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Il conquisto di Granata

di Girolamo Graziani

Canto XIII

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.02.15 14:21

ARGOMENTO
Dal sospetto istigato il crudo Albino
dona a un corsar d’ogni bellezza il fiore,
e, come il tragge il suo fatal destino,
scherzo de l’onde, esca de’ pesci ei more.
Si scioglie Hernando e su volubil pino
mostra in prova di Marte alto valore.
Consalvo il giunge e fra di lor s’accende
pugna che tramortiti ambo gli rende.

Il Furto indica al Sospetto dove possa trovare l’Interesse (1-10)

1Poiché il Sospetto i bellicosi cori
di Seriffo e de i suoi vide infiammati,
e che per sollevar gli oppressi Mori
scorse unirsi in Marocco armi e soldati,
stimò quivi soverchi i suoi timori,
e rivolto a favor de gli assediati
passò d’Africa il mare e fe’ ritorno
del tempio amico al solito soggiorno.

2Qui trovar crede il cupido Interesse
che pur dianzi partì dal tingitano,
perché seco volea ch’ei si movesse
a disturbar l’esercito cristiano,
ma poiché disperò ch’egli giungesse
e che l’ebbe nel tempio atteso invano,
s’inviò verso il campo, ove sapea
che spesso fra i soldati albergo avea.

3De le tende primiere in su l’entrata
il Furto scopre: ei di maniere astuto
scaltro favella e insidioso guata,
di rapace desio, d’ingegno acuto;
odia la compagnia, l’ombra gli è grata,
sollecito camina e sconosciuto;
calza di feltro il piede e sempre avvolto
in lungo manto asconde in parte il volto.

4Bench’egli fosse avviluppato e stretto,
pur, lo sguardo sottil fisando in lui,
non tarda a riconoscerlo il Sospetto,
che più volte seguito avea costui.
Quindi lo ricercò s’abbia ricetto
l’Interesse nel campo e presso a cui,
s’egli ancor qui dimori e dove gisse;
rispose il Furto a le richieste e disse:

5«Io solea fra i soldati aver mia stanza
che non sdegnaro i miei nascosti fregi,
sinché il desio cresciuto e la baldanza
con la forza tentàr furti più egregi;
quindi l’arte cedendo a la possanza,
le prede si usurpàr nome di pregi,
e disprezzato il furto ognun s’inchina
a la sorella mia, ch’è la Rapina.

6Violenza, furori, incendi e morti,
abbandonati tempi, arsi palagi,
donano a gli empi i titoli di forti,
e chiamano più illustri i più malvagi.
Son lodati gl’insulti e giusti i torti,
le rapine trofei, glorie le stragi;
l’Ira trionfa e la Superbia regge,
è ragione il voler, la forza è legge.

7Io, che d’arte ingegnosa accorto autore
de l’industria mi vaglio e ’l sangue aborro,
di viltà condennato e di timore
fra la turba plebea solo trascorro,
et è del mio saver pregio maggiore
quando d’Astrea nel tribunal ricorro,
e fra i clienti ne l’ondoso foro
con reti di bugie pesco tesoro,

8parto dunque dal campo e volo in fretta
in altra parte a ricovrar sicuro,
ove almen possa l’arte mia negletta
tranquillo esercitar fra il vulgo oscuro.
L’Interesse talor qui si ricetta,
ma travestito, onde il trovarlo è duro,
ricoprendosi ognor col finto velo
di ragion, di pietà, d’onor, di zelo.

9Qui lo vidi pur dianzi, e seco io fui
accompagnando il traditore Albino
quando involò la fatal spada, a cui
diede l’alta virtù fabro divino».
Seguì il furto, e narrò come da lui
ei si divise, e come al mar vicino
l’Interesse et Albin portin la spada
per gire in Libia, e gl’insegnò la strada.

10Ringraziollo il Sospetto, indi veloce
dove il furto mostrò prese il sentiero,
e tosto giunse ove il contrasto atroce
fra Darassa e Consalvo era più fiero.
Si allontanò da la tenzon feroce
il Sospetto, e nel timido pensiero
d’Albin presente in mezzo al cor si strinse,
e con tai detti a nuovo error lo spinse:

Su consiglio del Sospetto, Albino si allea con dei corsari che passano di lì per estinguere i due cavalieri, e ne nasce una zuffa (11-17)

11«Neghittioso, che badi? Ancor non vedi
quanto sia ruinoso il tuo consiglio?
Vinca de i duo guerrier qualunque chiedi,
la vittoria sarà con tuo periglio;
dunque al danno vicin tosto provedi,
e non mirar con ozioso ciglio
de la dubbia tenzon la varia sorte,
ch’altrui dia la vittoria, a te la morte.

