ARGOMENTO
Preso Idragorre un simulato aspetto,
a l’armi accende il forte re d’Algiere,
ch’ove Baudele in duro assedio è stretto
ratto s’invia con le raccolte schiere.
Manca a Darassa il sospirato oggetto,
assaltan la città le squadre ibere,
e la grande Isabella intanto scopre
de i più degni guerrier l’ardire e l’opre.
Il demone infero Idragorre stimola Orgonte ad assaltare Ferrando prima che egli espugni Granata: egli parte con il suo drappello, nascosto da una nube (1-38)
1De le machine eccelse il gran lavoro
ferve nel chiaro sol, ne l’ombra oscura;
risuonan d’armi i campi e al popol Moro
minacciano i cristiani alta sciagura.
Si commosse al rimbombo, a i gridi loro
Idragorre demòn, ch’ebbe la cura
di conservar Granata al culto indegno
dal dì che n’usurparo i Mori il regno.
2Questi mirò de la rinchiusa gente
il periglio vicin, lo stato oppresso,
e turbossi e sen dolse e orribilmente
bestemmiò il Cielo e maledì se stesso,
e qual rugge talora il mar fremente
se cruccioso Aquilon pugna con esso,
tal ei fe’ risonar co’ suoi rugiti
gli antri propinqui e i più remoti liti.
3Rabbia, invidia e furor scuotono il petto
al dispietato esecutor d’Averno;
labro di spuma, occhio di tosco infetto
palesano di fuor lo sdegno interno.
Ogni moto esecrando et ogni detto
vibra contro di Dio dispetto e scherno;
cozzano insieme i denti e in ogni lato
spiran foco le nari e peste il fiato.
4Proruppe alfin, dopo un sospir che scosse
d’ogni monte vicin l’alte pendici:
«Dunque tanto pugnai, tante arti ho mosse
sol per gloria maggior de’ miei nemici?
Dal superbo cristian dunque percosse
cadrete in sua balia, mura infelici?
E dunque in voi sovra gli scherni miei
innalzerà Ferrando i suoi trofei?
5Che fai, pigro Idragorre? Il tuo signore
de l’amica città l’alta difesa
al tuo senno commise, al tuo valore:
che pensi e che dirai s’ella fia presa?
Dirai che i lampi, il turbine e l’orrore
movesti, e che per via non mai compresa
guidasti Omare al tempio, onde al viaggio
in Africa sicuro ebbe il passaggio?
6Dirai che tu di Malaga traesti
con le lusinghe tue gente lasciva,
e che poscia ad opprimerla scorgesti
da l’onde tempestose Orgonte a riva?
Che tu alzasti la face e tu il movesti
a Malaga portar guerra furtiva?
Che in sembianza d’Urbante al re d’Algieri
conducesti in soccorso i suoi guerrieri?
7Dirai che per tuo mezzo indi espugnata,
Malaga fu ridotta al regno antico?
Ch’ivi a Spagna giungendo avrà l’armata
del potente Seriffo il porto amico?
Lo dirai, ma che pro se di Granata
espugnasse le mura il re nemico?
Vane le glorie tue, gli studi vani,
se ne l’opra maggior vinto rimani.
8Fia colpa tua se la città si prende,
poiché tu fosti a custodirla eletto;
nulla val ciò che festi, il fin s’attende;
cento merti cancella un sol difetto.
Dunque segui, Idragorre, arti più orrende
trova in favor del popol tuo diletto.
PartitiS | Partisti, e con immobil desio
armati contro il Ciel, pugna con Dio.
9Chiamisi prima Orgonte, e quando porta
a Granata l’assalto il re cristiano,
guidalo inaspettato e fagli scorta
perché rechi soccorso al tuo pagano.
Va’, portesi altre insidie, et uomo esorta
che da l’uso civil vive lontano
i nemici a infestar con l’arti usate,
movi l’armi, gl’incanti e la beltate.
10Non so quel ch’avverrà, ché non mi è dato
del futuro spiar gli alti secreti;
basti a me sol di contrastar col fato
e del Ciel guerreggiar contra i divieti.
