ARGOMENTO
Pugna Altabrun con Almansorre, e Marte
sospende ancor de la vittoria il grido;
quei lascia il campo e in solitaria parte
uccide questi Aldivomare infido.
D’Elvira il caso udito ei si diparte
e torna di Granata al patrio nido,
ove al cognato re novella è resa
ch’Orgonte è giunto e Malaga è sorpresa.
Duello tra Almansorre e Altabruno nella foresta: Altabruno si perde, dopo aver salvato un servo (Ordauro) inseguito da tre ladroni; Almansorre scopre dalla spia di Morasto la verità su Elvira e lo uccide, portando poi in città la verità sul rapimento (1-22)
1Scorse il fero Altabrun la selva intorno
l’odiato rival cercando invano,
sinché ad aprir l’uscio dorato al giorno
l’aurora uscì da l’indic’oceano;
allor, con romor vario, in quel contorno
uno strepito d’armi udì lontano,
che poi gli si avvicina et ecco avante
si vede un cavalier d’alto sembiante.
2Era questi Almansor, che indarno avea
per lo bosco sinor cercato Elvira,
e seguendo l’inchiesta ivi giungea
dopo lungo vagar pien d’odio e d’ira.
Erano ambi feroci, ambi accendea
egual furor, che i cori audaci ispira,
onde avvistisi a l’armi esser contrari
si assalìr, si oltraggiàr con detti amari.
3Scendono i colpi orrendi or pieni or vòti,
or vien che l’arte or che il furor prevaglia;
par che sempre la spada o sorga o roti,
copre il terreno intorno e piastra e maglia.
Contra i soffi di Borea alpine coti
sembrano i cavalier ne la battaglia,
mentre alcun non si arretra e non si arresta
de i gravi colpi a la crudel tempesta.
4Così più fiera infra di loro ardea
la tenzone, e del pari eran rosse
l’armi d’entrambi, e in lor l’ira crescea
moltiplicando i danni e le percosse;
né segno alcuno altrui mostrar potea
qual di lor due più vigoroso fosse,
quando Almansor, per terminar cui vada
l’onor de la vittoria alza la spada.
5A la furia nemica oppon lo scudo
di tempra eletta il cavalier cristiano,
ma per mezzo l’aperse il ferro crudo
e diviso cader lo fece al piano;
scende più basso, e resta il braccio ignudo
al grave colpo, e stupida la mano.
Piega in sella Altabrun se non ferito
de la mano e del braccio, almen stordito.
6Rivenne, e più terribile e più fiero
mosse l’ire e le forze a la vendetta.
Fischia la spada e ’l barbaro guerriero
spinge innanzi il cavallo e non l’aspetta.
Nel trapassare, il misero destriero
la piaga altrui devuta in sé ricetta;
del colpi ingiusto ei cade a terra oppresso
e sossopra Almansor cade con esso.
7Spinger voleva il cavalier feroce
sovra il pagano il suo destrier pesante,
ma lo ritenne una dolente voce
che sentì risonar poco distante:
«Almeno a palesare il caso atroce
giunger potessi al mio signore avante!
Consalvo, almen narrassi a te la sorte
di chi tanto ami e venga poi la morte».
8Distinta era la voce in questi accenti
e, perché crede l’uom quel che più brama,
crede sian per Silvera i suoi lamenti,
sorella di Consalvo e ch’ei tanto ama.
Spronato allor da nuove furie ardenti
spinge il destrier dove la voce il chiama,
e vede non lontan tra duo valloni
fuggire uno scudier da tre ladroni.
9Il timido scudier d’amare strida
empie la selva e l’una e l’altra valle;
corre Altabrun dove a costor lo guida
pe ’l più breve camino angusto calle,
giunge a i ladroni e gli minaccia e sgrida,
et ad un che fuggia fère le spalle,
al secondo, che immobile l’aspetta,
apre il sen d’una punta e in terra il getta.
10Il terzo vuol fuggir verso una balza
che sorgea dirupata indi non lunge,
ma spronando il corsier ratto l’incalza
il cruccioso Altabruno e tosto il giunge;
d’un rovescio improviso il ferro innalza
e la testa da gli omeri disgiunge.
Giacque il ladrone e con diversa sorte
ove cercò la preda ebbe la morte.
11Spenti costoro, il cavalier si volta
con palpitante core a lo scudiero,
ma vede che lontan la fuga ha tolta
per aspro inaccessibile sentiero.