12Volgiti al mar, vedi colà vicina
quella nave approdar, ch’è di corsari;
sarà facil che movi a la rapina
come a te piacerà gli animi avari;
tienti il brando e Rosalba, a lor destina
di donne e di guerrier premi più cari.
Contra il re, contra Armonte un sol disegno
sfogherà di duo ingiurie il doppio sdegno».

13Così parla il Sospetto e Albino accende,
che s’invia persuaso inverso il lito,
e giunge allor che su la riva scende
de’ barbari corsari il vulgo ardito.
Egli al primier, che capitan comprende,
fa de la preda il designato invito;
lieto il corsar la sua proposta accetta,
e verso la tenzon partono in fretta.

14Azamoro, il corsar tal nome avea,
parte de i suoi guerrier seco conduce,
parte lascia nel legno, in cui devea
restare Alzirdo in vece sua lor duce.
Così nel prato, ove la pugna ardea
con egual paragone, Albin gli adduce,
et a la sua venuta i combattenti
si fermaro a mirar l’ignote genti.

15«Sète» grida il corsar «morti o prigioni:
la morte si darà se resistete;
a chi si renderà vita si doni:
o vita o libertà dunque cedete».
Tacque, e ’l rischio comune a i duo campioni
avvien che gli odi ammorzi e l’ire acchete,
sì che da la discordia in pace uniti
l’assalto d’Azamor sprezzano arditi.

16«In mal punto per voi» Darassa grida
«passaste il mar per sì dannose prede;
a la spada, a la man qui si confida
la libertà, non a la fuga, al piede.
Cieco desire a mal camin vi guida,
se ricchezza e piacer da voi si chiede:
qui si cambia dolor, gloria si cerca,
et a prezzo di sangue onor si merca»,

17disse, e qual la bombarda e tuona e splende,
tale essa il ferro a le minaccie giunge,
e poscia tre corsari a terra stende,
cui dal ferito sen l’alma disgiunge.
Consalvo allor d’emulo ardor s’accende,
e nel rischio comun l’armi congiunge;
fra la calca de i barbari si mise
e d’un rovescio il capo a due recise.

Consalvo cerca di aiutare Ordauro e lascia Darassa contro i corsari, sicché le tre donne sono catturate (18-25)

18Piove a l’incontro e di saette e d’aste
orrido nembo a i duo guerrieri addosso,
ma non gli cura e solo appar che baste
il lor valore al numero più grosso.
Intanto ove non è chi gli contraste
a fermar le donzelle Albin si è mosso
con parte de i corsari, e ’l piè gli affretta
stimolo d’Interesse e di Vendetta.

19Come infermo che sogni orrida imago,
di gridar, di fuggir tenta veloce,
ma gli par che la sorte o qualche mago
renda inabile al moto il piè veloce,
così di nuovi mali il cor presago
immobili rendea nel caso atroce
le donzelle, che timide e mal vive
fur dal barbaro stuol fatte cattive.

20Solo Ordauro a fuggir prima si diede
quando scorse arrivar l’empia masnada,
e gridando a Consalvo aita chiede,
che fra il perfido stuol ruota la spada.
Si rivolge a quel suon Consalvo e vede
fuggire Ordauro, e per l’istessa strada
un corsar che lo segue invèr la selva,
ond’ei corre al soccorso e si rinselva.

21Qui dunque a sostener la pugna resta
incontro a i masnadier sola Darassa,
che minaccia, spaventa, urta e calpesta
dove il guardo rivolge o il ferro abbassa.
Tal fra il popolo vil che la molesta
per lo chiuso steccato il tauro passa,
che sprezza il van romor, l’inutil grida
e col corno i mastini a guerra sfida.

22Scoccato intanto è da nemico arciero
pennuto stral, che di Darassa coglie
in mezzo a la pupilla il buon destriero
e con la vista ogni vigor gli toglie.
Cade esangue il cavallo al colpo fero,
e Darassa in cader sotto si coglie,
sì che, oppressa il piè destro e ’l destro braccio,
indarno ella procura uscir d’impaccio.

