ARGOMENTO
Freme il campo fedele et è da molti
con subbito partir la fuga tolta,
quindi perché le sue preghiere ascolti
s’è la grande Isabella al Ciel rivolta;
ella, d’estasi ardente i raggi accolti,
sgombra del senso uman la nebbia folta,
ne la divina idea molto comprende
e de gli estensi eroi le glorie intende.
Ferrando tenta di rincuorare i suoi, ciò nonostante molti fuggono (1-13)
1Ma quando in ciel fatto più chiaro il giorno
scoprì l’orrida strage e ’l fier conflitto,
e che mostrò de i propri danni intorno
lo spettacolo atroce al campo afflitto,
stimò ciascuno inutile il soggiorno
mentre scemi d’ardir, privi del vitto
resister non poteano in vari lati
a i disagi, a gl’incanti e a gli assediati.
2Quinci vi è chi si duole e chi procura
terminar de l’impresa i lunghi affanni,
e grida: «Ancor si tenta, ancor si dura
er cresce nuovi mali a i primi danni?
Speriamo ancor di soggiogar le mura
che indarno combattiam dopo tanti anni
or che stanchi già siamo, or che ci offende
il feroce pagan sin ne le tende?
3Mal possiam custodir, pochi et infermi,
de gli steccati il giro, ove ristretti,
di forze oppressi e d’animi non fermi,
temiam di nuovo mal più gravi effetti.
E ’l re vuol che si duri e che si fermi
il campo afflitto e che vittoria aspetti?
E del regno e del popolo che langue
si disperde il tesor, si perde il sangue?
4Vantava ognun che il barbaro tiranno
farebbe incontro a noi breve difesa,
pur volge il sole il corso al decimo anno
da che il ferro impugnammo a l’alta impresa,
e pur resiste, e pur comune è il danno
di sì lunga implacabile contesa,
e noi dentro i ripari oggi riserra
l’assediato nemico e ci fa guerra.
5A che dunque pugnar contro i decreti
che a l’impero de i Mori il Ciel prefisse?
Invan l’armi raguni, invan tu vieti
quel che fato diverso a te prescrisse.
Tra sommi impenetrabili secreti
le fortune de i regni in Ciel son fisse,
né può de l’immutabile sentenza
i decreti mutar nostra potenza.
6Al provido destin resti la cura
di liberar da l’odioso impero
da l’afflitta città l’oppresse mura,
né si spinga tant’oltre uman pensiero.
Lasciam l’assedio e con miglior ventura
lasciam cure sanguigne, onor guerriero,
e fra i cari parenti a mense liete
ne la patria godiam dolce quiete».
7Tai de gli animi afflitti erano i detti
che diffusi serpean di schiere in schiere.
Brama ognuno il ritorno a i patri tetti
e le tende abbandona e le bandiere.
Cedono i militari orridi affetti
a le placide voci e lusinghiere,
e tentando ciascuno il proprio scampo
resta vano l’assedio e vòto il campo.
8Già del publico danno il re si avvede,
e procura impedir la fuga indegna,
e grida: «Ove l’onore? Ove la fede?
chi di temer, chi di fuggir v’insegna?
Di quel Dio che infallibile provede
a i preghi di chi serve e di chi regna,
diffidate la grazia e la potenza?
O di tiepido cor bassa credenza!
9Quel sommo Dio che già la strada aperse
fra voragini ondose al popol fido,
e che di faraon l’armi sommerse
e gli ebrei ricondusse a l’altro lido,
non potrà superar l’ire perverse
del morbo acheronteo, del vulgo infido?
Non saprà con successo inaspettato
a favor nostro aprir la strada al fato?
10L’empio Golia, la tumida Babelle
de l’eterna possanza è testimone,
quel tremendo a gli ebrei, questa a le stelle
l’una vinse il suo error, l’altro un garzone.
Ma soverchio sarà ch’io d’Israelle
vi proponga i trionfi in paragone,
mentre a nostro vantaggio in tante guise
contra l’armi pagane il Cielo arrise.
11A che dunque temer ch’esausti sieno
de la grazia di Dio gli ampi tesori
se de l’immenso innessicabil seno
a noi piovono ognor nuovi favori?
Siano in Dio le speranze, armi e veneno
apparecchiano invan l’Inferno e i Mori;
nostra guida sia Dio, nostra difesa,
se non cade la fé vinta è l’impresa.