Vinca Dio, che no ’l curo, e sia beato,
pur ch’io tenti oppugnare i suoi decreti.
Godo di non pentirmi e ne l’eccesso
de l’ingiurie del Ciel godo me stesso.
11Ma perché indugio, e de i futuri affanni
i diletti prolungo a i miei pensieri?
Venga, e porti ruine, incendi e danni
a la gente cristiana il re d’Algieri».
Così disse Idragorre, e sciolse i vanni
verso Orgonte, ch’aduna armi e guerrieri
in Malaga per dar tosto che possa
fedele aiuto a la città percossa.
12Aduggia l’erbe e incenerisce i fiori
l’orribil mostro ove dispiega il volo,
e soffiando mortiferi vapori
infetta l’aria e inaridisce il suolo.
Perde il sol, tormentato, i bei splendori,
pallido è il ciel sovra il tremante polo,
gli aspetti d’atre influenze e felle
a tal vista irritate arman le stelle.
13Come veggiam tra folgori e tra lampi
ne la calda stagion nube funesta,
ch’offusca il giorno e che spaventa i campi
minacciando col tuon grave tempesta,
par ch e tremi la terra e l’aria avvampi
a quell’orrida luce incerta e mesta,
al timor de la grandine nemica
languida è l’erba e pallida la spica,
14così passa Idragorre e al re d’Algiere
in Malaga sen va, che con gli armenti
le biade aduna et ordina le schiere
per dar soccorso a l’assediate genti.
Fra i timpani e le trombe e le bandiere
versa l’empio demòn sue furie ardenti,
e si presenta al crudo Orgonte avante
d’estranio messaggier preso il sembiante.
15Arsiccio ha il labro e rosseggiante il volto,
di polve e di sudor sparsa è la fronte,
anela il fianco e, rabuffato e incolto,
con rauco favellar parla ad Orgonte:
«Signor, fusti dal Cielo invan ritolto
del mar turbato a le minaccie, a l’onte,
e invan, signor, questa città prendesti
se qui di tue vittorie il corso arresti.
16Dal paese vicin nuovi soldati
con sollecita cura aduni invano,
mentre assalendo i miseri assediati
già gli vince e gli opprime il re cristiano.
Vanne, pria che da lui siano espugnati,
basta solo il tuo ferro e la tua mano;
un solo Orgonte a liberare i Mori
val più che cento schiere: a che dimori?
17De l’assediato re nunzio a te vengo
per invocar la tua potente aita,
or che, inteso Ferrando il tuo disegno,
con l’assalto previen la tua partita.
Te la mesta città, l’oppresso regno
con altri preghi al gran soccorso invita,
se più tardi vedrai da questo loco
fra le mura abbattute ardere il foco.
18Segui, o gran re, l’incominciata impresa,
e risuonin le libiche contrade
che per te sol fu Malaga sorpresa,
per te soccorsa la real cittade.
Io del popolo afflitto a la difesa
ti condurrò per opportune strade;
vieni, o signor, con frettoloso piede
corra Orgonte a i trionfi et a le prede».
19Così parla Idragorre, e spira al seno
del furioso re nuovo furore.
Occulto serpe, e tacito il veneno
e di sdegno e di rabbia infetta il core.
Spumeggiando i labri e gli occhi ardieno
d’orribil tosco ed infernale ardore,
e parea che ne gli atti e ne l’aspetto
minacciasse Tifeo, fremesse Aletto.
20Con sembiante sì fier prorompe e grida:
«Verrò; su, a l’armi, a l’armi o miei guerrieri,
fra i perigli e le morti io vi son guida,
io v’apro a la vittoria ampi i sentieri.
Chi teme e chi di voi scorta più fida
può ne i rischi bramar che il re d’Algieri?
Superate gl’indugi, andianne, o prodi,
non chieggo altri compagni a *** lodi».
21Tacque il superbo, e l’adunate genti
replicaro a i suoi detti «A l’armi, a l’armi».
Tuonano i cavi bossi in rauchi accenti,
suonan l’audaci trombe in chiari carmi.