23Corrono i masnadieri a la guerriera,
che inabile è rimasa a la difesa,
quasi rapidi cani a stanca fera
che caduta in fuggir tosto sia presa.
Così quivi Darassa è prigioniera,
e, quel che più le duol, senza contesa.
Al legno poi con l’acquistate prede
i corsari et Albin volgono il piede.

24Empiono il legno e dal le vele a i venti,
prendono i remi e sciolgono la fune;
osservano le ciurme i noti accenti,
gonfiano i tesi lini aure opportune.
Darassa intanto infra le varie genti
che quivi ragunò sorte comune
preda di quei rapaci, il guardo affisa
e stupida il suo Armindo ivi ravvisa.

25Poiché alfin lo stupor, poiché il diletto
cedettero al discorso e in sé rivenne,
volle gridar, ma il traboccante affetto
l’onestà, la prudenza a fren ritenne.
Tacque dunque, e rivolta al caro oggetto
l’ufficio de la voce il guardo ottenne;
par che del core interprete distingua
l’occhio i suoi sensi ove non può la lingua.

Sulla nave Darassa ritrova Armindo, che ovviamente è Rosalba. Albino è ucciso dai corsari, che poi pugnano essi stessi fra loro (26-45)

26Con gli sguardi dicean gli occhi eloquenti:
«Care lagrime mie, beate pene,
adorati sospir, dolci tormenti,
fortunata prigion, grate catene
voi sète, voi tra le mie fiamme ardenti
preziose rugiade, aure serene,
per cui nel mio dolente arido core
de le speranze mie rinasce il fiore.

27Purch’io vegga il signor de le mie voglie
non mi è grave il servir barbaro stuolo:
fra le catene mie, fra le mie doglie
libera di vedere io mi consolo.
Se Armindo vagheggiar non mi si toglie,
lieta è la servitù, soave il duolo;
non curo di morir purché mi tocchi
premio di cento piaghe un piacer d’occhi».

28Così vaneggia, e nel suo cor si duole
la misera Darassa e si distrugge,
qual nebbia al vento o quasi neve al sole,
mentre le fiamme sue con gli occhi fugge.
Pur sembra in rimirar che si console
e pure in rimirare ella si strugge;
né si avvede l’incauta e non comprende
che l’occhio che diletta è quel ch’offende.

29Intanto che costei fra i suoi martiri
confusa ondeggia, il cupido Interesse
sparge nel cor d’Alzirdo altri desiri,
ond’ei volto ad Albin così gli espresse:
«Amico, è nostro don se tu respiri,
dunque a chi già la vita a te concesse
dona la ricca spada; abbiano i preghi
ciò che l’armi otterranno ove tu nieghi».

30Riflette a quel parlare Albin sospeso,
indi soggiunse: «Io debbo al valor vostro
il viver mio, che fu da voi difeso,
ma il brando che tu vuoi non è più nostro:
lo porto al gran Seriffo, il quale offeso
saria dal nuovo dono e già l’ho mostro
ad Azamor, da cui scendendo al lito
che il brando fosse mio fu stabilito».

31A tal risposta il masnadier turbossi,
e l’Interesse inferocì nel core,
e gridò: «Teco indarno i preghi io mossi;
proverai non indarno il mio furore».
Così dicendo, inverso Albin scagliossi,
e ’l fe’ d’urto cader nel salso umore.
Cadde, e morendo entro a quell’acque immense
l’empia sete de l’or alfine ei spense.

32Al traboccar d’Albino in mezzo al seno
d’Azamor ricovrato era il Sospetto,
et avea quivi sparso il suo veneno
onde in quel punto ei si stimò negletto.
Teme che scuota a tale esempio il freno
ogni altro, e che vèr lui manchi il rispetto,
e del proprio dominio in sé geloso
ad Alzirdo vicin parla cruccioso:

33«Dunque gli uffici tu di capitano
usurpi? Ancor non sai che si riserba
l’arbitrio de le pene a la mia mano,
che farà del tuo error vendetta acerba?».
Tacque, e d’ira e d’orgoglio Alzirdo insano
con risposta gridò non men superba:
«Fu la tua potestà mia cortesia,
non conosce signor la spada mia».

34Dier fine a i detti audaci i colpi fieri,
e la battaglia incominciò fra loro.
Si dividono allora i masnadieri,
et altri segue Alzirdo, altri Azamoro.
Tai de l’api divise i re guerrieri
traggono a guerreggiar lo stuol sonoro,
che freme e l’armi aguzza e l’ali spande,
e mostra in petto angusto anima grande.