12Io non vo’ già, perché nel Ciel si speri,
trascurar dal mio canto i regi uffici,
ma tesori adunando, armi e guerrier
di nuovo porterò guerra a i nemici.
Io so che Dio per moderar gl’imperi
vuol ch’a l’alto furor de’ suoi auspici
concorran quel che serve e quel che regge;
dunque adempia ciascun la propria legge».
13Con tai conforti il saggio re procura
del campo sollevar l’afflitta speme,
ma invan, poiché l’ignobile paura
il consiglio rifiuta e l’ardir preme.
Quindi, sorta nel ciel la notte oscura,
a stuolo a stuol molti fuggiro insieme,
e di barbare mani a prede indegne
esposte abbandonàr le regie insegne.
Isabella prega Dio , che la rapisce ai sommi giri: contempla il cielo e i cori, un angelo le profetizza il futuro della sua stirpe (14-62)
14Di lor timida fuga il re si avvede,
ma non risolve altro rimedio opporre,
poiché in sì gran periglio il mal richiede
i rimedi sanguigni, et ei gli aborre.
I tumulti del campo intanto vede
la devota reina e a Dio ricorre,
et accesa d’amor, di fé, di zelo,
nel publico terrore invoca il Cielo:
15«Signor, da le cui leggi ubbidienti
pendono il Ciel, l’abisso, i regi e i regni,
e di cui la natura e gli elementi
servono a i cenni e temono gli sdegni,
Tu del popol fedel l’armi cadenti
sostieni, e Tu rinova i bei disegni,
onde per sollevar la fé di Cristo
si commosse la Spagna al gran conquisto.
16Di morbo acheronteo rapido foco
con incendio mortal distrugge il campo,
e le miserie sue prendendo a gioco
già l’Inferno ogni via chiude al suo scampo.
Deh Tu, Signore, il cui favore invoco,
del tuo sommo poter diffondi un lampo,
e ’l popol tuo prima che resti absorto
de l’impresa fatal conduci in porto.
17È gloria tua, se la cittade è presa,
è danno tuo se resta il campo estinto;
deh, con felice avventurosa impresa
si conosca, o mio Dio, che il Cielo ha vinto.
Se mai ti fu da questa mano accesa
umil facella, e se giamai fu cinto
tuo sacro altar di mie votive spoglie,
i miei preghi seconda e le mie voglie.
18Né tu sdegnar, se de i comuni errori
giunge al tuo solio eterno il lezzo indegno,
ma del tuo sangue i preziosi umori
spengano i falli impuri e ’l giusto sdegno.
Tu spirando aura sacra a i nostri cori
puoi dal fango innalzargli al tuo bel regno.
Per quel tronco io ti prego, ove sospeso
con la morte placasti il Ciel offeso.
19E tu, di grazie innessicabil fiume,
protettor de la Spagna, i preghi nostri
ascolta, o di Galizia inclito nume
e gli proteggi in su gli empirei chiostri.
Vinse il tuo braccio e rischiarò il tuo lume
le schiere di Pluton, l’ombre de i mostri;
di quante genti barbare captive
le spoglie al nome tuo la Spagna ascrive?».
20Tacque, e i devoti preghi e ’l puro zelo
l’Apostolo benigno ascolta e prende,
et al trono maggior là sovra il Cielo
gli porge a Dio, che trino in sé risplende.
Quegli, al cui lucid’occhio ombra né velo
de’ secreti del cor nulla contende,
scorge i preghi sinceri e l’alma pia,
et al sen d’Isabella un guardo invia.
21Tosto a l’occhio divino il molle petto
si apre, e ’l foco d’amore in sé riceve,
e ’l cor si strugge a l’amoroso affetto
come a raggio di sol falda di neve.
Quinci dal nuovo insolito diletto
rapita ergesi al Ciel l’anima lieve,
e su l’ali d’amor fervido e pio
da la valle mortal sen vola a Dio.
22Varca i regni de l’aria, ove frequenti
scorge de la natura alte vicende,
passa le fredde brine e i lampi ardenti
e ’l vapor che diverso o piove o splende.
Vede che ne i volubili e correnti
giri del ciel l’alma del Ciel si accende,
onde l’antica età finse in quel loco
l’ardente sfera, e la chiamò del foco.
