cristiano
rimase, e che con gli altri era fuggito
quando lasciò la pugna il capitano,
a lui venne e «Signor,» disse «io son gito
lo stato ad osservar del campo ispano,
e cose udii che ponno ancor parere
incredibili altrui benché sian vere.
44Nel più folto del bosco io stava ascoso
per osservar de le nemiche genti
l’opre e i disegni allor ch’un suon doglioso
l’orecchie mi ferì con mesti accenti.
Sospeso io resto e quindi il piè dubbioso
taciturno rivolgo a quei lamenti,
e tant’oltre furtivo io mi distesi
che le voci distinte alfine intesi.
45Intesi ch’è un guerrier quel che si duole,
che in veste feminil serviva Elvira,
e mostran le sue flebili parole
che per amor d’Elvira egli sospira.
Comprendo ancor che tra i cristiani ei vuole
trovar Consalvo, e che di ciò s’adira,
vedendo che ministro egli diviene
de le dolcezze altrui con le sue pene».
46Qui segue lo scudier ciò che in disparte
de i lamenti d’Hernando avea sentito,
e ciò ch’indi partendo in altra parte
fra il guerriero e Consalvo era seguito.
«Raccolsi alfin (soggiunse) io queste carte
che Consalvo lasciò quando assalito
fu già da te con improvisa guerra:
mira tu ciò che occulto in lor si serra».
47Sì parla, e al capitan presenta il foglio
che gli amori d’Elvira in sé nasconde.
Legge, e d’ira e d’amore e di cordoglio
vari moti in un punto il fier confonde.
Non mai con tanti colpi eccelso scoglio
combattono a vicenda i venti e l’onde
con quanti allor di quel feroce petto
scosse di mille affetti un misto affetto.
48Tiranneggiano i sensi Amore et Ira,
Dispetto e Gelosia rodono il core,
lo conforta il Desio, Sdegno il ritira,
arde, ma di furor più che d’amore,
freme, non geme, e se talor sospira
non eccita pietà, ma sparge orrore,
e par toro ferito allor che mugge,
e par leon infermo allor che rugge.
49Sdegna e brama in un punto, ama et aborre,
biasma quel che desia, vuole e ricusa.
Le bellezze d’Elvira in sé discorre,
sprezzando adora, idolatrando accusa.
Tenta i lacci del core in van disciorre
da l’insidie d’amor l’ira delusa,
vuol fuggir, vuol seguire e nudre vari
in un solo pensier sensi contrari.
50Tanto foco giamai dal sen cocente
non sparse il fulminato empio gigante,
né giamai tanto giel nel verno algente
scosse dal bianco crin Borea spirante,
quanto allora versonne Amore ardente,
quanto ne sparse Gelosia tremante
nel saracin, ch’al ghiaccio et a l’ardore
par diventato un Mongibel d’amore.
51Fra vari effetti alfin preval lo sdegno,
ma non però dal vecchio amor diviso,
e gl’infonde nel cor fero disegno
in cui poscia ristette immoto e fiso.
«A che» gridò «con aspro giogo indegno
mi fo legge uno sguardo, osservo un riso?
A che in van mi lamento e in vani affanni
spendo l’ore oziose e spargo gli anni?
52De l’ardor, che sì grave io mi figuro,
il refrigerio sol da me dipende,
et or per mia viltate io sol trascuro
il rimedio del mal che sì m’offende.
Io vo’ rapire Elvira, e non mi curo
se mi condanna alcun, se mi riprende
perché il mio re tradisca, e se mi chiama
macchiator di mia fede e di mia fama.
53Son titoli bugiardi e fama e fede,
son fallaci apparenze e falsi oggetti.
Onde trassero il fonte? ove si vede
che gli osservino i re verso i soggetti?
Quale giusta ragion dunque richiede
che sian vili appo lor questi rispetti,
e ch’altri mantenga e con suo danno
senza frutto verun serva al tiranno?
54Succedan pur di fellonia, di morte
crudelissime pene a la rapina:
che pro se già son reo, se la mia sorte
o felice od avversa il Ciel destina?
Scoprirassi il mio amor, l’arti di corte
tosto machineran la mia ruina.