35Arse la fera pugna e in varie guise
spettacoli funesti aprì la morte,
e con vario successo ad ambo arrise
ne la strage confusa egual la sorte.
Altri il compagno, altri il congiunto uccise;
fugge il vil, cede il dubbio e segue il forte;
lordo di sangue e pien di morti il legno
versa duol, sparge orrore e spira sdegno.

36Mentre quivi la mischia era più fiera,
Hernando, che giacea nel fondo al legno,
sotto a la turba serva e prigioniera
sciolse i legami e ruppe ogni ritegno.
Del barbarico stuol prigione egli era
dopo che, vendicato il ratto indegno
col sangue di Morasto, ebbe cercata
indarno per la selva Elvira amata.

37Stanco da la battaglia e dal camino,
giunto al lito del mare Hernando scese
per riposarsi, e libero il domino
de le grevi palpebre il sonno prese.
I corsar in un bosco indi vicino
stavano intenti a le furtive offese,
e visto in preda al sonno il cavaliero
usciro, et ei restò lor prigioniero.

38E tale ei si trovava allor che sciolto
nel tumulto ogni laccio ond’era avvinto
corse a la pugna infra nuove armi avvolto,
che prima tolse ad un corsare estinto.
Si caccia Hernando ov’è lo stuol più folto
quando appunto cadendo Alzirdo vinto
fuor del lacero sen per la ferita
l’Interesse spirò l’ira e la vita.

39Cedean, caduto Alzirdo, i suoi seguaci
al furor del terribile Azamoro,
ma giunse Hernando e rincorò i fugaci,
urtò i nemici e penetrò fra loro.
Al soccorso opportun lieti et audaci
contra Azamor si volsero coloro,
e la vittoria già per lui palese
occultassi nel mezzo e ’l piè sospese.

40Dispettoso Azamor ch’altri presuma
usurparsi i trofei del suo valore,
sparge da gli occhi ardor, da i labri spuma,
e dal grido superbo alto terrore.
Poi dove Hernando il suo drappel consuma
egli spinto da l’ira e dal dolore
vola precipitoso, e a prima giunta
al nemico guerrier drizza una punta.

41Hernando allunga il braccio, incurva il fianco,
e con la sua la spada altrui ribatte;
poi cresce col piè destro e posa il manco,
spinge il ferro, apre il sen, morto l’abbatte.
Caduto il capitan, gelido e bianco,
non si arretra il suo stuolo e non combatte;
preme gl’irresoluti il forte Hernando
e nel sangue nemico immerge il brando.

42Ne la strage comun giacquero tutti
d’Azamoro i seguaci, e pur non resta
sazio il guerrier, che, questi già distrutti,
fa di quei che il seguìr strage funesta.
Credean goder de la vittoria i frutti
i miseri, e provàr nuova tempesta,
che quanto era men temuta in lor discende
tanto più sembra grave e più gli offende.

43Era contra i corsari egual lo sdegno
del cavalier, ché fu da tutti offeso
con aspre ingiurie e con servaggio indegno,
mentre dormendo in riva al mar fu preso.
Or che lice sfogar senza ritegno
del suo chiuso furor l’incendio acceso
incrudelisce, e ne lo stuol che langue
il desio di vendetta empie di sangue.

44Le superbe difese o gli umili prieghi
contra il ferro d’Hernando inutil sono.
Dannosa la pietà non vuol ch’ei pieghi
l’adirate sue voglie al lor perdono;
irritata virtù grida che nieghi
a chi vive sì reo la vita in dono.
Fa dunque il vincitor de l’empia gente
con giusta crudeltà strage innocente.

45Così pagaro i miseri distrutti
di mille colpe il lagrimevol fio,
così sparsa nel sangue alfin di tutti
l’ira del cavaliero intiepidio.
Quinci di liberar quei che condutti
fur nel legno prigioni ebbe desio,
e di già l’eseguia, ma si trattiene,
visto un battel che verso lui sen viene.

Giunge una barchetta mentre Hernando sta per liberare i prigionieri: è Consalvo, che dopo un lungo lamento, fha vist una barchetta e ha raggiunto i corsari (46-58)

46Quando più si avvicina il piccol legno
scorge duo che sedeano a la sua cura,
l’un si mostra scudier, l’altro, più degno,
cavalier si palesa a l’armatura.
Hernando sospettò ch’egual disegno
di preda il guerrier mova a tal ventura,
mentre dunque tentar voglia l’impresa
si apparecchia del legno a la difesa.