Lo chiama ad alta voce, ei non l’ascolta,
ma più timido ognora e più leggiero
per vie dirupate in guisa vola
ch’a gli occhi d’Altabrun tosto s’invola.
12Freme il guerrier di sdegno e quando vede
che per l’aspro camin lo siegue invano,
vuol ritornar dove ha lasciato il piede
sotto il destriero il cavalier pagano;
colà dunque s’invia ma non succede
quel che proposto avea, poiché lontano
del caduto Almansor sprona il cavallo
per diverso sentier ch’ei prese in fallo.
13Di qua, di là, pien di dispetto e d’ira
biasmando il Cielo, ingiuriando Amore,
per la foresta il cavalier s’aggira,
e non trova in che sfoghi il suo furore.
Stanco, incerto et afflitto alfine ei gira
verso il campo cristiano il corridore,
poiché novelle assai più care spera
quivi aver del rivale e di Silvera.
14Era intanto Almansor, benché a fatica
da l’estinto cavallo in piè salito,
indi più d’ogni piaga in sé nemica
doleasi ch’Altabruno era partito.
Sa che invan di cercare ei si affatica
stanco e pedone in malagevol sito
il nemico guerrier, che col vantaggio
del veloce destrier segue il viaggio.
15Mentre gonfio di rabbia il saracino
al minacciar sembra un leon che rugge,
ode a sinistra un calpestio vicino,
si volge e vede uno a caval che fugge.
Gli attraversa Almansor tosto il camino
poiché il nemico ei di seguir si strugge,
e risolve, a colui tolto il destriero,
opportuno eseguire il suo pensiero.
16Fermollo dunque, e per la briglia il tenne,
e quando curioso in lui si affisa
l’astuto Aldivomar di Tremisenne
di Morasto scudier tosto ravvisa.
Gli dimandò per qual cagione ei venne,
da qual parte e perché fugga in tal guisa;
conosciuto Almansor, trema colui,
né risponde confuso a i detti sui.
17Al pallore, al silenzio et a l’aspetto
si avvede il cavalier di sua paura,
e gl’ingombra la mente alto sospetto
ch’ei vada per tradir l’amiche mura,
quindi altero lo sgrida: «Ove soletto
ti spinge in questa selva ignota cura?
Qual fraude tessi? Io ti conosco, infido;
che badi?, o tosto parli o ch’io t’uccido».
18A quel parlar colui, che freddo e immoto
era stato sinor stupido in sella,
discende in fretta e del suo fallo ignoto
spinto al castigo in guisa tal favella:
«Troppo, signore, il gran giudicio è noto
de la sferza onde il Cielo i rei flagella;
veggo il mio precipizio e no ’l ricuso,
confesso il mio delitto e non lo scuso».
19Qui seguitò come ingannata avesse
con l’arti sue la semplicetta Elvira,
e ciò che ne la fuga indi successe
e come qua la sua fortuna il tira.
Appena tollerò ch’egli esprimesse
l’istoria il cavalier, ch’arse ne l’ira,
e poi gridò: «Qui a tempo il Ciel ti ha tratto
a la pena fatal del tuo misfatto».
20Tace Almansorre, e perché stima indegno
usar la spada ove virtù non vaglia,
l’afferra per la gola, ebro di sdegno,
due volte il gira, indi lontan lo scaglia.
Spinto da quel furor senza ritegno
è forza ch’il meschin volando saglia
sopra un faggio et appeso ivi rimaso
carnefice per lui dimostra il caso.
21Poich’estinto mirò l’empio fellone
de l’arbore infelice a i rami appeso,
stette con dubbio cor lunga stagione
fra pensier vari il cavalier sospeso.
Tornar ne la città quindi propone
sovra il destrier del traditore asceso,
poiché al re vuol narrar ciò ch’è seguito
e ciò ch’egli d’Elvira avea sentito.
22Per occulto sentier giunge in Granata
e palesa al cognato e a la sorella
gli accidenti d’Elvira innamorata
e de gl’inganni altrui l’aspra novella.
Imperversa Maurinda addolorata,
straccia il crin, morde i labri e ’l sen flagella;
freme il re, ma celar saggio procura
il dolor quanto lice e la sciagura.