Penso rapirla, e perch’io l’ho pensato
basta forse onde a morte io sia dannato.
55Deh, che meglio sarà ch’io tenti almeno
se gli arditi consigli il Cielo aita,
il pensar, l’indugiar sicuro è meno
che l’istessa rapina a la mia vita.
Non si creda giamai che in regio seno
resti dopo il perdon l’ira sopita;
folle è colui ch’offende il suo signore
e stima col perdon spento l’errore.
56Osa e spera, Morasto: a grande ardire
nel maggior rischio il fato apre la strada.
Rapisci Elvira, appaga il tuo desire;
che non lice al valor de la tua spada?
Va con essa in Numidia, ivi da l’ire
del re vivrai lontano in tua contrada;
sarai tra quei diserti ignoti e inculti
da l’insidie sicuro e da gl’insulti».
57Discorrendo più volte in questa guisa
Morasto, alfine elegge a tanta impresa
il suo fido scudiero, a cui divisa
il modo e ’l tempo, e ’l suo desio palesa.
Dal geloso Titon l’alba divisa
appena aveva in Oriente accesa
del dì la prima face, e non ancora
cedea la notte i termini a l’aurora,
58quando a le stanze ove risiede Elvira
il sagace scudier già s’incamina,
et introdotto ove colei sospira,
di Zoraida il ritorno a lei s’inchina.
L’uom sconosciuto appena ella rimira
che lui de l’amor suo nunzio indovina,
e col cor palpitante e con favella
interrotta, in disparte a sé l’appella.
59Quei s’accosta, e comincia: «Io di gran cose
a te, donna real, son messaggiero;
ma ciò ch’a lungo il mio signor m’espose
a te racconterò breve e sincero:
Consalvo, il mio signor, le cui famose
opre fann’oggi insuperbir l’ibero,
a te nunzio m’invia perché a vicenda
del tuo nobile amor grazie ti renda.
60Ei lesse la tua carta, ei pari ardore
sente avvampar per tua cagion nel petto;
ei, sacrato al tuo nome avendo il core,
gode a la tua beltà viver soggetto;
ei per mostrar come al tuo vero amore
dal suo canto risponda eguale affetto
risposta ti darà ne la futura
notte col penetrar dentro le mura.
61Egli la tua donzella avrà per guida
e fra stuolo de i vostri in campo uscito
a le solite prede entrar confida
ne la città, con abito mentito.
Io sarò seco, e non può aver più fida
scorta, onde a me descrivi il tempo e ’l sito
sì che, giunto che sia ne la cittate,
qui possa riverir la tua beltate.
62Così piacesse a te da queste mura
nosco venir tra le cristiane schiere,
come so ch’a lui fora alta ventura
tuo sposo celebrar le nozze altere.
Quivi godendo in libertà sicura
prima n’andresti infra le nuore ibere,
e là vedresti con lo sposo amato
pargoleggianti i cari figli a lato».
63Con questi detti lusingando alletta
il sagace scudier l’incauta Elvira,
che, innamorata, è di prestar costretta
facil credenza a quel che il cor desira.
Già d’uscir da la patria Amor l’affretta,
e ’l modo più sicuro in sé raggira,
non in guisa però ch’a i suoi voleri
l’onestà non opponga altri pensieri.
64Con sollecito cor quinci risponde
a l’accorto scudier che pria che ’l giorno
de l’atlantico mar caggia ne l’onde
a l’albergo di lei faccia ritorno,
che, se partir risolve, e come e donde
allora diragli, o se vuol far soggiorno.
Quegli volea partir, ma la donzella
di nuovo impaziente a sé l’appella.
65Quinci del suo guerrier molto gli chiese,
e quei, ch’è del bisogno istrutto appieno,
le risposte condì d’amor cortese
e le sparse nel cor nuovo veneno.
Più volte replicò ciò che richiese
e ciò che seppe Elvira, e quegli al seno
nuove fiamme le ispira, et alfin prende
congedo e torna ove colui l’attende.
66A gli assalti d’Amore intanto oppone
le sue leggi Onestà nel cor d’Elvira,
e se il caldo desio l’è sferza e sprone,
la vergogna la frena e la ritira.