47Ma fu vano il sospetto; era il guerriero
Consalvo, che pe ’l bosco avea seguito
il corsar, da cui dianzi il suo scudiero
fra le macchie più dense era fuggito;
giunse, assalse et uccise il masnadiero,
e tornò con Ordauro al vicin lito,
ma vide poi da le deserte sponde
che il legno predator vola per l’onde.

48Fu per cader, fu per saltar nel mare
e la nave seguir dov’è il suo core,
ei volle minacciar, volle gridare
da le pene agitato e dal furore.
Supplicò, richiamò con grida amare
Rosalba, che non ode il suo dolore,
con larghi pianti e con sospiri ardenti
raddoppiò l’acque al mare e l’aure a i venti.

49- Dove, dove – gridò – perfide vele
portate voi l’alta beltà che adoro?
Se interesse vi alletta, un suo fedele
vi darà per riscatto ampio tesoro;
se fierezza v’indura, al cor crudele
porgerà la mia mano egual ristoro.
Dunque avare o crudeli a me volgete,
che col sangue o con l’or paghe sarete.

50Pur voi, non già del mar ma de l’Inferno,
non corsari ma Furie, ancor fuggite?
E le lagrime mie prendendo a scherno
non curate i mie preghi o non gli udite?
Sète ministri voi del pianto eterno
poiché del pianto mio lieti gioite.
Non son queste del mar l’acque natie,
sono l’acque di Stige e voi l’Arpie.

51Ma invan credete, inique Arpie, ch’io resti
di seguirvi fra l’acque al cieco regno:
non fia che l’acqua il mio viaggio arresti,
né spegnerà di questo cor lo sdegno.
Stimano gli occhi miei torbidi e mesti
fuor che Rosalba ogni altro oggetto indegno;
se Rosalba non miro, io son già cieco,
se Rosalba non ho, l’Inferno è meco.

52Dunque non curo Inferno, ombre e dolori;
senza Rosalba ogni dolore io provo,
ecco vi seguo infra gli eterni ardori,
ecco fra l’ombre eterne io vi ritrovo.
Ma voi dove traete, o miei furori,
l’anima tormentata? A che mi movo?
È questo il mar, sono i corsar lontani,
in van minaccio, i miei furor son vani.

53Deh tornate, o corsari, e me prendete,
inutil senza lei ma non dannoso,
prigione a voi, che largo premio avrete,
in cambio mio dal genitor pietoso.
Venite, non mi duol se mi tenete
fra la ciurma più vil servo odioso;
d’ogni acerbo dolor giunto a l’estremo
altro dolore a danno mio non temo.

54Sovra gli omeri miei non mai cadranno
da la barbara man sì rie percosse,
che da sferza più ria d’Amor tiranno
flagellato il mio cor prima non fosse.
Le catene del piè lievi saranno
al par de i lacci ove il mio cor legosse;
le catene di ferro io temo poco,
temo i lacci d’Amor, che son di foco.

55Ma che? Dov’è Rosalba il foco è grato,
poiché di sua beltà tempra il mio ardore.
Venga dunque per me sì dolce stato,
languisca il piè mentre gioisca il core.
Misero, deh che parlo? in altro lato
fugge la nave e sprezza il mio dolore.
Fugge la nave e resta il mio martire,
se non posso goder potrò moire -.

56Tacque, e sopra una rupe ebro di sdegno
ascese, e pien d’un disperato orgoglio
deliberò dentro a l’ondoso regno
precipitar se stesso e ’l suo cordoglio,
ma da l’alto scoperse un picciol legno
avvezzo di pescar sotto a lo scoglio;
stringe una fune il legno vòto al lito,
mentre lontan chi n’ha la cura è gito.

57Nel dolente Consalvo allor risorge
la caduta speranza e lo ristora,
sì che donde la via più breve scorge
scende al battello, e scende Ordauro ancora.
V’entrano entrambi, e l’uno e l’altro porge
le mani a i remi et a la placid’ora;
dispiegata la vela e da la sponda
il canape disciolto aprono l’onda.

58Segue il lieve battel per l’ampio mare
il legno predator che gli è davante,
né guari va che fermo il vede e pare
che lo sfidi a tenzon poco distante.
Le semplici colombe unqua sì care
non si mostraro al cacciator volante
come grata al guerrier che la scoperse
la nave de i corsari allor si offerse.