Stimolando a partir gli animi ardenti,
il re d’Algier grida a ciascun che s’armi;
già splende l’aria al ferro e già le schiere
si raccolgono armate a le bandiere.
22Gli altri non men d’Orgonte in altro lato
Darassa infiamma al prossimo periglio,
benché visto mancarsi Armindo amato
sembri priva del core e del consiglio.
Già manifesta il suo penoso stato
dimesso il guardo e nuvoloso il ciglio,
e par che il volto afflitto esprimer voglia
del torbido pensier l’intima doglia.
23Da che salva da l’onde in terra scese
Darassa, il primo oggetto ove si volse
fu il suo Armindo, ma invan l’occhio distese
a cercar di colui che il cor le tolse.
Sconsolata su il lito essa l’attese,
né ’l vedendo apparir mesta si dolse,
pur sofferse e sperò ch’egli giungesse
tosto ch’al nuovo sol l’ombra cedesse.
24Apparve il dì, fu Malaga espugnata,
e, respinto il furor de la procella,
giunse nel porto e riposò l’armata,
né comparve il garzon, né sua novella.
Anelante, ansiosa, addolorata
lagrimò, sospirò l’alta donzella,
e que che fe’ più grave il suo dolore
fu che il dolersi a lei vietò l’onore.
25Imprigiona il suo mal dunque nel petto,
e quel s’accresce e più crudel diviene,
come in angusta foce Euro ristretto
forza ha maggior che ne l’aperte arene.
Pure ancor di trovare il suo diletto
nutrisce in tanti affanni alcuna spene,
et, ove di saperne ella si crede,
cautamente ne parla e ne richiede.
26Ma poiché non intende e non appare
Armindo, o di lui nuova, essa rallenta
il freno al duolo, che con memorie amare
stimolando il desio l’alma tormenta.
Quindi spesso solinga in riva al mare
si trattiene, e ’l pensier le rappresenta
con imagini atroci in varia sorte
de l’amato garzon l’orrida morte.
27«Ah (dicea), così dunque acque spietate,
sorde al pianto, a i sospiri, a le parole
ne le cupe voragini celate
l’alta bellezza, onde il mio cor si dole?
Acque, io ben so ch’a vostro onor vantate
che in voi riposi, in voi tramonti il sole,
ma so che se in voi more, in voi rinasce,
e gli date in un punto e tomba e fasce.
28Lassa, il mio sol con più crudel tenore
tramontato in eterno in voi chiudete;
cela notte perpetua il suo splendore,
ch’era degli occhi miei luce e quiete.
Occhi miei tristi, e tu dolente core,
che rimirar, che imaginar potete
che non mostri più gravi i vostri danni,
che non renda più acerbi i vostri affanni?
29Se rimiro queste acque in lor vegg’io
de le lagrime mie la rimembranza;
il vento che le sferza a quel desio,
che tormenta il mio cor senza speranza,
son questi orridi scogli al pensier mio
del lugubre naufragio aspra sembianza.
S’affiso il guardo in queste immense arene
il numero vegg’io de le mie pene.
30Sino il Ciel mi fa guerra; oh quanto mesta
per me sorge nel ciel la notte! E quella
del naufragio crudel notte funesta
pur troppo mi rimembra e mi flagella!
Se nasce il dì, nel ciel punge e molesta
il dolente pensier l’alba novella,
mostrandogli nel sol lucido e vago
del perduto mio sol la bella imago.
31Infelice Darassa, onde aver puoi
chi sollevi al tuo mal, chi ti console,
se ne l’aure e ne l’acque, ohimè, t’annoi?
Se del cielo e del mar il cor si dole?
Se la notte raddoppia i dolor tuoi?
Se le tue pene innacerbisce il sole?
Ah, e non ho rimedio in fra i viventi
placherò con la morte i miei tormenti.
32Vanne, e mori Darassa entro a quell’acque,
che son del tuo bel sol nuovo ricetto;
felice te s’avrà dov’egli giacque
il cadavero tuo sepolcro eletto.