23Quindi nel Ciel penètra, e qui si avvede
che con vana sentenza altri prefisse
sfere diverse e con distinta sede
a varie stelle un proprio ciel prescrisse:
vede ch’è solo un cielo, ove risiede
de le stelle vaganti e de le fisse
il popolo lucente, ognor fecondo
di lumi al cielo e d’influenze al mondo.
24Ne la parte più lucida e più pura
e più alta del ciel, ch’empireo è detta,
Dio, che tutto provede e tutto cura,
sovra i beati ha la sua stanza eletta.
Stanno il Fato a i suoi piedi e la Natura,
e quella de l’eterna alta vendetta
fiera ministra e d’ogni colpa rea,
punitrice qua giù vergine Astrea.
25Siedono intorno avventurosi cori
d’angeli e di beati, e in dolci accenti
celebrando di Dio l’opre e gli onori
fanno il ciel risonar d’almi concenti.
Dio con guardo propizio infiamma i cori
del suo fervido amor tra fiamme ardenti,
e con avida vista affissi in Dio
contentano i beati ogni desio.
26Applaude la felice empirea reggia
de l’angeliche voci al canto alterno,
e con lucida pompa arde e lampeggia
di piropi e di stelle il solio eterno.
Qui presso a Dio la carità fiammeggia,
dispiegando i trofei del vinto Inferno,
e del sovrano amor cupida e vaga
ne l’amoroso ardor se stessa appaga.
27De l’eccelsa magion stupida mira
gli splendori Isabella e gli ornamenti,
l’ordine, il sito e le vaghezze ammira,
e de i musici cori i grati accenti.
Ciò che immagina l’uomo e che desira
di beltà, di ricchezze e di contenti
sparso del Ciel ne la beata reggia
umile adora, attonita vagheggia.
28Quinci al trono di Dio fatta vicina
tenta l’occhio fisar ne l’alta essenza,
ma lo splendor de la beltà divina
abbaglia de la vista ogni potenza.
Vinta dunque dal lume i lumi inchina
e de l’incomprensibile presenza
sol vede ad or ad or ch’arde congiunto
l’abisso de la luce in un sol punto.
29Questo punto era il centro a nove giri
che intorno lo cingean di bei splendori,
somiglianti a rubini, oro e zaffiri
qual ne le foglie sue l’occhio de i fiori.
Men di luce fecondo è che si miri
il cerchio che dal centro era più fuori,
nel centro è Dio, ne i giri a lui vicini
sono i Troni, i Cherubi e i Serafini.
30Gli altri giri splendean manco lucenti
quanto più da quel punto eran distanti,
e tanto i più vicini erano ardenti
quanto del sommo Amore erano amanti.
Mentre il chiaro splendor vieta che tenti
lo sguardo curioso entrar più avanti,
l’angelo che fu dato ad Isabella
per suo custode, in guisa tal favella:
31«Ne gli abissi di luce invan pretende
fissarsi occhio terren se non lo guida
quella che de le grazie il mar comprende,
e di cui non ha l’uom scorta più fida.
Tu dunque alza lo sguardo ove risplende
la Vergine reina, e in lei confida:
essa puote, al desio dando vigore,
la tua vista bear nel primo Amore».
32Tace e mostra col dito, et ella stende
lo sguardo ove le accenna il suo custode,
e giunge ove simile a Dio risplende
Maria, che Dio vagheggia, in Dio si gode.
Sua beltà, che di zelo i cori accende,
pareggiata col Sol scema di lode;
ricco di tante stelle è il ciel men vago,
sol Dio simile, essa di Dio l’imago.
33Vede poi con stupore e con diletto
sfavillar ne i bei lumi un dolce foco,
che passandole al cor le infiamma il petto
di purissimo incendio a poco a poco.
Mentre intenta Isabella al caro oggetto
non rivolge lo sguardo in altro loco,
l’Angel rompe il silenzio e la riscote,
e per essa a Maria parla in tai note:
34«Vergine madre, e figlia al tuo gran figlio,
che festi tua fattura il tuo Fattore,
che diè per infallibile consiglio
de l’umana salute a te l’onore,
tu scorgi di costei l’infermo ciglio
quanto lecito fia nel sommo Amore,
onde per te di vagheggiar si vante
de l’eterna beltà l’alto sembiante.