L’onor, la fé, la nimistà propone
contrari a quei disegni ov’ella spira,
ma tutto invan, ché l’amoroso affetto
rintuzza la ragion, vince il rispetto.
67Qual fiume a cui ripugna eccelsa sponda,
gonfio da un nuovo umor trabocca alfine,
e l’argine importun svelle con l’onda
e move d’ogn’introno alte ruine,
le selve schianta, i seminati affonda,
tutto ingombra di morti e di rapine,
portando per trofeo de’ suoi furori,
capanne, agricoltor, greggie e pastori,
68tale il perfido Amor, dal cui torrente
vinto è de l’onestà l’argine opposto,
ne l’inferma d’Elvira incauta mente
scopre superbo il suo furor nascosto.
Non più de l’infelice il sen languente
colpì con dubbio strale arcier discosto,
ma in mezzo al core entrato il suo stendardo
piantovvi, e lei ferì senza riguardo.
69«Vanne»le disse Amor «dove t’invio,
e vaglia il mio voler per tua difesa;
ubbidisci a i miei cenni, io son tuo dio,
et io sarò tua guida a l’alta impresa.
Cede ogni altro rispetto, e al poter mio
fa con vana ragion debil contesa.
I sogni non curar d’onor fallace,
godi se t’è concesso, ama se piace.
70Questa de la natura è vera legge,
l’altre son d’interesse occulti inganni,
che mentre i sensi rigido corregge,
contra i nostri piacer s’arma con gli anni.
A che cerchi discolpe? Amor ti regge;
chi si crudo sarà che ti condanni
perché bella et amata a i caldi prieghi
di sì degno amator pietà non nieghi?
71Ben donzella sei tu, ben tu nascesti
di prosapia real, ma ciò non basta,
perché dal regno mio libera resti,
cui tutt’altra possanza invan contrasta.
Ripugnando tanti anni assai godesti
con dannosa virtù lode di casta;
il perduto piacer ristora, e cessa
da sì vano pensier, vivi a te stessa».
72Con tai detti lusinga a la donzella
la mente inferma insidioso Amore.
Cede lui sì, ma non in guisa ch’ella
il fren de l’onestà tolga dal core.
– Andrò nel campo (indi fra sé favella),
gl’imperi seguirò del mio signore,
e spero che ’l destin fatto men rio
favorevole arrida al bel desio.
73Ivi godrò del mio Consalvo amato,
divenuta consorte, i cari amplessi;
di bella prole ivi promette il fato
al pudico mio amor lieti successi.
Ma se pur, che no ’l credo, il fin negato
fosse colà de gl’imenei promessi,
caderò del mio onore ostia gradita,
non macchiata giamai, benché tradita.
74Ch’ami no ’l niego, o sia destin che ’l voglia
da inevitabil legge a me prescritto,
o siasi il mio appetito e la mia voglia
che d’incurabil piaga ha il cor trafitto,
amerò, ma non fia che ciò mi toglia
con lascivo pensier l’animo invitto;
amerò sì, ma se ’l richiede onore
col sangue io pagherò fallo d’amore -.
75Così Elvira discorre e si dà vanto,
mentre verso l’Occaso inchina il giorno,
e già l’umida dea prepara il manto
di vaghe stelle in varia guisa adorno.
Il tempo a lui prefisso osserva intanto
lo scudier di Morasto, e fa ritorno
a la magion de la real donzella,
che l’accoglie cortese e gli favella:
76«Ritorna, amico, al tuo signore e mio,
e digli ch’è mia legge il suo volere,
ch’io lascerò per esso il ciel natio,
che ’l seguirò fra le cristiane schiere.
Quando la cieca notte e ’l cupo oblio
d’intorno spargeran l’ombre più nere,
per incognita via senz’altra scorta
del giardino aprirò la minor porta.
77Tu pensa come uscir da queste mura
potremo, e là mi guida il caro amante,
poiché col suo valor spero sicura
di penetrar fra tante guardie e tante.
Mentre ch’io partirò, sarà tua cura
scoprire intorno e far la scorta avante.
Resta che mi conduchi ivi un destriero
a la fuga notturna atto e leggiero.
78Andremo al campo e de’ perigli miei
per dolce guiderdone io mi prometto
che Consalvo sarà d’alti imenei
col legame vital meco ristretto».