Vanne, sol può l’immenso ardor che nacque
da i begli occhi d’Armindo e t’arse il petto
spengere il mar profondo; ogni altro loco
sarìa termine angusto a sì gran foco.
33Ma che tenti Darassa? Ah, non concede
che per via così breve eschi d’affanni
l’onor del sangue tuo, de la tua fede
che per te ristorar spera i suoi danni.
Se mori, chi non parla e chi non chiede
la cagion del morir? Deh, se condanni
a morte il corpo frale, almen non mora
con tuo danno maggior la fama ancora.
34Sperò l’Africa tua, sperò tuo padre
fra i perigli vederti e fra gli orrori
correr primiera e dissipar le squadre,
cingendo il crin di trionfali allori.
Sperò sentir de l’opre tue leggiadre
risonar sino in Libia i nuovi onori;
or che fia se la tua morte intempestiva
lui di speranza e te di gloria priva?
35D’accidente sì reo varia cagione
forza è pur che si parli e che si dica,
e già il titolo indegno a te s’oppone
o di stolta o di vile o d’impudica.
Ah, non oscuri incognito garzone
con oltraggio novel tua fama antica.
Soffri, e se pur sei tu morta a l’amore,
vivi a la speme altrui, vivi al tuo onore.
36Soffri, e vivi, Darassa, e teco viva
ad onta del rigor di fredda morte
la fiamma del tuo amor, che fu sì viva
e quanto più vietata arda più forte.
Se d’ogni ben, d’ogni piacer ti prova,
già non potrà negarti invida sorte
che idolatra fedel tu dentro al core
non vagheggi il tuo Armindo e non adore».
37Così folleggia, e dal guerrier metallo
invitata con gli altri al gran soccorso
d’armi negre si veste e d’un cavallo
preme, qual negra pece, oscuro il dorso.
Già colorito il ciel vermiglio in giallo
Febo per l’auree vie sferzava al corso
i duoi destrieri, e già cresceva intorno
de gli aneliti lor nutrito il giorno,
38quando, lasciato il fido Urbante in cura
de la città sorpresa il re d’Algiere,
per dar soccorso a l’assediate mura
verso il campo cristian mosse le schiere.
Segue Idragorre e d’una nebbia oscura
d’ogn’intorno circonda armi e bandiere,
sì che non aspettato e non veduto
Orgonte a la città giunga in aiuto.
Ferrando dà l’assalto al muro (39-77)
39Or mentre il rio demòn da questo canto
invisibili altrui guida costoro,
le machine e i pensier comprende intanto
del nemico Ferrando il popol Moro.
Vanno innanzi il tiranno e si dan vanto
di schernir le sue forze e ’l suo lavoro
i più forti guerrieri, et egli gode
de l’offerte e ne rende e premio e lode.
40Quinci pensa e tra sé vari argomenti
trova per sostener la nuova guerra,
e con ordigni nuovi e nuove genti
le machine rinforza e le vie serra.
Alza di qua, di là torri eminenti
ove manco sicura era la terra;
dispon guardie e ripari, e d’ogni parte
contra il nemico oppone il sito o l’arte.
41Come talor se con superba faccia
s’innalza il Po sovra le rive antiche,
e con orrido suon strage minaccia
a i verdi prati e a le dorate spiche,
il cauto agricoltor corre e procaccia
impedir, superar l’onde nemiche,
opponendo di zolle e pietre e legni
al tiranno de i campi alti ritegni,
42così dal fiero assalto il re pagano
frenar procura l’impeto e ’l furore,
e dove è il loco alpestre e dove è piano
cautamente prepon l’arte e ’l valore.
Già richiamava il sol da l’oceano
con la squilla de l’aure il primo albore,
e gli augelletti garruli e lascivi
consacravano al giorno inni festivi,
43quando a cruda tenzon trombe guerriere
quinci i cristiani e i Mori indi svegliaro,
e tutti d’ogni lato a le bandiere
pedoni e cavalier si radunaro.
I gridi e ’l suon de le feroci schiere
altamente d’intorno armi intonaro,
e rispose da l’orrida foresta
con terribil rimbombo Eco funesta.