35Tu, che sei tanto grande e tanto vali
che grazia senza te nessuno ottiene,
tu, che qui tutta amore e fra i mortali
sei specchio di virtù, fonte di spene,
tu a i preghi d’Isabella impenna l’ali,
e conduci il suo sguardo al primo bene,
d’ogni laccio terren dunque si slega
e degli ultimi arcani il vel le spiega».
36Tace, e del Ciel la Vergine reina
ode con lieto aspetto i caldi voti,
e lo sguardo benigno a loro inchina
e propizia si mostra a i suoi devoti.
Quinci spiegò de la beltà divina
gli abissi incomprensibili et ignoti,
a colei che godé per un momento
l’eccesso d’ogni ben, d’ogni contento.
37Vede ne l’infinita eterna essenza
del profondo splendor tre chiari giri,
son distinti fra lor con evidenza
e pure un solo appar, come fa l’iri.
Di foco il terzo cerchio ha l’apparenza,
mostrando esser spirato e che non spiri;
i tre giri hanno in sé la luce istessa,
sol pare in un l’umana effigie impressa.
38Qual meditando il geometra in prova
il cerchio misurar studia e procura,
né il principio che brama unqua ritrova,
ond’è vano lo studio e la misura,
tale a la vista inusitata e nova
cede l’umana debile natura,
e stupida Isabella al gran mistero
più non osa appressar l’occhio o il pensiero.
39Conosce allor ch’è temeraria impresa
il tentar di capir quel ch’è infinito,
che quella luce è solo in sé compresa
e che solo è quel cerchio in sé capito.
Vede ch’è in sé l’intelligenza intesa
del lume che risplende in tre partito.
Qui manca, e più non può; se più desia
si confessa minor la fantasia.
40Mentr’ella è tal, dal terzo cerchio ardente
si spicca un raggio, e gli occhi a lei percote,
e del futuro illumina la mente
e rivela opre occulte e cose ignote.
Da l’abisso de i lumi intanto sente
una voce distinta in queste note:
«Perché ascendessi a la beata sede
scala fu la Pietà, scorta la Fede.
41In guiderdon del tuo devoto zelo,
ti si scopre il futuro; ascolta e godi
queste che, già vicine, io ti rivelo
de i tuoi chiari nipoti imprese e lodi.
Suoi difensori essi riserba il Cielo
quando più moverà l’armi e le frodi
di barbarico stuol l’empia Babelle,
indurata nel mal contra le stelle.
42Quinci indarno arderà contra i cristiani
l’estrema Libia e l’ultimo Oriente,
che lor da le superbe avide mani
difenderà tua gloriosa gente.
De gl’Iberi l’insegne e de i Germani,
che obbediranno al seme tuo possente,
portate siano ad innalzar trofei
a i freddi Sciti, a gli aridi Sabei.
43Né sol di questi avrà con saggia cura
da sostener tua prole il grave pondo,
ma per lei sol partorirà natura
oltre il confin del mondo un nuovo mondo.
Non saranno o per ghiaccio o per arsura
incognito terren, clima infecondo,
ove uditi non sian gli alti comandi
de i Carli, de i Filippi e de i Ferrandi.
44Il ceppo tuo, sotto a i cui degni auspici
avrà l’antico impero i nuovi pregi,
pianterà ne l’Italia alte radici
e frutti produrrà d’uomini egregi.
Fra i più fecondi rami e più felici
di magnanimi eroi, donde si pregi
il tuo lignaggio, è quello eccelso e grande
che in riva del Panaro i germi spande.
45Dal seme tuo là sovra l’Alpi altere,
misto a la pianta augusta e gloriosa,
sotto cui dal furor d’estranie schiere
Italia bella in sicurtà riposa,
nascerà di tuo zel, di tue maniere
e di tuo nome erede avventurosa,
Isabella, che fia da nodo amico
innestata degli Azzi al germe antico.
46Questi Alfonso sarà, degno consorte
di sì gran donna; ei con invitto core
trionferà del regno e de la sorte,
de i suoi natali, anzi di sé maggiore.
Ambisca altri di grande, altri di forte
titolo vano e fuggitivo onore,
ei tutto sprezza et ei la reggia e gli ostri
cangia in ruvidi panni, in rozzi chiostri.