Consalvo scambia Hernando per un corsaro e ci viene a duello: lotta cruda, entrambi svengono (59-70)

59Lieto Consalvo, or sollevato or chino
a i remi raddoppiò moto e vigore,
onde fatto a i corsari assai vicino
sente il legno sonar d’alto romore.
Si affretta e giunge, e del nemico pino
sbalza d’un salto in su le curve prore,
e non vede o non bada o nulla pave,
che di stragi e d’orror piena è la nave.

60Lo siegue Ordauro et un guerrier si affaccia
c’ha la targa imbracciata e stretto il brando;
il Sospetto in Consalvo allor si caccia,
ond’ei stima un corsar lui ch’era Hernando.
«In mal punto» gridò «venisti in traccia
di sì rara beltà morte cercando.
La giustizia del Ciel la tua ruina
al mio vindice ferro oggi destina».

61Ernando arse di sdegno a i detti amari,
e gli rispose: «Anzi è ragion ch’io veda
se il Ciel ti manda e ch’a mio costo impari
se la giustizia a l’empietà conceda.
Vieni, che proverai quanto sian cari
i tesori e i trofei di questa preda».
Tacque, e ’l brando congiunto a la risposta
spinse de l’altro a la sinistra costa.

62Schiva il ferro Consalvo e al tempo istesso
su il nemico guerrier cala un fendente,
ma non ebbe il disegno egual successo
poiché non colse appien l’ira cadente.
Qual da l’alte ruine, ond’era oppresso,
sorge il foco talor fatto più ardente,
tal più fier ne l’ingiuriaHe gira
per farne aspra vendetta il ferro e l’ira.

63Al muovere, al ferire, un lampo, un tuono
sembra la dura spada; alza lo scudo
il provido guerrier, ma frali sono
benché fine le tempre al ferro crudo.
Né la cuffia d’acciar, né l’elmo è buono,
ma lasciano al fendente il capo ignudo,
se la spada o la man non si torcea
morto in quel punto il cavalier cedea.

64Pur ferito riman di lieve piaga,
che sparge, più che sangue, ira e furore.
Freme Consalvo, e sol lo sdegno appaga
la sua vendetta imaginando il core.
L’orso non è sì fier quando l’impiaga
ne le gotiche selve il cacciatore,
né i suoi cinghiali orribili cotanto
il Calidonio vide e l’Erimanto.

65Vibra la spada, e la dirizza al petto,
ma fère il braccio destro, il qual si stese
per deviare il colpo, ond’è diretto,
e con danno men grave in sé lo prese.
Di vergogna, di rabbia e di dispetto
arse Hernando ferito, e ’l sangue accese
il sangue sparso, qual da lieve stilla
sparso il foco talor vie più sfavilla.

66Rinovò le minaccie e le percosse
l’uno e l’altro guerriero impaziente,
onde fatte d’entrambo erano rosse
ne la cruda tenzon l’armi egualmente.
A i gravi colpi, a le tremende scosse
pareva inorgoglir l’onda fremente;
con la timida greggia entro gli abissi
del profondo ocean Proteo fuggissi.

67Quai superbi mastini a fera pugna
se fame o gelosia sospinti gli abbia,
godono che nel sangue il dente si ugna,
con occhi torvi e con enfiate labbia,
tali i guerrieri ovunque il ferro giugna
sfogano la nemica interna rabbia,
e godono veder che in ampia riga
l’armature e la nave il sangue irriga.

68Bolle nel core, avvampa Hernando in faccia,
perché un sol masnadier lo tenga a bada,
e di punta ferir cauto minaccia
ma girando un rovescio alza la spada.
Consalvo, ch’è vicin, sotto si caccia,
previene il colpo e fa che inutil cada.
Lascia la spada Hernando e a stretta guerra
col nemico guerrier tosto si afferra.

69Non rifiuta Consalvo il nuovo invito
e si stringe con esso a dura lotta,
come suole abbracciare l’olmo marito
la torta vite o l’edera la grotta.
Intenta a varie prese, a vario sito
move il piede e la man l’arte più dotta,
squarcian l’armi e nel moto e nel furore
le ferite dilatano e ’l dolore.

70Da le piaghe in torrenti il sangue piove,
e lascia di vigor vòte le vene,
e sol virtù l’ispira e sol gli move
di vendetta e d’onor desire e pene.
Ma son del solo ardir vane le prove,
poiché ardir senza forze alfin disviene,
il piè vacilla, e d’ogni senso privi
cadono su la nave ambo malvivi.