44Già sorto è il gran Ferrando e già comparte
l’esercito, e distingue il modo e ’l sito,
e trascorre opportuno in ogni parte,
facondo nel parlar, nel volto ardito.
E qual saggio testor che con bell’arte
guida a vario lavoro il filo ordito,
tal egli a vari uffici in varie guise
collocò le sue genti e le divise.
45Di tre squadre distinte a la campagna
lasciò que d’Aragon, Murcia e Biscaglia,
perché da lor l’esercito rimagna
difeso allor che la cittate assaglia;
questi a sinistra, dove il Dauro bagna
con limpide acque il monte e la boscaglia,
per comando del re volgon la fronte,
poiché sol da quel lato ei teme Orgonte.
46Col drappel che nomato è di ventura
trascorre in ogni parte il re veloce,
e conforta i soldati e gli assicura
col volto e con l’esempio e con la voce.
«Nel giro (egli dicea) d’anguste mura
eccovi, o miei, l’empio tiranno atroce,
che provocare in tante guise ardio
l’armi del vostro re, l’ira di Dio.
47Vendicate e punite, o miei fedeli,
del barbaro fellon la rabbia insana,
che con tormenti orribili e crudeli
fe’ di martiri ognor strage inumana.
Gridan quei spirti eletti e sin da i cieli
chieggon vendetta a la pietà cristiana.
Su dunque, e ferro e foco incendi e scempi
poich’è pietà l’incrudelir negli empi.
48Già son mille anni che de l’aspra soma
sofferse il peso, e la cervice altera,
che ’l giogo universal sdegnò di Roma,
s’oppose al vil pagan la gente ibera;
e quella che non mai vinta né doma
già contrastò con l’aquila guerriera
de l’invitto romano, oggi al suo regno
non può scioglier de’ Mori il laccio indegno?
49Ah sì, potrà; non vuole il Ciel che vada
più di sue colpe il fier tiranno altero;
sì, per la vostra man giust’è che cada
svelto dal fondo suo l’ingiusto impero.
Già su l’empia città l’orrida spada
vibra il gran Dio, vendicator severo
di tanti oltraggi onde ostinati i Mori
irritaro a i lor danni i suoi furori.
50La giustizia del Ciel dunque eseguite
voi, ch’eletti già fuste a tanta impresa.
le turbe saracine egre e smarrite
faranno incontro a voi breve difesa.
Ite, il Ciel comanda; ite, assalite;
s’aprano i muri e la città sia presa-
*** ogni lingua et ogni inchiostro
*** dispieghi al valor vostro».
51Qui tacque il gran Ferrando e i cori accese
di feroce desio co’ detti alteri,
e sovra un’erta il sacro Piero ascese
e benedisse i popoli guerrieri,
invocando dal Ciel ne l’alte imprese
l’onnipotente aiuto a i bei pensieri,
e mentre ei prega Dio di doppia luce
al sembiante e a la porpora riluce.
52Con devoto silenzio, in atto pio
i soldati ascoltàr le sacre voci,
et al nome ammirabile di Dio
genuflessi inchinàr l’alme feroci,
e tosto ch’egli tacque e che fornio
le cerimonie sue, sorser veloci;
quindi, rotto il silenzio in feri carmi
replicaro le trombe a l’armi a l’armi.
53Applaudon tutti al generoso invito
con vibrar l’armi e con alzar le grida,
e volgono concordi il piede ardito
a trionfar de la cittate infida.
L’esercito è diviso, onde assalito
sia da due lati il muro, e i primi guida
Armonte d’Aghilar, gli altri conduce
de l’antica Sidonia il nobil duce.
54Come gonfio per ghiacci e nevi sciolte
da la nuova stagion su il giogo alpino
porta per doppia via l’onde raccolte
il Tebro a guerreggiar col mar vicino,
così per doppia via l’armi rivolte
preme il popol cristiano il saracino,
et insultando a la nemica terra
doppio assalto le muove e doppia guerra.