Un messo di Orgonte racconta dell’assalto a un palazzo fuori Malaga e della presa della città, favorita dall’intervento celeste (23-71)
23Gli affanni a raddolcir giunge opportuno
aviso ch’un messaggio era venuto
dal forte re d’Algier; vola ciascuno
a vedere, ad udir se rechi aiuto.
Quinci introdotto al re, presente ognuno,
disse colui: «Signore, io ti saluto
d’Orgonte in nome, il quale ha già ritolta
Malaga al re cristiano, or tu mi ascolta».
24Appena il messaggier tai detti espresse
che sorse un favorevole bisbiglio,
che applaudendo durò sinché il represse,
rivolgendosi intorno, il re col ciglio.
Soggiunse allor colui: «Come giungesse
Omare in Tingitana e ’l suo periglio
come spiegasse a quel gran re tuo amico,
signor, poich’è soverchio io non ridico;
25basti a te di saper che da i suoi detti
Seriffo persuaso a darti aita,
da i regni degli amici e de’ soggetti
raguna a tuo vantaggio oste infinita.
Intanto ei vuol che il re d’Algier si affretti
co’ suoi più scelti e con Darassa ardita,
figlia di lui, che lo richiede a prova,
e vuol ch’a tuo favor primo si mova.
26Parte dunque di Libia in tuo soccorso
con diece navi Orgonte e solca l’onde,
arridon l’aure e con propizio corso
de l’ibero terren scopre le sponde.
Carco di nembi e di procelle il dorso
esce allor Borea irato e il mar confonde;
l’urta Libecchio e a la terribil guerra
mugge l’acqua, arde il ciel, trema la terra.
27La notte alfin spinto è d’Orgonte il legno
a le rive di Malaga vicine,
ove si rompe et a l’orribil sdegno
ci espon de le superbe onde marine;
ma quand’urta la nave e che dà segno
di giacer fra le torbide ruine,
lampeggia in aria un ampio lume e insieme
lampeggia al nostro cor raggio di speme.
28Scopre la face il desiato lito,
e la virtù smarrita in noi ristora.
Primo giunge a la riva Orgonte ardito,
e con voci festive altri rincora;
Darassa la seconda, e al lieto invito
ciascuno applaude e ’l vicin lito adora,
molti toccàr l’amate arene e molti
fur ne l’ampie voragini sepolti.
29De la nave sdruscita erano cento
quei che si ricovràr sovra la riva,
col volto pien del solito ardimento
Orgonte li raccoglie e li ravviva.
Mugghiava intanto impetuoso il vento,
e ’l procelloso mar fremer s’udiva,
et incerti del loco e del periglio
non sappiamo onde aver scorta e consiglio.
30Fra l’orror, l’incertezza e la paura
a noi si avvicinò l’aurea facella,
che lampeggiando in mezzo a l’aria oscura
ci avea sottratti a l’orrida procella;
quindi una voce uscì che ci assicura
e dolcemente in guisa tal favella:
– Sperate, o generosi, a le tempeste
vi tolse e qua vi spinse aura celeste.
31Per alpestre sentier vassi a l’onore,
nel maggior rischio alma gentil più gode,
condita di fatica e di sudore
più dolce è la vittoria al cor d’uom prode.
Serba amico destin premio maggiore
a la vostra virtù con maggior lode;
già soffriste, or godrete; itene, amici,
che vi prepara il Ciel prede felici -.
32Tacque, e ciascun da la celeste voce
infiammato sentissi a grandi imprese.
Sorge a quei detti Zeffiro veloce
e spira al mar turbato aura cortese.
Intanto con Darassa il re feroce
risolve di scoprir qual sia il paese;
ad Urbante fedel poscia commette
che con gli altri guerrier quivi l’aspette.
33Già, respinte le nuvole, spargea
la sorella del sol l’argenteo raggio,
e da lui scorto Orgonte il piè volgea
con Darassa a l’incognito viaggio.
Sen va l’ardita coppia e fatto avea
dal loco onde partì breve passaggio,
quando poco lontan l’eccelse cime
di palagio scoperse ampio e sublime.
34Colà dunque si drizza et indi spera
del paese vicin, de gli abitanti
scoprire il sito e aver notizia intera
prima che col suo stuol vada più avanti.
Si avvicinaro, e sotto a loggia altera
videro a lauta mensa in dolci canti
fra lo splendor di lucidi doppieri
lietamente scherzar donne e guerrieri.