47O qual sarà del generoso petto
nobil costanza, intrepido desire,
schernir vane sembianze e frale oggetto,
calpestar le delizie e vincer l’ire,
a’ celesti pensieri erger l’affetto,
perciò nulla temer, tutto soffrire.
Saran d’Alfonso il pio gl’incliti fregi
ne la sua povertà maggior de i regi.
48Da così bella e sì famosa coppia,
da così degno e sì felice seme
germoglia il gran Francesco, in cui raddoppia
l’Azia stirpe i suoi vanti e la sue speme.
La maestà, la cortesia si accoppia,
la prudenza e l’ardir vivono insieme
in lui, che fra gli eroi primo riluce
di senno e di valor guerriero e duce.
49Su il fior degli anni a stranio lido ei move,
vago di gloria, il giovinetto piede,
e i più remoti popoli commove
virtù che adulta in fresca età si vede.
Quindi, saggio garzon, fra dubbie prove
nel real trono ei riverito siede,
allor che fiera aquilonar tempesta
Italia sua con doppia strage infesta.
50D’esercito stranier l’armi temute,
di peste acherontea rapidi strali
scorron l’Ausonia, et a l’altrui salute
muovono assalti orribili e mortali.
Fra turbe languenti e combattute,
fra varie stragi e fra diversi mali,
de la terra e del Ciel fra il doppio sdegno
sol tranquillo ei mantiene il proprio regno.
51Erge d’ampio palagio eccelse mura,
trova nuovi ornamenti al gran lavoro,
l’arte de la materia il pregio oscura,
benché questa risplenda e d’ostro e d’oro.
Con forte rocca i popoli assicura,
accresce al regno suo forza e decoro,
con dominio novello e a l’azzio impero
d’alta speme rinverde il fior primiero.
52Di facondo parlar, mentre ragione
esce da i saggi labbri aurea catena,
che i sensi lega e gli animi imprigiona
e gli spinge a sua voglia e gli raffrena.
Se scrive non più celebre risuona
nel dotto Lazio o ne l’arguta Atena
quale altro stil l’antica età dimostri
in paragon de’ suoi purgati inchiostri.
53Con mano liberale egli comparte
a pregiata virtù premi et onori,
e non mai troveranno in altra parte
aura più dolce i favoriti allori,
quindi avverrà che le più degne carte
ammirin le sue glorie e i suoi maggiori,
e che ciascun dal mare Ibero a l’Indo
chiami la reggia estense il vero Pindo.
54Ferve nel cor divoto un puro zelo,
il sublime pensier tende a le stelle,
sorgono erette e consecrate al cielo
rocche de la pietà, moli novelle.
Vuol che sian senza fregio e senza velo
de la Vergine Astrea l’opre più belle,
e che con giusti e liberi giudici
si dispensino altrui premi e supplici.
55Da le feroci passioni ei serba
con immobil costanza intatto il core,
no ’l move ingorda brama o doglia acerba,
tumido fasto, ignobile timore;
non gli offusca la mente ira superba,
non gli macchia i desiri impuro amore,
ma qual l’Olimpo a i turbini soggetti
tal ei sovrasta a i soggiogati affetti.
56Se corre in finto arringo o se conserva
la combattuta sbarra, ogni altro avanza,
e porge del suo ardire a chi l’osserva
per maggior paragone alta speranza.
Così poscia ei dimostra ove più ferva
verace pugna, intrepida baldanza,
e senza cangiar faccia o mutar loco
primo espone se stesso al ferro e al foco.
57Di stuolo predator fermare il corso,
l’orgoglio rintuzzar d’armate schiere,
portare a chiusa terra alto soccorso,
dissipar, lacerare armi e bandiere,
premer di vasto fiume il fiero dorso,
aprir squadroni e superar trincere
sono i suoi pregi, onde ciascuno applaude
al suo nome, al suo merto, a la sua laude.
58O quai palme al glorioso crine
prepara già la preziosa Idume,
mentre per vendicar l’onte divine
spieghi colà l’aquila sua le piume!
Treman le tracie rive e le bitine,
né i gravi ardori o le gelate brume
del Caucaso saranno o de l’Atlante
contra l’azzio valor schermo bastante.
59Proseguiranno il fortunato esempio
del chiaro padre i generosi figli,
e troncheranno al mostro ingordo et empio,
divorator de l’Asia, fieri artigli.