55Al duca di Sidonia inverso il monte
il feroce Almansor contrasta il passo,
e dal lato del pian respinge Armonte
col forte Osmin l’indomito Agramasso.
Come il core a le vene, a i rivi il fonte
il re sta in mezzo, e ’l popolo più basso
opportuno collòca e ne i perigli
il soccorso dispensa et i consigli.
56Con le machine intanto a l’alte mura
si appropinqua l’esercito cristiano,
e saettando allontanar procura
da i suoi ripari il difensor pagano.
Già di strali atra nube il cielo oscura,
onde pioggia sgorgò di sangue umano;
già volan da le machine più gravi
gli aspri macigni e le ferrate travi.
57Da mobili ripari eran coperti
quinci i cristiani, e i Mori indi dal muro,
onde in parte sottratti a i colpi incerti
rendono il saettar manco sicuro.
Ma già su il fosso arrivano scoperti
gli assalitori a paragon più duro,
e già di pietre e d’arbori e d’arene
ripieno il fosso, eguale al pin diviene.
58Giunge allor l’ariete e s’avvicina
a le mura ostinate e ’l capo abbassa,
e cozzando con fronte adamantina
le superbe pareti apre e fracassa.
Corre il popol pagano e la ruina
altri sostiene, e nulla aperto lassa;
altri d’aste, di pietre e di quadrella
move contra i nemici alta procella.
59Piomba d’orrida calce ardente pioggia
su la gente cristiana, e piomba ancora
di bitume e di zolfo in varia foggia
fiamma che dilata, arde e divora;
pur ella non paventa, e al muro appoggia
l’apparecchiate scale, e si rincora
al periglioso assalto, e ognun procura
primo salir su le nemiche mura.
60Sale il primiero e quei che segue appresso
lo stimola a salir con dura sorte,
poiché un colpo ambi offende, e sorge spesso
nel precipizio altrui la propria morte.
Cadono a monti, e ruinando oppresso
confuso col più vil giace il più forte,
e si veggon sossopra in varie guise
genti morte, armi sparse e scale incise.
61Il romor di chi grida e di chi fère,
il rimbombo del ferro e le percosse
assordan tutti, e già le mura altere
son del sangue comun tiepide e rosse.
Si rinforza l’assalto e nuove schiere
succedono a la pugna, onde rimosse
fur le primiere, e d’altra parte i Mori
rispingono dal muro i lor furori.
62Come in torbido mar talor si vede
assalir l’onde irate eccelsa balza,
che questa si ritira e quella riede
e l’una si disperde e l’altra incalza,
lo scoglio immoto a i colpi lor non cede,
et, invan combattuto, il capo innalza,
godendo di vedere a le sue piante
de la rabbia del mar le spume infrante,
63così nel saldo insuperabil muro
l’ira si frange e l’impeto si spezza
de’ guerrieri cristiani, e, più sicuro
fatto a tai prove, il saracin gli sprezza.
Ma non teme il contrasto iniquo e duro
al periglio maggior la gente avvezza,
su la cote del rischio aguzza l’ira,
dà nuovi assalti e a la vittoria aspira.
Antonio di Fonseca illustra a Isabella i fatti della battaglia dalla sommità di una torre
64D’un tempio che sorgea splendido et alto
in mezzo al campo, in su la torre ascesa
era Isabella, ove del doppio assalto
distinta si vedea l’aspra contesa.
Quinci tinta scopria d’orrido smalto
la città combattuta e in un difesa,
e la morte scorgea sanguigna e mesta
spiegar de i suoi trofei pompa funesta.
65Le più illustri di Spagna e le più belle
circondan la reina, e quindi al core
di quei che combattean nuove facelle
spirano d’ardimento e di valore.
Tolte da quei bei rai forze novelle,
corron essi ove il rischio era maggiore,
poiché stimol non è che non sia tardo
in paragon d’un amoroso sguardo.
66Antonio di Fonseca era primiero
fra i ministri più fidi a la reina,
uom che in più fresca età prode guerriero
lode mertò d’ardir, di disciplina;
questi allor d’ogn’intorno al campo ibero
gli occhi volgendo e a la città vicina
scopria de la battaglia i vari eventi
a la reina e a l’altre ivi presenti.