35Resta sospeso il re d’Algier, né molto
indi lontano un pastorel veduto
fa che Darassa con amico volto
a sé lo chiami, e chiegga a lui venuto
qual sia lo stuol ch’era colà raccolto,
quale il palagio e da chi sia tenuto.
Le sodisfece e a le richieste cose
il cortese pastor così rispose:
36- Da Malaga, che quindi assai vicina
sorge colà ne la sinistra riva,
venner questi a fuggir su la marina
in quell’ampia magion la rabbia estiva.
Quivi le sue dolcezze Amore affina
fra laute mense a l’armonia festiva.
Potrete voi, se qui restate alquanto,
vedere e udir gli scherzi loro e ’l canto -.
37Tacque, e prese commiato; indi il sentiero
ratto seguì dove altro affar l’invita.
Restano gli altri, et alza il cavaliero
ad impresa maggior la mente ardita,
e poiché stabilito ebbe il pensiero
tosto manifestò la tela ordita
a la compagna, e disse: – Illustre impresa
il pastor co’ suoi detti a noi palesa.
38Anzi il Ciel la palesa; or non rammenti
ciò che parlò l’oracolo divino,
che non senza cagion l’onde frementi
deluse e qua ci spinse alto destino?
Noi dunque opprimerem l’incaute genti
cieche ne la lascivia, ebre nel vino.
Vinto costor tentiam opra maggiore,
e si adopri da noi l’arte e ’l valore.
39Resta ch’Urbante a ritrovar si vada,
e ch’un di noi gli scopra i miei pensieri,
sì ch’ei venga e disponga in ogni strada
intorno a la magion gli altri guerrieri,
onde chi schiverà la nostra spada
impediti a fuggir trovi i sentieri,
e rimanga prigion nel loco istesso
né a Malaga avisar possa il successo -.
40Tace, e discorre il modo e gli consente
Darassa, e parte a ritrovar coloro,
e ’l re d’Algier l’effeminata gente
occulto osserva, e i detti e gli atti loro:
gode e scherza ciascun lieto e ridente,
fra i delicati cibi e i vasi d’oro,
infiammano a vicenda i molli petti
gli sguardi, i vezzi e le lusinghe e i detti.
41Chi sorride, chi prega e chi sospira,
vari effetti produce un solo affetto;
tutto sparge lascivia e tutto spira
allegrezza et amor, gioco e diletto.
Quinci s’ode toccando aurata lira
dolcemente cantare un giovinetto,
che fece a l’armonia di questi accenti
fermar ne l’aria innamorati i venti:
42- Contemplate, ammirate il sol che nasce
ne l’instabil tenor d’un breve giorno,
di rugiada immortal l’aurora il pasce,
cantan gli augei, scherzano l’aure intorno.
Di rubini ha la cuna e d’or le fasce,
sorge di fior, cresce di raggi adorno;
tutti i lumi del cielo in sé raguna,
ecco poi tosto langue e tosto imbruna,
43tale è la nostra vita e in un momento
con la rota fatal girano gli anni,
né può, benché rinasca, il sol già spento
ristorar de l’età l’ingiurie e i danni.
Copre il volto di rughe, il crin d’argento
la vecchiezza, e nel cor semina affanni,
e invan finto color le guance adorna:
gioventù che fuggì mai più non torna.
44Godiam dunque, godiam prima che il fiore
secchi a l’età la rigida vecchiezza.
Amiam, godiam, poiché natura e Amore
perché goduta sia dier la bellezza.
Non si tardi a goder: volano l’ore,
e ’l tempo che più val manco si prezza.
Vivi curiam goder la nostra sorte,
Giove curi di noi dopo la morte -.
45Così canta il garzone; applaude al canto
la turba, che non vede il suo destino,
né sa che il riso ha il suo confin col pianto
e che il dolor siede al piacer vicino.
Con l’amico drappel Darassa intanto
tornata era dal lito e pe ’l camino
manifestati avea del re d’Algieri
ad Urbante fedel gli alti pensieri.
46Gira Urbante il palagio et opportuna
la sua gente divide e la dispensa
in guisa tal che non rimane alcuna
via di salute a chi fuggir si pensa.
Quindi Orgonte si spinge ove si aduna
la turba effeminata a la gran mensa,
e del licor di generose viti
fa le tazze fumar con lieti inviti.
47Al subito apparir del re feroce
rimasero le turbi esangui e smorte,
e grida intanto Orgonte in alta voce:
– Resti chi col fuggir non vuol la morte -.