Così poi, liberato il sacro tempio,
vedrassi il bianco augello e gli aurei gigli
a gloria sol de la famosa prole
volar, fiorir sin dove nasce il sole.
60Crescete, o di gran stirpe incliti germi
a’ trionfi, a gli applausi, a le vittorie.
Porgan d’alto valor gli anni più fermi
a i sublimi scrittori ampie memorie.
Barbari estinti o prigionieri inermi
tutti vinti orneran le vostre glorie;
crescete, et altr’umor non si dispensi
che di barbaro sangue a i lauri estensi.
61Crescete, e ’nvan contra di voi congiuri
stolta fortuna e perfido livore;
nulla giamai perturbi e nulla oscuri
de la vostra virtù l’alto splendore.
Sinché girino i cieli e il mondo duri
riverito sarà l’azzio valore,
e di lui canteranno i miglior plettri,
porpore sacre e bellicosi scettri.
62Queste fian le sue lodi; or tu, che senti
de la progenie tua l’altera sorte,
riedi nel basso mondo e i lieti eventi
che qui vedi palesa al gran consorte.
Digli tu che l’assedio ei non rallenti,
poiché l’armi d’Averno e de la morte
vinte cadranno, e con maggior sua gloria
di Granata otterrà chiara vittoria».
Isabella svela a Ferrando il contenuto della visione, entrambi pregano Dio, il quale impone il destino dell’impresa, risana i malati e manda San Giacomo a proteggere il viaggio di Colombo (63-70)
63Tacque la voce, e da quei lumi immensi
uscì rapido lampo e lei percosse,
e l’usata virtù rendendo a i sensi
da l’alta vision l’alma riscosse.
Ella, qual uom che sogni e desto pensi,
indugiò breve spazio; indi si mosse
verso il re, che l’accoglie; a lui favella
dopo che l’inchinò lieta Isabella:
64«Signor, gran cose io reco; a gli occhi miei
credi, perché miraro; io ti rivelo
ch’al tuo sommo valor degni trofei
de la chiusa città promette il Cielo.
Come ciò mi sia noto io non direi
fuorché a te solo, a cui mia fé, mio zelo
è noto; or tu del Ciel le grazie attendi,
e di tanto favor grazie gli rendi».
65Segue, e tutte distinte al re palesa
le glorie de i magnanimi nipoti,
e de la giusta incominciata impresa
il fin promesso a i generosi voti.
Ne gode il re, poi con la mente accesa
di celesti desiri ambi divoti,
rendono a Dio con umili maniere
vivaci grazie e fervide preghiere.
66Riceve Dio gli affettuosi detti,
e gradisce la fé candida e pura,
e dice: «A i vostri prieghi, a i vostri affetti
vo’ che servano il Cielo e la natura.
Racquistino vigor gli egri e gl’infetti,
tornino ad espugnar l’altere mura
da lo scoglio d’Alchindo o prigionieri,
e sorgan nuovi mondi a i regi iberi».
67Tace, et esce da i labbri onnipotenti
aura benigna che nel campo scende,
e scaccia i morbi e a i miseri languenti
gli spirti invigorisce e i sensi rende.
Spiran Zeffiri lieti e dolci venti,
onde l’afflitto cor forza riprende;
fuggon gli Austri maligni e si risana
col celeste favor l’oste cristiana.
68Racquista già l’esercito guarito
le forze a i membri e l’ardimento al core,
e già prescrive inviolabil rito
d’antica disciplina aspro tenore.
Prende i soliti uffici ognun più ardito,
cede a l’alta speranza il vil timore;
spira il campo fedel sensi di gloria,
e spira con l’armi a la vittoria.
69Nel Cielo intanto il protettor di Spagna
il comando di Dio col guardo intese,
e rimirò dove circonda e bagna
l’ampio oceano incognito paese.
Lasciò l’empireo, e a l’umida campagna
oltre i segni d’Alcide il volo stese,
poi scorse dove al pelago infinito
par che l’orlo del ciel serva per lito.
70Qui scorge il domator del nuovo mondo
de l’indic’oceano il vincitore,
il ligustico eroe, Tifi secondo,
al nostro mondo avvicinar le prore.
Scorge poi sin dal baratro profondo
di superbi demoni empio furore,
apparecchiar contra l’ardite vele
di procella infernal guerra crudele.