67«Vedete (egli dicea) come veloce
Ermante Mauleon corre a le mura,
e come con lo sguardo e con la voce
move ne i Saracini alta paura.
Ecco ascende una scala, ecco il feroce
che giunge sovra i merli e che procura
ne la città lanciarsi, e con la spada
i difensori intorno apre e dirada.
68Mirate là quel cavalier membruto
che move contra lui rapido il passo,
e porge a i difensori amico aiuto:
quegli è il forte pagan detto Agramasso.
Ecco Ermante da lui spinto e battuto
cedere alfine e ruinare al basso.
Ecco che nel cader tragge con esso
e la scala e color ch’erano appresso.
69Quel che a piè de le mura erge la faccia
e scote la gran lancia e l’alta fronte,
e con terribil grido i suoi minaccia
e gli affretta a l’assalto è Pinamonte,
piombandogli su il capo alfin lo caccia
entro il fosso a giacer parte d’un monte,
e il possente Almansorre autor mi sembra
di quel gran colpo, a l’armi et a le membra.
70Il conte di Saldania è quel ch’ardito
scala di cento gradi al muro appoggia,
e respinto non è, non è impedito
da la grave di sassi orrida pioggia.
Già con la man fa generoso invito
a gli altri, e su la cima invitto poggia.
Ecco poi che del merlo a cui s’afferra
parte si svelle, ond’ei ruina a terra.
71Ecco Silvio Padiglia, il quale asceso
è sovra la metà el suo camino,
già rotta dal soverchio e grave peso
la scala, in giù ritorna a capo chino.
Il conte d’Alagon giace disteso
d’un colpo che gli ha dato in fronte Osmino;
Osmino è quel che d’armi verdi ornato
in atto di ferire ha il braccio alzato.
72Vedete che da lui cade percosso
Guglielmo di Messia, che, già salito,
da le difese i Mori avea rimosso
e fermava su li muro il piede ardito.
Gaspardo d’Azevedo ecco nel fosso
d’un colpo d’Almansor piomba ferito;
a Garzilasso una saetta passa
il braccio destro, onde la pugna ei lassa.
73Udite qual romor da questa parte
tuoni per l’aria: ecco Altabrun gagliardo
che sì rapido corre al fiero Marte,
ch’al palio il corridor vola più tardo.
Ei le travi e le pietre e l’armi sparte
ardito sprezza, e col feroce sguardo,
onde fiamme d’orror cruccioso avventa,
sin dentro il muro i barbari spaventa.
74Quella pur or da i Saraceni alzata
le mura a fiancheggiar torre vicina
di fascine o di zolle, ecco crollata
dal braccio poderoso in giù ruina.
Cade sovra di lei la gente armata
ch’a sua difesa il re pagan destina.
Oh quanti casi, oh come in sé deluso
giace il misero stuol misto e confuso!
75Vedete ch’Altabrun veloce ascende
su le ruine e su i guerrier caduti,
e giunto in cima e tronca e fora e fende,
et altri lascia estinti, altri abbattuti.
Il vulgo saracin la fuga prende
al fier sembiante, a i colpi suoi temuti,
e già sovra i ripari alcun non resta
a raffrenar quella crudel tempesta.
76Ma si move Agramasso e gli si oppone,
e si accende fra loro aspra battaglia;
sembran fiamme le spade e il paragone
la prestezza e ’l furor non ben agguaglia.
Già non si può ne l’orrida tenzone
veder chi di lor ceda e chi prevaglia,
et ancor non inchina a parte alcuna
ne la pari virtù pari fortuna».
Arrivo di Orgonte sul teatro di guerra
77Antonio di quei duo volea seguire
e de gli altri guerrieri i casi duri,
ma con alto romor ruppe il suo dire
orrido suon di trombe e di tamburi.
Veggon di cieca polve indi apparire
verso il lato mancin nuvoli oscuri,
e donde bagna il Dauro il bosco inculto
senton multiplicar gridi e tumulto.