Molti a l’aspre minaccie, al volto atroce
fermàrsi; un che parer volle il più forte
caldo di vin, d’amor, lancia ad Orgonte
una tazza d’argento e ’l coglie in fronte.
48Non sorge mai con tante furie ardenti
da fanciullo importuno il can percosso,
che contra l’offensor digrigna i denti,
e bieco ha il guardo e rabbuffato il dorso,
né sì giamai da impetuosi venti
minacciando si gonfia il mar commosso
con quante e come il re d’Algier in fretta
fe’ del colpo leggier grave vendetta.
49Non stringe no quella famosa spada
a cui non ebbe mai l’Africa eguale,
poiché vergogna sua stima che cada
il lascivo nemico in guisa tale,
ma prende il vaso e per l’istessa strada
rilancia a quel meschin colpo mortale;
ne la tempia ferito ei cade esangue,
a la tazza pe ’l vin rendendo il sangue.
50Un altro allor, che pure avria potuto
l’esempio di colui rendere accorto,
tenta snudar la spada et al caduto
porgere aita o vendicarne il torto,
ma da un pugno d’Orgonte è prevenuto,
che gli schiaccia la testa e ’l lascia morto;
del terzo, che fuggia, la chioma afferra
Orgonte e lo ritiene, indi l’atterra.
51Altri due saettati intanto avea
la donzella, e del vin privi e di vita
al rimanente, che fuggir credea,
la via dal fido Urbante era impedita.
Il garzon che cantò, mentre volea
salvarsi anch’ei con improvisa uscita
da me venne interrotto e da lui poi,
mio prigioniero, appresi i carmi suoi.
52Custoditi da noi così restaro
i cavalier, le donne e i servi loro,
e co’ cibi dipoi ch’essi lasciaro
noi prendemmo adagiati alcun ristoro.
Orgonte alfin, prima ch’al Ciel più chiaro
pennelleggiasse il sol l’azzurro in oro,
s’incaminò vèr Malaga vicina
a la gloria, a la strage, a la rapina.
53Sol gí seco Darassa e l’armatura
con l’abito cristiano ambi copriro.
Gli altri, di cui Urbante ebbe la cura
poco lunge in più squadre i duo seguiro.
Così n’andammo, e le superbe mura
di Malaga nemica a noi si offriro,
quando già il sol pei lucidi sentieri
sferzava al corso i rapidi destrieri.
54Restano gli altri, e sol la coppia altera
vèr la porta si move a passi lenti;
entrano al pari Orgonte e la guerriera
mentre sono i custodi ad altro ’ntenti.
Giunto che fu tra quella incauta schiera
Orgonte risvegliò suoi sdegni ardenti,
e tra lor si scagliò col ferro ignudo
come al piè che l’offese il serpe crudo.
55Tre n’uccide in un colpo e duo n’atterra
l’intrepida guerriera, e gli assaliti
tentan raccorre a l’improvisa guerra
le debil forze e gli animi smarriti.
Chi di lor si ritira e per la terra
a l’armi chiama in replicati inviti,
chi più ardito combatte e gli altri esorta
da quei duo soli a racquistar la porta.
56Corrono al suon de le primiere grida
d’ogni parte i cristiani, e corre Urbante
che noi tutti divisi unisce e guida
al soccorso de i duo ch’erano avante.
Pugna Orgonte e spaventa e abbatte e sgrida
con la voce, col ferro e col sembiante.
Paiono la cittate e i difensori
breve spazio e poca esca a i suoi furori.
57Darassa anch’ella infra lo stuol cristiano
fa di rara virtù famose prove,
dove il rischio è maggior l’ardita mano
fra la turba più densa il ferro move.
Ma che val se d’appresso e di lontano
d’armi e d’armati orrido nembo piove,
e ’l tumulto e la calca ognora abbonda
e contra noi da varie parti inonda?
58Mentre ridotti a così duro stato
cerchiam se non salute almen vendetta,
da celeste miracolo recato
ci vien soccorso allor che men si aspetta.
Già lo sdegno del mar s’era placato,
già chete le procelle e già ristretta
la nostra armata in su il mattin scopriva
di Spagna alfin la desiata riva,
59quando il fiero Uracane, a cui maggiore
d’ogni altro capitan ch’ivi sedea,
per grado, per ingegno e per valore
in assenza d’Orgonte ognun cedea,
vede sovra un battel pien di dolore
un cavalier ch’Urbante altrui parea,
mentre fra noi poco da me distante
in Malaga combatte il vero Urbante.