Tacque, e da lo scudier di nuovo a lei
conforme al suo desio molto fu detto,
e fur novellamente a lei promessi
de’ bramati imenei lieti successi.
79Quindi fa tosto al suo signor ritorno
il sagace scudiero, e quei giocondo
offre, giunto in Numidia, ampio soggiorno
con ricchi premi al messaggier facondo.
E perché già s’era fuggito il giorno
da l’ombra densa e da l’oblio profondo,
preparano la fuga, et al giardino
rivolgono furtivi ambi il camino.
80Elvira intanto il suo Consalvo attende,
dà congedo a color che l’hanno in cura,
e quando le par tempo occulta scende
su l’uscio del giardin verso le mura.
Amor, che d’alta speme il cor le accende,
la vergogna discaccia e la paura;
mentre si parte il caro albergo mira,
e tra sé parla in cotal guisa Elvira.
81- Rimanetevi in pace, o mura amate,
io vo dove altra guerra Amor prepara,
anzi men vo dove tra genti armate
mi promette il destin pace più cara.
Dolci sospiri e lagrime beate
fur quelle che stillò mia doglia amara,
poiché compre a tal prezzo a me raguna
le delizie d’Amor lieta fortuna.
82Sacri lumi del ciel, amiche stelle
che la mia fuga e ’l pensier mio scorgete,
secondatemi voi, propizie e belle,
con influenze avventurose e liete.
Infra l’ombre e l’orror chiare facelle
palesatemi voi la mia quiete,
voi che ardente d’amore, o luci sante,
deh prendete pietà d’un core amante -.
83Tal parla, e de’ suoi voti il ciel si ride,
e non meno del ciel sen ride Amore,
ch’a la sua fuga insuperbito arride
e l’ardir di costei stima suo onore.
Giunge a la porta, e ’l chiavistel che stride
al pagan ch’attendea rallegra il core,
appena la donzella apre la porta
ch’ei l’inchina e le s’offre e le fa scorta.
84Il parlar breve e l’ombra e la paura
turbàr gli spirti et offuscaro i sensi,
ond’essa nulla osserva e nulla cura
ma salisce il destrier, né più trattieni.
Per la via men frequente e più sicura,
coperti van da cupi orrori e densi
vèr la porta che in guardia avea Morasto,
e giungono colà senza contrasto.
85Già fatta avea del capitan l’impero
aprir la porta et abbassare il ponte,
poiché altre volte avea per uso fiero
uscir di notte a gli inimici a fronte.
Escono dunque e prendono il sentiero
verso il bosco vicin girando al monte,
e schivano per luoghi inusitati
le guardie de’ cristiani e gli steccati.
86Già penetrate del gran bosco avieno
le parti più secrete, e già men bruna
l’aria rendea per l’aureo ciel sereno
seminando i suoi rai l’argentea luna,
quando di viva fiamma acceso il seno
risolve di tentar la sua fortuna
Morasto, or che opportuni il tempo e ’l sito
il suo caldo desio fanno più ardito.
87Volto dunque ad Elvira impaziente
con tai detti il suo amore e l’arti accusa:
«Morasto, non Consalvo, hai tu presente;
tua beltà qui mi trasse e mi ti scusa.
Tentai di ritener la fiamma ardente
ne’ confini del core invan richiusa,
che, vinto alfin da l’amoroso affetto,
a rapirti, a ingannarti io fui costretto.
88Ritrovi a l’ardir mio debite pene
Amor, cagion de le mie colpe audaci,
onde per me dolcissime catene
siano gli amplessi tuoi cari e tenaci».
Qui tace il saracino e ’l fren ritiene,
e tenta di rapir furtivi baci
dal bel volto d’Elvira; ella, smarrita,
s’arretra e chiede in alta voce aita.
89Qual se incauto fanciul stesa la mano
a coglier fiori il serpe innanzi vede,
trema, grida, e smarrito indi lontano
sospendendo la man rivolge il piede,
tale a gli atti, al parlar del fier pagano
timida si ritrae e aita chiede
l’addolorata Elvira, e in ogni canto
fa risonar la selva a i gridi, al pianto.