60Giunge costui, che per voler celeste
Urbante fu da tutti allor creduto,
et al forte Uracan parla con queste
voci, e tosto l’infiamma al nostro aiuto:
– O tu, che per superar nembi e tempeste
e i legni afflitti hai conservar potuto,
l’onor del fatto egregio invan godrai
se presto aiuto al tuo signor non dai.
61Mira quella città: Malaga è quella
ove per caso raro Orgonte entrato,
sarìa lungo narrarti opra sì bella,
ha da la porta il difensor scacciato.
Seco è del tingitan l’alta donzella,
e quei pochi che tolti al mare irato
quando il lito vicin ruppe il suo legno
fedelmente il seguiro al gran disegno.
62Ciò che può forza, ingegno e ardire umano
fanno costor, ma contra lor si spinge
il numeroso popolo cristiano
e la porta racquista e li respinge.
A che tardate? A che l’invitta mano
la generosa spada ancor non stringe?
a qual vi riserbate opra maggiore?
Qui l’impero african, la fé l’onore.
63Sarete voi del vostro sangue avari
a quel re ch’è del suo prodigo a voi?
A quel gran re che vi acquistò de i mari
il dominio sovran co’ pregi suoi?
Qual preda mai, quai titoli più chiari
può la fortuna apparecchiare a noi?
Del conservato re nostri gli onori,
de la presa città nostri i tesori -.
64Tacque, e ’l fero Uracane a l’armi accese,
che rivolse colà de i legni il corso,
e su il lito vicin tosto discese,
e con gli altri opportun giunse in soccorso.
Per la porta egli entrò che Orgonte prese,
e trovò che già tutto era concorso
il popolo nemico in varie schiere
per scacciar da le mura il re d’Algiere.
65De la porta maggior ridotto a l’arco
co’ pochi che viveano ei si ritrova,
e fa d’aste trafitto e d’armi carco,
di valor disperato ultima prova.
Giunto Uracane al periglioso varco
sgrida i nemici e la tenzon rinova,
e già noi dal soccorso invigoriti
incalziamo i cristiani impauriti.
66Si urta il popol confuso e si alza un pianto
misto d’urli, di gridi e di lamenti.
Cresce la fera strage e in ogni canto
si accendono a pugnar gli animi ardenti.
Fanno a le vie sanguigne orrido manto
mucchi di morti e moribonde genti.
Altri parte, altri torna, altri discaccia,
chi combatte, chi geme e chi minaccia.
67Ma chi può far contrasto al forte Orgonte
dove gira la spada o volge il guardo?
Non osa sostener l’orribil fronte
non che l’aspre percosse il più gagliardo.
Fugge l’ispano; armi et armati a monte
cadono, e cade il suo maggior stendardo,
e noi rompendo sbarre, ordini e schiere
abbattiam, calpestiam armi e bandiere.
68Resta fra gli altri il capitan prigione,
uom d’intrepido cor, d’antica etade,
onde più non resiste e non si oppone
l’afflitto difensor ma cede o cade.
Così dopo sanguigna aspra tenzone
espugnata da noi l’alta cittade,
che ti offre col favor del forte muro
al soccorso african porto sicuro.
69Quivi squadre novelle Orgonte aduna
dal paese vicin, che fatto amico
odia il nome cristiano e la fortuna,
e de i Mori desia l’impero antico.
Verrà, tosto verrà; difesa alcuna
non fia che possa opporgli il re nemico.
Verrà; spera, o signor, tutto fa strada
a la fama d’Orgonte et a la spada».
70Qui tace il nunzio, e segue i detti suoi
con applauso comun lieto bisbiglio,
e l’accarezza il re con gli altri eroi
ch’indi aspettano aita al lor periglio.
In disparte lo chiama il re dipoi,
e chiede con quai forze e qual consiglio
e quando e da qual parte il re temuto
disegni a la città porgere aiuto.
71De i consigli d’Orgonte istrutto appieno,
rispose il messaggier a le dimande,
e ’l re di volto e d’animo sereno
del soccorso vicino il grido spande.
Già de l’alte novelle il vulgo è pieno,
già la fama di lor fassi più grande,
quanto più scorre intorno e gode ognuno
che l’aiuto african giunga opportuno.